Forse, un giorno, chissà

di NightshadeS
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17 Novembre
 
Ore 19.57
 
Non ti sembra leggermente sospetto se ci presentiamo esattamente nello stesso istante alla porta? Tu dove hai detto che saresti stato?” sussurrò Kijo a Ranma mentre zoppicava schiacciata dal peso di un orso gigante di peluche che abbracciava, una scarpa col tacco rotto in una mano e una bustina di plastica con un pesciolino nell’altra

È molto più sospetto se ritardiamo entrambi per cena, ti pare? E poi non è colpa solo mia se abbiamo perso tutte le coincidenze dei mezzi! Sei tu che ti sei voluta andare a rintanare nel tunnel dell’amore e…” ribatté Ranma con tono supponente, le mani in mano che ciondolavano pigramente dietro la nuca

“Coooooosa? L’unico motivo per cui siamo entrati in quel dannato tunnel è che tu avevi visto quel minuscolo gattino nero, per cui mi hai afferrato di peso, hai lanciato le monete al bigliettaio e sei zompato su quella sottospecie di cigno rosa galleggiante!” replicò lei infervorandosi, senza più preoccuparsi di mantenere il tono della voce basso

“Ah, davvero? E allora anche tutto quello che è successo lì dentro è stata solo colpa mia?” si risentì il ragazzo col codino, voltando leggermente il viso e chiudendo gli occhi, offeso, sperando che nella penombra del vicolo vicino alla via di casa Tendo lei non scorgesse il lieve rossore che aveva colorato le sue guance

Che-che c’entra!? Quello non è stato colpa di nessuno…è stato il momento…” provò a fornire una spiegazione Kijo, parlando nuovamente piano, sentendo i battiti accelerare al solo ricordo

“Il momento…bella scusa! Qualunque cosa accada d’ora in avanti basterà dare la colpa al momento e tutto sarà a post-?” stava protestando Ranma, quando improvvisamente si trovò la mano che reggeva la bustina col pesce sulla bocca mentre Kijo tentava di zittirlo

Guarda, Tofu è appena entrato in casa Tendo! Se mi sbrigo posso fare un salto allo studio e darmi una sistemata!” gli bisbigliò

“Certo, come no! Hai dimenticato la storta alla caviglia? Ci metterai vent’anni a fare il tragitto di andata e ritorno, se non ti accompagno io!” Ranma si passò una mano tra i capelli con fare di superiorità, aspettandosi che lei lo avrebbe pregato. Invano. Come vide che Kijo gli lanciava sguardi assassini, pur tenendo le labbra serrate per non chiedere aiuto, aggiunse
“Inoltre il film che sono andato a vedere oggi pomeriggio con Daisuke finiva un’ora fa, quindi non avrei davvero scuse per tardare tanto a cena”

“Uffa, va bene! Ma ti rendi conto che tutto questo è assai sospetto?” sospirò infine Kijo, indicandosi dalla testa alla caviglia malmessa, passando per la scarpa rotta e il vestito sgualcito

“Sì, ma sei l’unica per cui tutto questo è un problema. Io avrei agito diversamente, come ben sai” rispose lui asciutto, avviandosi verso il campanello. La ragazza roteò vistosamente gli occhi al cielo e poi lo seguì, zoppicando dolorante.
 
 
“Bentornato Ranma! Ciao Kijo, anche tu qui?” li salutò Kasumi sorridendo e invitandoli ad entrare, poi scrutò meglio la ragazza e le domandò, preoccupata “Ti senti bene, cara? Hai l’aria un po’ sconvolta”

“Sì, tranquilla…nulla di che! Ero al luna park con Yuka oggi e ho preso una storta alla caviglia. Eh, eh…che sbadata!” commentò lei con un sorriso di circostanza mentre posava entrambe le scarpe nell’ingresso per indossare le pattine. Già che c’era, lasciò lì anche l’orso gigante e il cappotto, poi continuò, mostrando il pesciolino
“Però sono riuscita a vincere questo! Ho pensato che sarebbe stato molto più felice nel laghetto delle carpe piuttosto che in una boccia di vetro, che ne pensi?”

