Nulla più aveva senso

di paige95
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In nome degli Asburgo




 
Santiago de Querétaro, Impero del Messico; 19 giugno 1867
 
Serpeggiava uno scontento generale, quasi mai l'esecuzione dell'accusato placava i tormenti, ma per il popolo era un valido inizio. Maximilian I rappresentava tutto ciò che divideva il Messico da una nuova pagina del libro della Storia.
Il frastuono dello scontro si era placato ormai da un mese abbondante, si udivano solo il segnale di morte dei soldati e una preghiera rivolta al vento. A Cerro de Campanas, Max sgombrava la mente intorpidita dalle poche ore di riposo con il ricordo della sua amata patria, che forse non avrebbe mai dovuto lasciare.
Il plotone di esecuzione si trovava a pochi metri dai dannati. Ai lati dell'imperatore vi erano due fedeli comandanti che, proprio per la loro concreta lealtà, venivano puniti in egual misura. Maximilian non lasciò debiti, onorò entrambi gli uomini in punto di morte con due once d'oro.
Non vi era posto per i rimpianti. Quantomeno tentò di allontanarli, non sempre riuscendoci, ma non si pentiva affatto di non aver seguito le truppe francesi alla ricerca di una garantita salvezza. Max non era vigliacco, solo ambizioso e l'ambizione cieca, si sa, conduce al baratro. Era idealista quanto bastava a costringerlo lontano dai suoi cari.
Dopo la condanna, era stato obbligato ad affidare i suoi pensieri alla carta, su cui aveva riversato lacrime e sangue. Imprigionato nel convento di Santa Cruz come il più sordido dei criminali, ebbe il tempo di riflettere e di accomiatarsi da amici e parenti. In particolare, spese parole accorate verso l'arciduchessa Sophie, l'adorata madre che lo considerava da sempre il prediletto, e raccomandò a lei i propri oggetti da lasciare in ricordo ai fratelli e a coloro che avevano provato affetto per lui. 
Alle tre del mattino del giorno fatidico, Maximilian non cedette allo sconforto. Trovò la tenacia d'animo di consolare i fedeli servitori e il padre confessore che si abbandonarono alle lacrime, mentre lo accompagnavano nei suoi ultimi istanti verso il patibolo. Al suo carnefice e suo successore domandò pace, affinché il suo sangue fosse l'ultimo versato in nome di quel popolo.
I repubblicani ambivano alla libertà. Se in vita l'imperatore non era riuscito a concederla, con la sua fine l'ordine sarebbe stato presto ristabilito.
Max doveva trovare un senso alla sua sentenza di morte, doveva convincersi che gli ultimi anni della sua vita non fossero stati costellati da decisioni discutibili a seguito di alleanze svantaggiose. Le scelte prese in nome di un futuro florido per gli Asburgo, in particolare per la sua discendenza, avevano reso ingenui lui e la consorte.
Charlotte era la moglie con la quale aveva condiviso l'ambizione. Maximilian non avrebbe mai saputo quanto la sua morte l'avrebbe sconvolta. Quanto avrebbe sofferto dell'impossibilità di adoperarsi per scampare il marito all'esecuzione, in compagnia dei più illustri sovrani europei, anch'essi impotenti di fronte all'inevitabile. Quanto avrebbe rinnegato gli stessi ideali progressisti che si erano rivoltati contro il marito con un'onda di tradimenti e menzogne. Quanto Charlotte, alla resa dei conti, sarebbe diventata una giovane vedova in balìa di una fiducia mal riposta.
Si dispiacque per il futuro che avrebbe atteso l'ignara consorte, che la brama di potere aveva condotto alla follia di credere che per il marito potesse essere ancora presente l’orizzonte di un trionfo e di un impero tutto suo.
A pochi passi dalla sua fine, l'imperatore riusciva solo a realizzare ipotesi sul dopo di lui. Querétaro non era già più nei suoi pensieri. Era riuscito a chiudere l'ingiurioso capitolo del Messico come ultimo atto di buona fede della sua esistenza, era riuscito a tornare in patria con la mente. Dedicò gli ultimi battiti del suo cuore all'amata Austria, al Castello di Miramare, ai giorni spensierati vissuti accanto alla moglie e al meraviglioso mare di cui era innamorato.
Avrebbe dovuto immaginare che essere l'ambizioso fratello cadetto che non voleva vivere all'ombra dell'imperatore d'Austria Franz Joseph e un liberale in un mondo di conservatori, non avrebbe portato a realizzare i suoi sogni, anzi essi stessi gli avrebbero remato presto contro, sentendosi soffocati dall'ingenuità di un giovane sovrano.
Il corpo indebolito di Maximilian cadde sotto un indefinibile numero di colpi, senza accorgersi da chi venne sparato il colpo fatale né quale fu il suo ultimo ricordo. Morendo fu solo certo di aver rivolto un pensiero a tutti coloro che gli rimasero fedeli fino al patibolo: una silenziosa richiesta di perdono per ogni scelta che lo stava strappando alla sua famiglia.
Non agonizzarono, il plotone ebbe pietà dei condannati, volente o nolente, era sembrato quasi umano grazie alla mano esperta dei militari.
I repubblicani vinsero, quando Maximilian I d'Asburgo cessò di respirare, portando via con sé la sua ambigua reggenza. Benito Juárez, dopo aver firmato l'ordine di uccidere il suo predecessore, tornò ad essere presidente del Messico, relegando Max al ricordo di un imperatore incapace di governare secondo la propria ragione.
 
