Dopo
mesi di silenzio ritorno con questa oneshot esageratamente lunga e
che può essere considerata il seguito di “the
hanging tree”. Non
c'è propriamente bisogno di leggere quella piccola raccolta
per
avere un quadro della situazione in questa oneshot, in quanto ho
cercato di fare un piccolo riassunto delle puntate precedenti.
A
questo giro non ho assunto nessun beta reader quindi portate
pazienza. Per il resto spero possiate fare comunque buona lettura!
Karl
Heisenberg ricordava perfettamente il giorno che si era lasciato alle
spalle il villaggio che lo aveva ospitato fin dall'infanzia.
Il
giorno in cui aveva lasciato la Romania alle proprie spalle dopo
più
di mezzo secolo speso agli ordini di Madre Miranda nell'illusione di
vivere libero, viziato con un titolo nobiliare e una importanza
sociale basata sulla menzogna. A modo suo era riuscito a spezzare le
catene che lo avevano tenuto legato a quel villaggio maledetto
sperduto tra i Carpazi e ai suoi schifosi abitanti piegati alla
volontà di una strega maledetta senza dignità
alcuna dopo decadi di
paziente attesa, trovando la tanto agognata libertà pur non
riuscendo comunque a passare da una vendetta tanto desiderata. Un
piatto freddo che avrebbe volentieri raggiunto senza vergogna alcuna
nell'aver sfruttato la vita degli altri nel corso della sua lunga
esistenza, ma la storia aveva voluto percorrere una strada diversa
per lui.
Senza
neppure rendersene conto aveva ingannato la morte stessa sfuggendo
persino ai soldati della BSAA, gente che non si era fatta scrupolo di
distruggere la sua vecchia e cara fabbrica portando
all'annichilamento di anni di duro lavoro, la sua intera armata di
golem di carne e metallo andata irrimediabilmente perduta –
il suo
esercito per sconfiggere la sua signora e annientare chiunque avesse
provato a contrastarlo, avanzando ormai da mesi verso est
inoltrandosi sempre più nell'entroterra russo per sfuggire a
possibili voci che lo volevano ancora vivo e vegeto.
Per
un lungo periodo di tempo era rimasto addirittura senza poteri,
sacrificati per permettere al suo cadou parassita – un
vecchio
“regalo” di quella strega di Miranda – di
rigenerare la sua
salute prima ancora delle prodezze elettromagnetiche che era capace
di scatenare.
Al
galoppo di un vecchio stallone grigio – tutto ciò
che rimaneva del
suo passato in Romania, aveva viaggiato in lungo e in largo tornando
a padroneggiare nuovamente quel dono che a lungo aveva disprezzato,
non odiando tanto il fatto di riuscire a manipolare i metalli quanto
quello che aveva passato per ottenere quella prodezza innaturale,
interfacciandosi con un mondo civile nelle vesti di uomo comune
piuttosto che di dio sceso in terra.
Una
esperienza che tutto sommato lo aveva incuriosito, trovando quella
nuova vita decisamente meno traumatica di quel che sarebbe stato in
realtà. Forse aiutato anche dai molteplici casi
umani che
aveva incontrato lungo il proprio tragitto – a quanto pare il
disagio e la miseria scorreva potente anche al di fuori del villaggio
in cui era stato costretto a crescere, ma nulla di così
impossibile
da gestire.
Quel
giorno tuttavia, Heisenberg si sentiva particolarmente a disagio nel
continuare il proprio viaggio attraverso terre a lui ignote. Suddetto
disagio non nasceva dal fatto che non conoscesse il luogo in cui si
trovava o che non presentasse chissà quale panorama
attraente –
non con tutti quei rottami sovietici parcheggiati sul ciglio di
quella vecchia strada asfaltata che stava attraversando, ma c'era
qualcosa nell'etere che decisamente non gli piaceva. Una sensazione
inquietante, che pizzicava l'aria come elettricità statica
accompagnata da un ben più inquietante fetore che soffiava
da nord
est.
In
cerca di un posto che potesse finalmente chiamare
“casa” aveva
continuato il proprio viaggio erratico seguendo vecchie mappe
stradali e facendosi consigliare dai pochi viaggiatori che
incrociavano il suo cammino. Da qualche parte verso est esisteva un
tugurio di criminalità chiamato “Katjuša”,
una ex cittadina sovietica usata per lo più da feccia e
contrabbandieri e stranamente tollerata da un governo forse troppo
lontano per controllarla. Un posto che aveva suscitato la sua
curiosità già alle prime chiacchiere con i
passanti ubriachi che
incontrava, decretando che poteva rivelarsi un posto più che
perfetto dove mettere nuovamente radici.
Una
cittadina lontana dal mondo conosciuto e abbastanza malfamata da
potersi nascondere come se nulla fosse, la sua attuale idea era
quella di dilettarsi in qualcos'altro di più solido
nonché più
vicino al mestiere di ingegnere che si era ricamato addosso in circa
mezzo secolo di vita speso in Romania. Dopo tutti quei mesi passati a
vagabondare per foreste e campagne stava cominciando a stancarsi,
complici forse anche il rischio di piaghe da decubito alle chiappe
doloranti su una sella troppo dura e la compagnia di un destriero
tutt'altro che stupido, pertanto non c'era da biasimarlo per quel
repentino cambio di idea.
Non
era semplicemente l'effetto nostalgico del voler riavere indietro una
casa in cui era cresciuto controvoglia, non dopo che era finalmente
riuscito a recidere quelle radici – o catene – a
cui era rimasto
legato per decadi tanto da non essere capace di cancellare quel
contatto in così poco tempo... no. La sua idea era sempre
stata
quella di ripartire da zero.
Era
nato nell'esatto momento in cui aveva abbandonato
quella valle
sperduta tra i Carpazi, ed ora era arrivato per lui il momento di
piantare radici sue in un posto in cui nessuno, alla fin fine,
avrebbe avuto da ridire sul suo stile di vita discutibile.
Ma
quel dannato fetore continuava a pungergli le narici e cominciava
anche ad infastidire il suo cavallo con una certa preoccupazione,
sentendolo chiaramente sbuffare dal nervoso e a non aver proprio
voglia di continuare quell'avanzata. Poco importava se il suo padrone
continuava a colpirgli i fianchi con una certa urgenza, la creatura
conteneva a malapena l'impulso di indietreggiare su quella vecchia
strada malridotta.
“La
puzza di merda... viene da lì?!”
La
domanda gli uscì fuori all'improvviso, senza che fosse
indirizzata a
qualcuno in particolare, nel momento esatto in cui si accorse di una
struttura militare ancorata all'inizio della catena montana a nord
est. Il grigiore delle sue decadenti mura si mimetizzava
perfettamente con le rocce prive di vita esattamente come lo erano i
campi incolti su cui poggiavano tutti quei rottami militari che lo
stavano come osservando nella loro marcescente decadenza, mandandogli
costanti segnali di allarme al cervello notando come una delle due
torri circolari della base militare – l'unica a non essere
crollata
sotto il peso dell'abbandono – mostrava evidenti segni che
qualcuno, o qualcosa, aveva deciso di lasciare
lì il proprio
segno con strane strutture ancora indistinguibili da dove si trovava
lui.
