Miss Bahun: caccia ai Vampiri

di BabaYagaIsBack
(/viewuser.php?uid=572215)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.




XIII


 

Un grugnito, seguito da una sensazione fastidiosa. Un calore inusuale a pizzicare il viso e contrariare le pupille oltre le palpebre chiuse. Un altro grugnito. Katarina provò a voltarsi e rivoltarsi in ogni modo sotto la coperta di lana cotta, in modo da costringere Morfeo a non abbandonarla, ma nessuno dei suoi sforzi parve alleviare il sentore spiacevole; nemmeno infilare la testa sotto a quella sottospecie di cuscino le permise di ignorare il fatto che il sole fosse sorto e il giorno, come poche volte prima, la stesse reclamando - così, soffocando un grido nella ben misera morbidezza del materasso, Miss Bahun si rimise supina. Con il respiro grosso e gli occhi rivolti al soffitto, in cerca forse di qualche visione mistica, la vânător provò a capire per quale, stupido motivo, fosse già sveglia. Sì, la ronda della sera prima non si era poi prolungata per chissà quante ore, e men che meno qualche creatura maligna aveva dato loro filo da torcere, ma tra il disastroso viaggio in treno, la corsa dietro alla Fata e la consequenziale scarica di adrenalina, per non parlare della scomodità di quel materasso, avrebbe gradito qualche ora in più di riposo. Se lo meritava, in fondo. Eppure qualcuno, una forza superiore a cui avrebbe preferito non dover dare alcuna identità, sembrava essere tutto fuorché d'accordo con lei.

Intontita dagli ultimi rimasugli di sonno rimastale addosso, Katarina diede un colpo di reni e, in un lasso di tempo che le apparve incredibilmente breve, si ritrovò seduta: le punte dei piedi a toccare il pavimento gelido e la vestaglia a ricaderle malamente da un lato del corpo, lasciando fin troppa pelle alla mercé dell'umidità di quel tugurio che era la sua stanza. Il freddo del mattino - nemmeno si pose il problema se fosse primo o tardo - le riempì cosce, busto e braccia di una lieve pelle d'oca, facendola prontamente pentire di essersi tolta di dosso le coperte con tanta premura.

«Rahat! (merda!)» le sfuggì di bocca prima ancora che se ne potesse rendere conto. Nemmeno nelle peggiori bettole di Roma, in pieno inverno, aveva mai patito un simile gelo - come fosse possibile che in un edificio tanto imponente e curato dovesse ritrovarsi in una simile situazione le fu inconcepibile.

Piegò il collo da una parte, poi dall'altra, e subito dopo lo scrocchio delle ossa, rivolta con la testa verso la porta, un suono insolito e inaspettato catturò la sua totale attenzione. Persino il freddo e i muscoli intorpiditi passarono in secondo piano. Protendendo il busto quanto più le fosse possibile, senza però alzarsi del tutto, Miss Bahun si mise in ascolto. In lontananza un mormorio concitato si mise a stuzzicare la sua curiosità: sembrava una litania, eppure non avrebbe saputo dire con certezza quale preghiera fosse e quante voci la stessero recitando. Così, ignorando il fatto d'essere ben lontana dal presentabile, Katarina si issò dal letto e, stirando un muscolo dopo l'altro, si avvicinò alla maniglia, abbassandola e tirandola a sé. Circospetta si mise a spiare dal ritaglio di spazio tra la porta e lo stipite e, non trovando anima viva nel corridoio, scivolò fuori dalla stanza. I piedi si mossero svelti sul pavimento, carezzando silenziosi il mosaico di fiori e spine che il giorno prima l'aveva condotta alla serra in cui si trovava la Madre Superiora: sembrava formare un percorso, una sorta di flusso continuo che conduceva proprio dove, consciamente o meno, Miss Bahun voleva andare - e senza rendersene conto, ancora una volta, lo seguì. Un passo dopo l'altro, aguzzando l'udito, Katarina avanzò lungo l'ambulacro quasi in balìa del canto che l'aveva spinta fuori dalla propria cella. E più si avvicinava all'origine della litania, e quindi le parole si scandivano, più la sua curiosità si faceva vorace: non aveva mai udito nulla di simile, eppure, rispetto a moltissimi altri inni o preghiere, quella risultava essere... invitante. Acquattandosi alla parete, quasi provando a rifuggere i raggi che dal cavedio e qualche piccola finestra si insinuavano nell'edificio, esattamente come uno di quei vampiri che tanto odiava, Miss Bahun si fece sempre più vicina a una porta che, il giorno prima, nemmeno si era accorta esistere. Rispetto alle soglie delle celle, quella pareva essere qualche spanna più larga e alta, mentre il legno, segnato in più punti, riportava curiose incisioni.

