Runica - Sorgi e Splendi

di Leo_Zanardi
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0. RITROVARTI QUI

 

Il primo giorno del regno,

sorge un sole come qualsiasi altro.

 – Albraber, storico drailiano

 

«Ecco, ero sicura di ritrovarti qui» commentò Ed tra sé, scocciata.

L’aveva detto, che non voleva stare lì. Ma Ed aveva immaginato subito che la mattina dopo ci sarebbe tornata, malgrado quello che aveva detto. E il casolare – una vecchia fabbrica abbandonata, piena di sacchi di sabbia e altro materiale gettato alla rinfusa – ora sembrava diventato quasi un tempio, con tanto di pellegrini in visita. Alla luce del mattino sembrava che i muri di mattoni anneriti dal fumo splendessero un po' più di prima, quasi che l’intero scenario volesse di proposito tingersi di una spoglia sacralità.

«Mi tocca stare in fila. Che roba».

Fuori dal casolare c’era una fila di persone e colei a cui si rivolgeva era all’interno, e naturalmente non poteva sentirla. La metafora era appropriata: c’era una massa di gente tra le due ragazze, e la comunicazione era impossibile. In un certo senso, non era mai stato altro.

«Venite anche voi a ringraziare, giovane nana?»

«Ma zitto, vecchio bacucco».

L’anziano si allontanò da lei di un passo, infastidito. Alla fine della fila, una giovane guerriera dall’aria stanca che di tanto in tanto, sforzandosi di mantenere un tono gentile, esortava: «Avanti, il prossimo, su».

Di certo, anche lei si rendeva conto dell’assurdità contraddittoria della situazione in cui tutti loro, di colpo si erano trovati. O forse no. Forse non se ne rendevano conto affatto, o preferivano far finta che fosse così. Era quel che, dopotutto, si poteva definire un buon intuito, una capacità di capire dove tira il vento. Forse lei non l’aveva.

«Vai a rendere omaggio?» chiese una voce.

Sobbalzò appena: «Ma sei scemo. Non venirmi alle spalle così».

Gli occhi color senape dell’elfo si incontrarono quelli ramati, da nano, di Ed. Nuovamente, l’elfo scandì lentamente.

«Vai a rendere omaggio?»

«Col cazzo» ribattè lei, sboccata come spesso era, quando si innervosiva.

«Delicata».

«Vuoi vedere quanto delicata posso essere?»

«Su, non roviniamo il momento. Questa gente è sollevata».

«E tu ci tieni molto alla gente, dopotutto».

«Nemmeno un po'».

La ragazza ridacchiò.

«Uno sviluppo inaspettato, eh?»

«Forse» smorzò l’altro con un sorrisetto.

La fila, intanto, procedeva lentamente.

«Forse, dice lui. “Forse”, sì. Sei proprio un brutto soggetto, lo sai?»

«Sembra che la cosa ti diverta».

«Tu sei bravissimo a far finta che diverta te».

L’altro allargò le braccia: «Colpevole. Ma siamo in due, dopotutto».

«Oh, no. No, no, no. Io non fingo che non mi freghi. Non mi frega proprio».

L’elfo tacque per qualche secondo, prima di commentare a bassa voce.

«Fai la fila con gli altri, così potrai dirle quanto poco ti frega».

«Ti odio» disse lei con un sorrisetto triste che smentiva quelle parole.

Arrivata davanti alla porta, la guerriera la riconobbe e le diede una pacca sulla spalla con energia.

«Piano, sono ancora dolorante».

«Non dirlo a me».

«Allora entro».

«Certo. Le farà piacere».

«No. Non credo».

Una vecchietta uscì aprendo appena il portone di legno, lasciandolo socchiuso. Ed lo attraversò, e attraversò il piccolo rudere, che era stato un impianto di lavorazione dello zolfo, a giudicare dall’odore. C’erano doni adagiati che lei sorpassò senza neanche guardare cosa fossero, avvertendo che c’erano solo per via di profumi che smorzavano il residuo sulfureo. Seduta su un sacco di pietrisco, l’altra alzò lo sguardo.

«Ah, sei tu».

Forse lo sapeva, cosa era venuta a dirle.





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