Ti lascio al tuo tè
Londra
era fredda, ma poco uggiosa in quel periodo. Albus Silente
uscì dalla metro
consapevole di andare incontro a molto più di un semplice
appuntamento.
Si
strinse nel lungo cappotto blu, il cappello a falda stretta calato
sulle
ventitré, a nascondere solo a metà il cipiglio
alla fronte, volto ad increspare
lo sguardo chiaro dei suoi occhi intelligenti. Unico segno esterno di
un
leggero, insidioso turbamento.
Si
sedette ad un tavolo da tè. Non era solo: a
quell’ora, la sala dell’ottimo
salone ristorante era gremita di coppie o singoli alla moda o propendi
a
gustare una squisita omelette alla francese.
Se
avesse avuto il suo orologio d’oro da taschino, questo gli
avrebbe di certo indicato
l’ora del pranzo. Tuttavia, al suo posto, nella mano destra,
si attorcigliava
come un freddo serpentello d’argento la catena del ciondolo
divenuto, col
tempo, maledetto.
Controllava
scrupolosamente i palpiti del suo cuore, l’infingardo! Sapeva
quel piccolo,
scrupoloso e poco negletto gingillo, che il turbamento dentro di lui
cresceva
sempre più, insieme alla tensione.
Si
sforzò di ignorare stoico la sua morsa sempre più
stretta, come anche di non
lasciar trapelare alcun segno di agitazione alla solerte cameriera che
lo
accolse, beneficiandolo, di un buon tè scuro.
La
congedò con un sorriso mesto, palesando a voce
ciò che solo il suo cuore gli
rimarcava dall’interno ad ogni battito più celere:
era in attesa.
Aspettava
una persona.
O,
per meglio dire, la persona.
Una
zolletta di zucchero lasciata affogare nel piacevole tepore fumante
della
bevanda. Il suo cuore, sempre più pesante e gonfio nel
petto, ad inabissarsi
metaforicamente con essa.
A
seguire tre giri del cucchiaino, garbatamente riposto con due lievi
tintinni sul
piattino di porcellana bianca.
Un
tremito lungo la superficie acquosa della tazza, un brivido lungo la
schiena.
La tensione crescente, la stretta improvvisa del ciondolo lungo il suo
polso…
Un
fulgido, chiaro bagliore dietro le palpebre calate. Come se potesse
già
vederlo, Silente sapeva. Grindelwald era arrivato.
Il
mago appena materializzatosi era a pochi metri da lui. Lo aveva
studiato
silenziosamente in una rapida occhiata, ne era consapevole.
Lì, seduto poco
distante da dove aveva scelto di comparire. Non troppo vicino,
né troppo
lontano. La giusta distanza.
Quella
mostrata tutta la vita, con lui.
Forse
fu quel pensiero a fargli chinare lo sguardo e a stiracchiare le labbra
in un
sorriso. Grindelwald socchiuse gli occhi, già per loro
natura, quasi felini,
avanzò lesto e misurato verso il tavolo, si
accostò alla sua seduta, guardando
Albus ancora dall’alto, seppur in un atteggiamento per nulla
dominante.
Un
sorriso – il suo sorriso
– ad
impreziosirgli appena gli angoli delle labbra carnose.
“
Saresti
un cliente fisso di questo luogo?”
Lo
punzecchiò, con quella sua soluta aria da impertinente
gentiluomo. Possibile
che non fosse poi così cambiato? Il cuore di Albus fece le
capriole a
quell’ennesimo, speranzoso pensiero.
Sentendosi
avvampare, strano, ridotto ad un tremito al di sotto dei vestiti
eleganti da
mago raffinato e di cultura, quell’infima catena ad
allentarsi ad ogni fremito
sottopelle di lui. Per lui.
“
Io
non sono un cliente fisso di niente!”
Grindelwald
lo osservò ancora per una manciata di secondi, lo sguardo da
gatto sempre meno
convinto che la sua nuova esclamazione fosse veritiera.
Conosceva
bene i suoi gusti da capire che quel posto, calmo e riposante, fosse
l’ideale
per un timido solitario dandy come lui.
Ma
non aggiunse altro, preferendo invece con una sola falcata sedersi
sulla comoda
ed imbottita poltroncina in pelle bordeaux del locale.
Ora,
erano perfettamente allineati, l’uno di fronte
all’altro.
Albus
si concesse il privilegio di osservarlo da quella veduta privilegiata.