Le dita della vânător si mossero prima ancora che lei potesse realmente realizzare le proprie azioni e, in punta di polpastrello, percorsero con una sorta di deferenza le linee frastagliate di quello che aveva tutto l'aspetto di essere agrifoglio - e un sorriso appena abbozzato le si appollaiò sul viso.
Apărare (difesa), le suggerì la mente, precauție (precauzione) le sfuggì poi di bocca in un sussurro talmente lieve da essere quasi impercettibile, seguito poi da un eternitate (eternità) altrettanto silenzioso. Una scelta perfetta per decorare un luogo come quello, soprattutto vista la fede cieca del Clero nei confronti del Dio di Luce e della sua Sposa; non a caso, spostando appena lo sguardo, Katarina scorse sull'anta quelli che le parvero essere myosotis, o più comunemente "non ti scordar di me", aechmee e... d'improvviso corrugò le sopracciglia, ritraendo le dita. Anemoni.
Per un attimo pensò d'essersi confusa, eppure più guardava più era certa di non sbagliarsi: ma perché mai inserire un fiore simile? Che significato poteva assumere la nostalgie (nostalgia) in quel contesto?

Nuovamente portò la propria attenzione alla nenia oltre la porta, tendendo l'orecchio. Anche quel canto, a dispetto di quelli che conosceva, possedeva una sfumatura amara, lontana, quasi dolorosa: che fossero in qualche modo collegati? Che significato avevano? E possibile che a Londinium esistessero inni così diversi da quelli della sua terra o di Roma?