“Uh, che carino! Andiamo a liberarlo subito allora! Così poi potrai far dare un’occhiata alla tua caviglia da Tofu” le fece cenno di entrare Kasumi, rallegrata dall’idea.

Prima di entrare in sala da pranzo incrociarono Nabiki, che stava scendendo gli ultimi gradini delle scale, un sorrisetto indecifrabile a fior di labbra
“Ciao Kijo! Mi fa piacere che ti sia ripresa dall’influenza! Anche tu di ritorno dal luna park? Strano che non ci siamo incontrate, anch’io ci sono stata per un paio d’ore con Mendo, oggi pomeriggio! Si vede che abbiamo preferito attrazioni diverse…” le si rivolse la ragazza sistemandosi i capelli dietro le orecchie. Kijo non riuscì a capire se le avesse rivolto un fulmineo occhiolino o se se lo fosse solo immaginato.
 
 
Ore 18.22
 
“Sbrigati dannazione! La navetta sta per partire e non ce ne sarà un’altra prima di mezz’ora!” sbraitò Ranma cercando di strattonare Kijo per un braccio, per farle aumentare l’andatura

“Puff, pant! Parli bene tu! Quest’orso di peluche peserà cinquanta chili e non- AHIO, accidenti!” gridò Kijo rovinando a terra dopo che un tacco le si era incastrato nel foro di un tombino, facendole perdere l’equilibrio. Per lo meno il pesce nella busta piena d’acqua si era salvato. A seguito di una lunga serie di colorite imprecazioni nella sua lingua natia, fortunatamente non comprensibili ai passanti, mentre osservava il tacco ormai spezzato e si massaggiava la caviglia dolorante, intimò al ragazzo
“Corri a fermare l’autobus, io intanto cerco di arrivare, in qualche modo”

Ranma soppesò per qualche istante l’idea di aiutarla, ma il suo tono autoritario e il leggero risentimento che ancora provava nei suoi confronti lo convinsero definitivamente a mettere il turbo per raggiungere la navetta.

Le portiere stavano proprio per chiudersi quando la mano di Ranma vi si frappose, facendole
riaprire e provocando il disappunto dell’autista
“Ehi giovanotto! Non hanno insegnato educazione a te? Che modi sono questi?” un uomo calvo e paffuto girò la testa sormontata da un berretto verde militare verso il ragazzo col codino e, come lo ebbe squadrato per bene, lo stupore si impadronì dei suoi piccoli occhi a mandorla facendoli spalancare per quanto possibile
“L-Lanma Saotome? Tu qui?” commentò l’uomo tentando di allargarsi il colletto della divisa, mentre una grossa goccia incombeva sulla sua testa

“La…guida di Jusenkyo? Che cavolo ci fai tu qui?” replicò Ranma mettendo a fuoco l’individuo

“Nemmeno mio nome licoldi…solo guida di solgenti…e io che pensavo di essele impoltante in vostle vite: io licoldo tutti i visitatoli di solgenti dal plimo giolno in cui ebbi incalico-” l’uomo fermò bruscamente il flusso di ricordi a cui si era abbandonato notando l’espressione perplessa e accigliata di Ranma
“Capito, capito…tu no intelessa. Io licenziato con disonole da saclo compito di gualdiano di solgenti dopo che qualche mese fa di nuovo due intlusi sgattaiolati dentlo pel fale bagno ploibito. Anzi, due intluse! Io implesso lolo facce in memolia con fuoco, giulato tlemenda vendetta contlo lagazze che mi hanno fatto peldele lavolo: un bionda, una mola, una cinese, altla stlaniela! Ah, mi sembla di avele lolo volti davanti occhi!” s’infervorò l’ex-custode, stringendo un pugno sopra il volante, lo sguardo perso nello specchietto retrovisore.