 
 
 
Cattedrale Mathias di Buda, capitale dell'Ungheria; 8 giugno 1867
 
Éljen Erzsébet! Éljen Erzsébet![1]
Un fascio di luce inibì la vista di Sissi per una frazione di secondo. Gli intensi raggi di sole che filtravano attraverso le vetrate colorate non avrebbero potuto sortire lo stesso effetto.
Innumerevoli quadri l’avevano immortalata, da quando Schönbrunn e Hofburg erano diventate sue dimore ufficiali e lei sovrana. Alcun dipinto, però, era equiparabile ad un’istantanea in grado di catturare le sfumature più velate dell’animo.
Ludwig Angerer, il fotografo della corte imperiale di Vienna, rese eterno lo sguardo trepidante dell'imperatrice d'Austria, appena incoronata regina d'Ungheria. Il volto composto di Elisabeth era teatro di immaginazione. Sorrideva il cuore, ma le labbra in una fotografia ufficiale non erano tenute ad ostentare gioia.
Gli occhi dell’aristocratica bavarese erano rivolti all'uomo che la stava immortalando, mentre intorno a lei il popolo l'acclamava nel suo abito di broccato, disegnato sullo stile del costume tradizionale ungherese.
Sissi era considerata l'incantevole sovrana dall'animo nobile - una nobiltà che esulava dal titolo acquisito per diritto di nascita -, rivestita di un affetto che i suoi sudditi non avrebbero mai smesso di nutrire. Lei aveva ricambiato il popolo magiaro con la stessa moneta, rendendo quella patria parte del proprio cuore, di una cultura aperta all’ignoto e di valori liberi. Aveva conquistato per onore la popolarità di cui godeva sulla bocca di qualunque ungherese.
L'intero Paese era in giubilo. Ogni ceto ed ogni età indossava abiti festosi, quelli dedicati alle occasioni più prestigiose. Una porzione rappresentativa di popolo aveva accolto i sovrani al sorgere del sole sulle rive del Danubio. La coppia imperiale era giunta da Vienna, scortata dalla nave che anni prima aveva condotto i due sposi all'altare.
Più tardi, Franz Joseph a cavallo ed Elisabeth su una carrozza trainata da otto destrieri bianchi giunsero sul luogo della cerimonia.
Franz procedeva lentamente lungo il corteo, respirava l’aria fresca della vittoria conquistata dopo tante pene. Aveva lottato alla strenua ricerca di quell’epilogo per gli Asburgo e per l’Austria, ma non per l’arciduchessa Sophie, profondamente contrariata. Si beava del successo politico ottenuto anche e soprattutto grazie all’intercessione della consorte.
Per l’arciduchessa quell’evento avrebbe portato al baratro l’impero austriaco, quello stesso impero che la nuora non aveva mai davvero apprezzato, ma che, non per questa ragione, aveva trascurato, come gli austriaci avevano sempre pensato.
Le lodi dedicate a Sissi non infastidirono Franz Joseph, anzi ciò che l'imperatrice era riuscita a compiere sarebbe stato impensabile persino per lui, che fino a poco tempo prima era considerato nemico giurato dell'Ungheria[2]. Il sovrano scorse il sorriso soddisfatto della sposa, mentre accennava un saluto a coloro che ospitavano commossi il loro passaggio. Il fascino della moglie continuava a risultare indiscusso ai suoi occhi, più raro era riconoscere nello sguardo la genuinità con cui una sovrana ringraziava i sudditi della calorosa accoglienza.
Quando Elisabeth ricambiò le stesse attenzioni del marito, un fremito lo scosse. Da troppo tempo ormai non leggeva sincera gioia sul suo volto. Certo, non la stessa che aveva accompagnato i primi anni del loro matrimonio.
Al consorte Sissi dedicò un sorriso più malinconico. A lui non recriminava i rapporti che aveva intrattenuto con la Contessa Potocka o con qualsiasi nobil donna avesse potuto incontrare. La lontananza del marito era stata una sua esclusiva responsabilità. Lo erano stati gli onerosi doveri e i devastanti dispiaceri che l'avevano dilaniata nel fisico e nell'animo, rendendola una compagna più assente. Mai, però, aveva mancato ad un impegno pubblico, che le fosse gradito o meno, la sua presenza era garantita.
