Cara catastrofe
Non sono ubriachi. Non sono neanche del tutto sobri, però.
Al momento si trovano in uno stato di ebrezza intermedio, in cui si
amalgamano esaltazione, menefreghismo, euforia e un pizzico di
onnipotenza. Se il mondo circostante si sfracellasse
all’improvviso, loro fluttuerebbero e riderebbero sospesi a
mezz’aria osservando i grattacieli mentre si sbriciolano - e
poi volerebbero più in alto ancora, e insegnerebbero agli
abitanti della luna a giocare a pallavolo.
“Ho
fame,” asserisce Atsumu di punto in bianco, guardando
Shouyou. “Mangiamo?”
Shouyou domanda che
ore sono. La voce friabile, non del tutto ancorata alla
realtà - forse parte di Shouyou si trova già
sulla luna. Sembra felice, però, e quella è
l’unica cosa che importa.
“Ma non puoi
controllare dal cellulare?”
“Giusto,”
dice Shouyou, poi si sfila il telefono dalla tasca.
“È l’una e mezza.”
Atsumu oramai lo
conosce abbastanza da sapere cosa vortica nella sua testa:
l’una e mezza di notte non è un orario appropriato
per mangiare. Shouyou consuma i pasti a orari estremamente regolari,
perché regolarità significa preservazione della
propria forma fisica, e quindi della pallavolo, e quindi della sua
ragione di vita.
“Eddaaai,”
lo incalza Atsumu. “È solo un piatto di riso.
È tutta salute.”
Shouyou riflette,
soppesa le conseguenze di un eventuale assenso o rifiuto, Atsumu vede
la bilancia dei pro e dei contro oscillare sopra la sua testa, pendere
prima da un lato, poi dall’altro. Infine, forse
perché vuole bene ad Atsumu, o forse perché ha
fame, annuisce.
Atsumu sorride
raggiante e si appresta a riscaldare il riso avanzato dalla cena.
C’è calma. Una calma confortevole, una luccicante
bolla di sapone, cadenzata dal rumore delle macchine che scivolano
sulla strada sottostante.
Mangiano sprofondati
sul divano, mentre guardano One Piece. Né Bokuto
né Sakusa sono a casa, quel fine settimana. Potrebbero
ridere ad alta voce o mettersi a ballare il tango, se solo lo volessero.
Ma non vogliono.
Atsumu si sente felice così, con quella quiete gentile che
aleggia nell’aria come una carezza sulla nuca. Il sapore
della birra oramai è quasi svanito, ma la sensazione di
leggerezza perdura ancora. Atsumu ci sprofonda, lascia che il pavimento
continui a dondolare, a inclinarsi, a contorcersi, a incastrarsi, a
schiudersi, mentre lui è perfettamente stabile, sopraelevato
sul divano - divano che si trasforma in un divano volante, tramite cui
potrebbero volare fuori dalla finestra, come Aladdin e Jasmine sul
tappeto, ma con un numero di desideri illimitato.
(Vorrebbe che fosse
vero. Vorrebbe che non stesse accadendo solo nella sua testa. Vorrebbe
che potessero davvero volare da qualche parte, lontano, fra le stelle
che gocciolano luce.)
Shouyou gli poggia la
testa sulla spalla. Atsumu torna alla realtà presente - resta, pensa. Sente la
voce di Zoro e la forma dello zigomo di Shouyou premuto contro la
stoffa della sua maglia, i suoi capelli che gli solleticano il collo - resta,
resta, resta, per favore.
Shouyou si posiziona
meglio sul suo avambraccio. Qualche minuto dopo si addormenta,
perché il respiro diventa pesante e regolare.
Atsumu lo lascia
dormire. Gli lascerebbe fare qualunque cosa. Si fida ciecamente, ma non
è solo una questione di fiducia. È più
qualcosa di simile alla devozione, un po’ come quando ti
butti in mezzo al mare. È immenso, salato, e quando ci
sprofondi dentro lo sai che è infinitamente più
potente di te. Lo senti che potrebbe annullarti da un momento
all’altro, ucciderti, ingoiare la tua vita e il tuo nome e
tutto quello che sei - però ci corri dentro lo stesso, e
prendi le onde in faccia.
Il mare, Shouyou,
l’oceano. Atsumu dovrebbe decisamente bere di meno.