Poi
un grido, più umano che animale, si schiantò
nell'etere con un
colpo così improvviso da far sussultare Heisenberg stesso e
portando
alla pazzia il suo stallone. Portando il destriero a impennarsi sugli
zoccoli posteriori in un nitrito di puro terrore ancestrale.
“Ehi!
Calmati!! Ho detto... Argh...!”
Un
urlo di risentimento fuoriuscì dalle labbra sfregiate di
Heisenberg
nel momento in cui venne disarcionato da un cavallo che non perse
tempo a darsela a gambe dopo aver sentito quel suono agghiacciante e
disumano. Rotolando nella terra polverosa e smarrendo così
tanto gli
occhiali quanto l'amato cappello. Sentendo un dolore allucinante alla
spina dorsale oscurato ben presto dall'odio viscerale per una bestia
che aveva osato farlo cadere a terra. Se non era la
volta
buona che lo macellava sul posto avrebbe solo mentito a se stesso.
Tuttavia
fece in tempo solo a rimettersi in piedi goffamente, senza neppure
riuscire a imprecare come avrebbe voluto al proprio ronzino
psicopatico, che un autentico muro d'aria non lo portò
nuovamente a
vacillare facendolo cadere sulle ginocchia e venendo momentaneamente
oscurato da qualcosa di incredibilmente grosso. E avente addirittura
due ali dal diametro di un aliante di discrete dimensioni, attaccate
a un addome spelacchiato e pieno di tumori, nel mentre che gli
passava sopra la testa ignorandolo completamente per concentrarsi su
qualcosa di ben più visibile e in fuga. Il suo stupido
cavallo.
“Oh
cazzo!”
Qualunque
cosa fosse, fu quella specie di arpia a generare
quell'urlo
disumano, riuscendo a catturare lo stallone in fuga con due zampe
artigliate non dissimili a quelle di una grossa aquila.
L'animale
catturato nitrì in modo acuto, tra il dolore e il terrore,
portando
lo stesso Heisenberg ad urlare dallo stupore nel vedere quel mostro
di piume cenciose e carne tumefatta catturare il suo destriero per la
schiena, scalciando inutilmente in aria come se questo potesse
essergli d'aiuto nel fuggire via da una presa mortalmente ferrea.
Nonostante
la confusione di quegli attimi concitati poteva ancora salvare quello
stupido ronzino – ne aveva bisogno se voleva continuare il
proprio
viaggio! – trovandosi a digrignare i denti e guardandosi
velocemente in giro su cosa poteva a fare al caso suo in quella
situazione così incasinata. Più lasciava che il
mostro prendesse
quota e più c'era il rischio che la sua bestia finisse con
lo
spezzarsi tutte le gambe a terra.
Imprecando
a più non posso fece quindi per estendere un braccio verso
una
camionetta arrugginita proprio a pochi metri da dove il mostro
volante stava per passare, facendo danzare le prime schegge di
metallo sotto i suoi poteri elettromagnetici. Il suo raggio d'azione
non era infinito, entro un tot di metri difatti non gli era possibile
muovere il metallo, dunque doveva sbrigarsi ad alzare quel dannato
rottame per colpire un bersaglio insolitamente pigro nello sbattere
le grandi ali spennacchiate.
Il
suo precoce gesto di soccorso venne interrotto da un altro grido
disumano alle sue spalle, un altro abominio in cerca di prede facili,
e da una ferrea presa alle sue caviglie che lo trascinò
faccia a
terra. Venendo di conseguenza trascinato ulteriormente, tra bestemmie
e imprecazioni varie, nel canale di scolo che costeggiava la strada
fino a quel momento percorsa. Si accorse solo nel momento esatto in
cui cadde nel fango limaccioso che, chi lo aveva appena rapito, gli
aveva salvato la vita da un'altra di quelle arpie maleodoranti.
La
creatura ignobile gridò frustrata, riprendendo quota e
volando verso
il proprio nido arroccato tra le rocce grigie, mentre Heisenberg si
ritrovò ad osservare con occhi straniti quelli che avrebbero
dovuto
essere i suoi salvatori.
Il
metallo dei rottami arrugginiti lungo la via iniziarono a tintinnare
pericolosamente, danzando alla tensione di un uomo sporco di terra e
fango maleodorante, nel mentre che i suoi occhi gelidi incontrarono
silenziosamente quelli dell'unico individuo senza maschera antigas
che chiudeva quell'inquietante terzetto di suoi
“salvatori”. Tre
individui in abiti militari senza stemmi precisi –
probabilmente
mercenari, e una insolita capra che si sarebbe aspettato di trovare
ovunque meno che intenta ad osservarlo con occhi assolutamente
caprini mentre le sue candide zampe affondavano nel
fango.
Capretta
belante a parte, era il capo di quell'insolito drappello a
interessarlo maggiormente. O quantomeno quello che sembrava essere il
capo dell'insolita baracca.
Per
quanto il giovane uomo che lo scrutava dall'alto possedesse uno
sguardo gelido, come scolpito nel marmo da un sapiente scalpellino, e
una folta barba rossastra che a stento gli copriva una lunga
cicatrice sulla guancia sinistra, il ghigno da bulletto restava ben
visibile e in netto contrasto con il resto della sua persona
nonostante l'occhiataccia torva che Heisenberg gli lanciò.
“Ehi...
lo sai perchè la polizia spara al motore delle proprie auto
quando
sono in panne?” fece improvvisamente il suo misterioso
salvatore,
lasciando ancor di più interdetto l'ingegnere che meno si
aspettò
una improbabile freddura nello stridente casino prodotto dalle bocche
affamate di due abomini ancora in cielo “semplice: non
vogliono far
soffrire i cavalli!”
[…]
Quella
storia poteva cominciare in qualsiasi modo. Heisenberg avrebbe potuto
ridere di gusto a quella patetica freddura così come avrebbe
potuto
benissimo ucciderli tutti nell'esatto momento in cui i tre lo avevano
trascinato nel fango per salvargli la vita. La sua anima capricciosa
di lord, a conti fatti, aveva trovato il gesto come un insulto alla
sua ben più importante figura. Ma permalosità a
parte, ormai
storica e radicata da tempo in lui, quegli uomini gli avevano
comunque salvato la pellaccia. Dunque un minimo di riconoscenza
glielo doveva... finchè sarebbero comunque stati utili ai
suoi
scopi.
Attualmente
si stavano muovendo lungo quel canale di scolo a fatica, nonostante
fosse abbastanza profondo per proteggerli dagli artigli di quelle
arpie affamate, ma questo non voleva dire che fossero completamente
fuori pericolo. La missione dell'ingegnere – recuperare
l'equipaggiamento perduto – andava di pari passo con quella
degli
sgangherati mercenari pagati per abbattere quegli abomini volanti,
quindi era il caso di lasciare da parte i convenevoli e correre il
più velocemente possibile verso la base militare diroccata.
Fango
limaccioso a parte, denso come il cemento in certi punti, il
quartetto di uomini (e una capra) era comunque costretto a muoversi
velocemente nel canale di scolo per evitare gli artigli di quelle
arpie mutate. Qualunque cosa fossero prima di quell'orribile
mutazione ormai si era persa da tempo.
