«Tu
lo sapevi che qui
fanno un’ottima cheesecake?»
«Un
piatto tipico della
cucina cinese, certo. Per chi mi hai preso?» Lenny sorrise
cercando di non
soffocarsi con l’ultimo boccone di involtino primavera.
Midge
annuì, «Beh, ne
sono lieta. Un perfetto connubio tra le tradizioni di due culture molto
simili.
Anche se la mia cheesecake non la batte nemmeno il
miglior chef di
Pechino.»
Lenny
si guardò intorno
circospetto, «Non vorrei che quei due ti avessero sentita. Ci
scommetto venti
dollari che sono poliziotti in borghese. Potresti finire in galera per
quello
che hai detto, lo sai Midge?»
Si
finse indignato.
«Dici
quei due signori lì
in fondo? Piantonare un locale così carino solo
perché il regime comunista cinese
vanta una cucina decisamente migliore della nostra! Cosa si aspettano,
che il
Presidente mangi hamburger ogni santo giorno?»
«E
se invece fossero
delle spie in incognito? Li capirei se la notte non sopportassero
più la loro
vita americana e sgattaiolassero fuori a mangiare qualcosa di
commestibile. Io
lo farei.»
«Lo
stai già facendo.»
Lenny
scrollò le spalle,
annuendo. Posò il tovagliolo sul tavolo e rimase
lì a guardarla con le braccia
conserte per più di un minuto, in assoluto silenzio.
«Questa
è la seconda cena
che mi offri. Non ti nego che dopo tutte quelle cauzioni pagate ai tuoi
amici temevo
rimanessi al verde. Sei
stato tu a farmi
saltare uno dei pasti più importanti della giornata. Quindi,
non te lo avrei perdonato
mai e poi mai.»
«Ehi!
Anch’io stavo
morendo di fame!»
«Ne
è valsa la pena
aspettare.» La malizia nel suo sguardo rifletteva
perfettamente ciò a cui anche
lui stava pensando. Allungò il braccio di fronte a
sé, invitando Lenny ad
afferrare la sua mano. Cosa che lui accettò ben volentieri.
«Verrai
a vedermi venerdì?»
Le chiese con dolcezza, quasi intimidito dalla sua risposta.
«Non
avrai difficoltà a
notarmi.»
«Perché
non ci sarà
nessun altro?» Scherzò lui.
«No.
Perché indosserò
l’abito più bello che possiedo e ti assicuro che
ne ho parecchi.»
Intrecciò
le dita nelle
sue, stringendole forte. Era ormai notte inoltrata, ma Midge non aveva
alcuna
intenzione di tornare a casa. Il clima si era placato e ora rimaneva
soltanto
la soffice distesa bianca sull’asfalto a testimonianza della
bufera di neve che
aveva fatto loro da Galeotto.
«Il
mio ex marito avrà un
altro figlio. L’ho saputo qualche ora fa.»
Non
capiva perché le
fossero uscite dalla bocca proprio quelle parole. Era un pensiero che
aveva accantonato
per tutta la serata fino a quel momento. Probabilmente voleva
processarlo con
Lenny. Da quella notte la barriera era caduta e l’accesso al
suo cuore era
completamente libero. Anche gli angoli più oscuri,
sapientemente nascosti alla
luce, adesso rivelavano il loro contenuto.
Lenny
alzò dal suo posto
per accomodarsi vicino a lei. Lasciò che appoggiasse la
testa sulla sua spalla
e le accarezzò la schiena, incurante del giudizio di quei
quattro gatti
presenti nella stanza oltre a loro.
«Come
ti senti?»
«Cambiata.»
«Mhmm…»
Si
raddrizzò per
guardarlo meglio, «Se questo fosse successo qualche anno fa
non avrei reagito
così. Oggi, invece, mi sento in pace con l’idea di
vivere su una strada
parallela rispetto a Joel. Il mio treno corre secondo il mio tempo e
lui non ne
è più un passeggero. Ovviamente, è un
uomo a cui voglio bene, ma non detta più
il percorso e gli orari della mia vita.»
«A
me piace come conduci
il tuo treno. Mi piace molto, in effetti. E adoro il posto che mi hai
tenuto da
parte.»
«Non
ho sentito lamentele
da parte tua, almeno per il momento.»
«Dove
credi che andremo
dopo questa tappa? Intendo noi due. Solo noi due.»
Midge
lo baciò
teneramente, premendo una mano sul suo petto. Lenny la
sollevò e fece in modo
di averla sul suo grembo. Poi, le accarezzò la gamba con una
calza bucata per
via dell’attività svolta precedentemente nella
stanza “molto blu” del suo
hotel.
«Dopodomani
saremo alla
Carnegie Hall. Ti consiglio di essere puntuale.»
