Dire, fare, baciare, lettera, testamento

di Giorgi_b
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In un modo o nell'altro
ho sempre un po’ paura
di soffrire
di star bene
di rimanere fermo
di diventare acerbo
di non sapere cosa voglio
di cessare di volerlo.
Anche tu ad esempio
mi fai sempre un po' paura
e non trovo una risposta,
perché, in un modo o nell'altro,
ti inseguo anche quando scappo
dalla parte opposta.
 
Marco Gregó
 
 
Dire.
 
Schiacciato dalla folla che sciamava verso il ponte Umayabashi, Ranma Saotome, sguardo corrucciato, mani in tasca e passo nervoso, camminava lungo il fiume Sumida tra gli odori delle bancarelle gastronomiche e le urla dei commercianti di souvenir. 
Fingendo interesse per le promesse di vincita assicurata del proprietario di un banco di wanage, voltò di poco la testa, quel tanto che bastava per spiccare un’occhiata furtiva oltre la propria spalla, a un paio di metri di distanza, lì dove lei lo seguiva con piccoli passi, rallentata dai geta e dallo yukata, con le gote arrossate, gli occhi colmi di luci e di stelle, entusiasta per ogni cosa.
Qualcosa gli morse le viscere a tradimento. C’era una sorta di grazia in quel modo incespicante di incedere, una dolcezza gentile e imbranata che provocò una decisa impennata del suo battito cardiaco, cosa che lo indispettì, se possibile, più di quanto già non fosse. 
Forse percependo i suoi occhi indagatori su di sé, con un rapido movimento Akane lo colse in flagrante scrutandolo come solo lei riusciva a fare, puntando le iridi nocciola come fasci di luce calda direttamente sul suo cuore e Ranma, impotente, lo sentì scodinzolare come un docile animaletto addomesticato. 
Pensò con sgomento che lei conoscesse benissimo l’effetto che aveva su di lui, perché gli sembrò di notare un’infinitesimale punta di soddisfazione nel suo sguardo una frazione di secondo prima che si voltasse sprezzante dall’altra parte, portando via con sé tutta la luce del mondo.
Nel suo petto la creaturina, rimasta improvvisamente al buio, uggiolò con la coda tra le zampe, misera e infelice.
Ma scusa, ti sembra possibile? Vorrei ricordarti che sei il MIO cuore e che io sono ancora arrabbiato con lei!
Il cucciolo latrò come per redarguirlo del fatto che anche Akane, al netto di ogni evidenza, era ancora arrabbiata con loro e con un ringhio basso sembrò borbottare che era solo ed esclusivamente per colpa sua.
Schioccando la lingua irrequieto, Ranma tornò a guardare dritto davanti a sé e spinse più a fondo i pugni nelle tasche, fino a sentire le cuciture tendersi sotto le nocche delle mani. 
Avrebbe voluto fare una corsa fino al ponte per conquistare i posti migliori e godersi lo spettacolo pirotecnico che si sarebbe tenuto di lì a poco, invece no: aveva fatto forse venti passi in dieci minuti, in mezzo a una miriade di persone sudaticce che gli si strusciavano contro, obbligato all’andatura da lumaca di quella violenta e per niente carina della sua fidanzata che aveva insistito per indossare gli abiti tradizionali al festival dei fuochi d’artificio di Sumidagawa.
Per tutti i santissimi kami del cielo, quanto testarda e orgogliosa poteva essere una donna?! 
L’aveva detto o non l’aveva detto, lui, che goffa com’era sarebbe riuscita a malapena a muoversi conciata in quel modo? Sì, lo aveva detto chiaro e tondo! Ma quella cretina, anziché ringraziarlo del prezioso consiglio, non solo aveva cercato di colpirlo maldestramente con uno dei suoi geta, era pure caduta inciampando nell’orlo dello yukata, dimostrando che - guarda un po’!? - aveva proprio ragione lui. 
A quel punto gli era scappato da ridere e ammise, almeno a se stesso, che forse lì - giusto un pochino - aveva sbagliato lui, comunque meno e dopo di lei.