Con sommo sconcerto di Ranma, vide riflessa in quello stesso specchietto una caracollante Kijo che, zoppicando faticosamente a velocità lenta ma costante, si stava avvicinando con l’orso in braccio alla navetta
“Ehm…ti ho trattenuto fin troppo, forse è meglio che ripart-” provò a convincere l’autista ad andarsene, ma quello era di tutt’altro avviso

“Di già? Se non sbaglio mi avevi chiesto come mai sono qui a guidale bus…ecco, questa stolia buffa! Dopo che limasto senza lavolo io emiglato in Giappone pel licongiungelmi con mia figlia Plum; vado ufficio di collocamento pel tlovale impiego e nelle mansioni plecedenti sclivo che ho fatto guida, ma mio giapponese non pelfetto e impiegato quando chiama plopone lavolo da guida…dei bus! Ahahah, capito, lui pensa che io guida bus ma io guida delle solgenti!” un improvviso moto di ilarità si era impadronito dell’uomo, che dava in quel momento pacche sul volante come se avesse raccontato la storia più esilarante del mondo, scompisciandosi.

Nel frattempo dalle retrovie del pullman cominciavano a spandersi i primi segnali di insofferenza da parte dei passeggeri, quindi Ranma prese la palla al balzo e, temendo che Kijo riuscisse ad arrivare in tempo, sollecitò nuovamente l’autista
“Wow, che brontoloni eh…senti, credo proprio che dovresti partire, perché se ti facessero rapporto rischieresti di perdere anche questo lavoro! Mi ha fatto piacere rivederti…ehm, Guida, sono certo che avrai un futuro grandioso come pilota!” così dicendo scese dal bus e agitò la mano per salutarlo

“Eh? Non sali? Cledevo tu dovessi plendele bus…ma non plendele, ola è mio! Ahahah! Uh, secondo te lagazza con olso gigante deve salile?” si voltò poi l’uomo verso Kijo che arrancava gli ultimi metri

“No no no no no! Assolutamente! Probabilmente è una pazza, voglio dire, chi è che andrebbe in giro con una sola scarpa trasportandosi un aggeggio del genere? Vai vai! Addio!” Ranma dapprima mimò il gesto della follia disegnando con l’indice dei cerchi immaginari vicino alla sua tempia, poi estrasse un fazzoletto e prese a sventolarlo per enfatizzare il saluto.

L’autista, visibilmente commosso, finalmente partì, proprio mentre Kijo raggiungeva la pensilina
“Ehi -anf-, che cavolo! Perché non hai provato a fermarlo qualche altro secondo?” ansimò stremata la ragazza inveendo contro il bus in allontanamento

“Credimi, è meglio così…quell’autista guida veramente da cani! Avrest-, ehm, avremmo rischiato la vita a prendere quella navetta! Però per recuperare un po’ di tempo possiamo dirigerci intanto alla prossima fermata” propose il ragazzo

“In quale universo risparmieremmo del tempo? La prossima navetta raggiungerà la fermata alla stessa ora! È totalmente irrilevante se la prendiamo a questa qualche minuto prima o alla successiva qualche minuto dopo. Spostarci serve solo a sprecare energie e…” sbottò Kijo, prosciugata di ogni residuo di pazienza dalla sfiancante maratona appena percorsa sulla caviglia dolente

“Ok, ok! Ho capito, pigra che non sei altro. Sediamoci e aspettiamo allora!” esclamò Ranma ciondolando verso la panchina. Kijo dovette far appello a tutte le forze sovrannaturali che popolavano l’universo per non cedere all’istinto di piazzargli un manrovescio.
 
 
Ore 17.17
 
“Scusa, sai che ore sono?” domandò Kijo a Ranma mentre attendevano pazientemente che defluisse la lunghissima fila per entrare nella casa degli specchi

“Ma sei seria? Me l’hai chiesto tipo due minuti fa!” sbuffò Ranma emettendo una voluta di vapore. Sebbene quel giorno il sole avesse brillato splendente, l’aria si era fatta ancora più fredda da quando aveva cominciato a calare. Ostentando insofferenza come se dovesse compiere l’azione più noiosa del mondo, Ranma si spostò la manica del cappotto dal polso e lesse sul suo orologio
“Sono le 17.17, contenta? Kami, hai un appuntamento con qualcun altro per caso?”

