IL SENZA NOME

di Rosa Marina
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lo sciabordio delle onde che accarezzavano la sabbia unito al canto degli uccelli che si libravano sulle onde risuonava nel petto di Nanashi come un’eco lontana facendogli battere forte il cuore sotto il pugno che teneva chiuso sul petto. Ora che era divenuto un giovane uomo i lineamenti del suo volto si erano consolidati rivelando un paio d’occhi dal taglio allungato contornati da lunghe ciglia nere, peculiarità dei popoli orientali e che aveva ereditato da sua madre così come la serica chioma di capelli corvini che ondeggiavano sospinti dal vento lasciando libero lo sguardo altrimenti adombrato da una lunga frangia che ne malcelava l’incredibile colore. Il cangiante verde degli occhi ora rifletteva il blu intenso del mare assumendo sfumature azzurre.

L’indomani si sarebbe imbarcato verso la Terraferma al seguito della giovane principessa di Paradise Island, Ymir Reiss, che aveva assunto il comando di un gruppo scelto di appartenenti al Corpo di Ricerca rinunciando al suo ruolo di futura Regina che le imponeva l’obbligo di formare una famiglia e garantire la discendenza del sangue reale con dei figli. Molti giovani avevano risposto alla sua chiamata spinti dal desiderio di portare la libertà anche ai loro fratelli e sorelle Eldiani ancora vittime di soprusi ne Continente e sotto l’insegna delle Ali della libertà avevano assunto il nome di “Armata di liberazione” ricevendo l’approvazione dal Governo centrale. Con la benedizione del Clero del culto dell’albero del Salvatore sarebbero partiti il giorno seguente pronti ad offrire i propri cuori per la libertà ripercorrendo le gesta degli eroi di Paradise.

 

Mikasa Ackerman stava giungendo alle spalle di suo figlio, camminando con passo leggero per non disturbare la sua contemplazione del mare. Ripensava a quanto accaduto alcuni giorni prima quando un giovane asiatico aveva bussato alla porta della caserma per portarle la notizia che la signora Kiomi stava morendo e aveva chiesto di lei. Quando giunse al suo capezzale l’anziana donna degli Azumabito dischiuse pesantemente le palpebre stanche e con un movimento quasi impercettibile della mano fece cenno a Mikasa di avvicinarsi al suo volto. La voce le uscì in un sussurro mentre le lacrime le bagnavano le guance. Erano parole amare e rassegnate quelle che pronunciò mentre, con le poche forze che le rimanevano, strinse il polso di Mikasa dove, sotto la benda bianca, sapeva esserci l’antico simbolo degli Azumabito. La giovane allora posò la mano sulla sua, e comprendendo i suoi affanni, le confidò tutto di suo figlio, rassicurandola che il nobile simbolo non sarebbe andato perduto, che avrebbe parlato al ragazzo spiegandogli ogni cosa e tramandando il marchio così come avrebbe voluto sua madre. L’anima della signora Kiomi abbandonò il suo corpo mentre all’ascoltare le parole di Mikasa un sorriso le illuminava il volto. La giovane Ackerman pianse in modo composto e silenzioso e in un piccolo angolo del suo cuore rimpianse il fatto di non aver mai assecondato la signora degli Azumabito ed il suo intento di darla in sposa ad un giovane asiatico, consapevole che in questo modo sarebbe tornata in seno alla sua famiglia di appartenenza. Fu tuttavia un fugace pensiero, effimero come il volo di una farfalla in primavera, poiché subito dopo ricordò a sé stessa che Eren e nessun altro, era la sua unica e vera famiglia.

Ritornata in Caserma scrisse una lunga lettera a suo figlio, era intenzionata a mantenere fede alla parola data alla signora Kiomi sul letto di morte ma non lo avrebbe certo fatto di persona proprio quando il giovane Nanashi aveva scelto quale fosse la sua strada. Decise quindi di rivelargli tutto per iscritto in una lunga lettera bagnata di lacrime dove affidò alla carta l’antico marchio degli Azumabito e lasciando soltanto a lui la scelta di imprimerlo o meno sulla propria carne e in quella dei suoi eventuali figli e se prendere o meno tale fardello sulle proprie spalle.

Ora mentre lo guardava contemplare il mare stava stringendo la lettera, chiusa con un sigillo, che teneva in tasca, aveva ritenuto più sicuro dargliela di persona, data la delicatezza del contenuto, tuttavia lo avrebbe invitato a leggerla solamente quanto fosse giunto sul Continente, lontano il più possibile da Paradise Island. Crescendo in età i suoi lineamenti asiatici e il verde dei suoi occhi oltre al temperamento e alle singolari abilità marziali rischiavano di tradire, in ogni istante che trascorreva tra le fila dell’esercito paradisiano, il segreto sulle sue origini, per questo motivo Mikasa, nonostante la cosa la addolorasse moltissimo era stata sollevata nel venire a conoscenza della sua decisione di partire e non aveva fatto nulla per opporvisi caldeggiando invece la scelta del ragazzo. Anche Armin, consapevole dei pensieri e delle oggettive preoccupazioni della sua amica, aveva accondisceso alla decisione di colui che, agli occhi di tutti, era divenuto il suo giovane pupillo. Nemmeno il Capitano Levi si oppose quando Mikasa, seppur a monosillabi, gli parlò della questione. Non gli importava, in verità, poi molto che il suo nome, quello degli Ackerman venisse perpetrato, ma concordò con la donna quando gli disse della lettera che intendeva scrivere al figlio e sul fatto che fosse necessario informare il ragazzo sulle peculiarità di una parte del sangue che scorreva nelle sue vene. Quando aveva visto il giovane cadetto per la prima volta Levi comprese subito cosa fosse accaduto ma condivise anche i dubbi e i tormenti che immaginava si dibattessero nell’animo di Mikasa, il nome Jeager, il sangue Ackerman e il marchio degli Azumabito erano troppo perché un singolo essere umano potesse portarli su di sé, in quel preciso momento storico. Ma sapeva anche che era giusto affidarli alla storia che avrebbero scritto le nuove generazioni e non seppellirli con loro, ben presto destinati ad appartenere al passato, anche Erwin sarebbe stato d’accordo, di questo era sicuro.