I
lividi occhi stanchi di Heisenberg tuttavia, senza contare la smorfia
disgustata di vedere quello schifoso quadrupede cercare di mangiargli
l'impermeabile sporco ogni qual volta dovevano fermarsi per ripararsi
meglio dagli attacchi di quelle belve feroci, erano l'emblema di una
domanda che gli sorse spontanea.
“Comunque,
seriamente, perchè la capra?”
“Avrebbe
dovuto fungere da esca per attirare quei mostri fuori dal loro
nido”
fece il leader del gruppo, il tizio barbone che si era presentato con
lo pseudonimo di Jake Muller, e che attualmente apriva la fila
“ma
il tuo cavallo ha contribuito alla nostra caccia volendo prendersi
tutta la scena... e facendo saltare il piano iniziale”
“Già,
ha sempre avuto un atteggiamento da diva... e lasciami!”
con
uno strattone deciso l'ingegnere riuscì a liberarsi dai
denti
dell'animale domestico, notando con disprezzo i segni dei morsi sul
suo impermeabile ormai da buttare. Il gesto portò uno dei
restanti
mercenari ad emettere una risata ridicola. Un tizio per cui
Heisenberg, una volta che gli uomini di Muller si tolsero le maschere
antigas per presentarsi meglio al nuovo arrivato, nutriva sentimenti
di puro ribrezzo in quanto la faccia dell'uomo era tutt'altro che
affascinante.
“Bwahaha!
Sembra ce tu ti sia trovato una fidanzata, vecchio!”
“Sta
zitto Queen!”
“È
Quint! Perchè nessuno da queste parti riesce a pronunciare
bene il
mio nome?”
“Magari
perchè il titolo da drama queen ti si
addice appieno, mister
Cetcham.”
A
buttare un ulteriore carico da cento su una discussione già
di per
se piuttosto tesa ci pensò l'ultimo degli uomini al comandi
di
mister Muller, un tale di nome Keith Lumley. Pelle olivastra
–
quasi una novità per Heisenberg, in quanto aveva visto ben
poche
persone con la pelle scura in Romania – ghigno idiota
stampato in
faccia ma con più acume nelle battute rispetto al proprio
stimato
collega pelato. Un vero miracolo che i due non avessero ancora
affittato una stanza d'albergo, secondo il modesto – e per niente
discutibile – parere dell'ingegnere autodidatta.
Chi
invece parve mostrare una evidente noia per quel siparietto poco
divertente fu lo stesso Muller che, ricordandosi il motivo per cui
erano lì, decise di concludere quell'assurda discussione
parlando di
cose più serie di cui occuparsi.
“L'idea
comunque era di abbattere quelle creature con un boccone esplosivo
una volta attirate allo scoperto... senza rancore, capretta”
la
creatura belò incapace di comprendere che volevano riempirle
il
collare di tritolo “ma ora che si sono accorti di noi
dobbiamo
cambiare drasticamente programma e in fretta! Forse all'interno della
base avremo modo di accedere a equipaggiamento migliore.”
Se
non era abbastanza chiaro erano alla disperata ricerca di
più
esplosivi per far saltare in aria il nido di quei mostri maledetti.
Ad Heisenberg quasi dispiaceva per aver rovinato i loro piani, e se
solo avesse in qualche modo potuto sfruttare i propri poteri
telecinetici forse avrebbe risolto quella questione molto
più
velocemente. Ma c'erano due punti che non giocavano a suo favore: il
primo era che se si fosse fatto scoprire da loro poi avrebbe dovuto
ucciderli – seccante a dir poco, ma non poteva permettersi
passi
falsi fino a quando non avesse raggiunto la tanto agognata meta, in
fin dei conti la BSAA era ancora sul chi vive. Mentre il secondo
punto era che il suo cavallo era fottuto e portarsi appresso l'intero
equipaggiamento sulle spalle per i restanti chilometri che gli
rimanevano per raggiungere la città di Katjuša
non era una bella prospettiva.
L'unica
cosa che poteva fare quindi era di aggregarsi alla loro caccia e
vedere cosa poteva guadagnarci. Per loro fortuna comunque, il canale
di scolo era collegato al sistema fognario della struttura arroccata
sulle montagne.
[…]
“Giuro,
un altro minuto in quella fogna di merda e credo proprio che l'odore
mi avrebbe accompagnato a vita!”
“non
cambierebbe molto con la tua vita sentimentale ma si... rischiavamo
di ammalarci in quel condotto.”
tralasciando
i battibecchi tra un lagnoso Quint e il collega Keith, persino
Heisenberg doveva ammettere che c'era qualcosa di profondamente
sbagliato in quel posto. Il sistema fognario non aveva mostrato segni
di vita apparente che valeva la pena di essere analizzata, in fin dei
conti si trattava di una struttura estremamente semplice senza
neppure un depuratore, un unico cilindro di cemento colmo di acqua
stagnante e gas tossici prodotti dalla putrefazione, ma una volta
raggiunto quello che doveva essere il sistema di depurazione vero e
proprio era chiaro che quella struttura militare aveva avuto dei
trascorsi ben poco limpidi.
Sebbene
fosse ormai abbandonata da diverse decadi alcuni sacchi per cadaveri
erano rimasti a marcire vicino a quello che doveva essere un vecchio
inceneritore spento, e le forme che si potevano intuire attraverso la
plastica corrosa, nonostante il tempo trascorso, non sembravano
propriamente umane.
Lo
sguardo di Heisenberg si perse nel vuoto mentre la sua mente
viaggiava brevemente ad un passato che pensava essersi ormai portato
alle spalle, vedendo in quei sacchi neri ammuffiti tanto gli
esperimenti falliti della sua carceriera tanto quelli che aveva
condotto lui nelle viscere della sua fabbrica. Sebbene avesse
sperimentato sui cadaveri trafugati dei suoi sudditi piuttosto che su
soggetti vivi, il succo del discorso non cambiava. Operando lontano
dagli occhi di tutti ma con lo stesso modus operandi di quella
spregevole strega. Lei, la donna che lo aveva cresciuto e a da cui
aveva assimilato le cose peggiori e un'etica inesistente. Cose queste
che mai avrebbe ammesso personalmente.
A
quanto pare Madre Miranda non era l'unica malata mentale al mondo a
cui piacevano schifezze come quelle che l'ingegnere stava guardando
in quel momento – avrebbe dovuto aspettarselo in fin dei
conti, ma
non così presto quantomeno – contemplando il tutto
con una
evidente ombra negli occhi che difficilmente si poteva ignorare. Non
senza cappello e occhiali da sole che celavano a tutti le sue reali
emozioni, e di questo parve accorgersene il leader di quel gruppo di
scalcinati mercenari.
“Che
hai da guardare?!” chiese in tono burero Heisenberg, ma
Muller, con
un sorriso ironico di chi aveva compreso i funesti pensieri che
attraversavano l'uomo più anziano, se ne uscì con
una battuta delle
sue.
“Nulla
di che... trovo molto affascinanti le tue cicatrici.”
Se
non era chiaro all'ingegnere il nome di chi avrebbe dovuto uccidere
per primo in mezzo a quel drappello di pazzi sconsiderati ora lo
aveva sulla punta della lingua. Jake Muller gli aveva dato fin da
subito un pessimo presentimento, forse a causa di quel suo sguardo
freddo che lasciava presagire una intuizione più accentuata
rispetto
al resto dei suoi colleghi – ora intenti a cercare di aprire
una
porta di metallo ben sigillata, ma il rischio era che quel barbone
potesse sapere qualcosa sul suo conto che poteva compromettere la sua
libertà. Avrebbe dovuto occuparsene più tardi, ma
ora era il
momento di pensare a come uscire da quella situazione.