Niente
maschere, quell’oggi, a diretta concessione per
l’amico ritrovato. Niente
biondo acceso, viso più levigato ed affilato da criminale
internazionale;
accantonati il meno recente portamento fiero e massiccio, insieme agli
occhi
bui da lestofante di un governo straniero. No, nulla di tutto questo.
Ma,
seppur palesatosi nelle sue vere fattezze, Grindelwald era comunque
cambiato. I
suoi occhi cangianti erano più scuri, quasi come se il nero
dell’iride destro
avesse finito con l’incupire il tenue chiarore azzurrognolo
dell’occhio sinistro.
Eppure
il suo sguardo era quieto e dolce, mentre lo fissava…
Che
fosse solamente una sua fascinazione?
La
sua bocca era la stessa che ricordava, sorniona e tirata come sempre.
Da quelle
labbra spigolose erano uscite, spesso e volentieri, parole seducenti,
atte a
circuire o ad ammaliare il malcapitato ascoltatore di turno, seguite
poi da sussurri
ironici e, per finire, talvolta da gemiti di piacere. Silente
scacciò
quell’ultimo pensiero pericoloso, come una mosca molesta
posatasi sulla punta
del naso adunco, per poi lasciar cadere gli occhi proprio su quel suo
sardonico
sorriso, che si schiudeva piano per mormorare pacato, come se avesse
appena
terminato di leggere l’intera trama dei suoi pensieri e ne
fosse riemerso
piacevolmente divertito:
“
Vediamolo.”
Non
suonò come un ordine, bensì più come
una richiesta.
Eppure,
per un solo istante, il cuore di Albus aveva mancato ad un battito.
La differenza.
Era
stata quella a permettere al suo viso barbuto di trasfigurarsi in un
attimo,
passando dalla più tranquilla consapevolezza di aver
ritrovato dopo anni una
persona conosciuta, a quella reale e maggiormente veritiera di trovarsi
seduto
al tavolo delle trattative con un perfetto sconosciuto nel corpo di un
suo
antico amore.
Automaticamente,
come se avesse acquisito una volontà propria, la mano destra
si aprì, a mettere
in mostra, vanitosa e senza pudore, il ciondolo del loro patto di
sangue.
La
luce al centro dell’ampolla era evanescente, azzurro indaco
come gli occhi di
Silente, quando venivano abbagliati da un primo raggio di sole
all’alba.
E
fu in quelle iridi celesti che Grindelwald ritornò a
specchiarsi, dopo aver
gettato una veloce occhiata al suo trapassato ninnolo:
“
A
volte immagino di sentirlo ancora intorno al mio collo.”
Confessò,
lo sguardo basso, il mormorio della sua voce bassa e musicale quasi a
coprire i
battiti del suo cuore in decelerazione nelle orecchie. La sua
espressione
serena, quasi nostalgica, ad addolcire i tratti più
spigolosi del suo volto
squadrato.
“
L’ho
portato per molti anni”, lo
udì aggiungere, poco prima di chiedergli
direttamente e con altro tono, quasi accusatorio:
“
Come
sta intorno al tuo?”
Lo
rimproverava, ora. Silente gli sorrise. In fondo, era come se glielo
avesse
rubato. Ma adesso, non era più il tempo di quei puerili
rimbrotti.
“
Potremmo
liberarcene entrambi…”
Gli
propose, persuasivo e ammiccante come solo egli sapeva di poter essere.
Grindelwald
non cascò nelle sue trame, limitandosi invece a lasciar
sfuggire dalle labbra
lievemente imbronciate un debole mugugno, prima di aggiungere in un
tono aspro,
quasi sprezzante:
“
Quante
chiacchiere inutili, questi babbani! Anche se bisogna ammettere che
fanno un
ottimo tè.”
Terminò,
in un celio che nascondeva tutto il suo reale sarcasmo.
Albus
si incupì, ma solo nello sguardo, prima di inclinare il capo
verso destra per
sussurrargli caustico:
“
Le
tue intenzioni sono folli.”
Gli
ricordò con un accenno di biasimo nella voce seriosa, come
se si stesse
rivolgendo ad uno dei suoi studenti col chiaro intento di
rimproverarlo, senza
apparire per questo troppo severo.
L’indulgenza.
Un
altro tratto che Grindelwald, molto più dei suoi studenti
indisciplinati, non avrebbe
dovuto meritare.
Eppure…
“
Una
volta erano anche le tue.”