In quel soleggiato giorno di inizio giugno, era stata fortunata. L’evento era molto apprezzato e persino le pesanti crepe del loro matrimonio sembravano accantonate.
Sotto il fardello del mantello di Santo Stefano di seta verde-azzurra, l'imperatore scompariva agli occhi di Elisabeth. Rimaneva l'uomo con il quale avrebbe voluto donare un erede a quelle nuove terre acquisite e da lei tanto amate. Lo stesso uomo a cui lei pochi anni prima aveva già offerto un successore: Rudolf era un fragile principino, affidato fin dai suoi primi respiri alla protezione dell’arciduchessa Sophie, perché di certo non si poteva rischiare che l’educazione dell’erede al trono venisse compromessa da sua madre.
La cattedrale era un tripudio di colori magiari. La stessa imperatrice la era nel suo abito, accostato all'uniforme da maresciallo ungherese del consorte: entrambi divennero un elogio vivente e silenzioso rivolto a quelle terre verdeggianti.
Sul capo dei neo sovrani d'Ungheria scintillavano le corone, le più preziose che il popolo magiaro avrebbe potuto offrire loro, a dimostrazione di quanto fosse solenne la fiducia riposta nella coppia imperiale: la sacra corona incastonata di preziose gemme era riservata a Franz Joseph, un modello più modesto venne posato sulla chioma intrecciata di Elisabeth, ma le stava d'incanto in egual misura.
Dell'onore di incoronarli, di nominarli re e regina, fu investito il Conte Gyula Andrássy, primo sostenitore della sua sovrana, da quando ebbe la solida certezza che lei rappresentasse la Provvidenza per lui e l’intero popolo. In nome dello smisurato affetto nei riguardi di Sissi, la tradizione venne stravolta. Non vennero attese le albe successive per l’incoronazione della regina, era quello il giorno di festa, il giorno di Elisabeth, a cui il consorte era talmente riconoscente da non provare la minima invidia per essere stato posto più in ombra del solito.
L'Ungheria, che aveva strappato a Sissi la piccola Sophie, tornò a commuoverla, ma questa volta in occasione di un lieto evento che non la rese nemmeno così insofferente ad una cerimonia ufficiale - avvenimenti che a Vienna tanto detestava -, perché quello rappresentò l'appuntamento con il destino atteso da tempo.
Si consumò la più grande gioia di una vita ricca di devozione nei suoi riguardi. Elisabeth riscoprì un tale vigore da desiderare di essere di nuovo madre. Si sentiva pronta a preservare quella creatura dal dominio inamovibile della suocera, a crescere lei stessa un futuro re per l'Ungheria.
Non aveva mai ambito a diventare imperatrice, fu il compromesso da scontare accanto a Franz, eppure sentì subito sue le vesti di regina, le avevano ridonato la vita perduta fra le amate campagne ungheresi che tanto le avevano strappato in passato.
Sissi tornò a scorgere un futuro davanti a sé in quel giorno di festa. Le insegne e i vessilli che brillavano in quel luogo sacro erano di buon auspicio.
Immortalata nella fotografia di Angerer, la regina si apprestava a seguire il marito sul sagrato della cattedrale. Erano prossimi a compiere i successivi riti e a rendere ufficiale la loro incoronazione. Franz Joseph le porse il braccio, invitandola come ogni abitante delle campagne ungheresi alle ovazioni di un popolo che voltava una pagina della sua Storia.
Il re era sicuro che la Storia sarebbe stata scritta una volta oltrepassati i possenti portali della cattedrale e in quel libro il nome della sua sposa sarebbe comparso.


 
 
