La giungla dei miracoli

di crazy lion
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The-peacock-panther

LA GIUNGLA DEI MIRACOLI
 
Akilah camminava per il villaggio. Aveva diciannove anni e i genitori stavano parlando del fatto che sarebbe stata ora di trovarle un buon marito. La ragazza sperava solo che, chiunque avessero scelto, l'avrebbe amata e non maltrattata. Scosse la testa per liberarsi da quel pensiero e continuò ad avanzare fra terra e fango. La notte prima aveva piovuto, ragion per cui il terreno era fangoso. Alcuni bambini giocavano a fare la lotta con dei bastoni, mentre altri si divertivano a fare impasti di fango. Una donna, in una capanna fatta di legno e con il tetto di paglia, come tutte in quel villaggio, stava cantando una ninnananna per il suo bambino.
Fu allora che Akilah sentì qualcosa. Sembrava il pianto di un cucciolo, magari era in difficoltà. Corse verso il rumore, ignorando il fatto che i genitori le avevano sempre detto di non avventurarsi nella giungla da sola. Uscì dal villaggio e vi si addentrò, La foresta era fitta, ma c'era rimbombo, quindi Akilah non riusciva a capire dove si trovasse il cucciolo. Insetti di tutte le forme e le grandezze le volavano vicino alle orecchie, mentre un vento caldo le muoveva il vestito lungo che indossava. Scacciò un ragno velenoso, temendo che la pungesse, ma questo volò via senza farle male. La ragazza ringraziò gli spiriti per questo. Si mise a correre, per quanto il terreno fosse accidentato, e si rese conto che si stava avvicinando sempre più al piccolo. Durante il tragitto si era guardata intorno. Da quando, nelle città, gli uomini avevano cominciato a fare esperimenti scientifici sugli animali, incrociando specie che in natura non avrebbero dovuto nemmeno sfiorarsi, o che avrebbero dovuto essere prede e predatori, l'ibridismo era dilagato, arrivando anche ai villaggi come il suo. C'erano leoni con la coda di una zebra, ghepardi con le zampe di una gazzella e molti altri. Ma nessuno, per procurarsi la carne, li cacciava. Nel suo villaggio e anche negli altri si riteneva che fossero animali sacri mandati dagli spiriti e che, per questo, non andassero toccati.
Akilah si chinò e vide per terra una piccola pantera con la coda da pavone.
"Ciao, tesoro!" esclamò.
Non doveva avere più di un mese, era grande quanto la sua gatta, Mambua, di razza europea. L'avevano acquistata qualche tempo prima da un ragazzo proveniente da quel continente e che voleva liberarsene. In cambio gli avevano dato frutti e altri doni.
"Sei qui tutta sola? Dov'è la tua mamma?"
"Mi ha abbandonata" mormorò il cucciolo.
Akilah fece un balzo all'indietro. Aveva sentito male, se l'era immaginato, o quella pantera aveva parlato?
"Sì, io parlo, ma solo alle persone che so che mi vogliono bene. Tu sei la prima. Sei venuta a salvarmi e non l'avresti fatto se non mi avessi voluto bene.
"Perché la tua mamma ti ha abbandonata?" chiese Akilah.
Era ancora sotto shock, ma non voleva darlo a vedere alla pantera per non spaventarla.
"Per questa" disse e agitò la coda. "Mi ha respinta da neonata, poi mi ha allattata per un po' e alla fine mi ha mandata via. Ma io non so cacciare da sola, stavo ancora imparando."
"Vieni, ti porto a casa con me. Sei ferita?"
"No."
"Sei un maschio o una femmina?"
"Una femmina, mi chiamo Luna perché sono nata quand'era in cielo."
"Mi piace come nome, io sono Akilah."
"Anche il tuo è bello. Vivi con i tuoi genitori?"
"Sì."
Prese in braccio Luna. Pesava più della sua gatta, ma la grandezza era più o meno la stessa, forse la pantera era un po' più grande. Arrivò al villaggio e subito un gruppo di bambini le si fece intorno.
"Una pantera nera!" esclamò uno di loro, quello che sembrava il maggiore.
"Dove l'hai trovata?" chiese una bimba.
"Nella giungla. Vedete la sua coda? La mamma l'ha respinta per questo."