Kijo si strinse all’enorme orso di peluche vinto poco prima che effettivamente era un’ottima fonte di calore. Strizzò con forza quegli arti morbidi per dissipare il desiderio di rispondere per le rime al ragazzo, conscia che erano entrambi ancora su di giri per il diverbio avuto in precedenza, per cui se avesse ceduto alle provocazioni e alimentato un nuovo litigio, probabilmente sarebbero finiti per urlarsi contro cose che non pensavano neppure. Però cavolo, c’era quella vocina sarcastica che le prorompeva impetuosa dal profondo, facendosi strada sibilante ed eludendo tutti i paletti che aveva piazzato per bloccarla, finché non giunse a farle vibrare le corde vocali
“Sì, con uno psichiatra! Perché mi farai diventare matta prima o poi!” si trovò a dire prima che potesse mordersi la lingua, subito deglutendo il proprio pentimento

“Ah, davvero? E allora-” s’infervorò il ragazzo col codino, ma poi di punto in bianco tacque. Il suo viso divenne pallido pallido e gli occhi si spalancarono come finestre prospicienti il giardino del più puro terrore.
Un piccolo gattino nero stava zampettando nella loro direzione, strusciandosi alle gambe delle persone che, intenerite, si fermavano qualche istante per accarezzarlo o nutrirlo con bocconcini del loro cibo da passeggio.
“G-g-g-g-g-gaaaa…ga…”cominciò a balbettare Ranma, che con scatto fulmineo sollevò una decisamente perplessa Kijo e l’orso per scappare a nascondersi agli antipodi della bestiola. I vari passanti si scostavano preoccupati al passaggio di quella stramba piramide umana e ursina, che rischiava di travolgerli a ogni metro giacché la base sembrava non avere alcuna visuale frontale di dove stesse correndo. Come Ranma notò un’attrazione del tutto priva di fila, senza preoccuparsi di cosa fosse, vi si diresse a tutta birra, lanciando alcune monete all’anziano bigliettaio dagli occhiali spessi e saltando sui seggiolini di quello che si rivelò essere un enorme cigno rosa. Il roseo anatide di plastica si mise in moto e si addentrò in una galleria dalle luci soffuse, dal cui soffitto pendevano cuoricini, camelie e piccoli origami di gru colorate.

Ok, tra tutti i posti possibili per terminare quella folle corsa aveva scelto il tunnel dell’amore, perfetto! Del resto perché scegliere una destinazione più neutrale quando ce n’era disponibile una che avrebbe potuto aumentare il loro imbarazzo e fomentare i risentimenti dovuti alla loro pregressa discussione? Dio, cos’era quell’odore penetrante? Sembrava un misto di rose e zucchero filato ed era talmente dolce da risultare nauseante, ma le ventole sul soffitto parevano totalmente insensibili al suo disagio e continuavano a sparar loro addosso quell’olezzo.
Dal canto suo Ranma non aveva fatto una piega. Mentre quella specie di navicella a forma di cigno veleggiava alla volta di ogni puccioso angolo di Romanticolandia, terra fantastica categoricamente tricroma dato che gli ideatori parevano conoscere solo il rosso, il rosa e il bianco, il ragazzo aveva mantenuto la stessa identica espressione alienata con cui era entrato, fissando un punto indefinito davanti a sé e tremando di quando in quando. Va bene, se proprio bisognava dirla tutta era molto probabile che non si rendesse conto neppure che era lì, né che vi era entrato scientemente; era quasi sicura che si fosse rifugiato in quel tripudio di melassa solo perché aveva intravisto una via di fuga da quella creaturina che lo terrorizzava tanto: questo ovviamente non significava che non lo avrebbe mai preso in giro per la sfortunata scelta, solo che avrebbe dimostrato un briciolo di pietà ed evitato di canzonarlo in quel momento. Anche perché scioccato com’era non le avrebbe dato alcuna soddisfazione.
Kijo decise di schioccare un paio di volte le dita davanti agli occhi del ragazzo col codino, dato che agitargli la mano a un palmo dal naso non aveva sortito alcun effetto.
Come se si fosse risvegliato da un’ipnosi, Ranma sbatté tre o quattro volte le ciglia e tornò perfettamente in sé, facendosi prendere totalmente dal panico non appena realizzò la situazione
“Che-che ci facciamo q-qui?” prese a balbettare, non capendo come mai la ragazza che gli sedeva accanto esibisse una gigantesca goccia sulla tempia. Sobbalzò bruscamente, mettendo a repentaglio il precario equilibrio di quella specie di patino aviforme che sicuramente non era omologato per due persone più un orso gigante.