 

Quando sentì i passi alle sue spalle infrangere le onde, Nanshi si voltò. Ora era cresciuto e non aveva più bisogno di alzare gli occhi per incrociare lo sguardo di vetro di Mikasa che come uno specchio rifletteva il suo. Il ragazzo era un tipo di poche parole e non amava gli addii e anche la Ackerman non era solita profondersi in grandi discorsi, sperava nell’aiuto di Armin, venuto a salutare Nanshi assieme a lei, ma il giovane Arlert era rimasto in disparte e osservava la scena con gli occhi velati di lacrime.

Madre e figlio si stavano ora stringendo le mani e questo gesto rese quasi tangibile la presenza spirituale di Eren in mezzo a loro, Mikasa stava dicendo qualcosa al ragazzo, ma il rumore delle onde e il vento resero impossibile ad Armin comprenderne il significato, mentre lui la guardava profondamente con quei penetranti occhi dall’inconfondibile sfumatura di verde. Il giovane ripensò a quante volte aveva notato Eren guardare Mikasa intensamente quando lei non lo notava e a come il suo sguardo fosse limpido e il suo cuore aperto. I pensieri e i sentimenti del suo migliore amico, anche quelli più intimi erano palesi ad Armin come un libro aperto. Suo figlio, al contrario, era molto diverso e per quanto mantenesse il medesimo colore cangiante e luminoso delle iridi aveva lo sguardo imperscrutabile e sfuggente di Mikasa della quale Armin non aveva mai afferrato appieno i pensieri e nemmeno lo stesso Eren aveva mai compreso del tutto la ragazza che amava, questo Armin lo sapeva bene perché sin da quando erano bambini, Mikasa era sempre apparsa loro piuttosto misteriosa. Per questo motivo il giovane Arlert assistette alla scena da lontano senza poter comprendere non solo le parole ma nemmeno i sentimenti dei protagonisti, cosa dissero e provarono in quel saluto lo conoscevano solo il vento e l’acqua del mare che bagnava loro le guance confondendosi con le lacrime.

Arman si affiancò a Mikasa solo quando la vide ricomporsi assumendo la postura marziale con il braccio sinistro dietro la schiena e il pugno destro sul cuore. Anche lui fece lo stesso.

Nanshi rispose al saluto con orgoglio e i suo occhi brillarono mentre rivolse un sorriso ad Armin. In un certo momento della sua vita aveva creduto che quel giovane dai profondi occhi azzurri e tristi, che lo guardava sempre con sincera dolcezza mentre veniva a trovarlo assieme a “M”, fosse suo padre.

 

Una volto sciolto il saluto militare, consapevole che quello avrebbe potuto essere un addio definitivo, Mikasa decise di separarsi dalla sciarpa donatagli dal suo amato Eren per avvolgervi il loro figlio, ma quando con la mano stava per slegare il nodo sentì qualcosa di morbido sfiorarle la pelle, era l’ala di un uccello che stava volando al suo fianco. Si librò in alto sopra di loro eseguendo alcuni cerchi nell’aria con le candide piume che brillavano illuminate dalla luce del sole per poi planare e atterrare posandosi sulla spalla del giovane dagli occhi verdi e i serici capelli corvini.

 

“Eren….”

 

le voci di Mikasa ed Armin, incrinate dall’emozione si persero nel battito d’ali del fiero uccello bianco che ora si librava libero nel cielo sopra di loro.

 

Nota dell’autrice

Con questo capitolo si conclude anche la seconda parte di questa mia trilogia, spero che il giovane Nanashi vi sia piaciuto come personaggio, a me ha entusiasmato molto dargli un volto e un carattere, scrivere di lui e della sua vicenda, insomma non è in una posizione facile la sua e mi è piaciuto gestire Mikasa nelle sue scelte a riguardo. In realtà in questa storia doveva essere solo un cameo assieme alla piccola Ymir, poi i personaggi mi sono sfuggiti un po' di mano iniziando a vivere di vita propria e a fare le loro scelte, magari quando avrò terminato questa saga dedicherò loro uno spin-off sulle loro avventure al di là del mare, voi continuate a sostenermi e ditemi cosa ne pensate!

A breve il gran finale della trilogia!

Ciao!

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