ATypical

di ArielSixx
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Rintocchi.  

Quattro rintocchi.  

Scandiscono il cigolio metallico dei cancelli che vengono chiusi, i catenacci ben saldi a confermare che non vi è più altra scelta. O dentro o fuori, e io sono dentro... e Wynona è fuori. Il mio sedere è ben piantato a terra e inizia a farmi male la schiena contro la parete metallica, ma non ho ancora trovato il coraggio di spostarmi dall’ingresso. Gli spintoni di quelli a cui ho intralciato il passaggio mi lasceranno i lividi per tutti i prossimi giorni. Poco importa, non vale abbastanza come castigo dopo tutto quello che è successo. Non ho neanche avuto il tempo di parlarle, chissà se ha capito che è tutta colpa mia; forse no, non mi sono fidata abbastanza da raccontarle quello che mi stava succedendo. Un segreto che potrei portarmi nella tomba di questo passo. Io sono quella al sicuro questa notte. Vorrei poter fare qualcosa eppure è tutto inutile. Non mi rimane che prendermi cura di Kyle e Mad sperando che le mie preghiere la conducano viva alla prossima alba. Non è stupida ed è già sopravvissuta a tantissime cose, ce la farà anche questa volta mi ripeto.  

Utilizzo tutte le forze che mi rimangono per tirarmi su, i corridoi a quest’ora sono deserti contando che saranno già tutti a procurarsi gli ultimi residui della cena o un posto comodo nelle camerate. Non so esattamente quanto sono stata ferma lì a terra a disperarmi inutilmente, ma suppongo che saranno passate al massimo un paio d’ore.  

Arrivata nella zona della mensa l’aria è fresca e piacevole, a prescindere da quanti gradi ci siano all’esterno qui si sta sempre bene. Non ci sono abbastanza materie prime per riuscire a utilizzare l’aria condizionata e i sistemi di ventilazione sono pressoché rudimentali, sarà anche per questo che ci troviamo sottoterra. Durante i primi tempi l’idea di star qui mi faceva sentire paranoica anche se non ho mai avuto problemi con i luoghi chiusi, riusciva comunque a darmi delle brutte sensazioni. Col tempo ci si abitua a tutto, questa come altre cose. Adesso non posso dire di sentirmi al sicuro, non vi è angolo di questo distretto in cui ho l’opportunità di poter abbassare la guardia; eppure, ci sono notti in cui gli incubi non tormentano i miei sogni tanto da lasciarmi dormire almeno un paio d’ore di fila.  

Le luci sono soffuse, il consumo di energia è ridotto al minimo. In giro non c’è nessuno e sto pensando di approfittarne per fare una doccia – anche congelata – per togliere via i pensieri più che lo sporco. Alla sporcizia ci sono abituata, ma questo peso che mi porto dietro è completamente nuovo. Respira Selena mi ripeto, niente panico. Gli spogliatoi che precedono le docce hanno a che fare con tutto tranne che con la privacy, ci sono giusto un paio di armadietti per riporre le proprie cose e i lucchetti sono spariti ormai troppo tempo fa. Non mi sono portata dietro neanche un asciugamano, poco importa, un raffreddore è l’ultimo dei miei pensieri.  

Lascio i vestiti nell’armadietto più vicino, se qualcuno dovesse avvicinarsi lo sentirei per tempo. L’acqua fredda mi riscuote, un brivido mi risale lungo la colonna vertebrale e ho l’istinto di contrarre i muscoli in cerca di calore. Eppure sembra avere il suo effetto, le gocce congelate che mi ricadono sulla testa affievoliscono i pensieri... che si concentrano su quella sensazione lasciandomi un attimo di pace. Sporcizia e sudore scorrono lungo il pavimento di piastrelle celesti, sarebbe più facile se si potessero lavare così anche i peccati. 

Quando ne ho abbastanza ritorno improvvisamente alla realtà, con l’acqua chiusa il freddo si fa sentire ancora di più e devo restare almeno qualche minuto immobile tra quelle pareti per asciugarmi spontaneamente. I vestiti mi si appiccicano addosso e pur avendo la fortuna di avere dei capelli molto sottili mi ci vuole un po’ per strizzare via tutta l’acqua.  

Il silenzio non aiuta.  

Così ritorno alla camerata e mi butto pesantemente sulla mia branda, bagnata e affranta. Anche stanotte gli incubi non mi lasciano tregua. Aspetto il sorgere del sole con il pensiero di andare a cercare Wynona. 

Odore di caffè e rugiada, sangue e salsedine. Un mare immenso intorno a me e io che affogo, l’acqua dentro ai polmoni che non mi lascia più respirare. Giù, sempre più giù. Mi si mozza il respiro. Sto solo sognando eppure non riesco a respirare. Spalanco gli occhi e mi rendo finalmente conto che non è solo un sogno. Una figura robusta mi blocca sul letto con le mani intorno al collo, mi dimeno come un pesce fuor d’acqua senza la possibilità di urlare. Il volto paonazzo, la paura intensa. Poi improvvisamente la presa si allenta.  

“La prossima volta non avrai una seconda possibilità, so cosa hai fatto”, mi sussurra quella figura che non riesco neanche a distinguere nel buio.  

Non riesco ancora a respirare, le mani che tremano e il cuore a mille. È andato via, ma io non me ne capacito.  

‘So cosa hai fatto’ mi ha detto, ma cosa? Quale dei miei tanti peccati non è più solo un segreto? Quale disastro ho davvero combinato? Qualsiasi cosa sia non possiamo più restare qui ad aspettare, non abbiamo più tempo per progettare un piano come si deve prima di metterlo in azione. E se sapesse quello che posso fare? Non avremmo più altra possibilità per andare via di qui.  

È arrivato il momento di agire.  

Non so ancora come, ma è ora.  


 

 

 

 

 

 





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