“Ehi, ehi! Calma o ci farai ribaltare in acqua, cosa che credo nessuno voglia qui” lo redarguì Kijo, alzandosi in piedi per cercare di bilanciare quella stupida barchetta rosa. Lo sguardo le si posò sulla bustina di plastica che aveva appoggiato ai piedi dell’orso gigante, per cui si sentì in dovere di aggiungere “Beh, forse al pesce farebbe piacere, ma penso solo a lui…”

Ranma inspirò profondamente, poi prese a massaggiarsi la sella del naso per la frustrazione di non riuscire a ricordare come era finito lì e di non ricevere una risposta chiara ed esaustiva sull’argomento. Facendo appello alla sua proverbiale scarsa pazienza, domandò nuovamente scandendo eccessivamente le parole
“Come-accidenti-siamo-arrivati-qui? Mi ha drogato un’altra volta o forse-”

Intimamente indispettita da quell’ipotesi, Kijo non permise al ragazzo di continuare i suoi farneticamenti e, puntandogli contro l’indice, si sentì in diritto di sormontare la sua voce
“Wo-wo-wo! Frena un attimo Saotome! Com’è che questa è la prima cosa che ti viene in mente? Io non ti ho mai drogato in vita mia e anche quando accidentalmente ti sei auto-drogato in mia presenza mi sembra di essermi comportata come una gentildonna e di averti trattato in modo molt-, ehm, parecc-, volevo dire, piuttost-…insomma, in modo abbastanza rispettoso considerando tutta la situazione, ecco!” la sua arringa fu decisamente meno fluida di quello che si sarebbe aspettata a causa degli improvvisi e decisamente inopportuni ricordi che si erano affacciati alla sua memoria in quel mentre, tuttavia dopo un colpetto di tosse si decise a ripartire, se non altro per rimettere al proprio posto quel sopracciglio impertinente di Ranma che aveva osato alzarsi
“Per quale stramaledetta ragione avrei dovuto drogarti poi? Per farti salire su questo gigantesco uccello rosa a respirare estratto di miele e farmi venire il diabete…cosa-diavolo-c’è-da-ridere?” la ragazza si bloccò repentinamente con una tempia pulsante, notando che il compagno di crociera aveva preso a ridacchiare senza pudore

“Niente, niente…non fraintendermi, Kijo, apprezzo lo sforzo ma non fa proprio per me salire su un gigantesco uccello rosa…gigantesco, poi, non ti vantare troppo!”

Per tutte le esalazioni zuccherine! Aveva appena fatto una battuta a sfondo sessuale? Ranma Saotome!? Per qualche istante l’ipotesi che fosse drogato non le sembrò più così assurda e la sua estrema perplessità dovette affiorare piuttosto manifesta sul suo volto, giacché lui continuò canzonandola

“Oh, Kami! È successo finalmente! Sia messo agli atti che oggi, 17 Novembre, è il giorno in cui Ranma Saotome è riuscito a mettere a disagio Kijo Rinekami!”