Ratisbona, Regno di Baviera; 26 giugno 1867
 
Helene era inconsolabile persino tra le amorevoli braccia di Elisabeth, la sorella con la quale aveva sempre condiviso gioie e dolori, donando al loro rapporto una sincera reciprocità.
La secondogenita dei duchi di Baviera aveva appena perso il consorte di una malattia che, per quanto gli sforzi fossero stati notevoli al tempo, non era riuscita a sconfiggere.
Stavolta era il dolore di Nené a chiedere di essere accolto. Con insistenza Sissi era riuscita a strappare la giovane vedova dal capezzale del marito e a condurla alle esequie con aspetto dignitoso.
L’imperatrice d’Austria non riconosceva più nel volto della duchessa la tenacia della donna che era stata. Elisabeth scorse una maschera di lacrime e impassibilità. La sorella era incapace di realizzare che il consorte, l’uomo di cui era sinceramente innamorata, non le fosse più accanto.
L’unico pensiero in grado di distogliere Nené dal corpo senza vita del marito era rivolto all’ultimogenito dei principi di Thurn und Taxis, aveva compiuto un mese e non avrebbe mai conosciuto suo padre. Helene trovò nella creatura appena nata la forza di seppellire l’uomo che le aveva donato anni felici di vita.
Scorgendo la sorella in un simile stato di sconforto, Sissi non riuscì ad accantonare il profondo senso di colpa che provava nei suoi riguardi, da quando le strappò il trono decidendo di rimanere accanto a Franz Joseph.
In quelle tragiche ore, Elisabeth pagò i suoi debiti, accompagnando Helene nel lutto più doloroso che potesse patire. Le donò parole affettuose, talvolta silenziose, ma non potevano essere abbastanza, la sofferenza era troppo dilaniante.
Nené era colei in grado di placare e talvolta guarire le sofferenze dell’anima, il cognato l’aveva supplicata di curare il malessere di Sissi, quando si era ritirata sofferente a Corfù. Elisabeth non era in grado di riproporre lo stesso fare accogliente della sorella maggiore. La sovrana poteva solo immaginare cosa significasse lasciare andare per sempre un compagno amato; lei stessa aveva interceduto affinché il loro matrimonio si celebrasse, contro il volere di coloro che non accettavano quanto le dinastie tra i due sposi fossero diversamente prestigiose. Mai avrebbe potuto acconsentire che Helene fosse infelice a causa dello stato sociale poco elevato di lui.
Le porte per la famiglia reale dei Wittelsbach non erano mai abbastanza comode per la felicità. Elisabeth avrebbe dovuto pensare che contro il destino anche la sua volontà sarebbe stata impotente. Persino una parvenza di felicità sarebbe stata effimera per ognuno di loro.
Non abbattersi ad un futuro infausto era l’unico consiglio che l’imperatrice avrebbe potuto offrire alla sfortunata sorella. Un suggerimento amaro che colpiva al cuore la stessa Sissi.
 
