No Longer Flawless, but still human

di Eneri_Mess
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Capitolo 22

The Darkest Night
(Parte 2)





 

Put to rest
What you thought of me
While I clean this slate
With the hands of uncertainty
So let mercy come and wash away

[What I’ve done - Linkin Park]




 

⎯ Non devi scontrarti con Odasaku.

Dazai era conscio di essere ascoltato, nonostante Akutagawa restasse trincerato in un mutismo ostinato. 

⎯ Se lo fai, questa sarà l’ultima volta.

Il Mastino della Port Mafia tenne la trasmittente in mano senza guardarla. Il suo sguardo era focalizzato sull’ascensore davanti a sé, sul numero dei piani che scorrevano sul display, scandendo i secondi. Era da solo, al sessantesimo piano, in una zona ampia, con una hall d’accoglienza e di snodo, avvolto dall’oscurità del blackout, salvo per quelle uniche, blande luci di cortesia dell’ascensore ancora in funzione. 

Ascoltami. 

Riprese Dazai, col sospiro di un ultimo tentativo. 

Hai già sperimentato di cosa è capace. Prevederà ogni tuo attacco e sarà inutile. Morirai. 

Nessuna replica. 

Dall’altra parte, invece, si sentì un sonoro Ahia da parte dell’ex detective. La voce di Chuuya esplose al suo posto, carica di incazzatura. 

Apri bene le orecchie, Cane Rabbioso! Puoi aver smesso di ascoltare questo stronzo di Dazai, ma se io ti do un ordine, tu lo esegui all’istante! Quindi vedi di portare il tuo-

La trasmittente non toccò il pavimento intera. Un fendente nero la divise in quattro e i pezzi toccarono il suolo con un suono inconsistente.

«Temo di non aver colto gli ordini» mormorò Akutagawa al silenzio tombale, restando a fissare le porte dell’ascensore. 

Mancavano dieci piani e Rashoumon iniziò a vibrare. Diversi lembi di stoffa si staccarono dal cappotto, caricandosi di un bagliore rossastro alle spalle del proprio padrone. Scattarono come una mano quando il display segnò cinquantanove. 

Un enorme trambusto spezzò d’improvviso la quiete. La potenza con cui Akutagawa indirizzò la propria bestia attraversò le pareti come fossero cracker, creando una voragine. Detriti e calcinacci piovvero in strada, mentre Rashoumon tratteneva la cabina che tentava di insistere nella salita con fastidiosi stridori spaccatimpani. 

Prima che l’abilità l’avesse vinta e l’ascensore finisse in parte accartocciato e bloccato nel vano dai freni di emergenza, Oda si aprì un varco e rotolò via dalla struttura. La corrente che lo alimentava scintillò dai cavi recisi, esaurendosi in pochi flash prima di interrompersi anche all’interno dell’abitacolo. 

Tre proiettili attraversarono l’aria, ma Akutagawa si difese con una sferzata nera che tagliò lo spazio. 

La quiete calò irreale, mentre il Fantasma Rosso e il Mastino della Port Mafia si fissavano a una distanza di sicurezza che non avrebbe permesso a nessuno dei due di prevalere in un primo attacco. 

Oda sondò l’oscurità circostante e non rinunciò dal tenere sotto tiro il più giovane, anche senza vedere nulla in arrivo. 

«Siamo solo noi due» ci tenne a specificare Akutagawa indolente, con le mani in tasca.

La sera era fresca e un lieve vento spirò dal buco creato nella parete della tromba dell’ascensore. Nonostante fossero al sessantesimo piano, il tramestio alla base del palazzo arrivò alle loro orecchie in un sottofondo ruggente, ma non conquistò la loro attenzione. 

«Tu vuoi salire e trovare il Boss, ma non succederà.» 

Un colpo di tosse interruppe Akutagawa. L’altro non ne approfittò, attendendo il resto del discorso. Il ragazzo tornò a guardarlo fisso. 

«Dazai-san non vuole che io combatta contro di te.» 

La sua fronte si corrugò. 

«Jinko vorrebbe che tutti si salvassero, compreso te. L’ordine del Boss è di catturarti vivo» il suo tono si venò appena di qualcosa che nemmeno lui seppe definire, tra l’irragionevole e la fermezza. «Tutti vogliono qualcosa.» 

«Tu cosa vuoi?» 

Akutagawa raddrizzò le spalle, facendo scivolare le mani fuori dalle tasche.

«Voglio essere forte.»

Si accigliò e nel suo sguardo non c’era più l’avversario, non quello reale e presente, ma un altro senza più forma, creato da quelle sensazioni nuove che da giorni stavano riempiendo anni di vuoti e odio stantio.  

«Voglio che Jinko la smetta di essere un idealista» sibilò, neanche lo stesse dicendo in faccia all’oggetto dei suoi pensieri. Tornò a fissare il Fantasma Rosso

«Voglio fermarti qui e ora.»

Oda abbassò l’arma. 

«Ma non mi stai attaccando. Perché?»

I secondi scivolarono l’uno dietro l’altro senza alcuna presenza di un futuro imminente. Akutagawa lo ignorò, concentrato su un filo che lo stava portando indietro. 

«Quattro anni fa mi hai salvato la vita» sputò con un astio mai risolto, senza alcuna ombra di gratitudine. «Non te lo avevo chiesto, ma tu lo hai fatto per Dazai-san. Io volevo misurarmi con te e dimostrargli di essere forte.» 

Non ci furono repliche, non subito. Dalla figura dell’ex tuttofare non si riuscì a dedurre sentimenti o pensieri, ma la sua rigida immobilità restituì l’idea che stesse assorbendo quelle parole con lentezza. 

