Blind, not idiot di Kim WinterNight (/viewuser.php?uid=96904)
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Blind, not idiot
Avevano prenotato il viaggio in aereo per andare a trovare
Ben e Beth durante l’estate ed entrambi non vedevano l’ora di trascorrere un
po’ di tempo con i loro amici.
Martin avrebbe preferito di gran lunga delle vacanze al
mare, ma non poteva lamentarsi; in fondo poteva raggiungere la spiaggia quando
voleva, approfittando anche delle pause dal lavoro per correre a fare un tuffo
in un luogo che non lo facesse puzzare di cloro.
Oltretutto non disdegnava mai la compagnia del suo migliore
amico, per via della distanza avevano così poche occasioni per stare insieme.
Al momento della prenotazione dei biglietti, Joe si era
assicurato che Martin segnalasse la sua disabilità visiva e richiedesse
l’assistenza necessaria, almeno avrebbero potuto viaggiare in tutta serenità ed
evitare problemi di accessibilità.
Il moro si era dovuto destreggiare tra una lista infinita di
codici e diciture, non sapendo quale fosse la più adatta da selezionare, così
alla fine si era ritrovato a pensare che molte delle opzioni si equivalessero e
ne aveva scelto una a caso.
Sarebbe andata bene qualunque cosa, Martin voleva soltanto
rilassarsi con le persone che più amava al mondo e tutto il resto rappresentava
soltanto un contorno.
O almeno così credeva, perché non aveva la minima idea di
cosa lo attendesse.
Il giorno della partenza era giunto e i due arrivarono in
aeroporto con largo anticipo; Martin ringraziò suo padre per averli
accompagnati in auto fin lì, gli regalò un breve abbraccio e recuperò i bagagli
mentre anche Joe lo salutava.
Destreggiandosi tra valigie e ostacoli, finalmente
raggiunsero l’area dedicata all’accoglienza per i disabili.
Martin guidò Joe fino al bancone dell’accettazione, notando
però che era vuoto.
Si guardò attorno, ma nei paraggi non c’era nessuno.
«Dobbiamo chiedere a qualcuno?» domandò Joe.
«In teoria sì, ma qui non c’è anima viva» replicò Martin
mentre continuava a scandagliare l’ambiente circostante – alcune sedie a rotelle
erano raggruppate in un angolo, diverse poltroncine imbottite erano allineate
lungo le pareti, un televisore a schermo piatto appeso al muro trasmetteva un
programma di cucina.
«Come sarebbe a dire? E lasciano la sala incustodita?»
«Non so che dirti, aspettiamo un attimo.»
Joe sbuffò. «Razza di incompetenti!»
«Non cominciare» lo ammonì Martin. «Andiamo a sederci,
rimanere qui impalati non cambierà le cose.»
Afferrò nuovamente i trolley, uno in ogni mano, e percorse i
pochi metri che lo separavano dalle poltroncine più vicine. «Vieni» disse,
cercando di attirare l’attenzione di Joe.
Il riccio sondò il pavimento con il bastone fino a
raggiungerlo e trovare un posto in cui accomodarsi.
Martin lo imitò e rimase in attesa, spostando lo sguardo
dallo schermo del televisore alla porta d’ingresso della sala.
Joe non faceva che agitarsi sulla sedia, muovendo
ritmicamente la gamba destra accavallata sulla sinistra, il bastone ancora
aperto e stretto tra le dita con la punta ben piantata sul pavimento. «Ma guarda
te questi idioti!» bofonchiava ogni tanto.
Trascorsero altri dieci minuti prima che un uomo facesse il
proprio ingresso nella sala; indossava una divisa nera su cui svettava un gilet
catarifrangente giallo, e parve non accorgersi della loro presenza intento
com’era ad armeggiare con una ricetrasmittente.
Comunicazioni gracchianti e quasi incomprensibili
provenivano dall’apparecchio, facendo stridere le orecchie di Martin e
accrescere la sua impazienza.
Si mise in piedi e si avvicinò al bancone dietro cui l’uomo
si era appena seduto, e non appena gli fu di fronte l’altro sobbalzò.
«Ah! Salve, aspettate da molto?» domandò con nonchalance.
Martin si strinse nelle spalle. «Non tantissimo.»
«Su che volo dovete imbarcarvi?» L’uomo sembrava poco
interessato alla conversazione, continuava a tenere d’occhio la
ricetrasmittente e non incrociava quasi mai il suo sguardo.