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L’imperatrice era giunta ad un’amara conclusione ormai da tempo: la vita non avrebbe mai riservato a loro serenità.
Quando Franz Joseph la convocò nelle sue stanze, il presagio di Elizabeth fu tutto tranne che roseo. Le lacrime del marito le lasciarono intendere fosse accaduto qualcosa di terribile, ma non riuscì a cogliere se riguardasse affari personali o diplomatici.
In poche occasioni Franz aveva ceduto così apertamente alla debolezza, si era mostrato così fragile e umano. Anche attraverso la corrispondenza più abbattuta dell’imperatore brillava sempre un lumicino di speranza, ma stavolta sembrava che il sovrano volesse gettare tutto al vento. Non ricordava nemmeno di avere mai provato la più inscalfibile fede. 
Porse alla consorte un telegramma composto da pochi caratteri, per lasciare intendere che la notizia non valesse troppo incomodo da parte del mittente. Sissi non svelò subito il motivo di tanta disperazione nell’imperatore, non gettò avida di conoscenza gli occhi sulla carta, gli dedicò un ultimo sguardo e lo scrutò mentre si rifugiava in un angolo della stanza, dietro grandi imposte per scorgere la vita gioiosa della Baviera e per distrarsi.
La giovane sovrana lesse portandosi una mano all’altezza del cuore al progredire della lettura, tanto fu il dolore di scoprire che un suo fidato amico non fosse più in vita. Maximilian era stato quello per lei, prima ancora di essere suo cognato, un uomo con cui poter condividere ideali progressisti, gli stessi che suo padre nelle campagne bavaresi le aveva insegnato ad apprezzare.
Elisabeth fu costretta ad accomodarsi sul letto del consorte per attutire il duro colpo che aveva ricevuto.
La sentenza esecutoria era stata pronunciata meno di un mese prima e in meno di tre ore era stata attuata procurandogli sei fori nel petto. Il tribunale militare aveva giudicato e accusato Max di crimini contro la nazione messicana. Era difficile considerare realistiche quelle accuse.
La notizia giungeva in ritardo in Europa, quando ormai tutto era perduto e la morte aveva decretato la fine di ogni possibile trattativa.
«Mi ero premurato, affinché mio fratello tornasse in possesso di tutti i suoi diritti di membro della famiglia reale. Ero convinto che questo bastasse, affinché nessuno osasse attentare alla vita dell’arciduca»
Elisabeth non osò frenare l’impeto con il quale il consorte si accanì sulla trave in legno del cornicione, scuotendola con i palmi. Il tono dell’imperatore era pacato, ma rotto dall’affanno.
«Avrei dovuto fermarlo. La pessima decisione era sotto gli occhi di tutti, lui e Charlotte erano gli unici ad essere ciechi»
Sissi negò con il capo, quando il sovrano cercò da lei una conferma. L’opinione della consorte gli diede la parvenza di non essere stato in errore nei riguardi del fratello giustiziato, ma fu difficile scalzare i sensi di colpa.
L’imperatrice si alzò per potersi avvicinare a lui e rendere più riservata la loro conversazione.
Lasciò il telegramma sullo scrittoio del consorte. Nell’appoggiare il foglio, lo accarezzò. Racchiudeva le ultime notizie dell’amato cognato, mai più ne avrebbe ricevute sul suo conto, né da lui in persona né da terzi.
Una lacrima sfuggì alla sovrana ripensando ad una delle ultime confidenze scambiate con l’arciduca, quando Maximilian non era ancora stato nominato imperatore di una terra che si trovava dall’altro capo del mondo, il più lontano possibile dalla sua patria natìa.
Avrebbe dovuto immaginare che le confidenze del cognato sarebbero state premonizione di tragici eventi.
Prima di quel momento non aveva confidato una singola parola al marito, convinta di tradire la fiducia di Max. Elisabeth cercò di indorare la pillola, ma ciò che stava per rivelare a Franz gli avrebbe offerto la drammatica certezza di avere una parte di responsabilità nella morte del fratello, sfuggita ingenuamente al volere dell’imperatore d’Austria.
«Non voleva essere dissuaso, desiderava solo vivere il più lontano possibile dalle terre che si trovano sotto il tuo controllo. Era stanco di esistere alla tua ombra. Ho provato a ricordargli quanto fossero belle le orchidee a Miramare, quanto non valesse la pena perdere tutto ciò che poteva offrire, ma non ha voluto ascoltarmi. Nessuno vorrebbe rimanere deluso dai propri sogni, vero?»
Sissi sapeva quanto il potere fosse un'arma distruttiva, l'aveva sperimentato nella sua giovane vita, senza realmente ambire a raggiungerlo. Era stato solo un effetto collaterale.
Dilaniò Franz Joseph ricordare che l’ultima conversazione tenuta con il fratello fosse stata un litigio. Maximilian non avrebbe mai accettato un ruolo subalterno, in cuore suo Franz lo aveva sempre saputo, senza riuscire mai ad ammetterlo persino a se stesso.
Erano state l'invidia e la gelosia a spingerlo su un campo rischioso, le cui pedine non erano state abbastanza semplici da giocare per lui. Si contendevano tutto, a partire dal trono fino all'affetto della madre; un amore che da parte di Franz solo la presenza della sposa e il suo imporsi sull'educazione dei figli era riuscito a far vacillare.
Sissi invitò l'imperatore a cercare sostegno sulla sua spalla. Nel loro abbraccio anche la sovrana provò a lenire il dolore di aver perso quel confidente in grado di seguirla in ogni dove pur di donarle conforto dai dispiaceri e dalle sofferenze fisiche.
Elisabeth non avrebbe mai dimenticato il loro ultimo viaggio sull'isola di Corfù. Il cuore tornò alla traversata in nave, alla genuinità, talvolta sofferta, con cui si erano scambiati i timori più reconditi. Buona parte delle loro confidenze rimase sepolta nell'animo dell'imperatrice. Il mare aveva ispirato il suo animo da poeta, ma di poetico vi era ben poco nel materialismo dei titoli nobiliari e Maximilian ardeva nel desiderio di acquisirli.
Franz indugiò a ricambiare la stretta della consorte, non la sfiorava da tempo e una parte di sé non era più certa ne fosse degno. Il calore che si infusero racchiuse pace reciproca; il conforto che Sissi gli donava non era mai riuscito a trovarlo in altre donne.
«Non so comunicarlo a mia madre. Juárez non concede ancora la restituzione del feretro»
«Stavolta saprai come farlo tornare a casa»
Elisabeth lo fissò negli occhi con uno sguardo alto e orgoglioso, come se fosse il più puro fra gli uomini, anche se entrambi sapevano quanto quella virtù non gli appartenesse. Si scambiarono pensieri soppressi, ma nessuna accusa.
Sissi racchiuse il volto dell'imperatore tra i palmi candidi e li fece scivolare lungo il petto, incontrando la sua uniforme ufficiale, indossata poche ore prima per il funerale del marito di Helene.
Erano eternamente in lutto, le sfumature cupe degli abiti della sovrana riflettevano l'umore di entrambi.
L'imperatore scostò la retina ricamata dagli occhi di Elisabeth: erano gonfi di pianto e di lutti prematuri. Franz Joseph socchiuse le palpebre, riscoprì la temerarietà dell’ufficiale militare, ma davanti a lei non era in grado nemmeno di reggere il suo sguardo senza sentire di aver fallito.
Ti ho resa regina, ma non so renderti felice.
 