Però,
però, immaginare è bello. E se fossero sul serio
le uniche due persone rimaste al mondo? E se tutti gli altri fossero
scomparsi? E se quel divano potesse davvero volare come un tappeto, e
se davvero esistessero gli alieni sulla luna?
Shouyou soffia, come
un gatto arrabbiato. Atsumu si volta a guardarlo e vede le palpebre
tremare, le pupille roteare agitate sotto la pelle sottile. Gli piazza
un bacio in testa, Shouyou mugola qualcosa, si calma, e Atsumu torna a
guardare la televisione.
Non sa
perché l’ha fatto - e invece sì, ma non
se lo domanda, finge che sia tutto normale.
Non ne parlano, il
giorno dopo.
*
Atsumu è
decisamente ubriaco. Shouyou e Bokuto non tanto, Inumaki per niente
perché sta guidando.
Piove. Le gocce di
acqua si infrangono sul vetro del finestrino e poi colano
giù, seguendo le scie acquose precedentemente tracciate.
Atsumu le conta, le segue con gli occhi una per una, ne traccia il
percorso con il dito, come se stesse disegnando ghirigori sul
finestrino e l’acqua non fosse altro che inchiostro
trasparente.
Vortica tutto,
furiosamente. Intorno a lui, dentro di lui, sotto di lui.
C’è una spirale grigia e azzurra dentro cui ogni
tanto lampeggia qualche drago fatto di fulmine - Atsumu ci si abbandona
ed è bellissimo, si sente vivo e fluido come il vento, anche
se forse deve vomitare.
Atsumu continua a
fissare le gocce sul finestrino. Sono tante, tantissime, brillano,
precipitano giù e-
“MA SONO
STELLE CADENTI!” esclama, trafitto dalla meraviglia.
Inumaki scoppia a
ridere. “È solo pioggia, Miya.”
“No,”
ribatte fermamente Atsumu, a occhioni spalancati, guardando fuori - come fa a
non capire? Come può non vedere? “No. Sono stelle
cadenti. Brillano, ti dico. Guarda! Vedi che brillano?”
“È
il riflesso della luce delle macchine.”
Atsumu scuote la testa
e ringhia, frustrato da tanta cecità. Come possono non
distinguere la pioggia dalle stelle cadenti? Come fanno a non
comprendere l’immensità del momento che stanno
vivendo? Quella è letteralmente una pioggia di meteoriti.
È un evento mai visto prima. Se ne parlerà per
decenni.
Atsumu si volta verso
Shouyou, seduto accanto a lui. “Tu le vedi. Vero che le
vedi?”
Shouyou annuisce
prontamente. “Certo che le vedo. Sono assolutamente stelle cadenti.”
Atsumu lo fissa
diffidente negli occhi. Shouyou ha lo sguardo insopportabilmente lucido
di chi ha deciso di rimanere sobrio, e Atsumu percepisce una punta
irrisoria in quel ‘assolutamente’.
“Shouyou-kun,”
gli dice Atsumu. “Da te non lo accetto.”
Shouyou ride.
“Non accetti cosa?”
“Il non
essere creduto. Sono stelle cadenti, te lo giuro. È palese,
luccicano. Vedi? Ti somigliano.”
Atsumu straparla,
soffia via parole sconnesse e impastate fra loro. Ma quello che sente
è così indecifrabile. Le parole non sono un mezzo
sufficiente per ordinare quel groviglio pulsante che sente dentro al
petto.
“Il
mare,” continua, provando a elencare concetti chiave.
“L’oceano. La luce. Tu. Capito?”
Shouyou lo fissa senza
rispondere. Ha gli occhi sgranati, un po’ sperduti. Non
sembra abbia capito.
Ma
deve capire, pensa
Atsumu. Deve. Mi
deve ascoltare.
Gli viene da piangere.
Perché parlare è così difficile?
Volta di nuovo la
testa e poggia la fronte sul finestrino ghiacciato.
“Non
è pioggia,” insiste sottovoce. “Sono
stelle cadenti. Sono stelle cadenti. Dovete credermi.”
“Hai
ragione,” dice Bokuto, seduto davanti a lui. “Sono
stelle cadenti.”
Atsumu annuisce al
finestrino, poi chiude gli occhi. Il groviglio di emozioni sbatacchia
impazzito nel petto come una pallina da flipper.
