Dire, fare, baciare, lettera, testamento

di Giorgi_b
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Fare

La sveglia trillò nella stanza con una delicata melodia di violini e vispe campanelle animando la fredda penombra dell’alba. Le note, leggere, si adagiarono danzando sugli oggetti disposti con cura sul comodino – un abat-jour di ceramica azzurra, una foto di famiglia, una rivista di cucina, una crema per le mani – poi corsero come cerbiatti a brucare tra i capelli sparsi sul cuscino della giovane donna sdraiata nel letto, lo sguardo vuoto e fisso al soffitto.
Allungò un braccio fuori dalle coperte e azzittì la sveglia, grata che l’agonia notturna fosse finita. Provò a chiudere gli occhi arrossati, ma le palpebre scorrevano a fatica sui bulbi riarsi per la lunga esposizione agli spettri dell'insonnia e con una fitta di dolore cominciò a lacrimare.
Stupita, sfiorando le gote umide con la punta delle dita, si chiese: quando è stata l’ultima volta che ho pianto?
Le rispose qualcosa che si piazzò sul suo diaframma bloccandole il respiro. Con un gesto isterico delle gambe scrollò le coperte all’improvviso, come per gettare più lontano possibile quel peso granitico che le toglieva l’aria e scattò in piedi, smarrita. Deglutì con la speranza di buttare giù quella brutta presenza insieme alla nausea che l’aveva assalita, poi, con lentezza, cercando di domare il cuore e l’affanno, si portò le mani al viso e, con un leggero massaggio, distese le sopracciglia aggrottate. Si stropicciò gli occhi, piantò gli indici ai lati della bocca e li spinse in alto, plasmando uno sterile sorriso tirato.
Dopo qualche secondo abbandonò le braccia lungo i fianchi e con una voce ancora arrochita dalla notte disse piano: «Coraggio, il sole è sorto. Datti da fare, Kasumi!».

Non ricordava più da quanti anni ormai - forse da sempre? - la sua routine quotidiana cominciava alle cinque e trenta del mattino.
Apriva gli occhi con lo stesso entusiasmo di un bambino per un gioco nuovo, lieta che un altro giorno si fosse affacciato al mondo; indossava il suo sorriso migliore e dopo essersi lavata, vestita e pettinata con cura, scendeva in cucina a preparare la colazione.
Mentre il riso cuoceva, la zuppa di miso bolliva e il pesce arrostiva, lucidava i pavimenti del dojo; non appena sentiva suonare la sveglia di suo padre, correva a stendere i panni. A seguire, i singoli risvegli di ogni abitante di casa Tendo cadenzavano il ritmo delle attività di Kasumi: Akane era il tavolo da apparecchiare, Nabiki il riso da assaggiare, il maestro Happosai i bento da preparare, il signor Saotome le pietanze da impiattare e Ranma… beh, Ranma veniva sempre tirato giù dal futon da Akane troppo tardi, quando la colazione era già cominciata.
Fare, fare, fare.
Quando i ragazzi uscivano per andare a scuola c’era da sparecchiare, lavare i piatti, sistemare la cucina, stendere i futon a prendere aria, spolverare, lavare il bagno, rassettare le camere, fare la spesa, cucinare il pranzo, ritirare i panni, apparecchiare, mangiare. Poi di nuovo sparecchiare, lavare i piatti e sistemare la cucina, stirare, rammendare i vestiti di Ranma, annaffiare il giardino, preparare il tè, cucinare la cena, e, per la terza e ultima volta, sparecchiare, lavare i piatti e sistemare la cucina.
Fare, fare, fare: un mantra che scandiva le sue stagioni, i suoi mesi, i suoi anni.
A fine giornata, dopo aver caricato l’ultima lavatrice, Kasumi si concedeva un bagno bollente prima di andare a dormire: nell’acqua versava quattro gocce di olio di lavanda, quattro di geranio, due di magnolia e si immergeva stanca e felice, in una nuvola di vapore e aromi celestiali.
Dormiva il sonno dei giusti e ogni notte era limpida e senza sogni.
Dopo alcune ore, un nuovo giorno si affacciava con un bagaglio di confusione e disordine: grazie alla sua folle famiglia allargata, Kasumi aveva sempre così tanto da fare che non aveva un minuto per fermarsi a pensare, solo fare, fare, fare.

Tutto cambiò il giorno in cui Nodoka Saotome mise piede in casa Tendo.
La donna, con le sue attenzioni materne, i suoi gesti affettuosi, le sue parole accudenti, a suon di tenerezze, riaprì una ferita che Kasumi credeva del tutto cicatrizzata e, un po’ per la sua totale incapacità di riconoscere ed etichettare un certo tipo di sensazioni, un po’ per la volontà di fare piuttosto che fermarsi a pensare, non si accorse della catena di mutamenti che iniziarono ad avvenire nelle profondità del suo animo.
Nei mesi successivi al ricongiungimento dei Saotome, qualcosa di pericoloso, lento e subdolo come una serpe, cominciò a strisciare fuori dalla piccola crepa nella sua corazza di imperturbabile serenità.