Ma poi, su, che sarà mai una risatina sciocca! Era per sdrammatizzare e alleggerire la situazione… lei, invece, senza un briciolo di ironia, come al solito se l’era presa!
Si era rialzata da terra con un cipiglio assassino, avvolta dalla sua caratteristica, temibile aura combattiva e, dopo averlo perforato con il suo sguardo laser, era uscita di casa in una nuvola nera e a lui (su “gentile invito” di quell’oni di Soun Tendo) non era rimasto altro da fare che seguirla a debita distanza di sicurezza.
Da quel momento non si erano detti una parola. Lungo il tragitto del treno da Nerima alla fermata di Asakusa, le aveva lanciato di tanto in tanto sguardi in tralice, si era avvicinato, schiarito la voce, stiracchiato allungando le braccia verso di lei, ma Akane aveva continuato ad ignorarlo e allora anche lui, sempre più arrabbiato e frustrato, era tornato a girarsi dall’altra parte. 
Insomma, cosa diamine voleva quel maschiaccio sgraziato? Quante occasioni le aveva dato in quel breve spostamento in treno per fare la pace? Avrebbe dovuto dirle esplicitamente: coraggio Akane, ora puoi scusarti, sono pronto a perdonarti?!
Scosse la testa senza speranza. Ranma si ritrovava spesso a fantasticare su quanto la sua vita sarebbe stata in discesa se cadendo nella Nyanichuan, oltre che all’aspetto femminile avesse acquisito anche la mentalità di una donna, rendendogli così più semplice la comprensione di quell’incredibile mistero che era per lui Akane Tendo. 
Se, per esempio, in quegli anni di fidanzamento (forzato) anziché picchiarlo o infuriarsi, lei gli avesse detto direttamente cosa fare o non fare, non sarebbe stato tutto più facile? Non avrebbero evitato milioni di discussioni ed equivoci? Come quella volta che erano andati a comprare reggiseni con sua madre. Cosa ci voleva a dire: “Ranma, vorrei che guardassi il mio seno”?!  
Non che lui avesse mai avuto interesse nelle sue… le sue… cose lì davanti! Ormai era abituato, gli bastava un po’ di acqua fredda per vederne e toccarne un paio davvero niente male… modestamente! Se lei in quella circostanza glielo avesse chiesto con cortesia, lui le avrebbe guardate con stoicismo e abnegazione, solo ed esclusivamente per renderla felice. E lo avrebbe fatto in maniera disinteressata e distaccata, perché lui - sentì il bisogno di ribadire ancora una volta a se stesso - non era assolutamente attratto dal suo piccolo… sodo, meravigl… ehm… - l’aveva già detto piccolo? - ehm… orribile seno piatto. 
Sbuffò prima di passarsi una mano sulla fronte a detergere il leggero velo di sudore che gli aveva coperto il volto con una vampata di calore improvviso; scese con le dita sugli occhi, strinse la radice del naso e stropicciò il resto del viso per cercare di scacciare il conturbante e indelebile ricordo del camerino troppo stretto per entrambi; degli occhi smarriti e liquidi che lo guardavano talmente vicini da sentire distintamente il calore dell’imbarazzo della loro proprietaria investirlo come un’onda, le due fettucce di lucido raso bianco del reggiseno che le scivolavano dalle spalle con un tempismo e una sensualità commoventi e, infine, il suo candido seno strizzato tra le braccia nel tentativo di coprirlo… si schiarì la voce, deglutì ed espirò forte dal naso.
Il bisogno improvviso e quasi doloroso di guardarla lo spinse a cercarla ancora voltando la testa, ma lei non c’era più. Il corpo di Ranma per poco non si spezzò per la velocità con cui si girò e, nella manciata di secondi che passarono prima che i suoi occhi in tempesta la individuassero tra la folla, si sentì perduto. 
Di nuovo, come a Jusenkyo.