«Sono qui» lo invitò alla fine, così profondo che persino il cremisi della maschera dietro cui si celava parve diventare nero. 

Un movimento colse la sua attenzione e scattò con la testa di lato. Dalle ombre vide qualcosa muoversi, serpeggiare con indolenza e andare a ricoprire le poche zone di penombra. La minaccia andò tessendosi striscia di stoffa dopo striscia di stoffa, ma senza disturbare la veglia di Flawless. 

Non ancora. 

«Rilassanti.»

Akutagawa richiamò il suo sguardo su di sé. 

«Non ti attaccherò a sorpresa.»

Le finestre vennero oscurate come se delle tende pesanti fossero state tirate su di esse. Gli unici punti luce restarono quelli delle insegne di emergenza, a colorare fiocamente i loro profili di verde. 

«Sono molto fortunato» ricominciò il Mastino dopo un breve colpo di tosse, mentre la sua opera continuava. «Ho incontrato diversi utilizzatori di abilità forti, ma tu hai qualcosa di diverso. Se ti battessi… dovrei sentirmi soddisfatto.» Non fece nulla per mascherare il proprio disappunto, accigliandosi. «Ma sarebbe una menzogna.»

«Perché non sono io l’avversario con cui desideri confrontarti.»

Akutagawa distolse l’attenzione, abbassando lo sguardo sul proprio palmo diafano. Sorrise appena, lasciando sbocciare l’ennesima consapevolezza. 

«… se Jinko mettesse da parte i suoi sentimentalismi sarebbe capace di battere anche te. Per questo voglio superarlo.»

Il giustiziere sospirò appena, raddrizzando le spalle. 

«Io sono soltanto una deviazione sulla tua strada.» 

«Tu sei una questione in sospeso» lo corresse Akutagawa, tornando a guardarlo. «Jinko non potrà mai salvare tutti e Dazai-san morirà nel tentativo di salvare te.» Sgranò lo sguardo e serrò i pugni. 

«Tu però non li raggiungerai.»

I lembi di stoffa intorno a loro si arrestarono di colpo, tendendosi e formando un ambiente chiuso, claustrofobico, una caverna nera. L’intera hall ne era ricoperta, senza lasciare spiragli o vie di fuga. Il bagliore verde delle luci di emergenza fu sostituito da quello rosso e innaturale di Rashoumon

Lentamente Oda tornò in posizione di attacco, ma lasciando intendere che il la lo avrebbe avuto il proprio avversario. Tuttavia, Akutagawa non aveva finito. 

Il cappotto nero iniziò a sfaldarsi, attirando l’attenzione del Fantasma Rosso, che ne seguì i movimenti con circospezione. Questo si divise in lunghe fasce, strisciando via dal proprio padrone per riassemblarsi al suo fianco, creando una figura umanoide. 

Tenma Tengai, la sua armatura demoniaca, prese vita propria. 

«Tra qualche secondo la tua abilità scorgerà il mio attacco.»

Akutagawa ruppe il silenzio con voce piana, concentrato e immobile. 

«Sarà qualcosa di nuovo anche per me» ghignò e il tempo si dilatò un ultimo istante. Il bianco candido della sua camicia vittoriana brillò fulgido, leggiadra come una medusa sospesa nelle profondità più oscure del mare. 

Odasaku lo vide attaccare. 


* * *



 

«Quell’imbecille!»

Chuuya scardinò con un calcio una porta tagliafuoco, accedendo alle scale di emergenza. L’insulto riecheggiò per tutta la tromba delle scale, esaurendosi nel vuoto. Dietro di lui, Dazai lo seguì tenendo il passo. 

«Datti una calmata, Lumaca. Stai aggiungendo spese inutili all’ammontare di danni che abbiamo stimato per questa notte.»

«Si fottano i danni!» sbottò il rosso, saltando gli ultimi gradini di una rampa e passando alla successiva. «Quel mollusco senza cervello si farà ammazzare per il suo stupido orgoglio!» 

«Ha parlato quello che si batte per altruismo» lo canzonò Dazai. 

Chuuya lasciò delle crepe sui successivi gradini ringhiando epiteti e costringendo Dazai a superarli con un balzo per non inciamparci. 

Erano quasi giunti al nascondiglio del Boss quando avevano ascoltato la voce flebile e sconfitta di Kouyou comunicare la salita di Oda. La risposta di Akutagawa era stata del tutto imprevista. Il piano originale aveva subito una battuta d’arresto per quel fuori programma, costringendo il Duo Nero a ridiscendere i piani il più in fretta possibile. 

«Perché cazzo hai detto ad Akutagawa di andare al sessantesimo!?»

«Non gliel’ho detto.» 

Chuuya si bloccò di colpo e Dazai andò a sbattergli contro la schiena, rischiando di farli finire entrambi in terra. I riflessi del rosso furono più rapidi. 

«Allora perché diavolo sta lì!?» 

Il viso corrucciato, l’ex detective si massaggiò il petto dove la testa dura del partner aveva battuto. 

«Intuizione? Anche se non sembra un cervello ce l’ha» sbuffò stanco. «Possiamo parlare mentre continuiamo a scendere? Stiamo sprecando tempo e abbiamo ancora venti piani prima di un ascensore funzionante.»

«Merda» replicò Chuuya, ma senza perdere altri secondi preziosi. «Perché sono partiti i generatori ausiliari solo del settore b!?» 