All’inizio Kasumi non diede alcun peso al sogno ricorrente che quasi ogni mattina la lasciava singhiozzante e in posizione fetale al suono della sveglia - lei cinquenne e una mano amorevole che la accarezzava sulla testa.
Allo stesso modo, ignorò completamente gli epiteti per niente cortesi che lanciò in direzione di Ranma e Genma - lasciando tutti di stucco - quando, una sera d’inverno, litigarono come al solito per l’ultimo boccone. E non fece nemmeno troppo caso all’emozione sconosciuta, sgradevole e impetuosa - forse indignazione? Rabbia? - che le provocava ogni volta la vista di Nabiki beccata in flagranza di reato a fotografare di nascosto Ranma-chan e Akane in pose sconce o a filmarli nei momenti di rarissima sintonia.
Nessuna delle sue stranezze la scalfì: non quella volta che preparò una cena degna di Akane, né quella in cui tinse di rosa tutti i karategi di casa dimenticando una casacca di Ranma nella lavatrice e nemmeno il giorno che senza pietà, anzi, con una certa soddisfazione, bruciò in giardino, insieme alle foglie secche, l’intera collezione di zuccherini del maestro Happosai causandogli un violento colpo apoplettico.
Quando poi, qualche tempo dopo, la casa di Nodoka fu distrutta dalle pretendenti di Ranma e la donna si trasferì in casa loro, le cose peggiorarono fino a precipitare.
Le eccentricità di Kasumi si susseguirono in maniera esponenziale per settimane finché, un giorno, irruppe nella stanza di Akane facendola sussultare e le domandò a bruciapelo: «Cosa ricordi di nostra madre?»
La sorella rimase qualche secondo ad osservarla stupita: «Non molto. Non dimenticherò mai il suo sorriso, che era una donna gentile e sempre molto indaffarata». Si guardò le mani torcendole e continuò, con un velo di tristezza nella voce: «Anche se… ti confesso che in molti dei miei ricordi la confondo con te».
Uscì prima che Akane potesse chiederle il motivo di quella domanda.
La sera saltò il rito del bagno rilassante perché si sentiva esausta e febbricitante; arrivata nella sua camera fece appena in tempo a infilarsi la camicia da notte che crollò in un sonno buio e tormentato.
L’indomani si svegliò di soprassalto, in un tripudio di campanelle e violini che andavano avanti indisturbati da più di un’ora e mezza. Corse trafelata per le scale maledicendosi per non aver sentito la sveglia e trovò la signora Saotome che si muoveva in cucina perfettamente a suo agio.
Dopo averle augurato il buongiorno, Nodoka le raccontò di aver preparato il riso, il miso e il salmone, di avere steso il bucato e incerato il pavimento del dojo e, mentre le parlava, continuava a decorare con mani svelte i bento per Ranma, Akane e Nabiki con dei graziosissimi fiorellini di carote e polpetti intagliati nei wurstel.
Kasumi rimase impalata con la bocca aperta e la donna, dopo averla squadrata dalla testa ai piedi, soffermandosi sui capelli scarmigliati, sugli occhi cerchiati e sulla vestaglia indossata alla rovescia sulla camicia da notte, le chiese gentile: «Kasumi, stai bene? Perché non torni a letto a riposare, cara?».
Non riuscì a muovere un muscolo; al che, la donna le sorrise e dopo essersi asciugata le mani sul grembiule, prese quelle di Kasumi tra le sue sussurrando compassionevole: «Tesoro, permettimi di rendermi utile e di sdebitarmi a nome della mia famiglia. Sei talmente giovane! Prenditi cura di te, da oggi mi occuperò io di questa casa. Sono certa che se la vostra mamma fosse qui con noi ti direbbe la stessa cosa!».
Al sentirla nominare, la mente di Kasumi le giocò un brutto scherzo e sovrappose ai lineamenti di Nodoka quelli sbiaditi di sua madre. Rivide il caldo sorriso, la gentilezza e la sua accondiscendenza e all’improvviso si sentì precipitare in un orrore sconfinato perché in quell’immagine grottesca - un patchwork di donne gentili e accudenti - riconobbe distintamente se stessa.
Kasumi Tendo non era altro che una pallida imitazione di sua madre, una bambina che giocava a fare la donna di casa.
Una scheggia le trapassò la gola, ma, nonostante il forte senso di nausea e gli spasmi che le mordevano gambe e braccia, trovò la forza di annuire; con grande dignità lasciò le mani di Nodoka, si voltò, salì le scale, entrò nella sua camera e, infine, si accasciò sul letto.
Ascoltò con attenzione la casa prendere vita e col pensiero legò al suono familiare delle varie sveglie che si susseguivano un’immagine per lei confortante: gli uccellini allegri nella stanza di Akane le ricordavano il tavolo da apparecchiare, le prime note di Money dei Pink Floyd dallo stereo di Nabiki il riso da assaggiare, la voce sensuale di una speaker dalla radio del maestro Happosai i bento da preparare, i lamenti da panda affamato del signor Saotome le pietanze da impiattare.