Sputando
a terra dal disgusto volle dare le spalle a Muller, che
lasciò
perdere una possibile polemica restando comunque soddisfatto per
essere risultato tutto meno che spiritoso, avvicinandosi al resto dei
mercenari alle prese con una porta che non voleva aprirsi neppure
sotto la pressione di un piede di porco.
“Spostatevi.”
Disse
perentorio lui, avvicinandosi alla porta saldata ormai più
di
cinquanta anni fa da soldati sovietici senza nome, forse per impedire
a qualcuno o a qualcosa di raggiungere quel luogo
come ultima
linea difensiva, e ignorando completamente l'avvertimento che Quint
gli lanciò.
“Ehi!
Guarda che quella porta è sal-Oh! Come
non detto...”
nonostante
gli sforzi congiunti di Cetcham e del compagno di squadra Lumley, che
fino a quel momento si erano dati il cambio a vicenda per cercare di
aprirsi un varco che non li costringesse a ritornare all'esterno,
quella porta si aprì unicamente con un calcio ben assestato
dell'ex
ingegnere, ignorando il fatto che quelle saldature erano vecchie di
decenni e letteralmente il metalo vibrò ancor prima di
ricevere quel
colpo deciso di stivale. Un dettaglio questo di cui si accorsero solo
Jake e Keith, che si scambiarono brevemente una occhiata velatamente
preoccupata, avendo notato che anche altri oggetti metallici
vibrarono pericolosamente nella stanza, mentre il resto del gruppo
–
capretta compresa – era ben sollevato di potersene andare via
da
quel luogo che puzzava tanto di fogna quanto di morte.
Non
c'era tempo di farsi domande su un qualcosa che al momento poteva
essere benissimo trascurato, in quanto i colpi sordi delle orribili
creature volanti – conscie che degli intrusi si erano
infilati nel
loro nido, dati alle pareti di cemento armato della base militare si
potevano udire fino in profondità dove si trovavano loro.
[…]
l'eco
di molteplici stivali e di zoccoli duri si perdevano in quel dedalo
di corridoi larghi quanto basta da far passare, un tempo, casse e
armamenti vari utili per una base militare degna di tale nome. Ma
ovunque il drappello di uomini guardasse non trovava altro che stanze
prive di interesse e muri che letteralmente si sgretolavano ai colpi
degli abomini volanti che non davano loro tregua. Le munizioni delle
pistole e mitragliatrici dei mercenari che stavano scortando
Heisenberg si stavano gradualmente svuotando, in quanto era doveroso
per quegli uomini disperati sparare alle belve spennacchiate ogni
qual volta riuscivano a sfondare un soffitto o farsi strada atraverso
una breccia nei muri fatiscenti. I becchi cancerosi di quelle specie
di arpie troppo cresciute schioccavano come metallo ogni qual volta
si chiudevano troppo vicino alle loro teste o ai loro arti,
costringendoli per questo a piegarsi all'improvviso o a scansarsi
goffamente per evitare di essere catturati.
“Com'è
maticamente possibile che in una cazzo di base militare non ci sia
una armeria o un proiettile che sia uno?! Spiegatemi come!
Argh!”
le
perplessità di Quint erano piuttosto legittime, nel mentre
che si
scansava via dal crollo improvviso di un soffitto che rivelò
la
putrida forma di una delle creature, ma le risposte potevano essere
molteplici – così come potevano anche non contare
nulla, proprio
come gli ricordò Jake nell'esatto momento in cui
scaricò gli ultimi
colpi della propria carabina addosso all'addome della belva che
gridò
frustrata prima di ritirarsi.
“La
pelle di questi mostri è coriacea... non possiamo continuare
così!”
sbuffò Muller, scartando via un fucile ormai inutilizzabile
e
armando una pistola calibro 50 “ci vogliono proiettili
più grossi
e io ho pochi colpi di questa bellezza. L'unica cosa da fare
è
continuare a muoverci.”
Nulla
di nuovo sotto il sole per Heisenberg, che cominciava seriamente a
stufarsi di correre a destra e a manca in compagnia di tre cacciatori
scapestrati e una capra che non mancava mai di rosicchiargli
l'impermeabile lercio ogni qual volta si fermavano al riparo di
qualche stanza ben fortificata. Ancora una volta lo sguardo
dell'ingegnere incrociò quello di un barbuto leader,
trovando ancor
più fastidioso il modo in cui si rivolse a lui.
“Sai
vecchio... mi chiedevo una cosa...”
“Sputa
il rospo, non ho tempo per le stronzate!”
se
già la tensione di essere braccati da un abominio ignoto era
palpabile come il pesante battito di ali udibile tra le crepe di
quelle vecchie mura, nonostante il gruppo di uomini continuasse la
sua esplorazione disperata, quello di cui non si aveva certamente
bisogno era di mettersi a litigare in un momento come quello. Tanto
da portare quantomeno Keith a roteare gli occhi mentre invitava il
gruppo a proseguire verso una stanza più riparata con un
gesto della
mano. I due possibili litiganti tuttavia ritardarono un po' il passo
viste le occhiate tutt'altro che amichevoli tra due uomini ormai ai
ferri corti.
La
tensione e il rischio di lascirci la vita non rendevano affatto
facili le relazioni umane, neppure quando Heisenberg cercava di dare
una mano, a modo suo, a quel branco di ingrati che gli avevano
comunque salvato la vita. Spingendolo, sempre di più, a
pentirsi di
non aver eliminato prima dei possibili ficcanaso.
“Sarò
sincero, con l'ultima raffica di prima ho sparato volontariamente gli
ultimi colpi lontano dal mostro... sarebbe stato comunque una perdita
di tempo provare a centrare quella bestiaccia con un'arma poco
efficace” dette una rapida occhiata all'ultimo caricatore
della sua
pistola prima di riarmarla di nuovo, conscio che erano nei casini
fino al midollo. “Ma ho trovato affascinante che i proiettili
abbiano comunque centrato il bersaglio in
pieno.”
“Hm,
magari sei solo molto fortunato?”
Per
Jake fin da subito quell'eremita strambo gli era sembrato alquanto
sospetto. Ancor prima che i suoi uomini riuscirono a trascinarlo
lungo il canale di scolo aveva notato il suo strano gesticolare con
le mani e, ancor più strano, il metallo attorno a lui che
sembrava
vibrare e non a causa dei mostri volanti e la devastazione che
stavano creando. Persino la pistola nella sua fondina, la stessa che
stava impugnando in quel momento, si era agitata come se avesse
deciso di prendere vita.
E
dato che di stranezze ne aveva viste – e vissute –
nella propria
vita, gli era ormai chiaro che quel vecchio vagabondo non gliela
stesse raccontando giusta.