“Shouyou-kun,”
sussurra Atsumu, al vetro gelido. “Mi dispiace.”
“Di
cosa?”
“Di
tutto,” Atsumu continua. Di non
riuscire a dirti tutto questo. “Mi
dispiace.”
Svanisce la pioggia di
stagione, svanisce la pioggia di stelle colanti. Si materializza un
silenzio pesante, depresso. Atsumu si sente così triste,
all’improvviso, freddo e prosciugato come se qualcuno
l’avesse messo a essiccare sotto il sale. Vorrebbe scomparire
nel nulla, per sempre. Deve vomitare.
Qualcosa di tiepido
gli afferra le dita. Atsumu sussulta e spalanca gli occhi, ripiombando
nella realtà.
Impiega qualche
istante per decifrare la sensazione. È pelle. Pelle e
polpastrelli che si stringono attorno al suo pugno chiuso. Le dita di
Shouyou allargano quelle di Atsumu e ci si infilano in mezzo. Quindi
Shouyou stringe la presa.
Quindi, pensa Atsumu. Sono in
macchina. Completamente ubriaco. Fuori piovono meteore e Shouyou mi ha
appena preso la mano. Non me lo sto immaginando, giusto?
Atsumu vorrebbe
voltarsi e guardare le loro mani intrecciate, la faccia di Shouyou,
cercare qualcosa nei suoi occhi, la manifestazione concreta di quello
che prova, dare un senso a tutto quell’oceano, a tutta quella
luce dorata.
“Ferma la
macchina,” biascica invece a Inunaki. “Devo
vomitare.”
Inunaki accosta, e
Atsumu vomita sul marciapiede sotto la pioggia che lo inzuppa, mentre
Bokuto lo sorregge per un braccio. Non si trattava di stelle cadenti,
alla fine. Era davvero solo acqua. La disillusione lo fa sentire
patetico.
“Bokkun,”
geme, tra un conato e l’altro. “Sono innamorato di
Shouyou-kun.”
Bokuto gli offre una
pacca consolatoria sulla la spalla. “Lo so.”
Non ne parlano, il
giorno dopo.
*
Stranamente, Atsumu
è sobrio. Shouyou no.
Sakusa ha appena
sistemato le sue scarpe all’angolo dell’ingresso,
quando Shouyou guarda Atsumu ed esclama: “ho fame!”
Atsumu fissa Sakusa,
che inarca un sopracciglio.
“Perché
mi stai guardando?”
“Perché
Shouyou-kun ha fame,” risponde Atsumu, come se fosse ovvio.
“Cucina qualcosa.”
“Perché
cazzo dovrei farlo io? Pensaci tu. Io vado a dormire.”
Shouyou cinguetta un:
‘buonanotte, Omi-san!’ e Kiyoomi scompare nel
corridoio comune.
Poi torna a fissare
Atsumu famelico: “ho fame,” ripete. Sembra un
uccellino che spalanca il becco per reclamare cibo.
Atsumu solleva le
braccia in un gesto di resa. “D’accordo,
d’accordo. Preparo qualcosa,”
Non ci sono avanzi,
però c’è del ramen istantaneo. Atsumu
mette a bollire l’acqua. Shouyou mangia di rado cibo
preconfezionato, ma per quella notte dovrà accontentarsi
visto che non c’è altro.
Shouyou si siede sul
piano da cucina, vicino al lavandino, e comincia a dondolare i piedi
sospesi da terra.
Quando Shouyou
è particolarmente ubriaco, diventa silenzioso. Ma non crea
un silenzio pesante, o mesto, o stanco fra di loro, quanto piuttosto un
silenzio carico di aspettativa, un silenzio-presagio che lo spinge a
pensare: la mia
vita sta per cambiare. Niente sarà più come
prima. Il mondo diventerà un deserto o verrà
ingoiato dalla marea, ci sarà l’apocalisse, il
sole esploderà e noi con lui. Adesso, da un momento
all’altro. Rimarranno solo farfalle e cavallette e un tizio
con una chitarra che suona Wonderwall sopra una collina.
Ma
c’è un silenzio quieto, e forse il mondo sta solo
dormendo. Forse non finirà, o perlomeno non quella notte.
Forse la catastrofe avverrà dentro, in quella cucina.
Shouyou continua a dondolare le gambe. Con la punta del piede gli
sfiora il polpaccio. Atsumu non dice niente.