Fare, fare, fare. Anche solo fantasticare di fare: qualsiasi cosa pur di non pensare.
Rimase seduta sul letto a svolgere faccende immaginarie finché il giorno diventò sera e le venne fame.
Aprì appena la porta e dalla fessura intravide, poggiato sul pavimento, un vassoio apparecchiato. Dal piano terra un profumo di cibo e di pulito saliva insieme alla voce di Nodoka che si aggirava indaffarata per casa canticchiando, sovrastata di tanto in tanto dalle risate esplosive e vagamente alcoliche di suo padre, del maestro Happosai e del signor Saotome che rivangavano vecchie avventure di gioventù; sentì Akane e Ranma battibeccare da qualche parte sul tetto e Nabiki parlare al telefono di affari e scommesse. Richiuse lo spiraglio della porta assieme al suo stomaco.
I suoi familiari continuavano le loro vite come se niente fosse, tutto andava avanti anche senza di lei.
Si trascinò alla toeletta di fianco alla finestra. Si sedette e si specchiò per ore, in silenzio, alla ricerca del confine tra sua madre e se stessa, senza successo.
Sconfitta, sentì il suo cuore sgretolarsi e tra quelle macerie una sorgente cominciò a gorgogliare. Pianse silenziosa tutte le lacrime che non aveva versato negli ultimi dodici anni e, in quello che le sembrò un attimo, il mattino seguente bussò alle finestre trovandola ancora sveglia, con gli occhi gonfi e cerchiati a rimuginare sulla sua intera esistenza.
L’analisi era stata severa e impietosa. Quando la donna che aveva amato più di chiunque al mondo, colei che le aveva mostrato cosa fosse la gentilezza, l'amore e la generosità era morta lasciandola orfana a nove anni con due sorelle di sette e di sei e un padre malato di malinconia, la piccola Kasumi non aveva trovato altra strada che stringere un patto col suo fantasma accettando di sostituirsi a lei, votandosi a una vita non sua.
Eppure averla dentro di sé, nei suoi gesti, nei suoi sorrisi, nelle sue parole gentili l’aveva fatta sentire meno sola e meno disperata davanti alla tragedia che aveva investito la sua famiglia.
Ripensò alle parole di Nodoka e trovò da qualche parte il coraggio di chiedersi: sua madre sarebbe stata felice della decisione che aveva preso? E lei, Kasumi, era mai stata davvero felice?
Tornò a sedersi alla toeletta e, cercando di calmare il proprio respiro affannato, iniziò mentalmente la rassicurante routine di faccende domestiche immaginarie.
Fare, fare, fare. Per oggi, basta pensare.

Il riposo forzato di Kasumi andò avanti per un paio di settimane, finché una mattina Nodoka non le chiese di accompagnarla a fare una passeggiata.
Quando Kasumi attraversò il portone di casa Tendo e si ritrovò in strada, le sembrò di uscire per la prima volta in vita sua: tutto era talmente luminoso e colorato che ebbe un capogiro e dovette aggrapparsi al braccio della signora Saotome, che con un sorriso incoraggiante cominciò a camminare sostenendola. Kasumi non si rese conto dove Nodoka la stesse portando, ma quando si ritrovarono davanti all'ambulatorio del dottor Tofu, ebbe un violento attacco di ansia e in un tripudio di battiti cardiaci non riuscì a fare un passo di più.
«Kasumi cara, devo entrare a ritirare delle medicine per la pressione del maestro Happosai, preferisci aspettarmi qui fuori?». Non ricevendo risposta Nodoka sfilò il braccio dalla morsa in cui la stava stringendo e si avviò sorridendo verso l’ingresso. «Aspettami qui, allora. Arrivo subito!».
Il cuore di Kasumi batteva all’impazzata, non si spiegava perché essere lì le causasse quelle strane emozioni. Era combattuta tra la voglia di entrare a salutare il dottor Tofu e l’istinto di fuggire via, perché anche solo l’idea che lui la vedesse così… così fragile la destabilizzava.
Dopo pochi minuti la porta si aprì provocandole una nuova ulteriore stretta allo stomaco, ma, con suo grande sollievo prima e delusione poi, ne uscì solo Nodoka, che con due passi fu di nuovo al suo fianco cinguettando garrula un “Mi ha detto di salutarti tanto caramente… Ah! Com’è virile!” che le fece incomprensibilmente e inaspettatamente tremare le ginocchia.
Quella notte, circondata dal buio, arrossì ripensando al proprio emozionatissimo cuore davanti alla targa che recitava tutte le specializzazioni del dottor Ono Tofu, a quel kimono blu sempre curato, alla sua gentilezza. Deglutì e un calore sconosciuto le invase il ventre quando visualizzò le sue belle mani rassicuranti, le braccia forti, i denti candidi quando sorrideva, i suoi occhi scuri e profondi dietro le lenti sempre appannate, il pomo d’Adamo che si muoveva mentre diceva frasi sciocche scherzando con Betty… era così spiritoso e buffo, pensò tirandosi il lenzuolo sulla testa. “Quando tu non ci sei non fa mica così”. Il commento di Akane di qualche tempo prima venne a galla proprio in quel momento dalle profondità della sua anima facendola fremere di imbarazzo.