Non avevano mai più parlato di cosa era successo in Cina, fatta eccezione, il giorno del matrimonio andato a monte, per la “velata allusione” a quello che lui aveva detto o meglio: a cosa lei credeva che lui avesse detto ma che in realtà non aveva detto, e che - in tutta sincerità - non avrebbe mai voluto averlo nemmeno pensato, perché dal momento in cui quella gigantesca verità si era fatta strada prepotente e rumorosa tra i suoi pensieri, nulla era più stato lo stesso. E lui detestava i cambiamenti.  
Ranma avrebbe voluto cancellare completamente quell’orribile esperienza e tornare alla loro vita di prima, agli spensierati battibecchi infantili (causati per lo più dalla gelosia di lui nei confronti di lei), ai pugni, i calci, le martellate e i voli sui tetti di Tokyo (causati per lo più dalla gelosia di lei nei confronti di lui), alle sfide quotidiane contro i loro assurdi pretendenti, alle piccole tenerezze e agli innocenti imbarazzi fatti di niente.
Quanti anni relativamente felici erano già passati in questa maniera? Uno? Due? Dieci?! Secondo il suo modo perverso di vedere le cose, avevano trovato un equilibrio perfetto in questa eterna adolescenza, dunque perché complicare tutto dicendo parole che avrebbero avuto il peso di bombe atomiche radendo al suolo la loro - la sua - tanto cara isola felice?
La bestiola nel suo petto con il muso fece rotolare la risposta proprio sotto ai suoi occhi, scodinzolando e uggiolando gli suggerì che ormai quella cosa era lì dentro di lui che cresceva di giorno in giorno e non poteva fare più nulla per ignorarla o per trattenerla: prima o poi, che lo volesse o no, sarebbe venuta fuori. 
Quindi, dopo qualche istante di panico e il corpo ridotto a un pezzo di ghiaccio nonostante la serata bollente di luglio, finalmente, la vide: piccola e luminosa tra la folla insulsa e anonima, ferma in fila davanti a un carretto che vendeva watagashi.
Il suo cuore abbaiò felice, fece una capriola mostrando il ventre e Ranma tornò a respirare. 
Mentre la guardava sorridere cortese all’uomo che le porgeva lo zucchero filato, deglutendo ricacciò nelle profondità della sua anima la paura irrazionale di averla persa per sempre che ormai lo accompagnava ovunque. La ripose vicino alla fobia per i gatti, all’angoscia di non essere ricambiato, al terrore di non essere abbastanza per lei e all’orrore che se ne andasse con un altro. Senza volerlo ripensò a Ryugenzawa, la sua guancia di riflesso bruciò e il suo cuore scoprì i denti, ringhiando feroce. 
Osservandole tutte insieme, rifletté torvo sul fatto che Akane fosse senza ombra di dubbio la regina incontrastata delle sue paure. 
Per quanto Ranma fuggisse disperatamente dalla parte opposta se la ritrovava sempre davanti, continuando inconsapevole a inseguirla cercandola, desiderandola, trattenendola senza sapere cosa dirle, cosa pensare, cosa sentire… tirandolo per una manica il suo cuore gli ricordò che in realtà, ormai, conosceva bene ciò che provava e che forse - aggiunse dandogli la zampa con occhi umidi e incoraggianti - era proprio da lì che doveva partire: confessandole i suoi veri sentimenti. 
Ma Ranma sapeva bene che le parole gli erano nemiche: ogni volta che aveva tentato di aprirle il suo cuore, le frasi che si erano formate in maniera perfetta nella testa, nel tragitto fino alla bocca si scomponevano, si scollavano, diventavano altro e finivano sempre per trasformarsi in qualcosa di sbagliato o fraintendibile.
La guardò avanzare felice con una gonfia nuvola di zucchero in mano e, prima che se ne rendesse conto, le andò incontro camminando con una certa urgenza nella folla controcorrente.
Quando si bloccò davanti a quegli occhi grandi e densi di miele si trovò costretto a fare da arbitro tra la squadra composta da gambe e braccia, capitanata dall’istinto cieco di girare i tacchi e fuggire il più lontano possibile e quella della lucida consapevolezza che fosse giunto il momento giusto per dire, formata da anima e cuore.