Martin avvertì una punta di irritazione farsi largo in lui,
tuttavia la ignorò e replicò: «Quello per Great Falls delle diciassette e
ventitré».
L’uomo armeggiò per alcuni secondi con il computer che
troneggiava su un lato della scrivania, digitò rapidamente sulla tastiera e
infine chiese: «Joseph Guy Sandys e Martin Harris?»
«Io sono Harris, lui è Sandys» spiegò Martin, accennando a
Joe che intanto si era alzato dalla poltroncina e ascoltava la conversazione.
Proprio in quel momento un secondo uomo fece il suo
ingresso, seguito da una donna bionda di mezza età. Entrambi indossavano divise
identiche a quella dell’addetto dietro il bancone.
«I miei colleghi vi accompagneranno fino all’aereo» tagliò
corto il tizio con cui stava parlando fino a quel momento, per poi rivolgersi
ai nuovi arrivati e limitarsi a dire: «Great Falls».
Martin lo fissò stranito, poi scrollò le spalle e tornò da
Joe.
La donna fu la prima ad accostarsi al suo ragazzo, appoggiandogli
una mano sul braccio. «Ciao! Come ti chiami?» esordì.
Martin sentì immediatamente un campanello d’allarme trillare
nell’aria, abbinato a quel tono mellifluo che sapeva infastidire profondamente
Joe.
«Joe. E lei?» replicò con un sibilo.
Martin sapeva di doverlo tenere d’occhio, conosceva fin
troppo il temperamento del suo compagno e temeva che potesse rispondere per le
rime in qualsiasi momento. Apprezzava la sua schiettezza, però c’erano delle
occasioni in cui era decisamente fuori luogo.
«Dana. Vieni, tesoro, ti facciamo sedere qui e ti portiamo
fino all’aereo!» proseguì la bionda. «Il bastone lo dai a me?»
Martin sgranò gli occhi e recuperò uno dei trolley, notando
che il secondo era già in pugno all’altro assistente – era un uomo sui
quarant’anni con i baffi e la pelata in bella mostra.
«Sedermi? Ma cosa sta dicendo?» La voce di Joe era venata di
confusione. «Il bastone mi serve per camminare!» puntualizzò.
Martin osservò dipingersi sul viso della donna
un’espressione pregna di condiscendenza e fu grato che il suo ragazzo non
potesse vederla. «Ma no, tesoro, ti portiamo noi con la sedia a rotelle!»
Lo vide pietrificarsi sul posto e comprese che stava per
succedere un disastro.
Lo avvertiva nell’aria e la cosa non gli piaceva per niente,
così come non gli piaceva il modo in cui quei tizi stavano trattando Joe. Era
cieco, non paraplegico, che senso aveva trasportarlo su un deambulatore del
genere?
«Mi scusi, possiamo andare a piedi, non è un problema» intervenne
Martin, appoggiando una mano sulla spalla di Joe e stringendola appena,
sperando di rassicurarlo almeno un po’.
«Ma voi avete prenotato l’assistenza con la sedia a rotelle»
fece notare l’uomo calvo.
«Sarà divertente, non preoccuparti» continuò Dana, cercando
di sfilare il bastone dalle dita di Joe.
Joe che sembrava totalmente spaesato e incapace di reagire.
«Allora? Andiamo?» li incitò l’uomo, spingendo una sedia a
rotelle accanto a loro.
A quel punto qualcosa scattò in Joe, Martin se ne accorse dal
modo fiero e determinato con cui strinse più forte il bastone e inclinò la
testa di lato. «Andiamo a piedi» sibilò.
«Perché non…»
«Mi scusi, Dana, le sembro paraplegico?» La voce di Joe si
era sollevata, così come le sopracciglia sottili della donna che ancora gli
stava di fronte. Il riccio si scrollò la sua mano di dosso e fece un passo
indietro – Martin aveva paura che la situazione stesse per degenerare, ma
sapeva di non poter fare granché per evitarlo.
«No, ma questo cosa…»
Joe incrociò le braccia al petto, rischiando di colpire la
donna con il bastone. «Si è risposta da sola. Posso camminare, per cui non mi
siederò su una carrozzina.»
«Guarda che non c’è niente di male!» intervenne l’uomo pelato
spazientito.
