Deep
in the meadow, hidden far away
A
cloak of leaves, a moonbeam ray
Forget
your woes and let your troubles lay
And
when again it's morning, they'll wash away.
Here
it's safe, here it's warm
Here
the daisies guard you from every harm
Here
your dreams are sweet and tomorrow brings them true
Here is the place where I love
you.
Hunger Games, Ninna nanna di Rue
È una casa di una sola, piccola stanza, con una stufa contro
la parete che sta di fronte alla porta. Sopra ci sono due fuochi e su
uno di questi borbotta, sommessa, una pentola di ghisa. Qualcuno ha
messo a bollire una zuppa profumata, chissà chi di loro due.
Quello che Mikasa ricorda è che, in quella casa sulla
montagna, lei si prende cura di Eren ed Eren di lei.
Al
diavolo. Se è un sogno, non voglio svegliarmi.
La mano di Eren
è inerte nella sua.
- Eren. Per favore.
Smetti di piangere.
- Ho smesso. Sto bene.
Non
pensava a questo, Mikasa, quando lo ha preso per mano e dolcemente lo
ha condotto oltre la piccola porta di legno. Il cuore ancora non si
è calmato dopo quello che è successo, dopo che
finalmente quel ti amo,
strozzato in gola da sempre, le è venuto fuori.
C’è stato come un attimo di ubriacatura, una sorta
di follia, uno di quei momenti di euforia in cui sei come pazza e credi
che tutto possa succedere. Era troppo bello, in effetti.
C’è stato un bacio vero di cui lei sente ancora il
sapore; conosce l’odore della bocca di Eren come se fosse sua
e ora finalmente ne ha appreso anche il sapore. Ecco, ecco la prova:
impossibile che Eren l’abbia baciata. Che non sia fuggito.
Eccola, la prova che è un sogno. Anche se il contatto delle
loro mani è vero. Il rumore della pentola sul fuoco
è vero. Il sapore, il sapore delle labbra è vero.
Mikasa realizza che
quando gli ha detto “Ti amo”, Eren non ha risposto
“Anch’io”. Anzi, ha detto Mikasa, non si può.
In questo mondo, non si può.
- Io…
Senti, ti chiedo scusa. Scusa, Eren, davvero. Ti ho detto…
Insomma, ho pensato che… Non lo so cosa ho pensato. Non
volevo. Ecco, siediti, facciamo che non è successo niente e
adesso preparo la tavola e…
- Mikasa, adesso
basta. Basta, cazzo, finiscila!
Pietrificata, lei gli
lascia la mano.
Mikasa non riesce a
fare il passo che vorrebbe. Dritto davanti a lei. Verso la porta. Un
passo, due, e tutto questo sarà finito.
Via, deve andare via.
- Eren, scusami. Ho
fatto casino di nuovo. Non dovevo dirlo, va tutto bene, guarda non
è successo niente, puoi sta-
- Non dirmi di stare
tranquillo, hai capito?
Mikasa si lancia in
avanti per scappare da quel disastro, ma Eren si mette tra lei e la
porta, e la prende per le spalle e la guarda negli occhi, e le lacrime
riprendono a scorrere.
- Dove cavolo vai? La
vuoi smettere? Vuoi smettere di proteggermi,
per favore? Io sono uno stronzo, non l’hai
ancora capito? Smettila. Di. Proteggermi.
- Non è
vero.
- Cosa, non
è vero?
- Che sei uno stronzo.
E' stata colpa mia.
- Ma santiddio riesci
a darmi retta una sola volta? Vuoi smetterla di fare mia madre?
Smettila con questo cazzo di scusa
scusa scusa Eren. Vaffanculo Eren, dimmelo, dai. Prova.
"Vaffanculo, Eren". È facile.
- Tu sei matto.
- Sei una stupida.
- Non ti mando
affan…
- Invece dovresti! Mi
stai stufando, hai capito?
- Ma sei
impazzito? Cominci a farmi pa…
- Adesso basta.
Con un guizzo Eren la
prende in braccio e se la butta su una spalla, come lei ha fatto tante
volte quando erano piccoli. Un sacco di patate. E mentre lui borbotta
con la voce ancora di lacrime che
stupida che sei che stupida Mikasa, lei a testa in
giù sulla sua spalla non capisce bene cosa stia succedendo.