Con un tempismo perfetto, due sparacoriandoli li sommersero, dopo un POP all’unisono, con una cascata di cuoricini rossi. Il ragazzo col codino si scosse tutti quei piccoli pezzetti di carta di dosso ridendo sguaiatamente mentre ostentava il segno della vittoria con entrambe le mani; lei invece si stava ancora passando le mani sulle spalle per eliminare quanti più cuoricini possibili, in modo lento e metodico per darsi il tempo di elaborare tutte le emozioni contrastanti che facevano a pugni dentro di sé. Da un lato un exploit del genere era stato piuttosto scioccante, soprattutto dopo la giornata che avevano vissuto fino a quel momento…Cavolo, avrebbe dovuto essere un’occasione leggera e divertente per chiarirsi e invece si stava trasformando sempre più in un garbuglio confusionario di drammi! D’altro canto però, sebbene quelle parole suonassero stonatissime in bocca al Ranma che aveva imparato a conoscere, non poté far a meno di essere orgogliosa per quella piccola scalfittura che brillava sul muro di tabù di cui si era sempre circondato. Una cosa banale come una battuta poteva apparire come un misero ma pur compiuto passo verso l’accettazione di quella sessualità che tanto si impegnava a negare di possedere. E anche se non era ancora chiaro come, lei sentiva di aver avuto un qualche ruolo in tutto ciò.
Decise di rafforzare il suo entusiasmo, temendo che se lo avesse contrastato avrebbe provocato una subitanea involuzione di quel faticoso progresso, quindi si portò le mani sulle guance ed esclamò, con tutta l’enfasi di cui era capace
“Accipicchia Ranma! Mi hai davvero sconvolta! Non avrei mai immaginato una risposta del genere…” provò a dire, ma le uscì decisamente più sarcastica di come avrebbe voluto.
Lo sguardo del ragazzo virò di espressione, poteva vedere il livello di baldanza che lo pervadeva diminuire precipitosamente, mentre le braccia pian piano si abbassavano e i segni delle V si accartocciavano su loro stessi. Porca paletta, non doveva succedere!
“Intendevo dire: che cavolo, Saotome! Cos’hai, undici anni? Battute sul mio cigno…cos’ha poi che non va?” si mise a gesticolare Kijo, come se il solo pronunciare quelle parole le risultasse insostenibile. Ranma la fissò per un momento e poi riprese a ridacchiare, per cui lei proseguì, esageratamente stizzita
“…e comunque siamo qui solo perché tu hai avuto un attacco di gatto, cioè, un gatto di panico, uffa! Un attacco di panico dovuto a un gatto! Mi hai sollevata di peso e sei corso alla cieca a rifugiarti in questo tunnel: come vedi, io non c’entro niente” concluse incrociando le braccia e sbirciando di sottecchi l’espressione di Ranma

“Uuuuh, qui qualcuno ha toccato proprio un nervo scoperto eh!” gongolò il ragazzo mentre infastidiva Kijo picchiettandola ripetutamente con l’indice. D’un tratto andò via la luce e contemporaneamente il percorso del placido fiume dell’amore virò verso destra, per cui la ragazza, destabilizzata, si ritrovò a sedersi alla cieca sulle gambe di Ranma.
                                                     
                                                                    -§-
 
“Scusa signore…mi aiuti a cercare la mia mamma?”

La vocina di un bimbo che non doveva avere più di cinque o sei anni destò l’anziano bigliettaio del tunnel dell’amore, che approfittando della fiacchezza della giornata si era permesso di schiacciare un pisolino nella guardiola. Inforcò per bene gli spessi occhiali che gli erano scivolati ormai quasi sulla punta del naso e notò alcune monete sul ripiano che si era dimenticato di mettere in cassa. Completata quella veloce operazione, tirò giù la leva che forniva la corrente alla propria attrazione, si infilò il giacchetto e uscì dalla guardiola esclamando
“Certo bambino, tanto oggi qui non viene nessuno…è proprio vero che il romanticismo è morto! Come ti chiami?”