«Ottima domanda» si limitò a rispondere Dazai. Osservò la reazione di Chuuya, i suoi sforzi nel non distruggere altro mentre correvano e tutta la preoccupazione che traspariva dalla sua incazzatura. Nulla fuori posto.    

«Pensi che sia entrato dai sotterranei a questo punto?» continuò il rosso, troppo preso dalla discesa per calcolare quegli occhi che lo squadravano.

«A questo punto sarebbe l’ipotesi più plausibile.»

«Quello stronzo di Verlaine non avrà mosso un dito! Figuriamoci!»

Dazai non gli diede seguito, attirandosi un’occhiata fugace dal partner. 

«Ohi Sgombro, che è quella faccia?»

«Non credo che Verlaine sia rimasto in disparte.»

Chuuya fu sul punto di bloccarsi di nuovo, ma l’altro lo perforò con un’occhiata.

«Continua a scendere» gli intimò. I minuti non erano dalla loro. 

La Lumaca si sfogò di nuovo contro la porta che li separava dal piano che serviva loro, facendola volare nella hall vuota e fino a quel momento silenziosa. Non persero tempo e corsero alla consolle degli ascensori funzionanti. Fu Dazai a prenotare la loro discesa, avvertendo le emanazioni irritate del rosso che non riusciva a fare pace con i propri pensieri. 

«Non farmelo ripetere» mormorò l’ex detective, afferrandolo per un polso. Qualsiasi fremito sottopelle dato dalla gravità sparì come una doccia fredda sarebbe stata in grado di raffreddare la mente.  

«Devo stare calmo» masticò il partner. In un altro momento si sarebbe scrollato la presa di dosso, ma l’effetto calmante, anestetizzante, sulla rabbia amplificata dall’Arahabaki lo aiutò. Prese delle boccate lente, ascoltando i polmoni bisognosi di aria, ma si diede anche uno schiaffo sulla guancia per tornare completamente padrone di sé. 

«Odio quando hanno l’insolenza di entrarci in casa e creare scompiglio.»

Dazai tenne per sé una piccola risata, quasi intenerita, e si concentrò ancora sui numeri. Era un conto alla rovescia e non solo per raggiungere Akutagawa e sperare di trovarlo vivo. 

Odasaku era di nuovo vicino

Era dallo scontro al Porto Vecchio che non si trovavano faccia a faccia. Le cose non sarebbero potute riandare alla stessa maniera. Non ci sarebbero più state altre occasioni. 

Anche se Akutagawa da Cavallo si era evoluto ad Alfiere e aveva fatto di testa sua, il resto della scacchiera avrebbe dovuto continuare a seguire il suo schema. 

Con la coda dell’occhio Dazai adocchiò Chuuya. 

Lo scontro tra Regine era appena stato anticipato, ma che si fosse svolto al sessantesimo piano o al centosettantesimo non avrebbe fatto alcuna differenza. L’esito sarebbe stato solo uno. 

«Verlaine…» 

Chuuya lo tirò via dalla sua scacchiera immaginaria. L’ex detective lo teneva ancora per il polso e nessuno dei due si scostò. 

«E Ane-san. Quel coglione di Kajii e ora anche Akutagawa…» elencò il rosso, la voce carica e incrinata di un nervosismo denso e iracondo. «Tu credi davvero che riusciremo a catturarlo vivo?» 

Perché io ti giuro voglio ammazzarlo, era il sottotesto inespresso. 

Il dubbio di Chuuya era sempre più congruo alla realtà dei fatti. Dazai tacque, mentre i suoi occhi seguivano la linea di luce che, con lentezza, riempì lo spiraglio tra le porte dell’ascensore, annunciandone l’arrivo. 

«Ho un piano.» 

Resisti ancora un po’.

«Fidati di me, partner.» 


* * *



 

I polmoni di Akutagawa erano in fiamme. 

L’enorme teatro di Rashoumon a cui aveva dato vita continuò a risucchiargli ogni briciolo di energia, consumando i suoi sforzi più rapidamente di qualsiasi altro passato attacco. Tuttavia, stava funzionando. 

Il Fantasma Rosso era in difficoltà. Nonostante le visioni, come un film su cui aveva un vantaggio notevole nel vedere le scene prima che arrivassero, Oda non aveva ancora avuto la meglio o un’occasione reale per ucciderlo. 

Tenma Tengai portava pesanti segni dei suoi attacchi, ma si ergeva con una fierezza degna del suo padrone. Intorno a loro, il gomitolo cavo creato da Rashoumon, che ricopriva buona parte della hall, non si era sfaldato di un millimetro, permettendo un raggio d’azione a trecentosessanta gradi. 

Posso batterlo era il martellante pensiero di Akutagawa tra le tempie. 

L’occasione era lì, a portata di dita, a patto che il suo petto non avesse ceduto prima. Aveva la camicia imbrattata, solo in parte dovuta a ferite superficiali. Tossì, si raschiò la gola, lasciò che il sangue gli gocciolasse dai lati della bocca, ignorando il dolore come non fosse suo, ma appartenuto a qualcun altro.  

Fermare Oda era l’unico obiettivo che contava. Sarebbe stato un passo avanti a Jinko. Avrebbe impedito al proprio maestro di compiere gesti avventati. 

Posso batterlo.

Posso batterlo.

Posso batterlo.

Fece un passo traballante, ma al contempo serrò il pugno e una sequenza di fendenti neri si scagliò all’inseguimento di Oda, chiudendogli le vie di fuga. 

L’uomo tentò di mirare a lui. Akutagawa era conscio di essere il punto debole della propria giostra, ma anche con un caricatore di proiettili in corpo avrebbe resistito finché uno dei suoi serpenti neri non avesse raggiunto la gola del suo avversario. 