«Questo lo dice lei! Io non userò un deambulatore che non mi
serve, posso raggiungere l’aereo con le mie gambe. Mi funzionano perfettamente,
non vedo quale sia il problema.»
«Facciamo prima. Perché la sta facendo tanto lunga?» Era
stato ancora una volta l’uomo a parlare, evidentemente irritato per via di
quella che riteneva una perdita di tempo.
Joe era sempre più nervoso: la sua bocca si serrò in una
linea dura e sottile, i suoi lineamenti non riuscirono a mascherare le emozioni
che stava provando, le sue mani probabilmente stavano cominciando a sudare.
Martin si schiarì la gola. «Cerchiamo di calmarci» provò a
dire.
«Calmarci un cazzo! Io non ho bisogno di una sedia a rotelle
e non la userò! Ma questi qui si ascoltano quando parlano?!»
«La pianti di urlare!» sbottò la donna, indurendo a sua
volta il tono di voce.
«E voi piantatela di trattarmi come un idiota! Cosa
significa facciamo prima? Siete davvero convinti che impiegherò un’ora
per camminare da qui al fottuto aereo?»
Ormai Joe era incazzato nero, Martin non trovava altre
parole per definire quel suo atteggiamento – si era fatto paonazzo in viso e le
sue iridi senza vita schizzavano in tutte le direzioni ancora più del solito.
«Stiamo perdendo più tempo a discutere, ve ne rendete conto?»
fece notare Martin, lasciandosi sfuggire un pesante sospiro.
«È il suo amico che fa tante storie per niente» commentò
l’uomo pelato, stringendosi indignato nelle spalle.
«Senta un po’, lei!» Joe si voltò nella direzione da cui
sapeva provenire la voce dell’assistente e parve quasi piantargli addosso uno
sguardo pungente.
Martin notò dipingersi sul viso dell’uomo un’espressione
sorpresa, e dovette trattenere un sorriso perché conosceva perfettamente quella
sensazione di smarrimento, quella derivata dal modo in cui Joe sembrava
leggerti dentro senza realmente poterlo fare – l’aveva provata un’infinità
di volte.
«Ringrazi che non posso vederla, altrimenti le avrei già
spaccato la faccia!»
Il tizio sollevò le sopracciglia e commise un grave errore:
si lasciò sfuggire una risata beffarda, incrociando le braccia al petto con
fare di superiorità.
Martin vide Joe digrignare i denti e serrare il manico del
bastone tra le dita; fortunatamente comprese quali fossero le intenzioni del
suo ragazzo, così poté impedirgli di compiere un gesto sconsiderato.
Con uno scatto fulmineo, si frappose tra i due e bloccò il
polso del riccio, lanciando un’occhiata ostile all’addetto all’assistenza.
Dana, impalata al fianco del collega, assisteva alla scena
senza aprir bocca, mentre il silenzio che era calato attorno a loro veniva
interrotto soltanto dal gracchiare costante delle ricetrasmittenti.
«Bene, finiamola qua. Noi adesso prendiamo le nostre cose e
ce ne andiamo. Non ci serve aiuto, ci imbarcheremo come tutti gli altri
passeggeri» decise Martin risoluto, il tono apparentemente calmo ma pregno di
tutto il risentimento che albergava nel suo cuore.
Forse non era impulsivo e diretto come Joe, ma non poteva
sopportare certe mancanze di rispetto, soprattutto nei confronti delle persone
che amava. Tuttavia sapeva che non valeva la pena di litigare con quei tizi,
perciò era meglio levare le tende prima che fosse troppo tardi.
«Ecco, andiamocene, perché mi prudono le mani!» sbraitò Joe.
Era una furia, i suoi movimenti ne erano la prova, e Martin
temeva che non si sarebbe calmato tanto presto.
Gli addetti all’assistenza continuarono a borbottare tra
loro e non provarono in alcun modo a fermarli, lasciando che si arrangiassero
da soli come avevano richiesto.
«Tanto a loro non cambia un cazzo, anzi, si sono pure
risparmiati di fare avanti e indietro dalla sala all’aereo!» esclamò Joe
imbufalito.
Si era aggrappato al braccio di Martin, il quale lo guidava e
nel frattempo cercava di destreggiarsi per spingere i loro bagagli.
Si erano allontanati di parecchi metri dal luogo del
misfatto, quando Martin si arrestò e sospirò. «Fermiamoci un attimo.»