L’acqua
bolle. Atsumu la versa dentro la confezione di ramen istantaneo.
“Tre
minuti,” dice.
Shouyou annuisce,
salta giù dal piano della cucina e si porta alle sue spalle.
Poi lo abbraccia da dietro.
Atsumu trattiene il
fiato.
Shouyou gli stringe le
braccia intorno alle costole. Atsumu sente il cuore che batte forte
contro il suo avambraccio. Shouyou gli strofina il viso fra le scapole.
“Shouyou-kun?”
“Il tuo
odore,” dice Shouyou. “È
buono.”
Atsumu aveva
sottovalutato quanto Shouyou fosse ubriaco.
Oh
cazzo, pensa.
E
adesso? Rimango fermo? Faccio qualcosa? E che cazzo dovrei fare?
Shouyou gli lascia un
bacio veloce sulla spalla. È così leggero che
Atsumu si domanda se non se la sia immaginata, la pressione fugace
delle labbra di Shouyou sulla stoffa della maglia.
“Atsumu-san,”
gli dice Shouyou, prima che Atsumu possa processare ciò che
è accaduto. “Posso farti una domanda?”
Atsumu annuisce, i
brividi sulle braccia, le labbra di Shouyou a un soffio dal suo collo.
“Ti vedi con
qualcuno?”
Atsumu scoppia a
ridere.
“No,”
risponde, più rilassato.
“Perché?”
“Così,”
risponde Shouyou. “Per curiosità.”
Poi lo lascia andare.
“I tre
minuti,” commenta poi, indicando il ramen. “Sono
passati.”
“Oh,”
dice Atsumu. “Giusto.”
Versa il ramen nelle
ciotole.
Non ne parlano, il
giorno dopo.
*
Atsumu è un
po’ brillo. Sorseggia il drink che gli ha appena preparato il
barista. Ogni tanto, qualcuno lo riconosce e nel fragore del locale gli
chiede urlando una foto insieme.
Atsumu dice di
sì ogni volta. Adora catalizzare l’attenzione.
Adora le lodi, la venerazione. Ma detesta l’invadenza.
Il tipo che si siede
accanto a lui e che attacca bottone appartiene palesemente alla
categoria delle persone invadenti. Il primo istinto di Atsumu, dopo che
l’ha ascoltato parlare per dodici secondi, è
quello di mollargli un pugno in faccia per spaccargli il naso.
Purtroppo, è un desiderio destinato a rimanere irrealizzato,
perché Atsumu ha un’immagine pubblica da
preservare.
Perciò
rimane immobile a sorseggiare il suo drink, rispondendo con una
freddezza glaciale alle viscide avance di quel tipo, snocciolando
mentalmente una minaccia di morte dopo l’altra.
Qualcosa gli tocca il
collo. Atsumu volta il viso e trova Shouyou, che si è
materializzato al suo fianco.
“Ciao,”
gli dice, con un sorriso.
Atsumu sorride di
rimando. Scompare il caos, il locale, la gente, l’invadenza.
C’è solo una bolla di sapone arancione e dorata.
“Ho voglia
di bere,” continua Shouyou, e ordina un drink al bancone.
Atsumu lo fissa.
Shouyou brilla sotto le luci della discoteca - Shouyou brilla sotto
qualunque luce e anche quando c’è solo il buio, in
verità.
Il tizio accanto a lui
richiama la sua attenzione toccandolo sul braccio. Atsumu lo fulmina
con lo sguardo e si scosta.
“Oh,
eddai,” ridacchia il tizio, provando a mettergli il braccio
dietro la schiena. “Lo so che-
Shouyou ringhia. E non
è un modo di dire: Shouyou si sporge da sopra il bancone e
scopre i denti, emettendo un suono gutturale e minaccioso.
Il tizio si blocca,
allibito. Persino Atsumu si volta a guardare Shouyou sorpreso.
Ma Shouyou non gli
presta attenzione. Fissa tempestoso il tizio finché quello,
evidentemente intimorito, non borbotta qualcosa fra i denti e si
allontana.
Shouyou torna a
respirare normalmente, e gli occhi tornano luccicanti.
Atsumu continua a
fissarlo scioccato.
“Cosa?”
domanda Shouyou, sulla difensiva.
“Hai appena
ringhiato,” risponde Atsumu, cominciando a ridere.