Lenny
scoppiò a ridere, «Farò del mio meglio
per non mancare.»
Passarono
diverse
settimane prima che Midge e Lenny si incontrassero di nuovo. Questa
volta fu a
casa di Lenny, dopo la discussione che avevano avuto riguardo alle
numerose
scelte sbagliate di Midge, nonché al modo cieco in cui aveva
condotto la sua
carriera e la sua vita fino a quel punto. Aveva scoperto che non era
per
evitarla che era sparito dalla circolazione per un tempo
così fastidiosamente
lungo, lasciandola a meditare sulla scomoda verità delle sue
parole.
A
New York era diventato
difficile arrivare a fine serata senza l’intervento della
polizia. Perciò,
lavorare a Los Angeles era stata quasi una scelta obbligata.
Lì, però, viveva
Kitty e Lenny adorava sua figlia. Con meno favore, invece, tollerava la
costante presenza di sua madre nella sua vita californiana.
Tuttavia,
le cose stavano
migliorando e allora in lui si era fatta strada l’idea di
comprare un nuovo
appartamento nella grande mela. Sarebbe stato considerevolmente
più vicino a
una persona che amava molto – di sicuro molto di
più di quanto amasse se stesso
– e Kitty sarebbe cresciuta nel luogo in cui era nata.
Suonò
il campanello e Lenny
si precipitò ad aprire la porta. Quando la vide
sentì gli occhi inumidirsi, ma
fece di tutto per nascondere l’emozione. Si scostò
per farla entrare e Midge
oltrepassò l’uscio senza staccargli gli occhi di
dosso. Aveva una bottiglia in
mano.
«Martini
per un uomo che
purtroppo non avrà olive da aggiungere nel mio
bicchiere.» Gliela mise in mano.
«Bella
tattica. Vuoi
farmi ubriacare così domani mattina non mi
ricorderò nessuno dei tuoi commenti
sui ciò che avrai mangiato?»
Midge
scosse la testa, «Grazie,
ma non si abbina a quello che avevo intenzione di offrirti.»
«Stai
scherzando? Non c’è
nulla che non stia bene col Martini.»
Lenny
le tolse il
cappotto dalle spalle, indugiando qualche istante di troppo sul suo
corpo. Era
esattamente quello che desiderava Midge.
«Devo
farmi regalare un
appendiabiti per il mio compleanno.»
«Non
puoi comprartelo da
solo?»
«Vado
a poggiarlo sul
letto.»
Indicò
con la testa la
sua stanza e poi sparì, insieme al suo sorriso, in fondo al
corridoio.
Nel
frattempo, Midge si
avventurò verso la cucina. Lei adorava le cucine. Prima di
varcare la soglia di
quell’ambiente accogliente, però, si
fermò attratta da un particolare: sulla consolle
addossata al muro era aperto il portafogli di Lenny, dalla cui tasca
sbucava
una foto in bianco e nero di una bambina adorabile accoccolata tra le
sue braccia.
Erano su una spiaggia e davano le spalle al mare. Sembravano molto
spensierati.
Lenny
la raggiunse da
dietro e osservò la fotografia, preferendo lasciarla nelle
mani di Midge, «Quel
giorno avevo l’orologio rotto. Non so quanto tempo siamo
stati lì a rincorrerci
e a riempirci i capelli di sabbia.»
«Il
tempo era
irrilevante, vero?» Depose la foto e poi si voltò
a guardarlo, «Vorrei che
avessi più spesso quel sorriso. Mi è mancato
oltre ogni immaginazione.»
«È
riservato solo a te e
a Kitty.»
«Ma
di recente ti ho
fatto piangere.»
«Sì,
lo hai fatto.»
«Non
me lo sarei aspettato
da te.»
«Eppure,
è successo.»
Midge
si morse la lingua,
chiaramente intenta a impedire alle lacrime di scorrere sul suo viso.
Lenny la
condusse in cucina guidandola con le mani sulle spalle, «Ho
preso tutti gli
ingredienti che ho letto su quella rivista. Se ti avessi chiesto la
ricetta ti avrei
rovinato la sorpresa.»
Midge
guardò ogni cosa
disposta accuratamente sul tavolo con gli occhi sgranati,
«Non ci credo! Lenny
Bruce nei panni di una casalinga dell’Upper West Side! Vuoi
rubarmi la
professione?»
«Ehi,
qui siamo al
Greenwich Village! E poi tu non sei più una casalinga,
Cristo! Con tutto il
rispetto per le casalinghe…»
Midge
lo osservò con uno
scintillio negli occhi, senza nemmeno provare a nascondere
l’eccitazione che le
suscitava il pensiero di Lenny seduto di fronte allo schermo del Gordon
Ford
show. Era la comica fissa del venerdì sera
dall’inizio della stagione. Era a
quello che si riferiva?
