Alan credeva che
un quarto di letto sarebbe stato troppo poco per lui, e invece si ritrova a
pensare che la distanza che lo separa da Nathan, a pancia in giù e accoccolato
al cuscino, forse è pure troppa. Ma non ha il coraggio di fargli una carezza o
di baciarlo, sebbene lo voglia; teme di svegliarlo e di vedergli svanire
quell’aria innocente, quella che intravede grazie alla porta socchiusa.
Cerca
di chiudere gli occhi, ma non ci riesce, perché ha paura davvero che quella
realtà così vivida sia solo un sogno. Allora fissa il soffitto, i pensieri
ritmati dal respiro di Nathan, e ringrazia la vita per averlo riportato lì da
lui. Ruota il capo e ne scorge giusto i capelli, mentre il resto del viso è un
lavoro di immaginazione, di come lo ha lasciato due mesi prima e di come lo ha
ritrovato con quel filo di barba che non gli ha mai visto. Ed è in quel momento
che qualcosa dentro di lui esplode, come se il cuore fosse stato imbrigliato
fino a quel momento e sentisse ora l’esigenza di liberarsi dalle catene; così fa
risuonare quel sentimento, e batte più forte, e pompa, pompa tutto l’amore che
sente in ogni angolo del suo corpo, a tal punto che Alan sente di dover
lasciare al suo ragazzo almeno un bacio sulla tempia, almeno una carezza sulla
guancia. Lo fa, una volta, poi due, finché le sue labbra non rimangono posate
sulla sua pelle, e la mano gli cinge la testa con delicatezza.
Il
respiro di Nathan si scompiglia un po’, ma basta passargli le dita tra i
capelli perché torni regolare. E questo basta anche ad Alan per sentirsi
completo, per capire che davanti ha la realtà, la sua realtà, quella che
lo fa tornare nel suo quarto di letto a desiderare che il giorno arrivi il più
in fretta possibile, solo per dire a Nathan quanto è felice.
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