“Sarebbe
bello fosse solo fortuna e non magia...
perchè a quella-”
Non
potè finire la propria sprezzante frase che un crollo
improvviso,
simile a una esplosione alle loro spalle, li colse completamente
impreparati nel frastruono più assoluto e nei detriti che li
colpirono alla schiena. La bestia maledetta, la più grossa
delle due
e dalle corde vocali piuttosto potenti visto il grido disumano che
lanciò per stordirli maggiormente, li aveva colti
completamente
impreparati approfittando di quel momento di pausa da una corsa senza
fine ben osservato dagli squarci che il suo compagno aveva provveduto
a fare poco prima.
L'intelligenza
di quelle arpie non era da sottovalutare dopotutto, e sia Heisenberg
che Muller – nel mentre che la creatura catturava il primo
con il
proprio becco e il secondo con una delle zampe artigliate, capirono
di aver commesso un grosso errore a non dare retta al resto del
gruppo invece che perdersi in chiacchiere inutili.
Storditi
da quel caos che li aveva resi momentaneamente sordi e doloranti a
causa delle macerie che erano cadute loro addosso, nulla poterono
fare per impedire al disgustoso abominio di trascinarli fuori da
lì.
[...]
“Quel
cazzo di mostro ha preso Muller e nonno barbagrigia! E
adesso?!”
“E
adesso continuiamo a correre, Quint! Non possiamo fare nulla per loro
al momento!”
per
quanto potesse essere orribile sentirselo dire dalla propria bocca,
quella di mister Lumley era una realtà inconfutabile a cui
le loro
armi non potevano mettere fine. Se avessero sparato alle bestia
più
grossa, quella che aveva letteralmente rapito i loro compagni, c'era
il rischio di colpire Jake e il vecchio barbone che ancora sembravano
essere vivi tra le grinfie dell'immonda arpia.
Per
quanto potesse essere brutto da pensare, quantomeno nella mente di
Keith con i nervi ormai a fior di pelle, il fatto che le cariche di
esplosivo fossero in loro possesso poteva essere effettivamente un
vantaggio. Potevano ancora abbattere una delle creature con
l'esplosivo nascosto nel suo zaino, giusto un paio di panetti dati
loro dal committente di quella caccia infruttuosa, ma per farlo
dovevano fare in fretta e fare in modo che la creatura rimasta fosse
a portata di tiro attratta dalla loro presenza.
E
proprio per tale motivo, una volta che il restante drappello
riuscì
a raggiungere una stanza lontana dai muri che davano all'esterno e
rinforzata da fasciature in acciaio, il povero Keith si accorse che
la capretta li aveva seguiti fino a lì.
La
povera bestiola pareva ai suoi occhi comunque terrorizzata, muovendo
la testa in ogni dove stordita, come i suoi attuali padroni, dal
frastuono tattico di un abominio che non voleva lasciarli in pace. Il
precedente proprietario dell'animale l'aveva ceduta ai mercenari come
esca da usare nella loro caccia – lo stesso individuo che
aveva
commissionato loro quello sporco lavoro tra l'altro, e ora era forse
arrivato il momento di usarla come da piano iniziale.
Con
una certa fretta si tolse dalla schiena il proprio zaino e
inizò a
frugare al suo interno atturandosi così l'attenzione di un
altrettanto agitato Quint.
“Ehi!
Che cavolo stai facendo adesso?”
“Secondo
te? Dobbiamo attenerci al piano... o te ne sei già
scordato?”
“Cosa?!
Non vorrai sacrificare Betty ora che abbiamo
trovato la nostra
benedetta armeria?!”
“Hai
davvero dato un nome a quella... capra...?”
le
parole morirono lentamente in bocca al mercenario, quando finalmente
si accorse che la grande stanza blindata in cui erano finiti era un
vero e proprio hangar ricolmo di scaffali arrugginiti ancora stipati
di vecchie armi e munizioni; tra cui diversi armamenti pesanti e
quella che pareva essere una balista sperimentale ancorata ad una
piattaforma circolare mossa, molto probabilmente, da delle rotaie
mobili che conducevano oltre una saracinesca abbassata. Il meccanismo
tuttavia sembrava essere di tipo elettrico, come la stessa balista
visti i pistoni pneumatici di cui era dotata che facevano
probabilmento muovere tanto la struttura stessa quanto il meccanismo
di ricarica degli arpioni – situati uno sopra l'altro in una
gabbia
metallica proprio sotto la seduta del cecchino. Una macchina
mostruosa e dall'aria tutt'altro che affidabile, ricoperta di decenni
di polvere e forse inutilizzabile a causa di una manutenzione
decisamente carente.
“Sembra
che in questa stanza ci sia ancora corrente” fece Quint,
avvicinandosi ad un vecchio pannello elettrico e spostando con
cautela diverse leve “vediamo cosa succede se-Argh!”
poco
ci mancò al mercenario di essere travolto da una cascata di
scintille ardenti causate da un innesco che non avveniva da
più di
mezzo secolo, ma al gesto ne seguì il tanto sperato ritorno
della
corrente elettrica; tra lampadine che tornarono a ronzare di una luce
ballerina e macchinari arrugginiti che cominciarono a muoversi
lentamente. Una luce lampeggiante rossa iniziò a a muoversi
in
concomitanza della saracinesca che iniziò ad aprirsi
lentamente tra
mille difficoltà, e l'intera struttura mobile della balista
parve
muoversi autonomamente verso quella che doveva essere una piattaforma
esterna alla struttura. Probabilmente una zona di test balistici per
testare l'efficacia di quel gingillo pseudo futuristico.
“Sembra
che tu non abbia perso il tuo tocco da tecnico, Quint!”
“Bè... graz-Oh
cazzo!!”
la
fievole sensazione di sollievo che i due uomini provarono si ruppe
come una fragile teca di cristallo all'arrivo inaspettato del loro
peggior nemico. La bestia che li aveva seguiti fino a quel momento
non era rimasta a guardare, trovando nella vecchia saracinesca che si
alzava un valido spiraglio per invadere il magazzino. Mossa solo da
sentimenti di odio e di perenne fame si fiondò come un
proiettile su
quella fenditura nel metallo ancora troppo stretta per accogliere del
tutto la sua forma, cogliendo alla sprovvista gli individui presenti
dentro quel magazino abbandonato con un sonoro boato e un'onda d'urto
che portò al rovesciamento di diversi scaffali pieni di armi
ormai
inutilizzabili. Bloccando oltretutto il meccanismo della vecchia
saracinesca che si incastrò quel tanto da impedire alla
belva di
fare una irruzione totale.
Una
situazione di stallo che portò tanto i poveri uomini a
gridare di
sorpresa quanto l'arpia a urlare di dolore per essersi
momentaneamente incastrata tra quelle lamiere contorte.
Il
collo della creatura si allungò all'inverosimile, tentando
di
falciare a beccate sia i due mercenari sia la povera capretta che
ebbe comunque persino il coraggio di dargli una incornata, prima di
essere recuperata per le corna dal povero Quint nello stesso istante
in cui il collega Lumley saltava in sella ad una balista che
continuava solerte ad avanzare su delle rotaie arrugginite.
“Come
si arma quest'affare?! Le targhette sono tutte scritte in
cirillico!”
“Prova
la leva rossa!” fece a fatica Quint, impegnato com'era a
trattenere
Betty e a scaricare con disperazione il caricatore della pistola
contro quell'abominio dale carni tumefatte dalle vene violacee
esposte ovunque non ci fossero penne a coprirle “La leva che
assomiglia a quella dei flipper!”