 
 
 
Palazzo reale di Gödöllö, Ungheria; 30 gennaio 1868
 
La regina si trovava nel luogo che più di qualsiasi altro le donava pace. Ambiva al castello prima ancora che diventasse un dono degli ungheresi riservato alla loro sovrana e Franz potesse economicamente gravarlo sulle finanze di corte. La sua non era brama di possesso, Sissi necessitava di quel posto per trovare il conforto dell’anima.
Pochi giorni prima, il presidente del Messico Juárez aveva graziato la famiglia reale e aveva deciso di restituire il feretro del duca Maximilian. Sul balcone che adombrava l’immenso giardino del castello, Elisabeth ripensò all’ennesimo dolore che avrebbero conservato nella memoria le mura della Cripta dei Cappuccini. La sovrana non avrebbe mai potuto dimenticare le grida di orrore che udì provenire dall’arciduchessa Sophie, quando intravide il corpo dell’amato figlio deturpato dai sette lunghi mesi che lo separavano dalla sua esecuzione. Inumato nella tomba di famiglia, Max tornò ad essere un Asburgo, privato degli onori che tanto aveva bramato in vita, gli stessi che gliel’avevano strappata con la violenza dei fucili.
Sissi in quegli attimi provò il naturale istinto di mostrare vicinanza alla suocera. Erano entrambe madri di figli deceduti prematuramente. Lo sguardo carico di puro odio dell’arciduchessa la fece desistere. Non poteva esistere una tregua tra le due rivali: Elisabeth era viva, mentre l’amato figlio era defunto.
Della mattina in cui seppellirono il cognato, si sarebbe per sempre portata dentro la profonda solitudine che aleggiava intorno a lei e che traspariva sul volto dei presenti. Nessuno di loro osava proferire parole di conforto per dare sollievo al proprio vicino. Erano soli nel dolore, al pari degli Asburgo morti per i quali domandavano indulgenza. 
Quel gelido giorno di fine gennaio, l’imperatrice aveva deciso di sostare qualche minuto in più sul balcone, benché il clima non fosse ideale per quel genere di intrattenimenti.
Ormai al sesto mese di gravidanza, la regina attendeva il quartogenito come aspettava trepidante lo sbocciare delle rose in primavera. Il suo ultimo desiderio espresso nella Cattedrale Mathias a Buda era stato di partorire un erede per la sua amata Ungheria, la terra che fin da bambina aveva rubato il suo cuore.
L’esperienza della maternità vissuta a corte le aveva dato modo di pianificare il suo futuro e quello del nascituro. Era temprata a qualsiasi evenienza, purché lontano da Vienna e dai consigli di suocera e marito. Il figlio che portava in grembo sarebbe stato sotto la sua totale responsabilità.
A Gödöllö i sogni di Elisabeth erano inondati di luce. Avrebbe chiamato il nascituro Stefano, in onore del santo patrono d’Ungheria e per il parto la scelta privilegiata sarebbe stata la città di Buda-Pest, in onore di quel popolo che pazientava di conoscere il suo futuro reggente al trono.
Da quando Sissi scoprì la gravidanza, persino le sue attività preferite scivolarono sullo sfondo. La ginnastica e le cavalcate vennero ridotte al minimo per preservare la sua salute.
Le aspettative sul futuro erano alte, l’imperatrice aveva bisogno di questo per superare i dolorosi lutti, tornare a credere nella possibilità di eventi lieti.
Non tutto, però, nel suo luogo preferito rifletteva la gioia di cui era tanto alla ricerca. Negli abiti pesanti, con i quali desiderava proteggere il ventre dagli sbuffi d’aria, leggeva una missiva scritta di pugno in lingua ungherese - per le origini umili di una e per la passione dell’altra nei confronti della nazione ungherese - dalla sua dama di compagnia, Ida Ferenczy, che con dispiacere delle due donne non era autorizzata ad accompagnarla nei viaggi ufficiali. Gli aggiornamenti sulla vita alla corte viennese erano tutt’altro che rosei.
 