«Non sottovalutarmi!»

Come zampe di ragno, la stoffa della sua camicia si animò per proteggerlo. Tenma Tengai si lanciò all’attacco e questo diede tempo al Mastino della Port Mafia di riempirsi di nuovo i polmoni con sofferenza. Scosse la testa quando la vista gli si annebbiò e perse la prospettiva della situazione per qualche istante. 

Era una questione di resistenza. 

Nella malavita, i tentativi ti uccidono o rimangono come cicatrici sul tuo corpo. Esiste solo il riuscire, il portare a termine un obiettivo. O la morte, perché la vergogna è un fardello pesante.

Akutagawa ricordò la sensazione di aver pensato quelle parole di fronte ai tentativi di Jinko. Strinse i denti, ringhiando per un pensiero intrusivo ed inutile. 

Se lui fosse qui.

Scagliò Rashoumon senza alcuna riserva. Ruggì, anche senza fiato. 

Non ho più tempo. 

Oda reagì. Si lanciò in avanti sulla scia dello stesso pensiero. 

Senza luce, se non i bagliori rossastri dell’abilità, le ombre inghiottirono i movimenti e tutto fu confuso. 

Akutagawa si mosse, ma la sua debolezza si impose, rallentandolo, impantanandolo. Lo scintillio di una delle pistole assorbì la sua attenzione, lo mise in allarme, osservandone la canna puntare contro il ginocchio. 

Fu una sequenza disastrosa. 

Con la concentrazione provata dalla stanchezza, il Mastino indirizzò ogni energia - insieme al Rashoumon Bianco - soltanto a quel pericolo e l’istinto lo avvertì troppo tardi di un’altra minaccia. 

Una seconda pistola puntò al suo petto e il ragazzo non riuscì a scansare il proiettile così a bruciapelo. Sacrificò la spalla. 

«La tua abilità è forte, ma in un combattimento ravvicinato e duraturo la tua mancanza di forza fisica è uno svantaggio per la resistenza.»

Oda fu lapidario e schietto, come lo fu nel riprendere la mira per terminare ciò che aveva iniziato. 

Il bisogno di rivalsa scoppiò in Akutagawa alimentato dal dolore. Il suo urlo feroce, quello della bestia messa all’angolo, fu un ordine e la sua abilità si scagliò come un torrente nero sul Fantasma Rosso

«Sei… mio» rantolò vittorioso, nonostante fosse lui quello quasi in ginocchio. 

I lembi di Rashoumon deviarono gli spari e attanagliarono gli arti di Oda, creando in pochi secondi una ragnatela tesa e salda.  

La situazione si fermò. 

Come un treno in corsa a cui era stato tirato il freno d’emergenza, l’aria stessa parve oscillare fino a immobilizzarsi e riportare il silenzio. Un silenzio in cui rimbombò l’ansito sfinito di Akutagawa. Il suo sguardo era vacuo, nonostante lo tenesse fisso sull’avversario, diventato una figura sbiadita e senza bordi netti, quasi più un’idea da tenere assoggettata. 

«Sei forte.» Oda glielo riconobbe con uno sforzo dovuto ai polmoni compressi. «Non hai altro da dimostrare.»

«Da… Dazai-san…» sussurrò il Mastino, astratto dalla realtà. Nonostante la sua mente stesse scivolando nelle illusioni dettate dal suo orgoglio, la presa di Rashoumon non ne subì gli effetti. Tenma Tengai, ridotta quasi alla metà, stette al suo fianco, a riposo, come un generale in attesa di ordini. 

Ciò di cui però Akutagawa non si accorse fu come la stoffa nera intorno alla tuta di Odasaku si stesse dissolvendo con lentezza. Senza rumore, senza scintillii. Era come se, millimetro dopo millimetro, stesse scomparendo. 

La presa intorno al petto si allentò, consentendo a Oda di prendere un respiro meno strozzato. Qualche istante ancora e riuscì ad acquisire un minimo di mobilità, anche sotto lo sguardo fisso, ma slavato, del suo opponente. 

«Akutagawa Ryuunosuke» lo chiamò con rispetto, mentre riprendeva la mobilità del braccio e lo portava all’altezza giusta. Quella in cui la canna della pistola era in linea con la fronte del ragazzo. 

«Sei un avversario contro cui non vorrei difendermi di nuovo.» 

Il mafioso fu scosso da un colpo di tosse e versò nuovo sangue, riprendendo i contatti con la realtà, ma troppo lentamente per potersi difendere. 

Fu una visione a farlo. A impedire che Oda facesse pressione sul grilletto. 

Avrebbe potuto sparare, ma i nove secondi di vantaggio gli servirono per districarsi dai lembi che ancora lo trattenevano e poter usare il braccio prostetico come scudo. 

Attraverso gli spiragli non più serrati della barriera creata da Rashoumon, una scarica di proiettili puntò al Fantasma Rosso, cozzando contro il metallo della protesi e prendendolo di striscio dove non riuscì a difendersi. 

«Akutagawa-senpai! Si metta al riparo!»

Tra gli spazi delle fasce di stoffa, prede di spasmi a causa del controllo sempre più fiacco del suo padrone, si intravide Higuchi Ichiyo. Al suo fianco la figura di Gin era in posizione, pronta a scattare.

Sopraggiunsero altri spari a tappeto e Oda si parò ancora, in parte riparato anche grazie a Rashoumon stesso. Il giustiziere puntò l’arma a sua volta, ma Akutagawa strinse i denti e serrò le maglie della propria abilità. 