È davvero bello, il dottor Tofu, ammise tra sé con le orecchie in fiamme, ma perché riusciva a notarlo solo ora? Quell’uomo timido e dolce, più grande di lei di una decina di anni, le aveva sempre ispirato sicurezza e simpatia, era gentile e rispettoso, un bravissimo medico nonostante la sua giovane età, uno stimato artista marziale, molto legato alla famiglia… ma mai prima di allora Kasumi si era concessa di immaginarlo diversamente dal ruolo del cordiale e rispettabile dottor Tofu; mai prima di allora aveva permesso a quel desiderio struggente che ora la investiva di salire in superficie e di farla sentire languida, irrequieta, incandescente. Viva.
Da quella sera il dottor Tofu abitò sempre più spesso i suoi pensieri e nei mesi successivi l’interesse per l’uomo andò di pari passo con il lento riappropriarsi di sé.
In quei giorni l’opera di riabilitazione alla vita ideata dalla sua famiglia, prevedeva che la sveglia Kasumi suonasse tra quella di Nabiki e del maestro Happosai - tavolo da apparecchiare, riso da assaggiare, pesce da arrostire - ma che non si alzasse dal letto prima che i lamenti da panda affamato di Genma arrivassero fino al suo orecchio - bento da preparare, pietanze da impiattare - poi che si sedesse alla toeletta e cominciasse a spazzolarsi i capelli mentre sentiva i passi veloci di Akane salire le scale ed entrare nella camera di Ranma.
Nei lunghi minuti silenziosi che intercorrevano tra l’ingresso della sorella e il rumoroso risveglio del suo fidanzato, il cuore di Kasumi si scaldava immaginando Akane osservarlo teneramente nella penombra e, cullata da quel dolce pensiero, si concedeva il primo sogno a occhi aperti della giornata sul dottore: fantasticava sul suo corpo profondamente addormentato abbandonato sul futon, il respiro lento e cadenzato, il volto accaldato, i lembi del kimono un po’ scostati che lasciavano intravedere l’ampio petto, la bocca socchiusa…
Quando poi i due ragazzi cominciavano la quotidiana pantomima di insulti reciproci, spezzando la magia del momento, Kasumi tornava con i piedi per terra con le guance arrossate e il battito accelerato: allora sapeva che era giunto il momento di infilarsi la vestaglia sulla camicia da notte, scendere le scale e sedersi al tavolo della colazione con la sua chiassosa famiglia.
Nel corso della giornata, un po’ per noia, un po’ per paura, aveva spesso delle ricadute: sentiva le mani formicolare e una frenesia le prendeva la bocca dello stomaco - fare, fare, fare - ma Nodoka con una scusa o con l’altra, le trovava sempre qualche piccola commissione da svolgere fuori di casa, allontanandola il più possibile dalla fonte della sua bramosia.
I primi tempi Kasumi si limitava ad eseguire i suoi compiti e a tornare subito indietro, poi, complici le belle giornate di maggio, cominciò a trattenersi sempre più a lungo in giro, scoprendo il piacere delle passeggiate nel parco, di andare al cinema da sola, di leggere un libro in un cafè o sbirciare le vetrine dei negozi del centro di Nerima.
Il pensiero del dottore la accompagnava sempre, si nascondeva tra i fruscii di un kimono blu scuro indossato da uno sconosciuto incrociato al mercato, tra le note profonde di una risata simile alla sua che la faceva voltare all’improvviso per strada avvampando o in un bacio rubato in uno dei film romantici che amava tanto guardare.
Eppure erano trascorsi mesi dall’ultima volta che si erano visti: forse, pensò con un brivido, nel frattempo il dottor Tofu si era fidanzato o, peggio ancora, sposato! No, una notizia simile le sarebbe arrivata senza meno dal signor Saotome che continuava a dare una mano nell’ambulatorio e che, anzi, le portava costantemente gli affettuosi saluti del dottore.
Kasumi non riusciva a trovare il coraggio di andare a trovarlo, non si sentiva pronta, non sapeva come affrontarlo, in vita sua non aveva mai avuto tempo per le questioni amorose ed era troppo imbarazzata per chiedere consiglio. Ma poi, a chi si sarebbe potuta rivolgere? Le sue sorelle purtroppo non brillavano nelle loro relazioni sentimentali: Akane e Ranma, fidanzati ormai da anni, erano famosi in tutta Nerima per le loro complicate faccende di cuore e Nabiki… si chiedeva spesso perfino se Nabiki avesse un cuore!
Non le rimaneva dunque che affidarsi ai romanzi o alle commedie romantiche.