Nel bel mezzo di quell’ardua impresa, mentre Ranma cercava di non inciampare nei suoi occhi incantati, di rimanere saldo sulle proprie gambe, di mettere le parole in fila ordinata e tenere il cuore a bada, Akane decise di aumentare il livello di difficoltà, abbassando lo sguardo titubante e intrecciando le proprie dita sottili con le sue.
Solo i kami sapevano come fosse riuscito fin lì a tenere tutti i pezzi insieme; poi lei, infida e per niente carina, gli diede il colpo di grazia: puntò gli occhi nei suoi, batté le lunghe ciglia arrossendo, sorrise con tutta la dolcezza del mondo e lui non capì più nulla.
Il cuore di Ranma, approfittando di quella distrazione, si liberò dal corto guinzaglio col quale era stato trattenuto per anni; impazzito di felicità prese a correre uggiolando dalle viscere fino alle labbra del proprio padrone e, nell’esatto momento in cui quelle scelsero in quale squadra giocare, nella porzione di oscurità sulla loro testa, con un boato, esplose un’enorme raggiera dorata seguita da una blu, una verde e una rossa.
Presto la notte si illuminò a giorno, tutto si incendiò di colori, fragore e odore di polvere da sparo.
Akane alzò la testa verso il cielo e Ranma, ammutolito, rimase a guardare imbambolato lo spettacolo dei riflessi vermigli sui suoi denti bianchi, dei gialli sulla pelle diafana, dei verdi sui capelli lucidi, dei blu negli occhi colmi di fanciullesco stupore. 
La bocca iniziò a muoversi da sola nel frastuono delle esplosioni e Ranma, un filo di voce, parlò. 
Con uno sguardo interrogativo Akane scosse la testa indicandosi un orecchio e si avvicinò leggermente a lui. 
Non sapeva dire se fosse il suo cuore o la risonanza dei boati dei fuochi d’artificio a farlo tremare così tanto: trovò il coraggio aggrappandosi alla mano di Akane, inspirò profondamente e, con voce quanto più ferma possibile, ripeté quelle quattro semplici parole mentre la notte esplodeva intorno a loro.
Lei lo ascoltò guardandolo attenta, poi piegò la testa di lato, sorrise, annuì e Ranma e il suo cuore finalmente si sentirono leggeri, felici. Liberi.
Senza staccare gli occhi dai suoi, Akane si alzò sulle punte e si avvicinò al suo volto facendogli annodare le viscere e trattenere il respiro, ma a pochi centimetri dal coronamento di un sogno virò verso il suo orecchio destro, urlando: «Sì, hai ragione, sono proprio bellissimi, anche io li amo!» poi si raddrizzò e tornò a guardare il cielo. 
Un ululato triste e solitario riecheggiò dentro di lui e come se un carico di due tonnellate di mattoni gli fosse precipitato addosso, Ranma cadde in ginocchio, scuotendo la testa, incredulo.
Non hai capito niente, baka, pensò, sei tu che sei bellissima ed è te che… 
Lei si piegò su di lui e accarezzandogli la schiena con uno sguardo preoccupato chiese: «Ranma! Stai bene?»          
Alzò gli occhi e la vide stagliarsi contro la notte, una silhouette scura lambita da esplosioni incendiarie e filamenti di luce colorata che gli ricordavano la corolla di un fiore o le morbide e sinuose forme di una galassia sconosciuta di cui lei era il centro. 
Raccolse le forze e si alzò in piedi accettando docile l’invito della mano di Akane che, ignara del suo dramma interiore, gli sorrise offrendogli il suo watagashi
Sospirando sconsolato, Ranma affondò i denti in quella nuvola dolce e mentre sentiva l’amaro della delusione nella sua bocca mischiarsi con lo zucchero che sapeva anche un po’ di lei, pensò che quello fosse il sapore di tutte le occasioni mancate, di tutte le speranze disattese, di tutti i baci mai dati e di tutte le parole non dette e sorridendo disse, tra sé e sé: Akane Tendo, giuro su tutti i kami che prima o poi riuscirò a dirtelo!
 