«Andatevene! Subito!» urlò perentorio, raschiandosi la gola e cercando di tornare padrone di sé, ma il suo demone nero continuò a disfarsi come un castello di carte. 

Gin comprese per prima la gravità e afferrò Higuchi per un braccio, ma non ci fu verso di muoverla. La donna continuò a sparare colpo dopo colpo, ignorando i proiettili di avvertimento che la raggiunsero graffiandole braccia e guance. 

Oda non si lasciò scalfire da quella furia senza giudizio. Vedendo arrivare ognuno di quei colpi con largo anticipo, fece il minimo sforzo per evitarli, mentre la mano libera cambiava pistola. 

Il futuro nella sua mente era silenzioso e scorreva senza sbavature. 

Ancora sei colpi e la donna avrebbe dovuto ricaricare e sarebbe stata vulnerabile.

Akutagawa lo avrebbe attaccato di nuovo, una volta rivestitosi con la sua bestia nera. 

Si accorse anche di un fulmine nero, ma il tempo per per prevedere scadde. 

Gli servì lo spazio di un respiro per agire. 

Le pistole di Higuchi cliccarono due volte a vuoto e lui scattò. Sparò e la colpì a una delle mani, disarmandola, e poi due volte alla coscia, obbligandola a piegarsi e accucciarsi per il dolore. Nello stesso momento, l’ex tuttofare afferrò dalla fondina sulla schiena l’arma a risonanza direzionale e la puntò in faccia ad Akutagawa. 

Non c’era modo per Rashoumon di tagliare lo spazio ed evitargli quel colpo. Il dubbio che funzionasse era un’altra variabile che non aveva tempo per essere anche solo preso in considerazione. 

Il Mastino finì a terra con un urlo animalesco che riverberò nell’intera hall. Qualsiasi residuo della sua abilità cadde a terra, dimenandosi come tanti serpentelli neri e ciechi per poi sparire. 

«Akutagawa-senpai!» gridò Higuchi, incurante di essere ancora nel mirino di Oda, ma quel fulmine nero, ignorato nella visione, la salvò da un colpo fatale. 

Gin scattò con una rapidità che colse alla sprovvista persino Flawless. I sensi del giustiziere erano troppo tesi a seguirla per concentrarsi sulla visione. Il dolore arrivò a intermittenza, fastidioso, per ogni fendente di lama che lei riuscì a infliggergli nel roteargli attorno come il vento ciclico e sferzante di un uragano. 

Ignorando la propria abilità per fronteggiarla, Oda trovò un’apertura quando la lama del pugnale di Gin cozzò contro il braccio metallico, rallentandola nel ritmo. Questo gli concesse uno spiraglio minimo per serrare l’arma e spezzarla con le dita meccaniche. L’esitazione nel tirarsi indietro giocò a sfavore dell’assassina. 

L’uomo la afferrò per il collo rovesciandola schiena a terra e facendole cadere quel che rimaneva del pugnale. Gin lottò contro la presa senza darsi per vinta. Tentò di riarmarsi, ma il giustiziere le limitò i movimenti del busto. Provò a scalciare, ma fu come colpire un tronco. La stretta soffocante si chiuse inesorabile come una morsa idraulica, rendendo i suoi gemiti sempre più versi gorgoglianti nel silenzio graffiato dai rantoli doloranti di suo fratello e Higuchi. 

«Gin-chan, pronta a prendere un bel respiro?»

Oda si paralizzò. Prima di poter reagire alla voce alle sue spalle, il fiato gli si bloccò in gola per un dolore acuto e improvviso al fianco. La sua abilità non rispose, restando uno schermo bianco senza visioni, nonostante la realtà stesse accadendo. La presa sul collo della ragazza si allentò, permettendole di svincolarsi. 

Alle spalle del Fantasma Rosso c’era il Demone Prodigio. Le dita di Dazai insistettero nello spingere più a fondo i pochi centimetri della lama spezzata appartenuta a Gin, raccolta da terra nell’angolo cieco che No Longer Human aveva di nuovo creato in Flawless

Oda scattò con una gomitata per liberarsi di Dazai, ma l’ex detective evitò il colpo avendolo previsto a propria volta. Si portò davanti a lui - rendendo lo spazio a dividerli così poco che il giustiziere si ritrovò di nuovo disorientato. 

Si guardarono negli occhi, nonostante la maschera, finché la mano con cui Dazai aveva continuato a toccarlo per tutto il tempo non si allontanò di colpo. Il Dirigente si tuffò su Gin, costringendola con la testa a terra. 

La visione non fu abbastanza rapida dopo il tocco gelido di No Longer Human

«Questo è per Ane-san, stronzo!»

Chuuya apparve dalle ombre con un calcio alto, baluginando di luce rossastra. Colpì Oda così forte e alla sprovvista che la tuta attutì la gravità per una frazione minima, non risparmiandogli l’essere scagliato dall’altra parte della hall, sfondando il muro e finendo nella stanza adiacente. 

«Tieni la guardia alta, Lumaca» ordinò Dazai, aiutando Gin a rialzarsi e ispezionandole il collo. 

«Non sottolineare l’ovvio!» abbaiò piccato il partner, mantenendo attiva la gravità mentre passava lo sguardo dal punto dove aveva fatto volare Oda alle proprie spalle. «Cazzo» si lasciò sfuggire, quando vide qualcosa che non gli piacque. «Controlla che quell’imbecille di Akutagawa si regga ancora in piedi!»

«Non sottolineare l’ovvio» gli fece il verso Dazai. 

