È passata poco più
di un’ora da quando il pranzo della Vigilia è finito per lasciare il passo alle
chiacchiere, e solo dieci minuti da quando la sedia accanto alla sua ha
lasciato spazio a una scia di odori, tra i quali solo un olfatto attento
avrebbe riconosciuto un sottile aroma di Marlboro.
Alan
ogni tanto si volta in cerca di una testolina bionda, ma non la trova, non lì.
Si scusa senza troppa convinzione coi parenti, si alza e butta un’occhiata al
divano, dove trova solo suo cugino Thomas che parlotta con quella chioma rossa
di sua moglie e suo padre e suo zio che discutono di politica.
Lo
cerca in cucina, nelle camere, in bagno - non c’è. Eppure, pensa, non è
possibile che la casa se lo sia inghiottito, né che se ne sia andato a piedi da
qualche parte, col freddo che fa. Col respiro appena affannato per le troppe
porte aperte e altrettante speranze deluse, torna in sala dagli altri e
incrocia sua madre.
«Mamma, hai visto Nathan?», chiede, e poi sposta gli occhi in
ogni angolo della stanza non appena lei scuote il capo. La supera e prova ad
annusare l’aria, in cerca di quell’odore di Marlboro che però sembra come
svanito.
«Manca anche Virginia», aggiunge lei, ed è lì che il cuore di
Alan perde un battito nell’esatto istante in cui ha un’intuizione. Si volta
verso la porta che dà sul cortile interno e la raggiunge in un paio di falcate;
abbassa la maniglia e spalanca la porta, e la condensa che esce dalla sua bocca
esprime tutto il sollievo nell’averlo trovato.
Nathan e Virginia sono addossati alla parete, una cuffia per
uno, lui intento ad ascoltare una canzone, lei altrettanto, ma con
un’espressione eccitata che tradisce la speranza che gli piaccia. Alan si
avvicina, pronto a rifilargli un classico “Ti ho cercato dappertutto”, ma non
fa in tempo ad aprire bocca che la cuffia è già nel suo orecchio, con Back
for good dei Take That. Per averla riconosciuta subito Alan deve
ringraziare le radio che l’hanno passata a ripetizione almeno sei anni prima,
perché è questione di secondi prima che Nathan si rimetta la cuffietta
nell’orecchio e torni ad ascoltare.
«Sono fighissimi!», esclama lui, e Alan per un momento ha il
sospetto che non si stia riferendo solo alla canzone. Sbuffa a quel pensiero,
poi alza le spalle.
«Be’, sono i Take That.»
«Ma come ho fatto a vivere finora senza conoscerli?!»
Gli occhi di Nathan si illuminano mentre parla, e dietro
Virginia ridacchia, consapevole di aver creato un mostro.
«Non conoscevi i Take That? Ma dai, sono famosissimi», lo
canzona Alan, divertito dall’idea di saperne più di lui su qualche boyband.
Nathan però non lo ascolta davvero, e comincia anzi a intonare qualche parola
della canzone, seguito a ruota da Ginny da cui non stacca gli occhi. E se un
tempo Alan si sarebbe sentito geloso di quella sintonia tra il suo ragazzo e
qualunque altro essere umano, in quel momento è felice, perché felice lo è
anche Nathan, con la sua musica e la sua piccola scoperta.
Alan lo saluta e Nathan a malapena ricambia, poi rientra in
casa. Si dirige verso la sala da pranzo, va verso il posto che aveva lasciato
vuoto e si siede, col sorriso sulle labbra… a lasciare che l’odore di Marlboro
gli faccia compagnia.
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