 
Glossario:
 
 
Festival di Sumidagawa è uno dei festival pirotecnici più famosi e antichi del Giappone.
Si tiene sul fiume Sumida a Tokyo a fine luglio. La vista migliore è tra il ponte Umayabashi e il ponte Sakurabashi. Vestirsi con gli abiti tradizionali è un must di questo festival.
Wanage è il “lancio dell’anello” uno dei giochi che si trovano tipicamente nei festival cittadini. Tutto ciò che si deve fare è lanciare un anello e centrare il premio desiderato. Se non si riesce a vincere nulla solitamente viene donato l’anello stesso.
Geta sandali tradizionali giapponesi con una suola in legno rialzata su due tasselli o su un’unica zeppa alta a forma di mandolino.
Yukata kimono estivo di cotone colorato.
Oni creatura della mitologia giapponese tra un orco e un demone.
Watagashi zucchero filato giapponese.
 
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Carissimi lettori! Grazie per essere arrivati fin qui! Questa raccolta di os nasce da un’intuizione avuta guardando Squid Game: come dimenticare DireFareBaciareLetteraTestamento, splendido e infido gioco italico basato sulle penitenze e sull’esposizione al pubblico ludibrio…XD?! sono certa che chiunque di voi ci avrà giocato almeno una volta nella vita… e se non lo avete mai fatto, in chiusura una piccola spiegazione.
Un dovuto e sincero GRAZIE alla mia adorata beta e sensei Tiger Eyes che, oltre a correggere i miei strafalcioni, si sorbisce spesso e volentieri pipponi mentali di un certo livello… povera te! XD
 
Un GRAZIE di cuore a voi lettori, che siete sempre così generosi e affettuosi, fatemi sapere anche stavolta cosa ne pensate…! <3
 
Un abbraccio a tutti e a prestissimo con “Fare”!

G.

P.S. Sicuramente lo avrete riconosciuto, ma in questa os ho accennato al capitolo 360 del manga: "La guerra dei seni", volume 47 ed Neverland.
 
 
IL GIOCO:
Non c’è un limite di giocatori, ognuno deve scegliere a ogni turno una delle cinque penitenze e scontarle.
DIRE: il penitente deve confessare un segreto.
FARE: bisogna fare qualcosa che normalmente il giocatore non avrebbe mai fatto.
BACIARE: il penitente dovrà baciare qualcuno indicato dai compagni (le amiche ti costringevano sempre a baciare quello che ti piaceva!). 
LETTERA: qualcuno del gruppo scrive con il dito sulla schiena del giocatore una parola, se il poveretto non riuscirà a decifrarla sarà “affrancato” e “spedito” con un calcio nel sedere! 
TESTAMENTO: un compagno chiede alle spalle del penitente, senza che lui possa vedere il gesto mimato: “Quanti ne vuoi di questi?” La risposta, da uno a dieci, indica per quante volte il giocatore subirà il gesto o l’azione in questione, che - attenzione, qui è il bello - non sono necessariamente negativi, possono nascondersi anche baci, abbracci, carezze o favori dietro alla domanda del compagno. Per il penitente dunque è un’autentica scommessa!
 
 
 
 
 




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