Se chiunque altro avesse fatto questo, si sarebbe trovato a terra con
un braccio rotto; e invece ecco Mikasa Ackerman, la guerriera
più forte del genere umano, come un mucchio di stracci a
testa in giù. Un cencio che qualcuno lascia cadere - ma con
delicatezza - sul letto che sta poco lontano dalla stufa, in una nicchia
chiusa da una cortina.
Eren si stende accanto
a lei e la stringe forte. Forte. Più forte.
- Eren...
- Stai zitta, Mikasa.
Per favore.
***
È come se
si fosse rotto qualcosa. Un vaso di vetro, la chiusa di un torrente.
Tutto il contenuto è traboccato. Una porta spalancata in una
notte di tempesta. È qualcosa che erompe, a cui Eren non
dà un nome.
Non è
importante come si chiami: una bestia si è svegliata, un
animale ferito, un lupo che grida con la zampa in una tagliola. La
creatura ferita vuole solo aggrapparsi a Mikasa e che lei stia
lì, senza dire niente, lì e basta e stretta a
lui. L’odore di Mikasa è sapone da bucato, capelli
di seta e aria fresca di montagna. È anche il profumo buono
della zuppa, come quando erano piccoli, l'odore felice della cucina di
casa. Qualcosa di caldo e fresco allo stesso tempo, che scende
giù nella gola di Eren, un groppo che quasi lo
soffoca. Eren deglutisce, è come un gemito spezzato.
-…va tutto
bene?
- Taci, per favore.
Per favore. Così. Non hai paura di me, vero?
Certo,
come no. Potrebbe spezzarmi il collo, stiamo parlando di Mikasa, e
morirei prima di accorgermene. Idiota che sei, Eren Jaeger.
- Non ho paura.
Però mi stai un po’ spaventando. Cosa succede?
- Succede che adesso
io e te parliamo. Ti devo dire delle cose. Ma te le dico
così.
- Così come?
- Così. Qui
vicino.
Mikasa,
Mikasa.
Ripete il suo nome.
Piano. Non sa se lei lo sente oppure no.
E se la tira ancora
più contro, la schiena di Mikasa contro la sua
pancia. Non è così che dormono, loro due: quante
sono le notti che hanno passato vicini, sulla terra nuda o nelle
camerate, nelle tende in missione in inverno, ma mai così,
schiena di Mikasa contro pancia di Eren. Al massimo stavano faccia a
faccia, le ginocchia che si toccavano, oppure era Mikasa che si piegava
sopra di lui, come un guscio, per proteggerlo, mentre lui faceva finta
di dormire. Oh le volte che ha fatto finta di dormire. Qualche volta ha
avuto voglia di girarsi, insomma tutti lo prendevano in giro per questa
cosa di avere sempre Mikasa appiccicata, e lui che non ci combinava mai
niente. Era uno dei motivi per cui Jean non lo poteva soffrire. Aveva
voglia di girarsi a volte, Eren, ma non lo ha fatto mai. E sempre,
c’era sempre Mikasa tra lui e la notte.
Ora ha bisogno di tenerla stretta, di frapporsi lui, Eren, tra Mikasa e
la notte. Il naso nei capelli neri, nell’incavo del collo,
tra la sciarpa, la fottuta sciarpa, e la pelle. Odore di Mikasa e di
pace. Odore del sonno che arriva.
Dio,
come sono stanco.
Si aggrappa a lei
mentre il sonno lo prende, e per favore per favore non scappare. Non
la può perdere senza perdere se stesso, perché
poco fa si è rotto qualcosa. È successo quando
lei ha detto Ti amo.
Eren avverte i muscoli di lei rilassarsi. Aderisce di più,
la accoglie come una conchiglia, una culla, una madre.
Perché non si è mai accorto che Mikasa
è come una bambina? Quando è stanca è
come una bambina. Qualcosa di piccolo e tenero che si lascia andare.
Come gli ha detto, sua madre? Proteggi
Mikasa. La tiene contro il suo ventre. Eren chiude le
braccia e la stringe di più.
- Non ti pesa il mio
braccio? Dai, vieni qui. Così.
- No, va bene. Se va
bene a te. Io... non ce la faccio più. Ho sonno, Eren.
Sono co-così...
I respiri di lei,
ancora, ancora. Ora sono più lenti, e poi più
lenti, e regolari. Li conta, Eren, per addormentarsi.
- Ti
racconterò una storia, Mikasa. Ma adesso dormi, sei stanca e
anch’io non ce la faccio più. Dormiamo.
Dormi, Mikasa.
Te
la racconterò domani.
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