Fece un abbonamento al cinema Toshimaen e prese a studiare con attenzione ogni mossa, ogni sguardo, ogni battuta, ogni dinamica delle sue storie d’amore preferite, andando a vedere lo stesso film fino a tre volte a settimana pur di apprendere le regole base di una relazione sentimentale.
Un martedì pomeriggio di giugno, a un’anteprima dell’ultimo lavoro della sua attrice preferita, durante una scena particolarmente commovente, Kasumi si ritrovò a singhiozzare e tirare su con il naso, mentre lacrime calde e gonfie le rotolavano giù dalle guance. Prima che prendesse dalla sua borsetta un pacchetto di kleenex, sentì un leggero picchiettio sulla spalla destra e, voltatasi in quella direzione, vide la mano dell’uomo seduto dietro di lei porgerle un fazzoletto di stoffa immacolato e inamidato.
«Prego, prenda pure il mio, è pulito» una voce appena soffiata offrì alle sue spalle, talmente vicino al suo collo da scuoterla con un brivido dalla testa ai piedi.
Kasumi sgranò gli occhi su quella offerta gentile, la prese titubante e ringraziò con un cenno del capo la mano anonima, senza avere nemmeno il coraggio di voltarsi per scoprirne il proprietario. Notò con un leggero batticuore come il fazzoletto odorasse di buono: sapone di Marsiglia con qualche nota di sandalo, il suo profumo preferito.
Passò l’ultima mezz’ora della pellicola come fosse seduta su un cuscino di rovi, le mani sudate strette intorno al fazzoletto prestato dallo sconosciuto con la forte tentazione e, al contempo, il timore di voltarsi per scoprire chi fosse.
Quando si accesero le luci in sala, tremando come una foglia, Kasumi si alzò, si voltò lentamente e rimase di sasso davanti a un altrettanto imbambolato dottor Tofu.
«Ka-Kasumi… anche tu qui? Ehm, ehm... c-che bella sorpresa! Doveva venire anche Betty ma… aveva il corso di ceramica! Eh, eh, eh!».
Mentre lo ascoltava fissandolo senza riuscire a emettere un suono, per la prima volta sentì a fior di pelle il violento imbarazzo che andò ad appannare gli occhiali del dottore e Kasumi, in una sorta di risonanza emotiva, arrossì fino alla radice dei capelli in una nuvola di vapore.
Andarono avanti per qualche minuto, lui a ridacchiare imbarazzato e lei aggrappata al fazzoletto, muta e inespressiva, finché l’inserviente del Toshimaen che doveva pulire la sala non li cacciò spazientito brandendo uno scopettone.
Seguendo il percorso per l’uscita, Kasumi si ritrovò più di una volta a dover tirare Tofu per la manica del kimono per impedirgli di andare a sbattere ovunque e finalmente, dopo un breve ma tortuoso cammino, si ritrovarono fuori dal cinema uno davanti all’altra, guardandosi le punte delle scarpe.
Passati diversi minuti, Kasumi fece un profondo respiro e, accennato un lieve inchino della testa mostrandogli il fazzoletto, pigolò: «La ringrazio dottore, lo laverò con cura e glielo riporterò quanto prima!».
Si voltò e fuggì con le gambe che le tremavano e il cuore che cercava di scappare dal petto, corse a perdifiato fino a casa e quando entrò aveva i capelli in disordine, le guance arrossate e un sorriso meraviglioso che le illuminava anche gli occhi. Tutta la famiglia Tendo-Saotome rimase sbalordita davanti all’immagine inedita di Kasumi che per la prima volta si mostrava per quel che era: una splendida donna di ventuno anni in piena fioritura.
Quella sera si addormentò con il fazzoletto stretto in un pugno inebriata dal suo odore.
Il giovedì successivo, alle quattordici e trenta, dopo essersi pettinata con cura e aver indossato il vestito di lino giallo con le spalline sottili e la gonna al ginocchio, il fazzoletto del dottore lavato e stirato nella borsetta, Kasumi Tendo, occhi luccicanti e labbra rosso ciliegia, si armò di grandi speranze e si avviò verso l’ambulatorio.
Dopo un quarto d’ora di passeggiata sotto un sole cocente, girò l’angolo con lo stomaco aggrovigliato dall’emozione e il suo cuore inciampò davanti all’insegna che le faceva venire la pelle d’oca. Si sentì strana, fece ancora un passo ma le gambe diventarono molli, il respiro accelerò, gli occhi affogarono nell’oscurità e Kasumi perse i sensi.
La sensazione di fresco della pezzuola umida sulla fronte la risvegliò lentamente, restituendole poco a poco la coscienza del proprio corpo indolenzito, di un bruciore pulsante alle ginocchia e, più di tutti, del tamburo che suonava incessante nella sua testa. Con gli occhi ancora chiusi mosse il braccio per toccarsi dove le faceva male, ma una mano ferma le avvolse le dita e la trattenne. Kasumi istintivamente si alzò a sedere facendo scivolare il panno bagnato sul suo grembo, ritrovandosi occhi negli occhi con il dottore. Per pochi, lunghissimi secondi riuscì a scorgerne tutta la tenerezza e l’affetto prima che la solita nuvola di vapore li annebbiasse. «Ka-Kasumi… va tutto bene, hai avuto un colpo di calore, come ti senti ora?».