Una
volta eseguite le istruzioni del tecnico fu facile per Keith armare
quel dannato arnese, accogliendo con sollievo il clangore di un
arpione che si armava lungo la canna arrivando a premere il grilletto
subito dopo. Un colossale sbuffo di polvere accolse il primo pesante
contraccolpo, non dissimile da quello di un cannone di artiglieria,
colpendo la creatura proprio dritto ad un'orbita oculare.
La
bestia urlò con un urlo non dissimile da quello umano,
mentre uno
spruzzo violaceo di sangue e icore schizzò lungo il
pavimento in
cemento agitandola ancora di più con una scossa di
adrenalina non
indifferente. La forza che si ritrovò la portò ad
inarcare la
schiena nel tentativo riuscito di squarciare la la saracinesca che
ancora la bloccava al suolo.
Per
Mister Lumley era chiaro che il prossimo colpo da sparare avrebbe
dovuto essere più esplosivo del
precedente, e dando una breve
occhiata al proprio collega – i cui proiettili in canna erano
ormai
belli che finiti – giunsero entrambi alla stessa conclusione.
[…]
Heisenberg
avvertì a malapena l'esplosione avvenuta all'interno della
base
militare – troppo lontana dalle sue orecchie riempite dal
rumore
del vento e dai suoni gutturali dell'arpia –
poiché tutti i suoi
sensi erano principalmente impegnati a gestire l'insopportabile
dolore che gli attanagliava l'addome. L'abominio mutante aveva
serrato il becco unicinato contro di lui, non riuscendo a spezzarlo
in due ma portandogli comunque via il fiato dal corpo e lacerandogli
ancor di più i vestiti sporchi di fango e polvere, riuscendo
unicamente a concentrarsi su un panico sempre più crescente
come
spesso gli accadeva nei momenti in cui non aveva le cose sotto
controllo.
L'ultima
volta che aveva ceduto al panico gli era quasi costata la vita, fuso
com'era a tutti i rottami metallici che aveva raccolto nell'arco
della sua lunga vita e demoralizzato da un piano che non era andato
come si aspettava. Ed ora rischiava di lasciare che fossero
nuovamente quelle emozioni primordiali a portarlo ad una rovina
preannunciata, con l'unica differenza che qui non avrebbe avuto
nessun “piano B” a salvarlo dall'attuale
situazione.
Probabilmente il suo cadou non avrebbe retto a una nuova
rigenerazione... e lui non era ancora pronto ad entrare nell'oblio
del Dio Nero. Non adesso che aveva finalmente cominciato ad
assaporare il gusto della vera libertà.
“Tieni
duro, vecchio! Resisti!”
le
parole di Muller – così ciniche ma al tempo stesso
sincere – gli
arrivarono ovattate a causa del frastuono prodotto dal battere di ali
incessanti e dalle sue stesse urla cariche di rabbia, ma fu comunque
abbastanza lucido da notare i movimenti del mercenario tutt'altro che
tipicamente umani. Come se “potenziato” da qualcosa
che gli
scorreva sottopelle.
Nonostante
l'arpia lo avesse preso per un braccio con una delle sue orride zampe
era stato fin troppo lesto a liberarsi della presa, sacrificando gli
ultimi colpi di rivoltella addosso a quell'arto squamoso, ed ora si
stava agilmente arrampicando sulla schiena dell'animale come una
scimmia ammaestrata. L'unica arma che ormai gli rimaneva era il
coltello da caccia, ben stretto tra i denti mentre le mani erano
occupate a intrecciarsi saldamente alle piume chitinose della
creatura, ma questo non pareva scoraggiarlo dal voler raggiungere la
testa per “domarla” del tutto.
Conscia
di quell'ennesimo imprevisto la belva cercò di sbarazzarsi
di Jake
nel peggior modo possibile, ruotando su se stessa in una acrobazia
aerea disperata che non fece altro che peggiorare ulteriormente la
situazione. Arrivando a planare bassa e rumorosa verso delle gru
metalliche che spiccavano verso l'alto ormai arrugginite dal tempo,
percependo chiaramente le loro terribili vibrazioni ancor prima di
finirci addosso per disarcionare un mercenario ben saldo e pronto a
pugnalarle la base del collo per decapitarla nel modo più
lento e
doloroso possibile.
Il
senso di nausea e il dolore pulsante portarono Heisenberg allo
sfinimento, sia fisico che mentale, venendo accecato per un
brevissimo momento da una furia interna che non scatenava ormai da
tempo. Alle sue orecchie giunse un rumore che poteva essere
semplicemente la voce di Jake che cercava di attirare la sua
attenzione così come i lamenti di una bestia che non voleva
mollare
la presa su di lui, mentre nei suoi occhi balenarono scintille
elettriche generate dai suoi stessi neuroni in fiamme.
Un
attimo prima di perdere la ragione ci fu un lampo di rimeniscenza del
suo passato, generato da cellule morenti pronte a sbocciare a nuova
vita contorta, ritornando ad essere un ragazzino incatenato ad uno
scarno letto d'ospedale dalla mente confusa e dal lancinante dolore
che dal petto si divulgava ovunque attraverso il suo sistema nervoso.
Un senso di impotenza diffuso che ancora non gli permetteva di
concepire che il suo corpo era passato malamente sotto i ferri di un
chirurgo poco esperto.
Poi
un urlo, il più angosciante che avesse mai sentito uscirgli
dalla
bocca, ed una dolorosa scossa elettrica balenò dalle falangi
delle
sue mani in una onda d'urto che portò l'intero mobilio
metallico
presente ad accartocciarsi attorno a lui con un boato improvviso. La
prima manifestazione dei suoi poteri avvenne così: un
pasticcio
caotico e letale che portarono Madre Miranda a sorridere compiaciuta
per quell'esito inaspettato.
Non
era morto quel giorno di tanto tempo fa, e non sarebbe morto ora per
mano di una stupida creatura che ancora lo teneva stretto nel suo
becco tumefatto. Ed il lampo che si generò in mezzo al cielo
ne fu
una prova.
[…]
“Che
cazzo è quello?!”
La
legittima domanda di Quint uscì dalla sua bocca tanto nello
stupore
quanto nel malcelato terrore vedendo la moltitudine di rottami
metallici alzarsi dal suolo per seguire il percorso di una arpia
terrorizzata quanto lo erano i due mercenari, ma a quello che venne
in seguito non erano affatto preparati.
Erano
riusciti ad abbattere l'abominio volante che li aveva incastrati nel
magazzino solo grazie ad un colpo esplosivo di balista –
arrivando
a fargli saltare via del tutto la parte superiore del corpo in un
tripudio di sangue e icore, ed ora le rotaie automatizzate della
piattaforma su cui erano li aveva condotti fuori dalla base militare.
Adesso che erano fuori da lì si ritrovarono per forza di
cose ad
osservare impotenti le impalcature delle vecchie gru sgusciare via
come acqua verso il cielo per fondersi con qualcosa di somigliante a
carne protoplasmatica insidiosa come la muffa e
solida come
radici nodose.
Diversi
altri materiali quali rottami di camion e jeep si alzarono dal suolo
ingrigito dall'inquinamento come sedotti da una forza magnetica
incontenibile, e una sorta di serpente – o tentacolo
primitivo,
iniziò a formarsi in cielo ghermendo l'abominio alato in
quella che
sembrava essere una sorta di bocca umana mostruosa.