Gli
ricordò nell’immediato, in una conseguenza quasi
ovvia, dati i loro trascorsi.
Albus
titubò appena, questa volta, prima di rispondergli tono su
tono:
“
Ma
ero giovane, ero –”
“
Devoto!”
lo interruppe bruscamente, come se volesse porre fine a tutta quella
conversazione, oppure semplicemente, anticipandone le parole, volesse
estorcere
dalla sua bocca quelle che la propria lingua non avrebbe mai avuto il
coraggio
di pronunciare.
“
A
me! A noi.”
Sottolineò
con un eccesso euforico, quasi di trionfo, nella voce virile e pur
sempre misurata,
più che convinto delle sue affermazioni.
E
come dargli torto, a quel punto? Tuttavia…
“
No.”
Silente,
ora, fu netto nella negazione, perché certo della sua
opposizione.
“
Ti
assecondavo perché…”
La
voce venne meno a quell’ultimo pensiero, non trovando subito
il coraggio di
palesarsi all’altro.
Ma
Grindelwald fu insidioso e, sibillinamente, non gli lasciò
tregua.
Voleva conoscere la fine
di quella frase, che assumeva già tutto il gusto della
dichiarazione, sotto la
sua lingua da serpente incantatore.
“
Perché?”
“
Perché
ero innamorato di te.”
Sputò
alla fine, tirando fuori di nuovo una verità ovvia e chiara
ad entrambi, a
testa alta ed occhi fermi.
Grindelwald
lo osservò per un lungo minuto, lo sguardo obliquo, le
pupille attente, le labbra
pronte a stiracchiarsi in un nuovo sorriso compiaciuto.
“
Sì.”
Soffiò,
come un gatto ruffiano pronto a fare le fusa al suo proprietario stanco
dei
suoi insistenti miagolii.
E
fu felinamente che si sporse di più verso di lui,
confidandogli ancora, come se
fossero soli, in una stanzetta privata, e non in una sala gremita di
sconosciuti inconsapevoli:
“
Ma
non mi assecondavi per questo. Eri tu che dicevi di voler cambiare il
mondo.
Che era nostro diritto di nascita.”
Albus
si inumidì le labbra, agitato e incapace – a suo
malincuore – di gareggiare a
lungo con l’intensità di quello sguardo folle e
deciso allo stesso tempo.
Come
dirgli il contrario? Era vero, dopotutto. Da giovane era stato sciocco
e
ignorante. Aveva investito in progetti irrealizzabili, dando credito ad
idee
impossibili e fallaci che, se attuate, avrebbero gettato il mondo che
conosceva
nel baratro del caos e del disordine razziale.
Se
solo non avesse mai conosciuto Gellert, in quell’estate di
tanti anni addietro.
Se soltanto non lo avesse coinvolto!
Non
riusciva a guardarlo a lungo in viso; non per il sentimento che ancora,
contro
ogni sua volontà, sentiva di provare per lui, ma anche e
soprattutto perché
Grindelwald, quel Grindelwald, era
il
conseguente prodotto e il diretto risultato dei suoi vaneggiamenti da
ragazzo.
“ Non
credi sia
amorale, Albus? Non temi sia… pericoloso?”
Lo
sentiva ancora mormorare, persino così, ad occhi chiusi,
immerso nei suoi
ricordi: vedeva lui e Grindelwald poco più che
diciasettenni, proprio lì,
racchiusi nell’intimità della sua camera assolata,
dove ogni pomeriggio Gellert
sgattaiolava dalla finestra aperta per poter discorrere e stare con
lui, in
segreto e senza mura o giardini perimetrali a dividerli.
Ed
egli era così felice, così pieno di aspettative
future, così entusiasta, così pazzo
da rassicurarlo, ammaliarlo,
trascinarlo, convincerlo della ragionevolezza della sua follia:
“ No, se
fatto con
le dovute regole e precauzioni.”
Gli
ribadiva, ancora e ancora. E lo cercava. Con le parole, con i gesti
affettati,
con le mani strette nelle sue. Le dita intrecciate. I respiri rotti e
confusi.
Le menti in pieno fermento.
“ Fidati
di me,
Gellert. È per il bene superiore.”
E
il suo sorriso – oh, il suo
sorriso! –
non era poi così diverso da quello che, in tempi odierni,
gli vedeva sfoggiare
sulle medesime labbra di allora.
Che
fosse quella, in fondo, la sua vera colpa? Il motivo ultimo di tutti i
suoi
sbagli?