Si guardò intorno ancora confusa e riconobbe il lettino dove era sdraiata, i poster appesi alle pareti che indicavano i punti dei meridiani energetici del corpo umano per la moxibustione, il lavandino, la bilancia: era nello studio del dottor Tofu. Abbassò lo sguardo e vide le ginocchia escoriate già medicate, le mani graffiate, si toccò delicatamente la tempia dove era stato posto un grande cerotto a coprire il punto dove i tamburi suonavano con più energia. Voltò la testa per tornare su Tofu e quasi cadde dal lettino sobbalzando per lo spavento: a pochi centimetri dal proprio volto c’era il cranio diafano di Betty, le orbite vuote, scure e inespressive che la osservavano mute e prive di vita.
Senza darle il tempo di elaborare un pensiero, lo scheletro parlò con una distorsione ridicola e nasale della voce del dottor Tofu: «Paziente scoppia di salute. Morto il dottore e due infermiere!».
Un silenzio imbarazzante cadde su di loro. Poi, come l’eruzione di un vulcano, si arrampicò dentro Kasumi la risata più grassa, felice e spontanea della sua vita. Cercò di trattenerla coprendosi la bocca con le mani, ma era incontenibile e senza poterlo evitare esplose, riempendo la stanza di gioia. Era talmente limpida e contagiosa che anche il dottore si ritrovò presto senza fiato a tenersi la pancia e dopo pochi secondi, al di là della porta a vetri, si aggiunse anche il signor Saotome con un buffo raglio da panda che li fece sbellicare, se possibile, anche di più.
Quando esausti e paonazzi finalmente smisero di ridere, continuarono a guardarsi complici, con il respiro affannato, asciugandosi gli occhi.
Kasumi prese la testa dello scheletro tra le mani e la baciò sulla fronte.
«Grazie Betty, potresti dire al dottore che vorrei sdebitarmi per la vostra cortesia offrendovi un tè?».
Da quel pomeriggio non fu raro vedere quell’insolito trio passeggiare per Nerima: il dottore riusciva a parlare con lei solo attraverso la voce di Betty e anche Kasumi si sentiva rassicurata dalla sua bizzarra presenza. Andarono spesso al cinema insieme prendendo tre biglietti, dopo lo spettacolo discutevano del film davanti a una tazza di tè matcha o una coppa di gelato. Kasumi e il dottore preferivano i film romantici, possibilmente con trame complicate e drammatiche, Betty era più per il genere horror, ma convennero tutti che, in seguito all’esperienza di insonnia e agli incubi provocati dall’ultimo film scelto dallo scheletro, da quel momento in poi la maggioranza avrebbe deciso il titolo da vedere e quindi: mai più film paurosi, con grande dispiacere di Betty che borbottò qualcosa in favore dei colpi di stato in America Latina.
A furia di frequentarsi, gli occhiali del dottor Tofu presero ad appannarsi sempre meno; Kasumi cercava di trattenersi dal fissarlo per evitare di emozionare troppo entrambi, dal momento che l’equilibrio che avevano raggiunto era precario e delicato e bastava poco a farli cadere in un imbarazzo paralizzante.
Una sera, mentre passeggiavano verso casa, il dottore per caso sfiorò le dita di Kasumi ritraendosi all’istante; lei, il fuoco sulle guance e nelle viscere, si fece coraggio e con un gesto lento ed elegante gli prese la mano.
Lui reagì con una repentina rigidità delle membra, ma, con uno sforzo titanico, riuscì a controllare e reprimere l’annebbiamento pagando quella concentrazione zen con un battito del cuore facilmente udibile anche senza stetoscopio e un mutismo totale fino al portone di casa Tendo, dove, davanti a una Kasumi raggiante e bellissima, non riuscì più a trattenersi e crollò, appannandosi tutto, occhiali e cervello.
Così, prima di dare la buonanotte a un palo della luce e congedarsi con un inchino e una pacca sulla spalla di Kasumi da parte di Betty, si rivolse alla gatta randagia appollaiata sul bidone della spazzatura e guardandola negli occhi gialli e annoiati le chiese, finalmente, di dargli del tu e chiamarlo Ono.
Gli appuntamenti che seguirono consolidarono queste nuove abitudini di tenersi per mano e chiamarsi per nome, cosa che non fu proprio facile e senza imbarazzi.
Il dottor Tofu divenne un ospite fisso e gradito di casa Tendo-Saotome, tutti lo accolsero con entusiasmo ed ebbero, incredibilmente, il tatto e la sensibilità di non accennare mai alla stravagante presenza dello scheletro che continuava ad accompagnare la coppia ovunque.
Per Kasumi, quella fu l’estate più felice della sua vita, circondata dalla sua famiglia e benedetta dallo sbocciare di questo nuovo amore.