Con rinnovata curiosità il palmo della donna si poggiò sul legno e, lentamente, Miss Bahun spinse fino a sentire i cardini ruotare su se stessi, creando uno spiraglio da cui le fu possibile spiare l'interno di quello che suppose essere il refettorio. Il timore di essere udita si dissolse alla stessa velocità di un battito di ciglia: visto il brusio concitato, quella sorta di litania costante che le voci delle Sorelle Velate stavano producendo, dubitava fortemente che si sarebbero accorte di lei. Così si premette col viso sullo stipite e, sorprendentemente, ciò che i suoi occhi incontrarono una volta schiusa l'anta fu una penombra densa a cui non si abituarono subito, soprattutto vista la luce che riempiva il corridoio alle sue spalle e che, purtroppo, disegnò sul pavimento uno squarcio luminoso che la fece imprecare a bassa voce. Se il cigolio poteva essere passato inosservato, quella striscia di luce difficilmente avrebbe ottenuto la medesima grazia. Nemmeno le candele consumate, le cui fiammelle avevano sciolto la cera che era poi colata lungo i doppieri in ferro, e che si intervallavano alle ombre della stanza in modo disordinato, potevano eguagliare la possanza del sole, ostacolando così l'intento della vânător di passare inosservata - doveva quindi scegliere in fretta cosa fare: se sgattaiolare dentro, al pari di una ladra, o tornare mestamente nella propria camera, fingendo di non essere mai stata lì. E quale fosse la decisione più saggia, Katarina lo sapeva bene, eppure il suo istinto predatore e quella curiosità che nel tempo era diventata un suo tratto peculiare la spinsero comunque a muovere l'ennesimo passo in avanti, scegliendo di comportarsi nel modo scorretto. Sarebbe entrata, acquattandosi contro la porta e diventando ombra; si sarebbe mossa lesta lungo il perimetro di quel refettorio e avrebbe spiato novizie e religiose più attempate mentre prendevano parte a quella preghiera; perché, nonostante gli anni di servizio, le era capitato raramente di entrare in contatto con un Ordine come quello delle Sorelle Velate, ancor meno, se non mai, aveva avuto modo di esser loro così vicina da conoscerne abitudini e riti. Miss Bahun avrebbe quasi potuto dire di esserne, in quel momento, più affascinata che incuriosita, di provare per quella possibile scoperta una sorta di attrazione.
Le dita scivolarono lungo il legno laccato, il palmo vi si staccò, posizionò i piedi per poi ruotare il corpo in modo da passare attraverso il misero spazio creatosi quando, senza preavviso, una voce la fece sobbalzare.
«Che sollievo trovarvi sveglia!»
Katarina si morse la lingua e senza dovervi riflettere molto trasformò il movimento di poco prima in uno totalmente diverso, girandosi verso l'interlocutrice e richiudendosi la porta alle spalle: «Bramavate la mia compagnia...» ma solo in quell'istante realizzò effettivamente di chi si trattasse, tendendo in un ghigno le proprie labbra: «madre Goldchild?» E presa altrettanto alla sprovvista, la donna parve arrossire.
«Bramare?» ripeté corrugando le sopracciglia, quasi stesse soppesando quel termine: «Non credo sia un'emozione a me appropriata, Miss, ma di certo mi stavo crucciando sul disturbare o meno il vostro riposo. Vi ho vista rientrare presto stamane e so che solitamente i vânător scambiano il giorno con la notte.»
Sapientemente Katarina si scostò dall'anta a cui era rimasta attaccata sino a quel momento, cercando di far passare la sua presenza lì come qualcosa di poco conto: «Credo che il vostro concetto di "presto" non sia il mio, anche se in effetti sì, sono rientrata prima del mio consueto. Purtroppo la notte non è stata proficua, ma sapete, quando la vescica chiama...» sapeva bene che con quel commento non avrebbe fatto buona impressione sulla Superiora, ma di certo l'avrebbe aiutata a dissipare i sospetti che poteva aver generato in lei.
«Oh! Stavate quindi cercando il gabinetto?» Le lunghe ciglia di Sylvia sbatterono più volte, mentre con lo sguardo vagò nei dintorni, pensierosa: «La novizia che vi ha mostrato la vostra stanza, quella che vi ha anche accolta al vostro arrivo, non vi ha indicato dove si trovassero i bagni?»
E anche se Katarina ricordava bene che nel misero scambio di parole con quella povera ragazzetta le era stato detto dove trovare tutto ciò che le sarebbe stato utile, scosse la testa: «Deve esserle sfuggito. L'ho vista particolarmente agitata dalla mia presenza.»
«In effetti è raro avere ospiti come voi.»
Miss Bahun si ravvivò una ciocca sfuggita alla treccia sfatta: «Nonostante non sia cosa insolita, le vânător sono comunque meno comuni dei loro colleghi con le brache. E' normale fosse intimorita.»
Con un gesto della mano la madre Superiora sembrò indicarle la via e, all'unisono con lei, si mise a camminare nella medesima direzione lungo il corridoio.
Spalla a spalla per la prima volta, Katarina si accorse come, a onta del fatto che fosse scalza, superava Sylvia di qualche centimetro; non molti, giusto a sufficienza per farla sembrare ancor più delicata e indifesa, nonché perfetta per essere premuta al muro in situazioni di natura ben meno innocente di quella in cui si trovavano - e a quel pensiero si dovette nuovamente mordere la lingua. Che fosse il fascino della divisa, o quello del proibito, poco importava: Sorella Goldchild aveva su di lei un influsso tutt'altro che casto e retto.