Cosa
vedeva in realtà davanti a sé, adesso, se non il
riflesso infranto dei suoi
errori?
Sospirò,
stanco, troppo stanco per rivaleggiare con tutte quelle constatazioni.
Forse,
dopotutto, quello che Silente vedeva riflesso nello Specchio delle
Brame
accanto alla propria immagine, non era altri che il Grindelwald che non
avrebbe
mai potuto esistere: semplice, onesto, buono, ancora integro
nell’anima
incorrotta.
Il
ciondolo fece i capricci intorno al suo palmo, stringendolo un
po’ di più
intorno alla pelle fredda e sensibile. Silente lo tenne fermo, mentre
cercava
di evitare di venire ustionato dalle fiamme in cui, a conti fatti, gli
occhi di
Grindelwald desideravano lasciarlo ardere per molto, moltissimo tempo.
Trasse
un breve respiro ad occhi bassi, provando a ritrovare la
stabilità per un
istante persa negli abissi blu notte di Gellert, finché un
movimento nei loro
pressi e un suo trasalimento non lo costrinsero a guardarlo ancora una
volta.
E
ciò che vide non gli piacque affatto.
Dopo
che la cameriera aveva portato gentilmente altro tè per lui,
Grindelwald aveva
cominciato a sondare la sala ristorante con i suoi imperscrutabili
occhi
d’acciaio, tendendo le spalle e la schiena come se volesse
scostarsi da
qualcosa di sgradevole. Quando lo udì riprendere parola,
tutto si aspettò
tranne il disgusto nella sua amabile voce:
“
Non lo senti? Il fetore?”
Tornò
a guardarlo, anzi ad inchiodarlo, con quei suoi occhi taglienti e
affilati come
punte d’iceberg in mezzo ad un mare di neve e ghiaccio
perenne.
Era
fredda e metallica, ora, la sua voce modulata, mentre i bordi sensuali
delle
sue labbra mutavano da corpi mobili e voluttuosi, fatti di carne e
sangue, in
due pezzi di marmo pallidi e insensibili, per chiedergli:
“
Davvero
intendi voltare le spalle alla tua razza? Per questi animali?”
Albus
rimase in silenzio, statico, gli occhi a metà tra sorpresa e
terrore.
Animali…
Nemmeno
più umani, dunque, ai suoi occhi inflessibili. Solo prede da
braccare, isolare,
cacciare, agguantare e, in un’ultima istanza, uccidere.
Il
gatto che si tramuta in tigre.
Non temi sia
pericoloso?
Così
lontano, quell’innocente sussurro. Solamente un pallido
ricordo della sua
adolescenza.
Adesso,
Grindelwald era il Pericolo.
Albus,
che continuava a sedergli di fronte, lo capì allora, forse
ancor più delle
consapevolezze che l’avevano condotto a ritrovarsi con lui,
quel giorno, in
quel ristorante babbano.
La
nebbia gli offuscava la mente in allerta, proprio come la foschia che
stava
avviluppando i sensi e le sagome dei non-maghi presenti in quella sala.
“
Con
o senza di te incenerirò il mondo, Albus. E non puoi fare
nulla per fermarmi.”
Oh,
sì… decisamente, non poteva fare nulla.
Come
poteva riuscire lui, Albus, da solo e con quei pochi mezzi, porre fine
a tanto
ardore, a tanta accesa brutalità?
Grindelwald
gli apparve perfetto nella sua inattaccabile verità da pazzo
dominatore.
Così
arrogante, così meschino… sempre più
distante dall’immagine del Gellert
curioso e sensato, intrappolato nella
lucida memoria del suo passato.
“
Ti
lascio al tuo tè.”
La
sentenza. L’ultima che gli sentì pronunciare
dinanzi, poco prima di seguirlo
alzarsi e scomparire alla sua vista.
Ciononostante,
essa non costituì l’ultimo segno tangibile della
sua presenza, quell’oggi.
Fu
di soppiatto che Gellert lo colse da dietro, le braccia allungate verso
di lui,
il tessuto pesante del suo completo scuro a sfiorare appena quello
chiaro della
sua giacca, le mani dalle dita lunghe e nodose a scivolare sulle sue
spalle,
per sostenersi o forse, solamente per trattenerlo da uno scarto
improvviso di
fuga.
Il
suo profumo, di pino silvestre e fumo di tabacco arabo, gli
solleticò le narici.