Il Mastino della Port Mafia era piegato su se stesso, un grumo tremante di rantoli, stoffa strappata e sangue. Higuchi, al suo fianco, continuò a chiamarlo tra un singhiozzo e l’altro, cercando di scrollarlo. 

«Non reagisce!» disse con voce rotta, quando Dazai si avvicinò. «Che cosa gli ha fatto!?»

L’ex detective appoggiò una mano in mezzo alle scapole del ragazzo senza fare pressione. 

«Akutagawa, ascoltami» si abbassò su di lui, scrutando le sue ferite e spostando con delicatezza la mano sulla sua spalla. «Ti farò male adesso. Concentrati su questo dolore.»

Nel dirlo, premette senza esitazioni il pollice nel foro lasciato dal proiettile. Il giovane urlò, buttando fuori tutta l’aria residua nei polmoni e facendo sobbalzare il resto del gruppo. 

«Che cazzo gli stai facendo!?» sbraitò Chuuya. 

«Non distrarti» intimò Dazai, ignorandolo mentre permetteva ad Akutagawa di aggrapparsi alle sue braccia per prendere forti boccate d’aria. Il suo sguardo era meno vago, ma non ancora lucido. 

«Continua a concentrarti sul dolore» gli sussurrò serio l’ex detective, infierendo di nuovo contro la ferita. Il ragazzo conficcò le dita nelle braccia del suo maestro e ingoiò un nuovo urlo, digrignando i denti così forte che se li sarebbe potuti spezzare. 

«La smetta! La prego, basta!» strepitò Higuchi disperata, senza badare a Gin, intenta a fasciarle le ferite alla coscia, e tirando invece Dazai per una manica. 

«È l’unico modo per farlo riprendere il prima possibile» spiegò l’ex detective, osservando le reazioni del Mastino. «Appena starà in piedi dovrete andarvene. Subito.»

Come se il monito del Dirigente non fosse stato abbastanza a sottolineare la criticità della situazione, ci pensarono lo scoppio di diversi spari. 

«Merda.» 

Chuuya si lasciò scappare l’imprecazione nonostante fosse pronto, teso per quell’attimo, e non fu colto impreparato. Intercettò ognuno dei proiettili ed evitò che questi andassero a segno contro il partner e gli altri. 

«Dazai! Dovete levare le tende!» 

Rispedì i colpi nella voragine di buio che era la seconda stanza. Non riusciva a vedere nulla e andò alla cieca con la mira. Per lunghi istanti non accadde nulla, facendo nascere il dubbio che un colpo fosse andato a segno. 

Poi qualcosa volò nella loro direzione. La luce proveniente dalle vetrate ne delineò fiocamente il profilo.

«Granata!» avvertì Gin. 

In un secondo, Chuuya constatò di essere fuori portata e che non l’avrebbe mai raggiunta in tempo per limitarne i danni. Si parò il viso con le braccia, ma vide anche Oda emergere dalla stanza con le pistole alte. 

«Sasso sul lago, Sgombro!»

Dazai tirò a sé Gin e Higuchi, accucciandosi su Akutagawa, preparandosi all’impatto. 

Il rosso batté il piede sul pavimento una frazione di secondo prima che la granata toccasse il suolo. Una luce accecante sfondò l’oscurità e la gravità sconquassò il piano, rendendolo instabile. Le onde d’urto si mitigarono scontrandosi con No Longer Human, ma tutto intorno le crepe attraversarono il marmo come le fratture di un terremoto. Il giustiziere si trovò a balzare indietro, di nuovo all’interno della stanza buia.

Per pochi attimi, ciò che successe al sessantesimo si avvertì in tutto il palazzo. Scricchiolii, cigolii, la voce cupa dei materiali che venivano forzati oltre la loro posizione originaria per attutire e assorbire le onde come in un terremoto. Chiunque fosse nella struttura realizzò cosa si stesse consumando.   

«Questo è lo scenario peggiore…» sibilò Dazai, tornando ad alzare la testa. Chuuya era già in movimento, insieme a diversi detriti vorticanti come satelliti intorno a lui. «Pecora bendata, Lumaca!»

«Che cazzo credi stia facendo!?» sbottò il partner, lanciandosi in picchiata contro il muro sfondato della stanza dove aveva fatto retrocere Oda. Le macerie fluttuanti lo seguirono, depositandosi le une sulle altre sul varco, fino a chiuderlo. 

Nella hall calò un silenzio surreale, mentre da oltre il muro si avvertivano soltanto i rumori del nuovo scontro. 

«Che cosa…» Higuchi faticò a mettere insieme le parole, realizzando con lentezza gli avvenimenti dell’ultimo minuto. «… Chuuya-san starà bene?» ebbe timore a chiedere, scossa come se il tremore della struttura non si fosse fermato. 

Dazai restò a fissare quel buco chiuso alla peggio per dividerli dal pericolo ed impedire di trasformarli in bersagli. La gravità baluginava ancora fiocamente come collante. 

«Questa volta siamo preparati» disse atono. «Ma sarà solo un palliativo.» 

Abbassò l’attenzione su Akutagawa. 

«Sei stato colpito una volta sola, ma sei allo stremo. Non può succedere di nuovo o non reggerai» dicendolo, spostò lo sguardo sulle due. «Aiutatelo. Dovete andare.»

Il Mastino ringhiò, barcollando per mettersi in piedi. 

«Perché diavolo… siete salite quassù!?» latrò, conficcandosi poi le dita nelle tempie come se ogni parola fosse appena rimbombata alla stregua di piccole esplosioni. 