Sul suo comodino alla foto di famiglia se ne erano aggiunte altre che la ritraevano nei momenti salienti di quelle ultime settimane: ce n’era una in cui sorrideva, nel suo furisode rosa ai festeggiamenti del Tanabata, al centro tra Akane, Nabiki, Ranma, Betty e Ono; un’altra in spiaggia con il Fuji sullo sfondo, sotto un grande cappello di paglia sottobraccio allo scheletro che indossava per l’occasione occhiali da sole e cappellino da baseball. Ma la sua preferita era quella che la ritraeva su un piccolo molo sul fiume Shakujii, circondata da iris gialli, in sella a un tandem guidato da Ono: lo sguardo del dottore non era per Nabiki che stava scattando la foto, ma tutto per lei, ed era talmente dolce e devoto che Kasumi sentiva il cuore galoppare ogni volta che lo osservava.

La conquista del suo ottimo umore le permise di essere riammessa da Nodoka ai lavori di casa in occasione della preparazione dell’Obon.
Riannodarsi il grembiule dopo tanti mesi le provocò una profonda commozione e per un momento Nodoka, vedendola accigliata, temette di aver commesso un errore. Poi Kasumi la abbracciò senza dire una parola e rimasero così per qualche minuto, raccontandosi mute il loro affetto e la reciproca, profondissima stima. Quando furono pronte, si allontanarono sorridendo e, dopo essersi asciugate gli occhi con il bordo del grembiule, cominciarono a darsi da fare.
Tutti vollero aiutare: Nabiki era l’addetta alla spesa, Ranma, Genma e Soun decorarono l’ingresso e il giardino con candele, lanterne e kadobi, il maestro Happosai acquistò al mercato nero cinese piccoli fuochi d’artificio domestici, mentre Akane si impegnò moltissimo nel tagliare la frutta per le offerte ai defunti.
Quando la sorella mostrò, raggiante e soddisfatta, il suo lavoro, tutti si morsero la lingua fatta eccezione per Ranma che, come al solito, non mancò di punzecchiarla chiedendole sarcastico se, con tutte le schegge del tagliere di legno nascoste negli spicchi di melone giallo e di anguria, non pensasse di uccidere gli spiriti dei loro cari estinti per la seconda volta. Kasumi si trattenne dal ridere e osservando quei due battibeccare e il resto della sua famiglia scherzare e chiacchierare spensierati, le riaffiorò alla mente la riflessione che tanto l’aveva addolorata mesi prima: la loro vita va avanti, anche senza di me. Ma non era più un pensiero di tristezza, bensì di speranza.

L’indomani, come da tradizione, si recarono tutti al cimitero a trovare la signora Tendo e il dottore, insieme all’inseparabile Betty, furono invitati ad accompagnarli.
Dopo aver cambiato i fiori nei vasi, acceso le candele, disposto le offerte e versato più volte acqua sulla lapide, ognuno di loro si inginocchiò e disse una piccola preghiera silenziosa.
Poi, secondo l’usanza, fu Kasumi, la primogenita, a prendere la parola per raccontare allo spirito della signora Tendo cosa fosse successo nell’ultimo anno.
Si schiarì la voce e cominciò: «Okāchan, eccoci di nuovo qui. Grazie per aver vegliato su di noi. Come puoi vedere, nonostante qualche piccolo problema quotidiano, stiamo tutti bene. La signora Nodoka si prende affettuosamente cura di noi e le siamo molto grati per questo. Papà ha ritrovato il sorriso con il suo amico Genma, mentre il maestro Happosai… beh, diciamo che lo tiene parecchio indaffarato». Pacche fraterne e suoni commossi e gutturali accompagnarono le sue parole. «Nabiki ha brillantemente concluso il primo anno di economia in una prestigiosa università privata che è riuscita a frequentare grazie ai soldi guadagnati in questi anni con la vendita delle foto di una certa ragazza col codino…» alle sue spalle sentì una risatina familiare e qualcun altro risucchiò l’aria con sdegno. «La nostra piccola Akane è diventata una splendida donna: è il solito dolce, goffo maschiaccio, ma ha trovato qualcuno che le tiene testa e che, nonostante i litigi e i battibecchi, le vuole molto bene». Le sembrò di percepire fin sulla propria nuca il calore dell’imbarazzo dei due testoni dietro di lei e sorrise. «Per quel che riguarda me, okāchan, molto è cambiato negli ultimi mesi. Come sai, da quando te ne sei andata ho vestito i tuoi panni pensando che mio padre e le mie sorelle non sarebbero stati in grado di farcela senza di te, ma era solo una scusa. La verità è che io non sapevo come vivere senza averti al mio fianco e così facendo ho dimenticato me stessa». Fece una pausa, cercando di sciogliere il nodo che le strozzava la voce. Riconobbe la mano di Nodoka poggiarsi sulla sua spalla mentre qualcuno - suo padre, Akane, o forse entrambi - piangeva sommessamente. «Okāchan, per tanti anni ho cercato di tenermi occupata pensando che fare fosse lo stesso che vivere o amare, ma mi sbagliavo. Ora puoi stare serena perché oggi sono davvero felice!».