Il
suo respiro, che si infranse dolcemente sul lobo del suo orecchio, a
farlo
rabbrividire mentre si chinava a sussurrargli:
“
È stato comunque un piacere rivederti, per me,
Albus.”
Era
sincero o voleva solo fare sfoggio della sua matura
sensualità?
Albus
rabbrividì quando con le labbra scese a baciargli, in un
tocco morbido,
asciutto e tiepido, un lembo del collo scoperto.
“
Hai un buon profumo. Come sempre.”
Gli
mormorò. Il cuore del mago inglese era in pieno tormento.
Voleva alzarsi,
voltarsi, stringerlo, scuoterlo, ucciderlo, baciarlo… non lo
sapeva nemmeno
lui.
E
invece, rimase in silenzio, immobile come una statua di sale, a non
mostrare
nulla, a far sottacere ogni fremito, ogni lamento, ogni possibile
debolezza.
Quando
riaprì gli occhi che non si era accorto di aver chiuso,
Albus era di nuovo
solo.
Grindelwald
se ne era andato. Di nuovo e per davvero, questa volta.
L’umido
tepore delle sue labbra a marchiargli la pelle e le fiamme a
circondarlo, come
unici segni del suo passaggio.
A
ricordargli che era stato proprio lì, con lui.
Per
lui.
*
Riaprì
gli occhi di scatto.
Era
al sicuro, nel suo studio. Il chiacchiericcio allegro e svogliato dei
suoi
studenti, ad Hogwarts, a fare da sfondo ai suoi pensieri crucciati e
irrisolti,
proprio fuori dalla finestra e dalla porta in legno d’acero.
Non temi sia
pericoloso?
Pericoloso…
Gellert è il pericolo, ora.
Eri tu che dicevi
di voler cambiare il mondo!
No,
non è vero… non così.
Davvero vuoi
voltare lo sguardo alla tua razza?
Esiste
forse una razza?
Per questi
animali?
Animali…
Hai un buon
profumo.
Il
tuo, devo dimenticarlo.
Il
ciondolo si strinse sempre più intorno al suo polso e il
sangue mescolato iniziò
ad arrossarsi nella sua mano, a scottare, a bruciare tra le venature
del suo palmo.
Sentiva
il suo tormento, avvertiva la complessità delle sue emozioni.
Un
misto di rabbia, eccitazione, odio, disappunto, fuoco e ghiaccio.
Un
debole e discreto bussare alla porta bastò da solo a
riportarlo indietro, a
rammentargli il presente.
Giusto…
era l’ora del tè.
Angolo
dell'autrice
Grazie per essere giunti fin qui.
Alcuni chiarimenti al testo appena letto:
1) La storia è una riscrittura rivisitata e impreziosita
della
scena iniziale di "Animali Fantastici: - I Segreti di Silente".
Pertanto, ci tengo a precisare che le battute in neretto e in corsivo
non appartengono a me, ma alla sceneggiatura originale del film, come
anche i protagonisti della storia, che sono di proprietà
esclusiva di quel genio di J.K. Rowling.
2) I pensieri, le narrazioni e le descrizioni esterne alla scena
visibile ed interpretabile nel film appartengono a me e, di
conseguenza, sono frutto della mia libera immaginazione.
3) La scena finale svoltasi nel ristorante è stata una mia
diretta interpretazione di quella che la Warner Bros. ha voluto
volutamente cancellare dallo script originale - cosa che ho trovato di
uno spreco totale, tanto da inserirla a mia completa interpetrazione
nella chiusura dell'intera conversazione.
4) Ho voluto riprendere anche la scena conseguente, quella dello
studio, dove si vede appunto Albus Silente in preda ai tormenti del
destino che lo ha ricoinvolto nella vita e nei guai di Grindelwald.
Anche questa scena è stata leggermente reinterpretata da me.
Spero davvero che questa one-shot vi sia piaciuta e vi abbia divertito
come lo ha fatto con me.
La coppia Albus Silente/Gellert Grindelwald, interpretata
rispettivamente da Jude Law e Mads Mikkelsen, mi ha colpito davvero
tantissimo: elettricità magica ed erotica coinvolgente e
pazzesca! Non potevo non scriverne o riscriverne... :P
Si accettano ben volentieri letture, pareri e recensioni private e
pubbliche, a vostro piacere.
Al prossimo incontro o alla prossima tazza da tè! ;)
Un magico abbraccio,
Fuffy <3
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