«Stava per ucciderla!» si giustificò Higuchi, irremovibile dalle proprie convinzioni. Zoppicò per portarsi al fianco del ragazzo, ma non si azzardò a sfiorarlo. «Se non fossimo arrivate in tempo…!»

«Lo avete salvato» sospirò Dazai, alzandosi e reggendo Akutagawa quando finì col perdere l’equilibrio. «Ma questo non toglie che siate nel torto tutti quanti. Ne discuterete strada facendo. Qui ce ne occupiamo io e Chuuya.»

Ci fu soltanto un grido incomprensibile ad annunciare il nuovo pericolo. Mettersi in guardia non servì. 

Il muro della hall fu sfondato dall’ennesima esplosione, a cui ne seguì una seconda in prossimità del perimetro del palazzo. I frammenti delle vetrate piovvero ovunque, costringendo il quartetto a pararsi testa e viso, limitando la visuale. 

Tra fumo e detriti, Dazai colse un movimento fulmineo approssimarsi. Tutto rallentò. 

Oda venne verso di loro dal nuovo varco nella parete. In mano stringeva la pistola a risonanza. In un battito di cuore, l’ex detective si parò di fronte ad Akutagawa, urtandolo.

Il gesto repentino di Dazai evitò un secondo colpo diretto, ma le vibrazioni dell’arma si fecero sentire anche in mezzo ai calcinacci che continuavano a piovere. L’equilibrio non giocò a loro favore e ruzzolarono entrambi in terra, alla mercé di un secondo attacco. 

Gin tentò di impedirlo. Armata di altri due pugnali, si mosse con la stessa rapidità del vento, mirando audacemente al collo del giustiziere. 

«Bastardo!» sibilò Higuchi, anche lei con un’arma di scorta, puntata per colpirlo all’addome.  

Fu di nuovo un film già visto

Oda si tese in avanti, evitando il fendente dell’assassina che avrebbe dovuto colpirlo alla giugolare, e parando il proiettile destinato al suo fegato con la mano metallica. Questo scalfì appena il palmo e venne deviato verso il pavimento. 

Come se Higuchi fosse stata niente più di un rametto, il giustiziere la afferrò per il braccio e roteò su di sé, mandandola a sbattere contro Gin. L’impatto tolse loro il fiato, ma fu più fastidioso che doloroso, a differenza del calcio che seguì e che le falciò entrambe. Le due vennero proiettate contro le vetrate distrutte, finendo oltre il bordo. 

Nel vuoto. 



 

L’aria smise di riempire i polmoni di Akutagawa. 

I rumori sparirono di colpo, come la distruzione circostante. Se qualcuno urlò, che fosse lui stesso o qualcun altro, non lo distinse. 

Ancora l’uno sopra l’altro per via della caduta, Dazai si scostò da lui rotolando in terra. Rashoumon esplose dalla schiena del Mastino mentre si affannava a raggiungere il bordo e guardava giù, riempiendosi gli occhi di quella caduta. 

Nello stesso battito di ciglia, un lampo rosso sfrecciò fuori dal polverone, sopra le loro teste, per buttarsi poi in picchiata. 

La definizione di secondi si dilatò, bloccando le lancette di qualsiasi orologio stesse ticchettando in quel momento. 

Dazai si mosse in quegli attimi frazionati, strozzato da un presentimento.

Erano scoperti. 

Chuuya era fuori portata. Akutagawa sarebbe morto prima di accorgersi di qualsiasi pericolo, totalmente assorbito dal salvataggio della sorella. 

Oda aveva campo libero. 

L’ex detective lo realizzò nel voltarsi e incespicare nel mettersi in piedi per rincorrerlo. E bloccarsi a metà della hall.  

Nell’aria c’era ancora del pulviscolo bianco dovuto ai muri esplosi; aleggiava, creando una patina sulla scena. La fine di un sogno alle soglie di un bagno di realtà. 

Il Fantasma Rosso era agli ascensori, davanti all’unico rimasto funzionante. Ancora una volta, la pistola fu puntata contro Dazai. Non fu però quella minaccia a far sgranare lo sguardo all’ex detective. 

Le porte della cabina si aprirono e la luce rese il giustiziere un’ombra nera dai contorni rossastri. Una terza granata era nella sua mano libera. 

Smettila, Odasaku. Ci hai già sconfitti.

Io non sono Odasaku.

«Non farlo.»

Il sussurro deluso di Dazai non lo raggiunse. Né per la distanza né per la volontà di essere ascoltato. La sicura metallica tintinnò cadendo a terra. 

Il tempo a disposizione per il sessantesimo piano si era esaurito. 



 

Chuuya appoggiò i piedi in quel che restava della hall. Le gambe gli tremarono per la rabbia, lo sforzo e una vena di panico. Lasciò Higuchi ad accasciarsi per terra e si guardò intorno.  Lo sguardo scattò tra le macerie che coinvolgevano tre piani. 

«… dov’è Dazai?»

Non distante, scostandosi dall’abbraccio con la sorella sotto shock, Akutagawa riacquistò i contatti con la realtà e si mise in piedi barcollante, respirando in maniera così scoordinata da fare male a sentirlo.

«Da… Dazai-san!» tentò, prima di ritrovarsi a tossire violentemente. Questo non gli impedì di avvicinarsi ai resti della stanza, iniziando a spostare i detriti. «… Dazai-san!» 

Tra gravità e Rashoumon si misero a cercare in quel nuovo vuoto di rumori, con la notte alle spalle che si era imposta anche sul chiasso ai piedi del palazzo, mettendo un veto di silenzio sul trambusto dello scontro.