“Hai letteralmente ringhiato addosso a una persona.
Tipo… tipo un chihuahua arrabbiato.”
“Ci sono
decine di animali che ringhiano. Perché proprio un
chihuahua? Non potevo essere tipo… non lo so, un cane
lupo?” gli domanda Shouyou, intristito.
Atsumu ride
più forte. “Tu puoi essere tutto quello che vuoi.
E di certo non hai bisogno che te lo dica io.”
Shouyou si porta il
drink alle labbra, con un mezzo sorriso. Soffia bolle nel bicchiere,
prima di fare un sorso.
“Scusami.
Per essermi intromesso, intendo. Lo so che non avevi bisogno di aiuto,
è solo che… non lo so. È stato
istintivo.”
Atsumu sta sorridendo
così tanto che le guance cominciano a fargli male.
“Lo so, si è visto. Cioè, gli hai
letteralmente ringhiato contro.”
Shouyou avvampa.
Atsumu ride ancora, a voce più alta. Poi si avvicina al suo
orecchio, così tanto da sfiorarne il padiglione con le
labbra.
“Sei geloso,
Shouyou?”
Il suo sussurro
sovrasta il caos circostante. Shouyou sgrana gli occhi, confuso,
sperduto.
Una scarica di
adrenalina e delirio di onnipotenza gli infiamma le vene. Atsumu
è esaltato: è raro sorprendere Shouyou
così, in un momento di incertezza, come se la sua bussola si
fosse rotta all’improvviso. Ed è così
gratificante, sapere di essere lui l’artefice.
Poi Shouyou si volta a
guardarlo. Atsumu sente il suo respiro.
“Sì,”
risponde Shouyou. “Lo sono.”
Adesso è
Atsumu quello a scivolare, a perdere l’equilibrio. La
sicurezza gli svanisce dallo sguardo. E adesso? Dovrebbe baciarlo?
Lì, davanti a tutta quella gente? O dovrebbe chiedergli di
uscire fuori da quel locale, e baciarlo in una via nascosta, lontano
dalle luci dei lampioni? Ma poi, dovrebbe? O non dovrebbe? E se Shouyou
non volesse?
Perché non
possono semplicemente diventare invisibili, volare su un altro pianeta,
sulla luna, acciambellarsi in qualche cratere e rimanere lì,
sotto una pioggia di meteore - vere, questa volta?
È Inunaki a
far finire la magia. Li saluta ululando qualcosa, chiede un drink al
barista e si siede vicino a loro. Poi nota le loro facce imbarazzate.
“Che
è successo?” domanda preoccupato.
Atsumu farfuglia
qualcosa a proposito di un tizio molesto. Shouyou rimane in silenzio.
Non ne parlano, il
giorno dopo.
*
“Non
è mica la prima volta che ti innamori di
qualcuno,” gli dice suo fratello dall’altro lato
del bancone, facendo un sorso di birra dalla bottiglia per poi
passargliela.
Il ristorante
è chiuso. Ci sono solo loro, e quelle sono le sere che
Atsumu preferisce.
“Vero,”
risponde. “Ma questa volta è diverso.”
È diverso
perché adesso Atsumu è in grado di sentire
fisicamente l’intensità di quello che prova. Il
suo corpo è più pesante, come se degli elefanti
gli dormissero acciambellati fra le costole. È qualcosa di
tangibile. Reale. Di colorato come un campo infinito di girasoli. Di
rumoroso come lo sciabordio delle onde. Di salato. Di dolce.
È l’ineluttabile fine del mondo, che non
risparmierà nessuno, a eccezione delle farfalle, delle
cavallette, e di un tizio che suonerà la chitarrà
finché il sole non si raffredderà,
arriverà l’era glaciale, tutto tornerà
a essere polvere di stelle.
“Che
schifo,” commenta Osamu. “Solo guardarti mi fa
stare male.”
“Allora non
farlo,” ribatte Atsumu. “Preparami altro
tonno.”
Osamu scuote la testa,
ma gli prepara dell’altro cibo, e apre un’altra
bottiglia di birra. Atsumu si ingozza come se il sapore squisito di
quello che sta ingerendo potesse ripararlo. E sorprendentemente
funziona. Funziona sempre. È il superpotere di Osamu,
cucinare cibo così pieno di amore da essere in grado di
aggiustare le persone.