I genitori di Akilah tornarono dai campi che coltivavano e sentirono tutto.
"Vieni in casa" le disse la mamma in tono gentile.
I bambini avrebbero voluto tempestarla id domande, Akilah lo notava da come guardavano Luna, ma la ragazza si allontanò con i genitori.
La mamma prese subito in braccio Luna, che iniziò a fare le fusa come un gatto, poi a piangere.
"Credo abbia fame" disse il papà.
Andò a prendere un po' di latte di capra dalla piccola stalla che avevano vicino alla casa. Essendo i capi del villaggio potevano permettersela. Poi presero uno straccio, lo ritorsero a spirale e Akilah si sedette su una sedia impagliata, intinse lo straccio nel secchio e cominciò a nutrire Luna, che prese a succhiare con avidità. Poi si sdraiò sulle sue gambe facendo le fusa come un gatto e si addormentò.
"Akilah, sai che non possiamo tenerla qui, vero?" chiese il padre.
"Ma ormai ha l’odore degli umani addosso, nessuna madre la vorrà più."
“Avresti dovuto lasciarla dov’era.”
“A morire, papà?” Aveva alzato la voce. “È questo che intendevi? Neanche per sogno!”
"Calmati, Akilah” disse l’uomo con gentilezza. “Non so cosa mi sia preso. Ho detto una cazzata. Comunque, non è detto che un’altra madre non la accetti."
Akilah sospirò.
"Teniamola qui per oggi" disse. "Poi le troverò una madre."
Quando Luna si svegliò, iniziò a esplorare la piccola capanna. Quando vide la gatta di Akilah la guardò in cagnesco, e anche l'altra lo fece, ma subito dopo iniziarono a mordersi e graffiarsi.
"Fa' piano, Luna" le disse Akilah.
Gli artigli di una pantera erano molto più potenti e affilati di quelli di un gatto.
Va bene, scusa.
Quindi sapeva comunicare con lei anche con il pensiero?
Fico! pensò la ragazza.
Quella sera, a letto, si ritrovò Mambua e Luna sdraiate accanto a lei, nel suo giaciglio di paglia, e dormì benissimo tutta la notte.
Quando la ragazza si svegliò, trovò Mambua e Luna che si leccavano a vicenda. La gatta l'aveva accettata subito, senza soffiare o scacciarla. Akilah se ne sorprese, ma fu felice di questo.
Dopo una veloce colazione con i genitori, diede il latte a Luna come aveva fatto il giorno prima e poi uscì, diretta verso la giungla.
"Sta' attenta, è pericoloso" le disse il padre.
Le diede un arco e una faretra piena di frecce, nel caso ce ne fosse stato bisogno.
La giungla le accolse con la sua infinità di rumori. Passarono vicino a un gruppo di babbuini che, quando le videro, si misero a strillare rompendo i timpani di Akilah.
"Non ti ha dato fastidio?" chiese a Luna.
"Sì, parecchio."
Gli alberi erano fitti e, a volte, bloccavano la visuale, ma la ragazza riusciva sempre a spostare i rami per passare. Luna le camminava al fianco.
"Sei stanca? Vuoi che ti prenda in braccio?"
Si era messa la faretra appesa a un braccio e l'arco all'altro.
"No, va bene."
Finalmente trovarono una pantera con tre cuccioli. Luna le si avvicinò, un po' intimidita, e Akilah ebbe paura che l'animale attaccasse lei o la piccola, ma non accadde. Luna spiegò la sua situazione alla pantera, ma questa rispose:
"Non ti alleverò perché non fai parte della mia famiglia. Va' via."
Luna tornò indietro, da Akilah, che forse la pantera non aveva nemmeno visto dato che si era nascosta dietro un albero, e iniziò a fare un verso simile a un miagolio. Stava piangendo. La ragazza la accarezzò.
"Non preoccuparti" le disse.
"No! Non troverò mai una mamma!" si lamentò l'altra.
Akilah provò a consolare Luna, ma fu inutile. La piccola pantera si chiuse in un cupo silenzio mentre procedevano. Incrociarono un branco di leoni. Molti di loro erano addormentati e solo i cuccioli giocavano. Luna chiese ad Akilah se avrebbe potuto divertirsi con loro, ma per quanto alla ragazza sarebbe piaciuto vederla felice, le rispose che era meglio di no.