“Mi chiamo Kentaro…” rispose il piccolo sistemandosi il cappellino rosso in testa e stringendosi nel giubbino giallo senape. Appena l’anziano signore gli tese la mano rugosa, lui l’afferrò con la propria, poi s’infilò un dito nel naso e a passo di lumaca s’incamminarono verso la biglietteria d’ingresso.
 
                                                               -§-
 
Là dentro, si era tutto fermato. Nessuna corrente artificiale sospingeva più la rosea barchetta dal collo allungato, nessuna musichetta romantica riempiva più il silenzio di quel tunnel, nessuna profumazione dolciastra emanava più dal soffitto. Tutto attorno a loro era sospeso, quieto e buio tanto che per qualche strana analogia avevano loro stessi quasi smesso di respirare, come se si fossero improvvisamente ritrovati nello stomaco di una gigantesca bestia che li aveva inghiottiti per poi addormentarsi e temessero di ridestarla. Erano rimasti così, l’una seduta sulle ginocchia dell’altro, rivolti l’uno verso l’altra, a guardarsi senza potersi vedere ma sempre più consapevoli delle rispettive presenze. Dicono che quando uno dei cinque sensi viene a mancare gli altri siano portati ad affinarsi e sebbene la situazione fosse fortunatamente temporanea, i ragazzi poterono sperimentare sulla propria pelle, letteralmente, che quella credenza corrispondeva al vero. Ogni centimetro dei loro corpi aveva incrementato la propria sensibilità tanto che ciascun lieve tocco, strusciamento casuale e perfino spostamento d’aria venivano recepiti come veri e propri stimoli forti. L’immobilità di quello stallo diveniva ogni secondo più difficile da mantenere man mano che l’emozione di quel contatto divampava struggendoli dall’interno.
Una sottile scia del profumo fresco di Ranma si insinuò nelle narici di Kijo, portandola istintivamente ad avvicinarsi a lui per respirarne ancora; a quell’inaspettata mossa, le mani del ragazzo ebbero uno spasmo e si trovarono a stringere le zone che prima sfioravano soltanto, ossia il fianco e la spalla di lei.

Un invito…certo non era chiaro, ma con Ranma non c’era mai nulla di chiaro. Sperando di non aver frainteso le sue intenzioni avvicinò ancora il proprio viso a quello del ragazzo, fermandosi quando sentì le loro fronti toccarsi. Rimase così, qualche attimo in attesa per capire, per sentire, per dare la possibilità a lui di reagire, mentre il soffio del suo respiro accalorato le accarezzava le labbra facendole dischiudere contro la sua guancia.