Con il permesso di Vostra Maestà.
Desidero informarVi delle condizioni di salute di Sua Maestà, il principino Rudolf.
Sono in pensiero per Lui, non sta bene: a Natale era pallido e si reggeva poco sulle proprie gambe. Un Vostro ritorno potrà giovare al principino. Sua Maestà, l’arciduchessa Sophie, non consente il rientro del giovane erede dalla caserma. 
Mi permetto di dissentire solo con Voi, che siete buona e comprensiva, il giudizio dell’Illustrissima Maestà. Vostro figlio necessita di tornare a corte e di vivere giornate più serene, al sole e senza la pressione di un tutore.
Aspetto il Vostro ritorno come si attende l’acqua nel deserto. La Vostra presenza a Vienna porterà nuova luce per tutti noi. 
Sempre Vostra devota,
Ida
 
L’affetto e l’onestà della dama non placarono il nervosismo che stava attanagliando Elisabeth alla notizia delle sofferenze che stava patendo il suo bambino.
A discapito di ogni previsione del consorte, Rudolf non sarebbe diventato un buon imperatore d’Austria, non sarebbe arrivato ad indossare la corona del padre in quello stato di salute. Franz gli sarebbe senza alcun dubbio sopravvissuto.
Era preoccupata in veste di madre, dei titoli le importava molto meno rispetto alla vita del figlio. Tornati a Vienna, l’educazione dell’ultimogenito lontano dalla corte sarebbe stato argomento di conversazione con il marito. Sissi prese in considerazione le vivaci discussioni che avrebbe acceso fra le mura dei palazzi imperiali, ma dopo anni non era spaventata di ciò che l’avrebbe attesa, il suo unico obiettivo era difendere la prole dalla sofferenza. 
L’imperatrice scrutava il viottolo nel quale guardie e servitori stavano allestendo le carrozze che esponevano sugli sportelli l’aquila bicipite e che avrebbero scortato il corteo reale fino alla stazione di Pest, dove li avrebbe attesi un treno diretto per Vienna.
Giocherellava in preda all’ansia con il medaglione che portava al collo, l’ultimo regalo che Franz le aveva dedicato il giorno della Vigilia di Natale, in occasione del suo trentesimo compleanno.
Non era propriamente il pensiero che Sissi aveva domandato al suo sposo, non desiderava alcun pegno d’amore materiale, nel concreto l’imperatore non faceva patire alcuna mancanza alla consorte. Ciò che aveva chiesto a Franz Joseph era ben più impegnativo e non si era affatto sorpresa quando lui aveva indugiato a concederlo in tempi brevi.
Recentemente, Sissi aveva scoperto il fascino di approfondire l’animo umano ed in particolare ciò che lo attanagliava. Leggeva circa i mali dell’anima nelle opere di Shakespeare, l’affascinavano i folli, impiegava lo studio della mente di questi ultimi per dare un nome ai mali che affliggevano da secoli le famiglie a cui apparteneva, Wittelsbach e Asburgo in egual misura. Si impegnò a visitare manicomi e a stringere la mano dei pazienti senza svelare mai la sua identità, a tal punto da desiderare di aprirne uno con l’intercessione dell’imperatore.
L’unica motivazione che avrebbe potuto addurre a se stessa, affinché il viaggio di ritorno alla Hofburg fosse meno penoso, riguardava le sorti dell’amato figlio.
A parte le preoccupazioni per il principino Rudolf, un unico desiderio albergava nel cuore dell’imperatrice. Ella lo rivolgeva direttamente a quel cielo coperto da nubi che sembravano rivendicare un’abbondante nevicata. Non le sarebbe dispiaciuto restare bloccata con Franz a Gödöllö qualche giorno in più, bearsi della sua presenza. Era certa avrebbe gradito anche lui, lontano da affari politici e militari, dai telegrammi dei ministri che lo svegliavano all’alba senza potersi mai godere il calore della sua famiglia.
Ancora una volta, Sissi aveva dimenticato il suo ruolo e quello del consorte. Era convinta che la volta celeste non avrebbe realizzato il suo desiderio, avrebbe anch'essa assecondato gli ideali di corte, l’etichetta dell’arciduchessa Sophie. Quella stessa etichetta che Elisabeth onorava come meglio poteva, ma che stava annientando il suo rapporto con Franz.
 