"Non vorrei mai che una delle madri si svegliasse, ti vedesse e ti attaccasse."
"Ho capito" rispose la piccola pantera, un po' contrariata.
Quello che doveva essere il capo branco, un leone possente, enorme e dalla folta criniera si avvicinò a loro e ruggì forte.
"Andate via, questo non è il vostro territorio!" esclamò. "E tu, sei fortunata che non ti attacchi" disse rivolto ad Akilah. "La tua gente ci caccia per la carne e io la odio."
Mentre si allontanavano, la ragazza non poté far altro che sentirsi in colpa per quello che loro facevano agli animali. Ma la caccia era il loro modo di sopravvivere, oltre all'allevamento di quelle poche capre e alla coltivazione di alcuni cereali.
Corsero via più veloce che poterono. Incrociarono un gruppo di gorilla e degli elefanti che andavano al fiume ad abbeverarsi.
"Sono tutti giganti!" esclamò Luna. "Anche il leone di prima. Ho un po' paura."
Tremava appena.
"Anch'io" le confessò Akilah. "Avevo sempre visto questi animali da lontano, non mi ero mai inoltrata così tanto nella giungla."
Trovarono una pantera con quattro cuccioli che giocavano, mentre lei era distesa sotto un Baobab. Luna le si avvicinò.
"Che c'è?" chiese questa, assonnata, poi quando si accorse che non si trattava di un suo cucciolo alzò gli occhi. "E tu chi sei?" chiese con dolcezza.
"Mi chiamo Luna."
"E perché hai questa coda strana?"
"Sono nata così."
"Ti assicuro che è bellissima."
"Nessuno me l'aveva mai detto!" esclamò la piccola.
Akilah si sorprese di capire tutto ciò che gli animali dicevano. Doveva essere un dono che gli spiriti le avevano fatto senza che se ne accorgesse. Luna spiegò alla pantera la sua situazione, ma la ragazza notò che ormai era stanca di ripetersi e pensò che, se anche quella mamma l'avesse cacciata, la piccola si sarebbe arresa.
"Ti adotto io, se vuoi restare con noi. Ho tanto latte per i miei cuccioli, posso averlo anche per te. Da ora sei mia figlia a tutti gli effetti, come se ti avessi partorita io."
Gli occhi di Luna si illuminarono.
"Vuoi essere la mia mamma? Davvero?"
"Te lo giuro."
"Mi ha salvata un'umana, posso farla avvicinare?"
"Certo, non le farò nulla."
Akilah si piegò ad accarezzare la grande pantera.
"Ti ringrazio" le disse. "Le altre l'hanno mandata via."
"Non tutte le pantere sono gentili e compassionevoli, nemmeno quelle che hanno già i cuccioli."
Luna spiegò ad Akilah che si sentiva accettata in quel piccolo gruppo, che aveva sempre pensato che la sua coda fosse un'aberrazione, ma che adesso la considerava meravigliosa.
"E lo è" le rispose la ragazza.
"Grazie di avermi trovato una mamma."
Era un ringraziamento sincero, che veniva dal cuore, e Akilah si commosse.
"Verrò a trovarti, se resterete nei paraggi."
"Rimarremo qui, sì" rispose la mamma pantera. "Potrai venire a trovare Luna e i miei altri cuccioli quando vorrai."
"E, anche quando crescerò, non credo mi sposterò di molto" disse Luna.
La ragazza la prese in braccio e la abbracciò.
"Ti voglio bene" le disse.
"Anch'io" mormorò Luna al suo orecchio. "Saluta Mambua per me e di' ai tuoi genitori che sono stati gentilissimi."
"Lo farò."
Una lacrima, una sola, scese lungo la guancia di Akilah, poi le due si separarono dopo che la ragazza ebbe dato un bacio alla pantera, affondando le labbra nel suo pelo morbido.
Akilah tornò a casa correndo, con il cuore che scoppiava di felicità. Le dispiaceva essersi separata da Luna, il pensiero la rendeva triste, ma d'altro canto era anche felice perché le aveva trovato una madre amorevole e le aveva ridato la sua meritata libertà.




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