Fece un’altra piccola pausa, pescò dal secchio al suo fianco un lungo mestolo di legno e versò un po’ d’acqua sulla lapide di pietra, lo rimise a posto, unì di nuovo le mani in preghiera e dopo un profondo respiro, riprese: «C’è una cosa molto importante che devo dirti, okāchan, la più importante di tutte. Ho portato a farti conoscere l’uomo meraviglioso di cui mi sono innamorata e che mi renderà ancora più felice diventando mio marito, costruendo una famiglia insieme a me. Ti presento il dottor Ono Tofu». Disse in fretta e con la voce che le tremava, finalmente si ricordò di respirare e, soddisfatta della propria audacia, sorrise sulle mani ancora unite.
Tutti trattennero il respiro, abbracciandola in un silenzio emozionato e carico di attesa. Poi, due passi sulla ghiaia e qualcuno si inginocchiò al suo fianco.
Kasumi aprì gli occhi e guardò di sottecchi l’uomo alla sua destra, le mani giunte sulle labbra, rosso come un peperone, le palpebre serrate.
Dopo qualche minuto, il dottor Tofu scartò di lato e dal suo fianco sinistro si affacciò Betty, che con la sua vocina nasale, rotta dalla commozione, disse: «Venerabile signora Tendo, il mio amico Ono è innamorato di sua figlia fin da quando era proibitivo e sconveniente anche che lo confessasse a me: Kasumi aveva solo sedici anni e lui era un giovane dottore da poco laureato. Da allora la sua luce lo ha sempre accecato e stordito, ma con dolcezza e pazienza lei gli sta insegnando ad amarla senza rimanere abbagliato. Signori Tendo, non so perché vostra figlia voglia concederci questo privilegio, ma per me e Ono sarà un onore rendere felice Kasumi ogni giorno della nostra vita!»

Un sospiro generale interrotto da qualche singhiozzo, fruscio di abbracci e nasi soffiati accompagnò il momento in cui Ono, dopo essersi schiarito la voce e aver ringraziato lo scheletro per averlo sostenuto e spalleggiato come il migliore degli amici possibili, si voltò verso Kasumi che gli sorrideva raggiante, la guardò teneramente e senza preoccuparsi della luce abbagliante che gli entrava negli occhi, nel cuore e nella mente distorcendo i colori, le voci e il mondo che li circondava, si disse tra sè: è il giorno più bello della mia vita.
Così - prima che si avvinghiasse piangendo alla lapide della signora Tendo e che tutti stringessero le mani a Betty congratulandosi commossi - con l’ultimo brandello di lucidità rimasta, il dottor Tofu decise che era giunto il momento di fare: si chinò e la baciò a fior di labbra, come fosse il più prezioso dei doni.



Glossario:

Bento contenitore adibito a servire e portare ovunque con sé il pasto.
Furisode kimono formale di seta con le maniche lunghe, solitamente indossato da giovani donne nubili.
Tanabata festa delle stelle, si festeggia intorno al 7 luglio.
Obon è una tradizione buddista giapponese per onorare gli spiriti dei propri antenati. A seconda della zona del Giappone, si svolge a luglio o a metà agosto (come a Tokyo) e decreta la fine dell’estate. È il momento in cui le famiglie si riuniscono e contrariamente a quel che si possa pensare è una festa allegra. Dura tre giorni, si accendono candele e lanterne di carta rossa che rimangono accese per la durata dei festeggiamenti. La parte più importante è la presentazione delle offerte di cibo agli altari domestici dei defunti o al cimitero, dove il primogenito racconta agli spiriti gli avvenimenti dell’ultimo anno e invoca protezione per la famiglia.
Kadobi (fuochi di benvenuto) sono lanterne che fungono da guida per aiutare gli spiriti a trovare la strada di casa e ricongiungersi alla terra.
Okāchan mamma.



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Ciao a tutti e bentrovati! È la prima volta che scrivo di una coppia diversa rispetto a R&A, è stato piuttosto difficile e non sono sicura di aver fatto un buon lavoro… spero davvero che vi sia piaciuto, aspetto con trepidazione i vostri pareri anche critici, sono curiosissima di sapere cosa ne pensate. Comunque è un capitolo un po’ lungo (e a tratti pesantuccio XD!) e mi scuso se vi ho annoiati, del resto non potevo esimermi dall’approfondire il personaggio di Kasumi e darle la redenzione e lo spessore che merita… E dopo le centinaia di mani messe avanti, un grazie alla mia carissima beta Tiger Eyes che non so quante volte ha letto e riletto questa os sull’onda delle mie insicurezze… sei un mito!
Infine, a tutti i lettori che hanno trovato il tempo per lasciare un commento a Dire: GRAZIE!!
Un abbraccio e a prestissimo con Baciare!

 




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