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Per Elisabeth la compagnia di quel viaggio fu inaspettata. Franz Joseph l’aveva sorpresa in egual misura quel dì che scelse di condividere la sua reggenza con lei al posto della secondogenita dei duchi Wittelsbach.
Non avrebbe potuto immaginare che, una volta allontanata la propria mano da quella della guardia che aveva aiutato l’imperatrice a salire sulla carrozza imperiale, avrebbe preso posto a lato del conte Gyula Andrássy e non del consorte.
A Sissi sfuggì un impercettibile e tenero sorriso al pensiero della ragione che aveva potuto spingere il marito a quel sacrificio: era geloso, più volte si era mostrato tale nella loro corrispondenza, ma era a conoscenza del rapporto di amicizia che legava l’imperatrice e il conte, lei stessa aveva raccomandato quest’ultimo al sovrano. Franz aveva deciso di dare loro fiducia e di sopprimere le voci in circolazione circa una presunta relazione extraconiugale della regina.
La neve iniziò a cadere davvero sulle carrozze che scortavano conte e imperatrice, imperatore e contessa, ma era ormai troppo tardi per esaudire il desiderio di Elisabeth.
Una buona parte del viaggio fu trascorsa nel silenzio dei fiocchi che scivolano pacati sui tettucci dei mezzi. Ad Andrássy non era concesso prendere parola prima dell’imperatrice. Quest’ultima, dopo il fortunato successo dei loro obiettivi, non aveva più argomenti da spendere in una conversazione con il conte, anzi era certa che anche la sua figura si riducesse ad un mero simbolo, perdendo ogni sorta di parte attiva nel florido futuro dell’Ungheria. Il conte, ora, avrebbe dovuto svolgere il suo ruolo di garante per la patria, questo era ciò che il popolo si aspettava da lui. Una guida per il progresso che si trovava solo al punto di partenza nella grande scacchiera delle potenze mondiali.
Gli occhi di Elisabeth e di Andrássy non si sfiorarono, il conte non cedette alla tentazione di ringraziarla a nome degli ungheresi. Fu lei a colmare il silenzio, sfilando il guanto sinistro e sfiorando la mano dell’uomo.
L'ondeggiare della carrozza li rendeva più vicini. Sissi avrebbe voluto che quel tragitto non avesse mai fine e per un breve frangente delle loro esistenze fu davvero così. Le loro dita rimasero intrecciate fino alla stazione di Pest.
Elisabeth era certa che salita su quel treno l’affettuosa amicizia che la legava ad Andrássy sarebbe mutata: niente più corrispondenza per interloquire di affari politici, niente più incontri per mediare gli accordi con l’imperatore d’Austria. Temeva di perderlo, più della paura di perdere il suo ruolo diplomatico in quella faccenda.
Su quella carrozza Elisabeth concesse qualcosa di più al conte, a lui che giocava sulla seduzione per ottenere favori, un metodo che lei conosceva bene e che la rendeva diffidente quando veniva usato contro di lei. Andrássy sapeva che quello era il massimo della vicinanza che avrebbe ricevuto da lei. Dimostrarle con uno sguardo più deciso quanto fosse graziosa non sarebbe servito e ciò lo divertiva.
Intorno a loro il paesaggio era avvolto nel mistero, non sarebbe stato difficile perdere la retta via, ma le guardie imperiali a cavallo non lo concessero. A capo del corteo reale, nella carrozza di testa, Franz attendeva la sua sposa per prendere la coincidenza.
Al termine di un viaggio, che Sissi era certa sarebbe rimasto segreto nel silenzio dei fiocchi candidi dispersi, tentò di strappare al conte una promessa, porgendo a lui un delicato bacio sul dorso della mano, prima di sciogliere le loro dita.
«Dovete promettermi di non morire prima di me»[3]
«Non dipende da me e non sono certo di desiderarlo»[4]
«Promettetemelo, conte, altrimenti non lascerò la vostra mano e ci comprometteremo agli occhi di tutti. Compromessi! Conoscete bene il significato di questa parola, non è vero? L’avete firmato il Compromesso»[5]
«Prometto di obbedirvi fino a quando potrò farlo. Pensate solo a ritornare, gli ungheresi hanno bisogno della loro regina»[6]
«E voi?»[7]
«Mi sento più ungherese di tutti gli ungheresi»[8]
 

Buongiorno, cari lettori e care lettrici!
Dopo infinite ricerche e riflessioni sono riuscita a mettere insieme i pezzi di questa nuova one-shot. È un po’ più lunga rispetto alla one-shot precedente, ma gli anni che tratto qui sono stati intrisi di eventi, ci tenevo ad affrontare i principali e quelli che verranno richiamati anche nelle parti successive di questa raccolta.
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno dato e daranno fiducia alla raccolta. ❤️
Ringrazio di cuore, inoltre, chiunque sia giunto fin qui. ❤️
A presto!
Un abbraccio,
Vale
 

[1] Viva Elisabeth! Viva Elisabeth!
[2] Nel 1867 l’Ungheria comprendeva la maggior parte della Slovenia, della Croazia e della Transilvania.
[3] Sissi. Vita e leggenda di un’imperatrice di Nicole Avril, p. 177.
[4] Sissi. Vita e leggenda di un’imperatrice di Nicole Avril, p. 177.
[5] Sissi. Vita e leggenda di un’imperatrice di Nicole Avril, p. 177.
[6] Sissi. Vita e leggenda di un’imperatrice di Nicole Avril, p. 177.
[7] Sissi. Vita e leggenda di un’imperatrice di Nicole Avril, p. 177.
[8] Sissi. Vita e leggenda di un’imperatrice di Nicole Avril, p. 177.
 




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