Atsumu ricarica le
energie, sotto la luce dorata e catartica del ristorante. Si
ripristina, come se suo fratello raccogliesse i frammenti della sua
ombra e glieli ricucisse addosso. Osamu ricalca con un pennarello i
suoi contorni sbiaditi, la sua sagoma nel mondo, e Atsumu torna a
essere un po’ più Atsumu, un po’
più concreto.
Osamu si avvicina, gli
poggia l’indice sulla fronte e preme forte. Atsumu si lascia
toccare.
“Perché
non glielo dici?”
“Ho
paura,” risponde Atsumu sinceramente.
“Di cosa? Te
lo giuro, non ti capisco, e sei mio fratello. Sono sicuro che per
Shouyou-kun sia lo stesso.”
“Che
significa?”
Osamu sospira.
“È solo che Shouyou brilla, quando ti guarda o ti
parla. Ti ammira così tanto. È proprio vero
quando dicono che l’amore è cieco.”
Atsumu sibila un
insulto mentre mastica. Osamu se lo scrolla di dosso.
“Fallo e
basta, ‘Tsumu. Qual è il peggio che potrebbe
accadere?”
Tutto, pensa. Tutto.
L’apocalisse a confronto sarebbe niente.
Osamu sospira.
“Avevi detto che saresti stato il più felice. Ma a
me sembra solo che tu mi stia lasciando vincere.”
Questo è un
colpo bassissimo.
“Ti
sbagli,” sibila Atsumu. “Sarò io il
più felice.”
Osamu sorride.
“Fammi vedere, allora.”
*
Sono ubriachi, ma
soltanto un po’.
È notte.
Una notte che Atsumu ha bisogno di credere magica, sebbene di magico
non abbia proprio nulla. Atsumu ha bisogno di credere che quella sia
una notte speciale, ha bisogno di credere che qualunque cosa accada
avrà la possibilità di esistere, di brillare come
un fuoco d’artificio, di avvenire. Ha bisogno di credere che
quella sia una di quelle notti in cui tutto è possibile - il
tempo può smettere di scorrere, le gocce di pioggia possono
trasformarsi in stelle cadenti, sulla luna ci sono alieni che giocano a
pallavolo, l’apocalisse è vicina, imminente.
Perciò esce
dalla sua stanza. Attraversa il corridoio buio a passo felpato come un
ladro, non vuole farsi sentire né da Sakusa, né
da Bokuto, e neanche da se stesso. Teme che qualcosa dentro di lui - la
parte codarda e intimorita - possa fermarlo, spingendolo a tornare
indietro.
Atsumu non vuole
tornare indietro. Atsumu avverte un tremito familiare nei palmi, come
quando desidera ardentemente qualcosa. Perciò deve
afferrarla. O quantomeno provarci. E quindi no, non può
tornare indietro.
La camera di Shouyou
è a pochi passi di distanza, quando la maniglia si abbassa
lentamente e Shouyou stesso esce dalla sua stanza con i capelli
scarmigliati e le maniche del pigiama sgualcite e troppo lunghe.
Si blocca non appena
lo vede. Atsumu si paralizza come una volpe illuminata dai fanali
abbacinanti di un’auto.
“Atsumu-san,”
dice Shouyou sottovoce, sorpreso. “Che stai
facendo?”
“Potrei
farti la stessa domanda,” replica Atsumu in un sussurro
frettoloso, sulla difensiva. Incrocia le braccia davanti al petto - il
suo corpo tenta di mediare per lui, frapponendo una specie di barriera
fra di loro, una ringhiera a cui aggrapparsi, una scelta prudente e
fastidiosa.
Atsumu costringe le
braccia a sciogliersi e a ricadere lungo i fianchi. Adesso è
come se davanti ci fosse il vuoto, come se fosse affacciato da un
precipizio e sotto non ci fosse altro che il mare, l’oceano,
l’oceano immenso e mozzafiato, capace di ingoiare il suo
corpo, la sua ombra, il suo nome.
“Cercavo
te,” risponde Shouyou sinceramente, coraggioso -
più coraggioso di lui.
Lo raggiunge con due
piccoli passi, talmente silenziosi che Atsumu si chiede se Shouyou sia
reale, se sia davvero lì, davanti a lui. È
sconcertante come qualcuno così sovraccarico di energia e di
rumore possa diventare tanto silenzioso e invisibile - la luce negli
occhi però rimane, anche se è buio.