Di
schifezze i due ex soldati della BSAA ne avevano viste parecchie
durante la loro carriera, ma anche ora che si godevano il
“pensionamento” facendo i mercenari sembrava che
non ci fosse
limite al peggio. Ed un dubbio atroce assalì Keith
osservando
quell'orrore cosmico abbattersi con furia su una preda senza
più
speranza.
“Non
vedo Jake da nessuna parte... Quint!” fece funereo Lumley,
ancora
seduto sulla postazione di tiro, attirando così l'attenzione
del
suddetto che lanciò un piccolo grido di sorpresa
“prepara l'ultima
carica di esplosivo che abbiamo!”
[…]
“Sapevo
che mi stava nascondendo qualcosa... ma questo è
troppo!”
Jake
non aveva tempo di pensare a come e perchè quella situazione
fosse
precipitata inesorabilmente in un abisso senza fondo, tanto era
impegnato nel cercare di sopravvivere e non cadere nel paesaggio
sottostante che intravedeva tra le lastre metalliche fluttuanti che
era intento a saltare con tutta l'agilità conservata fino a
quel
momento. Se fosse stato un comune mortale
molto
probabilmente sarebbe caduto di sotto, scivolando su quei fragili
rottami metallici sporchi di fango e icore che si azavano da terra
mossi da una forza magnetica che faceva vibrare l'aria in modo assai
pesante... ma ad ogni salto acrobatico tra le sbarre arrugginite e
scivolate in extremis sulle carrozzerie demolite di macchine vecchie
di decenni il povero mercenario non aveva idea di dove andare.
Si
era staccato dal dorso dell'immonda arpia dopo solo i primi fendenti
di pugnale – a nulla valsero i suoi tentativi di comunicare
con il
vagabondo misterioso che quello, comunque, aveva deciso di fare la
propria mossa da vera e propria calamità naturale. Ed ora
eccolo
cercare di fuggire da quella sorta di serpente fatto di metallo e
carne fusa recante una sorta di volto umanoide non dissimile da
quello dello strambo avventuriero che aveva incrociato il loro
cammino di caccia. Intento a stritolare tra quelle spire innaturali
una preda senza più scampo schiacciata dalla furia di
un'arma
biologica apparentemente senza controllo.
“La
torre... forse riesco a... Woah!”
l'intuizione
di Jake poteva essere la sua effettiva salvezza se solo quella
spazzatura ambulante di ferro e travi in acciaio avesse continuato a
vorticare nel verso giusto per lui, trovandsi ancora una volta
costretto a pensare poco e agire di pù, nel mentre che
letteralmente
correva sul tetto di un container che si stava innalzando al cielo
mentre il mercenario era più intento a cercare di toccare
terra
scontrandosi con vento impervio e detriti insidiosi. Se avesse
raggiunto la torre cilindrica della base militare allora si sarebbe
potuto definire quantomeno “salvo” dal trovarsi la
testa
tranciata di netto da lastre metalliche assassine, ma qualcosa
attirò
la sua attenzione giusto in tempo prima di essere quasi trafitto come
uno spiedino.
La
vide solo per una frazione di secondo, tanta era la sua
velocità
come se si fosse trattato di un proiettile sparato da un cannone di
artiglieria, scansandosi appena in tempo per evitare quello strano
arpione dalla
luce
intermittente rossa, ma con la
conseguenza di scivolare
via dalla trave fluttuante in cui si trovava e portandolo a cadere
inesorabilmente di sotto con il rischio di finire a sfracellarsi come
un sacco dell'immondizia. Il grigio e melmoso mondo del paesaggio
sottostante fece spalancare i suoi occhi chiari e digrignare la bocca
barbuta, portandolo velocemente a ridestarsi da quel momento di
stupore per farsi venire in mente un piano che lo portasse fuori dai
guai.
Lanciando
una sonora imprecazione frugò nella sua cintura alla ricerca
del
rampino di sicurezza da lanciare il prima possibile contro una
struttura in clacestruzzo all'apparenza ancora lontana dal raggio di
azione di un cavo di sicurezza tutt'altro che lungo, ma in
ciò venne
aiutato da un boato eccezionale che si propagò alle sue
spalle.
L'onda d'urto – e il conseguente frastruono che lo rese
momentaneamente sordo – lo portarono quasi di prepotenza
verso la
torre più alta della base militare, trovandosi la schiena
martoriata
di chissà quali schegge metalliche e carne animale
restò comunque
concentrato per prendere il giusto tempo e agganciare il rampino in
una delle fenditure nel calcastruzzo deteriorato.
Per
quanto potesse sembrare assurdo vista l'ingente quantitativo di sfiga
raccolta in quella giornata, il lancio del rampino di sicurezza fu un
totale successo che lo portò solo a
lussarsi una spalla
contro le fredde pietre della struttura. Tra imprecazioni varie ben
oscurate dagli stridii metallici e da una voce aberrante che si
propagò per la valle al suono di un abominio caotico che si
smembrava definitivamente a causa dell'esplosione che lo aveva
investito appieno, Jake Muller osservò il disgregarsi di
quell'orrore metallico in una nube ardente che salì di
prepotenza
verso il cielo grigio.
Lasciando,
al suo posto dopo essere svanita, solo uno spiraglio di cielo
azzurrino in quel panorama di nubi grigie che ancora incombevano in
una terra ferita dall'ambizione umana.
[…]
Quello
che Heisenberg aveva percepito per tutta quella breve battaglia fu
soltanto il furore e l'estasi di una lotta su cui non aveva avuto
praticamente nessun controllo – riuscendo solo a percepire
ciò che
lo circondava con un discreto furore, e uno strano senso di pace per
essere riuscito a toccare i propri limiti in una forma ormai del
tutto completa. Se voleva avere una prova che il suo cadou
funzionasse ancora alla perfezione quel giorno era stato sicuramente
accontentato.
Quando
infine si ridestò da quella sorta di sogno che lo vedeva
mostruosamente mutato – smembrato a livello cellulare per
amalgamarsi meglio con quel metallo che padroneggiava come il proprio
respiro, desideroso di distruggere la creatura che gli aveva portato
via tutto, si rese conto di essere tornato
nuovamente in forma
umana. Completamente nudo e steso su un fianco su di un freddo
pavimento in ferro e cemento, si rese comunque conto di essere
precipitato sul tetto della torre d'avvistamento su cui le orride
arpie avevano fatto il loro presunto nido di rottami e paglia.
Con
un borbottio che trasudava fastidio e dolore si ridestò un
po' per
volta al suono ritmico di uno strano sbuffo – come il respiro
stanco e dolorante di un animale ormai arrivato al limite, e quando
finalmente ebbe la forza di aprire le deboli palpebre ciò
che vide
ebbe il potere di ridestarlo del tutto portandolo di conseguenza a
rimettersi in piedi seppur a fatica.