«Non credo sia per quel motivo, sapete?» Ancora una volta la voce della suora la colse alla sprovvista, facendola sussultare. «Suppongo piuttosto che sia semplicemente la vostra persona» e, per la prima volta dopo il loro incontro nella serra, il giorno prima, i loro sguardi si incrociarono e sorressero con un'intensità che fece fremere le viscere di Katarina. Sarebbe stato così sbagliato, inopportuno e avventato afferrare i polsi di quella donna e tirarla a sé? Sarebbe stato sconveniente premere la propria bocca su quella di lei come aveva fatto con la Fata nei vicoli bui di Londinium solo un paio di manciate d'ore prima? Se lo chiese premendo i denti nella carne delle labbra, quelle stesse labbra che avrebbero voluto conoscere il sapore di Sylvia, un frutto succulento e proibito che dal Giardino della Vergine sembrava invitarla a commettere l'ennesimo peccato. Miss Bahun aveva fame. Un desiderio atavico di così tante cose che in quel preciso momento si sentì sul punto di cedere. Voleva calore, carne in cui affondare, sangue d'ascoltare scorrere; bramava corpi, pensieri vuoti, respiri affannosi e cuori al limite dell'esplosione. D'improvviso la sua curiosità aveva smesso di spiare oltre la porta ornata, si era lanciata come una faina lungo il corridoio seguendo il profumo della Madre Superiora e di fronte a lei si era fermata, beandosi della vista di quella preda.
«E a cosa si deve una simile supposizione?» Senza distogliere lo sguardo, la vânător piegò appena la testa da un lato, facendo scivolare accanto al viso una ciocca vinaccia che, invece, fece distrarre l'altra donna tanto da fermare la loro avanzata. Le labbra carnose di Sylvia si schiusero leggermente, come se qualcuno avesse infilato un dito in mezzo alla sua pelle e fosse penetrato fino al nocciolo di quel frutto. Con i suoi occhi cristallini parve seguire i capelli dalla lunghezza alle punte, soffermandosi su ogni sfumatura della tinta: «Non siete come gli altri vânător, Miss Bahun. C'è qualcosa di diverso in voi, qualcosa che vi rende più pericolosa, ma al contempo speciale... credo sia normale sentirsi confusi accanto a voi.» Le sfuggì in un tono lento e sensuale che, piuttosto che incantare maggiormente Katarina, la fece irrigidire, spingendola a sfiorarsi il braccio sinistro in un gesto istintivo, come se stesse proteggendo una vecchia ferita mai guarita.
A cosa si stava riferendo? Che in qualche modo sapesse... «Oh, giusto!» Madre Goldchild sussultò, cambiando completamente tono ed espressione: «Siamo arrivate» annunciò volgendo il capo: «Il gabinetto. Vogliate scusarne la modestia, ma purtroppo i bagni sono solo a nostro uso. Gli studenti non hanno accesso ad altre aree dell'Istituto se non quelle dedicate all'istruzione, quindi non ci è mai sembrato necessario apportare migliorie.»
Miss Bahun rimase zitta, quasi non avesse idea di che dire - in realtà, però, avrebbe voluto chiedere a Sylvia più spiegazioni, avrebbe voluto conoscere le origini di quei pensieri. Chi avrebbe potuto rivelare i suoi segreti? E a che scopo confessarli a una donna come lei?

La religiosa mosse un passo: «Vi lascio alle vostre cose, Miss. Avrete certamente bisogno di ottimizzare i tempi e tornare al vostro ripos-» ma Katarina le afferrò il braccio prima ch'ella potesse allontanarsi abbastanza, bloccandola e facendola impallidire. Nemmeno si rese conto di quel placcaggio, il suo corpo agì prima che potesse realmente pensarci - e subito se ne pentì, mollandola. Di certo doveva averla colta alla sprovvista, spaventandola.
«I-io... scusatemi. Non so cosa mi sia preso. Vi ringrazio per avermi accompagnata e...» doveva dire qualunque cosa che potesse giustificarla, così deglutì: «volevo anche informarvi che uscirò tra qualche ora per delle indagini. Vorrei che fossero avvertiti Mister Whiteman e Lord Terry, se non vi è di troppo disturbo» concluse, riportando la mano al proprio fianco.

Che le era preso?

Sylvia sbatté le lunghe ciglia, cercando in tutti i modi di evitare il viso di Katarina: «C-certamente, lasciate che me ne occupi io» e così dicendo prese a camminare svelta, sparendo presto tra i corridoi dell'edificio prima che il pugno della vânător si potesse picchiare contro il muro.

Come aveva potuto essere così maldestra? Si chiese, ma soprattutto, c'era davvero qualcosa di cui preoccuparsi nelle parole di quella suora? 





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4027007