Si guardano.
Atsumu solleva una
mano e gli accarezza piano la guancia. C’è la
gentilezza della sabbia, nel suo tocco. Il velluto. E la
fragilità, tanta fragilità, fragilità
e incertezza, nella punta delle dita che tremano quando gli sposta una
ciocca dietro l’orecchio.
Shouyou rimane fermo.
Non distoglie lo sguardo mentre Atsumu lascia scivolare titubante le
dita lungo la sua mascella. Poi trattiene il fiato.
Si baciano in piedi,
contro il muro del corridoio, contro le porte di quella notte che alla
fine si rivela davvero magica, sebbene sia soltanto una notte come
tante altre - eppure il tempo si ferma, eppure sulla luna gli alieni
giocano a pallavolo, eppure il mondo sta finendo, anche se loro non se
ne accorgono.
Svaniscono. Non ci
sono per nessuno.
*
A Shouyou imparare
è sempre piaciuto. Imparare a schiacciare, imparare a
ricevere, imparare a giocare a un nuovo videogioco, a giocare a
pallavolo, a giocare a beachvolley. Imparare una nuova lingua, imparare
una nuova ricetta. Imparare Atsumu, nella sua interezza.
Non ne parlano:
né del primo bacio, né di quelli che arrivano
dopo, ma smettono di aspettare che arrivi la notte o che abbiano bevuto
dell’alcool. Scivolano l’uno verso
l’altro con la stessa naturalezza delle margherite che
sbocciano al sole, imbevute di luce.
Shouyou sta imparando:
impara il corpo di Atsumu quando lo tocca, tracciando con le dita i
rilievi e le fossette delle sue ossa - le clavicole, i fianchi, la
forma della schiena, delle spalle, delle mani, una sinfonia di curve,
discese e salite, uno spartito musicale da studiare, una melodia che
tutto il mondo canta, e canta, e canta, continuamente, raggiante di
gioia.
Shouyou sta imparando:
Atsumu, le sue abitudini, i suoi incubi, quello che gli piace, quello
che non gli piace, quello di cui ha paura. Scopre nuovi dettagli giorno
dopo giorno, mattoncini di un castello incantato,
particolarità come nei incuneati nei fianchi - Shouyou segna
tutto mentalmente, custodisce ogni voglia della pelle, ogni segreto,
come un tesoro prezioso. Quanto è potente e fragile e
meravigliosa l’intimità.
È mattina.
Un raggio di sole filtra dalla serranda e traccia una linea geometrica
lungo la gola di Atsumu.
Atsumu dorme, e gli
dà la schiena. Shouyou ha la fronte incastonata fra le sue
scapole, e sorride mentre gli sfiora la colonna vertebrale. Conta le
vertebre - resta,
resta, resta,
pensa. Gli dà un bacio soffice dietro al collo - per
favore, resta.
È
disarmante, l’intensità di quello che prova. Gli
viene da piangere. È bellissimo e terrificante.
Atsumu mugula
qualcosa, poi si volta verso di lui. Sbadiglia, apre gli occhi, lo
fissa, poi spalanca le braccia e lo stringe a sé - delle
volte, Shouyou pensa che sia troppo bello per essere vero, eppure
è vero, è reale, sta accadendo.
Shouyou inspira forte,
fortissimo il suo odore. Riesce ad ascoltare il battito del suo cuore.
L’apocalisse è nascosta lì.
Bomba di luce. Dentro
di lui, tutto crolla come un castello di carte.
Meravigliosa,
dolcissima catastrofe.
Note
d'autore
CIAOOOO!!! Grazie per
aver letto, scusate se è tipo UGUALE all'ultima cosa che ho
pubblicato ma giuro che sotto sto lavorando ad altro e mi serviva un
momento per staccare. GRAZIE PER ESSERE ARRIVATI SIN QUI,
olè. Spero che prima o poi usciranno dalla mia testa
perché mi manca scrivere di altre coppie T_T
GRAZIEEEE
See ya! ♥
AH NO fermatevi, mi
sono dimenticata, titolo proprio copiatissimo da 'cara catastrofe'
(Luci della centrale elettrica) e scena della cucina rubata proprio
dalla fanart di Mii! <3<3<3 Ho finito ora A PRESTO
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