«Mi
hai vista in
televisione…»
Lenny
annuì.
«E
allora? Come ti sono sembrata?»
«Te
lo dirò dopo cena. Ma
non hai bisogno del mio parere.»
«No,
però ho voglia di
conoscerlo.»
Ecco.
L’aveva fatto di
nuovo: era riuscita a renderlo vulnerabile un’altra volta.
«Hai
anche un grembiule
più bello del mio. E questo non è
giusto!»
«Facciamo
a cambio?»
«Oh
no! Tu con il mio
grembiule rosa ricamato?»
«Potrei
sorprenderti.»
Midge
ammiccò elegantemente,
ma Lenny si affrettò a sollevare il palmo della mano e ad
aggiungere, «Un passo
alla volta, Midge. Per ora, direi di partire dalla cheesecake.»
Si
rimboccò le maniche della camicia, pronto ad essere iniziato
alla
difficilissima arte della pasticceria.
«Te
ne sei ricordato.» Affermò
Midge mentre assaggiava con un cucchiaio la crema al formaggio
avanzata. Si era
seduta sul tappeto vicino al forno, con le gambe incrociate, in attesa
che la
torta si cuocesse a dovere.
«Non
ho nemmeno quarant’anni! Me lo riesco a ricordare
quello che è successo da quando ho quattro anni a questa
parte. Grazie per la
preoccupazione.» La raggiunse sul pavimento della cucina.
Erano uno di fronte
all’altra. Lenny aveva tutta la camicia macchiata e i
pantaloni pieni di
impronte di burro, in quanto aveva scelto di sacrificare se stesso pur
di
salvaguardare l’outfit di Midge cedendole
il suo grembiule e
stringendoglielo in vita,
«Posso
assaggiarla anche io? Lo so che sei tu che
comandi in cucina, ma mi pare di aver fatto la mia parte!»
Indicò i segni della
battaglia ben evidenti su tutto il suo corpo.
Midge
prese della crema e avvicinò il suo cucchiaio
alla sua bocca. Dopo averla mangiata, Lenny rimase con la mano sul suo
polso.
«Mhmm…
Mao Tse-tung avrebbe ucciso per questa!»
«Avrebbe
ucciso per un prodotto culinario della
società consumistica americana? Nah, probabilmente lo
avrebbe fatto per altre
ragioni.»
«Midge?»
«Sì?»
«Sono
fiero del lavoro che stai facendo. La prima
volta che ti ho vista seduta sulla poltrona di Ford ho esultato come un
bambino.»
Si
sollevò da terra per accostarsi a lui, addossando
la schiena al muro e appoggiando la testa sulla sua spalla.
«Sei
tu il mio trampolino di lancio. Lo sei sempre
stato. Soprattutto quando non c’era nessuno che potesse
aiutarmi veramente.
Susie non sapeva come farlo, eppure ti giuro che ci ha provato. Dio sa
quanto
ci ha provato!»
«Sono
solo uno dei tanti che hanno annusato il tuo fottutissimo
potenziale. Prima è venuta Susie, però.»
«Non
è una gara a chi l’ha scoperto prima.»
«Dovrò
comprare un altro grembiule.»
Midge
sorrise, «Hai intenzione di cambiare lavoro?
Agevoleresti la concorrenza.»
«Questo
è sicuro!»
Midge
gli tirò una leggerissima gomitata nel fianco
fingendosi risentita, ma invece di ritirare il braccio
preferì avventurarsi
verso la sua coscia. Lenny appoggiò la mano sulla sua.
«Si
brucerà…»
«Ma
se sei indecente! Vuoi imbrattare ancora di più la
tua reputazione?»
«Sono
in grado di spogliarmi da solo, Midge. Non sono un
bambino.»
«Ah
beh, non mi sembrava quando ti sei fatto imboccare
da me proprio qualche secondo fa. E comunque ho davvero pochissimi
dubbi sul
fatto che tu sia un bambino. Ma oggi c’è qualcuno
che vorrebbe toglierti i
vestiti di dosso tutta da sola e sarebbe molto scortese
impedirglielo.»
Lenny
la baciò appassionatamente e prese fiato,
«Dovremmo
spegnere il forno?»
Le
dita di Midge proseguirono incautamente verso la
cintura dei suoi pantaloni, mentre lo guardava languidamente negli
occhi, «Solo
se non vuoi causare un incendio e distruggere il tuo nuovo
appartamento.»
«Mi
basta l’incendio che vedo nei tuoi occhi.»
Quella
notte finirono per mangiare fuori, proprio nello
stesso ristorante cinese dell’ultima volta.
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