Il suono indistinto di qualcosa di vivo attirò l’attenzione del Dirigente e del Mastino. 

«Cristo… pure la morte ti schifa» commentò Chuuya con sollievo, individuando il punto dove Dazai stava tossendo e sollevando con più rapidità i pezzi di cemento e i calcinacci. 

«Ma non mi risparmia i lividi» bofonchiò l’ex detective. «Usa un po’ di delicatezza Lumaca, è tutto in bilico qui.»

Una volta fuori, Dazai fu il primo a sedersi per riprendere fiato e massaggiarsi con cautela dove aveva sbattuto, constatando i danni. Il rosso gli tastò la testa dove vide i capelli umidi di sangue e il partner fece una smorfia, ritraendosi. Chuuya si incupì.

«Non fare quella faccia» lo riprese il partner, tentando di spolverarsi il completo neto. «Come se non mi avessi mai disseppellito vivo. Sto meglio di altre volte. Non mi sono rotto nulla.»

«Devi-»

Dazai lo interruppe poggiandogli un dito sulle labbra. 

«Odasaku ha preso l’ascensore. Dobbiamo salire.»

Nessuno parlò, come se sertire quel nome rimarcasse nell’orgoglio la sconfitta totale. 

«Merda» sbottò Chuuya, recuperando un po’ di verve, per quanto sbiadita, passandosi una mano tra i capelli con frustrazione. «In cinque non siamo riusciti a fermarlo, cazzo!» 

L’ex detective non vi diede peso, frugandosi in tasca ma uscendone a mani vuote con un’altra smorfia. 

«Ho perso la trasmittente. Non possiamo avvertire Mori-san.» 

Il rosso si mosse nel piccolo spazio circoscritto che era rimasto agibile del sessantesimo piano. Da un lato c’era il baratro, dall’altro solo distruzione. 

«Devo raggiungere il Boss» sancì e provò anche a muoversi verso il bordo per prendere la via più veloce, ma Dazai lo afferrò per il polso. 

«Due piani più su c’è quel vecchio montacarichi del settore b. È lento, ma possiamo prendere quello fino all'ascensore privato d’emergenza. Andiamo?»

Per quanto l’avesse posta come una proposta, Chuuya fu conscio di non potergli dire di no. Tuttavia, restò combattuto. In volo ci avrebbe messo un attimo, ma avrebbe significato lasciare indietro Dazai. L’equilibrio tra di loro era più stabile come non lo era mai stato per sette anni, eppure le decisioni sembravano ancora più macchiate, più stringenti. Lasciare lo Sgombro indietro significava renderlo imprevedibile, perché avrebbe fatto di tutto per arrivare da Odasaku e una parte di lui premeva per tenerlo d’occhio. 

Posso fidarmi di te, Dazai?

Alla fine lo farai comunque.

«Mori-san e Fukuzawa-san resisteranno finché non arriveremo» lo rassicurò Dazai, leggendogli i dubbi in viso. Accennò qualcosa come un ghigno, stringendosi nelle spalle. «Sono un Duo Nero anche loro, con qualche anno di più.»

Chuuya non ebbe spazio per dubitarne, non con la cognizione sempre più pressante che si stessero avvicinando al climax della notte. 

«Direi che puoi spostare questi grossi blocchi crollati e improvvisare una scala, sempre che il peso non ci faccia sprofondare» stava intanto riflettendo l’ex detective a voce alta, constatando la situazione e come poter arrivare al piano superiore. 

«D-Dazai-san…»

Akutagawa ripalesò la propria presenza, rimettendosi in piedi nonostante l’equilibrio non sembrasse più appartenergli. 

«Posso… aiutare…»

L’occhiata che gli rivolse l’ex detective fu indecifrabile. Sospirò piano. 

«Voi tre non farete nulla se non scendere al piano terra, cercare Hirotsu e l’unità medica. Questo è un ordine.» 

«… lo avevo… fermato…»

Il Mastino fece un passo malfermo sui piedi per avvicinarsi, ma Chuuya fu meno accondiscendente. Lo afferrò per il colletto, sfogando un briciolo della propria frustrazione. 

«Scendi. Questo è un ordine» ribadì con una rabbia del tutto personale. «Disubbidisci di nuovo, fa qualche cazzata, e ti spezzo le gambe. E questo vale anche per voi incoscienti. Faremo i conti domani.»

Sia Higuchi sia Gin incassarono in silenzio, abbassando il capo a dimostrazione di aver recepito il messaggio. 



 

«Sai, credo che sotto sotto tu stia sviluppando sul serio dell’autorità paterna» motteggiò Dazai quando Chuuya fu di nuovo al suo fianco e furono rimasti soli. 

«Non iniziare con le cazzate, Sgombro. Che diavolo avrei dovuto dirgli!?» 

L’ex detective si concesse una risata. 

«La tua preoccupazione è lampante, ma maldestra nei modi. Mi ricordi tanto Kunikida-kun.» 

«Vuoi salire o vuoi che ti butti di sotto?» ringhiò la Lumaca. «E non paragonarmi a quel palo in culo.» 

«Un giorno affronteremo anche questo discorso della gelosia da partner» cincischiò l’ex detective, evitando una breve rappresaglia e sedendosi su un blocco di cemento. «Prego. Visto che lo hai detto, vorrei salire. Mettiti al lavoro che non abbiamo tutta la notte!»

Chuuya, ancora una volta, maledì ogni scelta di vita dei suoi ultimi sette anni. 





 

To be continued






 

Prossimo capitoloYou can only trust him

 




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