Joe si bloccò al suo fianco, ancora tremante di rabbia, mentre
dalle sue labbra continuavano a fuoriuscire imprecazioni, improperi e insulti a
non finire.
Il moro si piazzò di fronte a lui e gli posò le mani sulle
spalle. «Calmati, per favore. Hai ragione, ma smettila: che si fottano. Ce la
caveremo lo stesso!» tentò di rassicurarlo, massaggiandolo piano per aiutarlo a
rilassarsi un po’.
Joe inspirò ed espirò un paio di volte, poi si accostò a lui
e si lasciò abbracciare brevemente. «Che pezzi di merda» bofonchiò.
Martin lo baciò tra i capelli e vi lasciò scorrere le dita
in mezzo, per poi fare un passo indietro e porgergli uno dei trolley. «Adesso
andiamo a depositare i bagagli, poi saremo più tranquilli. Il loro aiuto non ci
serve.»
«Okay.»
Rimasero in silenzio, fatta eccezione per i momenti in cui
Martin gli dava indicazioni per seguirlo o evitare qualche ostacolo.
Il brutto incidente da poco accaduto pareva essere stato
momentaneamente accantonato, ma Martin sapeva che Joe stava continuando a
pensarci.
Il suo lungo e insolito tacere ne era la dimostrazione,
prima o poi la questione sarebbe saltata nuovamente fuori.
Evitarono il discorso finché non furono finalmente seduti ai
propri posti in aereo, dopo essere stati in fila per i controlli di sicurezza e
aver atteso l’apertura dell’imbarco.
«Sai cosa mi fa incazzare?» esordì Joe.
«Cosa?»
«Che io sono in grado di reagire a simili ingiustizie,
mentre molti altri disabili vengono trattati come idioti solo perché sono
disabili» spiegò.
«Lo so.»
«Mi dà troppo fastidio! Perché devi trasportarmi con una
sedia a rotelle se posso camminare? E se quelle carrozzine servissero per
aiutare qualcuno che ne ha davvero bisogno?» Il riccio si passò una mano tra le
ciocche chiare e sbuffò. «Coglioni!»
«Perché per loro i disabili sono tutti uguali» commentò
Martin.
«Che stronzata!»
Martin allungò la mano e strinse la sua, carezzandone piano
il dorso mentre si perdeva a guardarlo in viso. Un sorriso incurvò
spontaneamente le sue labbra e, anche se non lo disse apertamente, era fiero di
avere al suo fianco un uomo tanto forte e determinato.
Joe dava spesso di matto, strillava e perdeva la pazienza
alla velocità della luce, ma dietro le sue azioni c’era sempre una profonda
devozione per le cause in cui credeva e il totale rifiuto per le ingiustizie.
«Al ritorno non ci passiamo neanche dalla sala» decise Joe.
«Invece secondo me dovremmo andarci: non è detto che tutti
siano cretini come quelli che abbiamo trovato oggi.»
«Non ho voglia di avere un altro attacco di nervi.»
«Saremo preparati: diremo subito che non hai bisogno della
carrozzina e ci faremo ascoltare, parleremo con calma e vedrai che andrà tutto
bene» lo rassicurò Martin, stringendogli la mano.
Joe non sembrava tanto convinto, tuttavia annuì appena e
sospirò. «Me lo auguro.»
§ § §
Ciao a tutti, eccomi finalmente con una nuova (dis)avventura
sui miei Martin&Joe! *-*
Quando non scrivo di loro per un po’, mi mancano, ma questa
è stata l’occasione giusta per raccontarvi l’ennesimo episodio della loro vita
insieme!
So che probabilmente mi vorrete uccidere perché non ho detto
praticamente NIENTE sulla vacanza in Montana con Ben&Beth, ma questa
piccola shot volevo che si concentrasse unicamente su questo episodio nello
specifico!
Sappiamo tutti che Joe è totalmente avverso alle ingiustizie
e, complice anche la sua proverbiale testardaggine e il suo temperamento, non
ha saputo sottostare al trattamento che gli addetti all’assistenza volevano
riservargli!
In fondo, come dargli torto? I disabili non sono tutti
uguali, se lui può camminare, perché dovrebbe usare una sedia a rotelle?
Ringrazio Soul perché mi ha ispirato per scrivere questa
storia e chiunque si sia fermato a leggere/recensire!
Alla prossima ♥
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