Il
suo grigio destriero era lì, a pochi passi da lui. Dal capo
chino e
immobile come una statua di sale a causa di un dolore fisico che
ancora non aveva abbandonato le sue membra tremanti e ferite dagli
artigli dell'arpia che lo aveva rapito poco prima. Sotto di lui si
era formata una pozza di nero sangue stantio, e quando Karl si
avvicinò al suo grigio stallone per poterne osservare la
criticità
delle ferite si rese conto che non solo queste ultime stavano
già
guarendo, ma che il suo sangue era corrotto dallo
stesso
“fungo” che si annidava nel petto di Heisenberg.
A
quanto pare troppo indigesto per le belve feroci che si erano
annidate in quella rocca abbandonata da mezzo secolo, lo avevano
abbandonato al suo destino preferendo puntare sulla prelibata carne
umana che stava insidiando il loro prezioso territorio.
Un
particolare questo che lo stupì e non poco, ma poi
ricordandosi del
suo villaggio natale e dell'ambizione di Madre Miranda nello
sperimentare il cadou su qualsiasi cosa respirasse si rese conto di
avere tra le mani il cavallo più longevo al mondo. E senza
malizia
si ritrovò a sorridere con fare crescente e beota,
genuinamente
contento che pure quel ronzino dal manto grigio fosse sopravvissuto.
“Sei
un bastardo fortunato... lo sai?!”
“È
la stessa cosa che gli ho detto io, ma nel mio caso non ha voluto
farsi avvicinare.”
una
voce fuori campo costrinse l'ingegnere a spegnere il proprio sorriso
e a smettere di accarezzare un cavallo ancora sotto shock per
voltarsi in direzione del terzo incomodo, e quello che vide lo
lasciò
per un attimo perplesso.
Jake
Muller sedeva su dei detriti di cemento intento a gustarsi una
sigaretta e ad osservare il cielo diurno in procinto di schiarirsi
delle nubi insidiose, non prestando attenzione più del
dovuto ad un
uomo che aveva dimostrato al mondo di possedere ancora la forza di un
dio. Un dettaglio questo che non era sfuggito a nessuno, ma il
mercenario non sembrò desideroso di cercare rogna con lui.
Dalle
tasche della sua giacca militare ormai sporca di sangue mister Muller
estrasse sigarette e accendino che lanciò prontamente verso
l'insolito compagno di sventura, che prontamente agguantò il
dono,
decretando così una possibile cessione di probabili
ostilità a
favore di una collaborazione di cui entrambi avevano beneficiato.
Ci fu
un lungo attimo di silenzio tra i due, tutt'altro che imbarazzante
nonostante le nudità di Heisenberg e per le molte cose che
avrebbero
potuto dirsi per far chiarezza su quanto appena successo tra quei
cieli uggiosi, ma la pura essenza del tabacco aiutò i due
uomini a
rilassarsi quanto basta dopo un pomeriggio decisamente allucinante.
La
caccia in fin dei conti si era conclusa, dunque perchè mai
Jake
avrebbe dovuto fare domande a un forestiero che in fin dei conti li
aveva aiutati? Alla fine della corsa aveva imparato che era meglio
così – non fare domande di cui poi avrebbe potuto
pentirsene –
ma per correttezza trovò comunque giusto informare il
proprio ospite
dei pericoli di quelle terre abbandonate.
“Circa
sessanta anni fa i sovietici scoprirono che in questa valle risiede
un parassita piuttosto insidioso, capace di infettare a livello
batterico la propria vittima e a mutarla orribilmente per renderla
facile preda dei predatori locali... in un ciclo continuo che avrebbe
riportato i parassiti a livello cellulare e a trovare un nuovo ospite
tra le acque dei fiumi locali.”
“E
fammi indovinare, hanno provato a ricavarci del profitto facendo
comunque andare tutto a puttane?”
Muller
non disse nulla ma si limitò ad annuire distrattamente
impegnato
com'era a sbuffare una nuvola di fumo dalla bocca – in fin
dei
conti l'intera base militare era disseminata di prove inconfutabili
di un disastro biologico avvenuto nel suo lontano passato, e quando
ritornò a rispondere al proprio interlocutore la sua
sigaretta era
quasi finita del tutto.
“Hm,
gli abitanti di Katjuša
chiamano questa regione la
Cicatrice,
per via di tutto quello che è successo decenni fa, e di
norma
nessuno si avventura qui se non gli eremiti e i pazzi... e noi
cacciatori, ovvio!” spense il mozzicone con il tacco degli
anfibi e
si rimise in piedi massaggiandosi la spalla ancora dolorante, nel
mentre Heisenberg aveva preso dei vestiti di ricambio dalla borsa
della sella e si stava prontamente rivestendo. “Quando una di
queste sirin*
si spinge troppo vicino ai cetri abitati ci pagano bene per fare un
po' di pulizia, quello che non ci aspettavamo era di trovare uno
straniero da queste parti... ma dato l'aiuto che ci hai fornito,
sarebbe un onore per noi scortarti al sicuro in città,
signor...?!”
Arrivati
a quel punto della loro avventura era chiaro che, quantomeno, il
mercenario si aspettasse un qualsiasi nome da parte di un uomo dal
talento straordinario e incredibilmente letale. Un individuo del
genere era il caso di averlo più come amico che come rivale,
e lo
stesso vagabondo parve stavolta accogliere positivamente una domanda
che, in circostanze diverse, avrebbe potuto davvero essere scomoda.
Si
ritrovò quindi a sorridere a trentadue denti, permettendosi
addirittura un breve inchino ironico nel mentre che ancora si stava
riabbottonando la camicia di riserva.
“Heisenberg...
Karl Heisenberg per l'esattezza. E sarebbe per me un gran onore
essere scortato da dei gentiluomini come voi!”
Avrebbe
potuto dargli qualsiasi nome, mentirgli spudoratamente come aveva
fatto nei mesi passati con chiunque avesse incontrato lungo il suo
cammino solitario – in fin dei conti aveva fatto della
menzogna la
sua arte – ma qualcosa in lui gli stava dicendo che doveva
comunque
essere grato a quegli uomini che, a modo loro, lo avevano aiutato a
“ricomporsi” salvandogli la vita nel peggior modo
possibile. E
dato che non aveva nulla di valore da offrire a quei mercenari senza
scrupoli, volle essere sincero almeno una volta nella sua incasinata
vita.
Si
era lasciato alle spalle l'Europa e i suoi nemici ormai da tempo, e
se era vero che era finalmente riuscito a toccare la terra di quella
città maledetta allora poteva sentirsi libero di esprimersi
meglio
senza timore di essere venduto al primo chiacchiericcio che gli fosse
uscito dalla bocca barbuta. La città di Katjuša
avrebbe sicuramente
fatto bacino alle sue ambizioni future e tutti in città se
ne
sarebbero fregati abbastanza visti i precedenti di molti di loro, e
avere delle amicizie che lo istruissero sulle
“bellezze” locali
erano sempre graditi per i novellini come lui.
Come
buon inizio che fosse infatti, era sicuro che farsi degli alleati
astuti come quel drappello di mercenari che avevano incrociato la sua
strada poteva rivelarsi un vantaggio a lungo termine.
Se
quello era un “benvenuto a casa”, di sicuro era il
più originale
che l'igegnere avesse mai sperimentato in vita sua.
*Sirin,
nella mitologia russa, è una arpia malvagia dalla testa di
donna e
il corpo di gufo. inoltre, se avete giocato a RE Revelations non dovrebero esservi estranei i nomi di Keith e Quint ;)
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