Una tentazione…una provocazione, ecco cos’era! E lui suo malgrado si era scoperto pronto a cedervi completamente, ancora una volta. Complimenti davvero per la coerenza, tutti quei bei discorsi altisonanti sull’onore e la rispettabilità non avevano resistito che un paio d’ore: erano serviti solo a farli litigare per poi essere spazzati via dalla passione che nonostante ogni tipo di resistenza si impossessava di lui quando l’aveva troppo vicina. Adesso se ne stava lì, con le labbra socchiuse e umide a pochi centimetri dalle sue, fingendo di implorare un permesso che sapeva benissimo non avrebbe saputo negarle; ogni suo gesto, perfino ogni suo non-gesto, ogni sua parola, ogni suo silenzio, facevano parte della ragnatela che aveva cominciato a tessere, per portarlo a capitolare, con una valentia tale che non si era nemmeno accorto di esserci finito nel mezzo se non quando era troppo tardi per trarsene fuori.
Le aveva dato l’opportunità di sistemare le cose, pensava mentre con una mano le accarezzava il collo fino a posarsi sulla nuca…
Le aveva offerto tutto se stesso, rimuginava mentre l’altra mano le scendeva lungo la coscia fino all’orlo della gonna per poi risalire piano accarezzando il tessuto liscio della calza…
Le aveva perfino promesso un futuro da donna onesta, ma lei aveva rifiutato tutto, ribattendo colpo su colpo, gli martellò in testa mentre le loro labbra si congiungevano, si mordevano, si torturavano.
Beh, se non importava a lei, che era la parte che sicuramente avrebbe avuto di più da perdere, perché doveva farsene un problema lui? Rimosse con ribrezzo quel pensiero appena concepito, rinnegandolo come se non gli appartenesse, ma non poté fermare le proprie mani, che cercavano avide i bottoni del suo cappotto per sganciarli a uno a uno.
Lei lo obbligava ad affrontare quel lato di se stesso che tanto cercava di combattere e non poteva sopportarlo: cercava di far vacillare le sue convinzioni morali armandosi della più fredda razionalità per poi irretirlo suscitandogli desideri proibiti a cui non riusciva a sottrarsi, come un vetro ghiacciato che non riesce a mantenere la propria integrità se gli viene versata sopra dell’acqua bollente.
Era tremendo- sebbene bellissimo- cimentarsi in quella del tutto particolare lotta corpo a corpo senza che nessuno gli avesse spiegato le regole, senza sapere quali colpi erano consentiti e quali no, senza avere la radicata certezza di essere il migliore, si trovò a pensare indugiando sul décolleté di Kijo indeciso se lasciare o meno che la propria mano scendesse verso il suo seno.
 
A tradimento, le luci si riaccesero impietose, costringendoli a imprimere nelle loro menti l’immagine di quel sogno che aveva appena guadagnato forma, colore e realtà, con tutto ciò che ne conseguiva.
Come storditi da quel repentino e brusco risveglio, i ragazzi rimasero a fissarsi per qualche istante in quella luce che sebbene avesse la pretesa di essere soffusa, in quel momento sembrò loro come un faro da mille watt puntato addosso; non appena giunsero alle loro orecchie dei gridolini colmi di entusiasmo che testimoniavano la presenza, qualche cigno più indietro, di nuovi avventori, le loro mani si affrettarono a tornare ai rispettivi proprietari, cercando di ricomporsi il meglio possibile. Kijo sedette nell’esiguo spazio che era rimasto tra Ranma e l’orso gigante, provando a lisciarsi la gonna che esibiva un tripudio di pieghe e abbottonandosi nuovamente il cappotto; estrasse poi dalla borsa uno specchietto che le permise di ripassare il rossetto ed eliminarne le sbavature, mentre contemporaneamente porgeva una salvietta umida al ragazzo.

“Che cosa dovrei farci con questa?” le domandò lui prendendola sospettosamente in mano ed esaminandola come se fosse un’alabarda spaziale. Per tutta risposta lei incurvò le labbra verso l’alto e voltò lo specchietto verso di lui: la sua immagine gli rimbalzò indietro coperta dei baci che Kijo gli aveva elargito fino a poco prima, ogni punto che aveva sfiorato con le sue labbra portava il marchio indecente del rossetto. Sebbene dapprima fosse arrossito così tanto da non lasciare alcuna differenza tra le zone macchiate e il resto, ben presto si riebbe e cominciò a strusciarsi freneticamente il viso e il collo per cancellare ogni traccia visibile dell’accaduto.

“Ehi, attento o ti scorticherai la pelle!” lo redarguì bonariamente lei provando a ostacolare con la propria mano il convulso movimento delle sue. Proprio in quell’istante il tunnel giunse al termine e i due vennero rischiarati dalla luce dei lampioni esterni.
 
 
Ore 17.15
 
“Che ore sono?” chiese Kijo annoiata mentre controllava che il pesciolino stesse bene nella busta di plastica. Quello sbatté le piccole pinne girando in tondo in quel modesto spazio, rassicurandola

“Le cinque e un quarto” rispose Ranma apatico, ponendosi in fila per entrare nella casa degli specchi.
 
Ore 16.04
 
“Vi prego, potete aiutarmi? Ho perso mio figlio…Lo aspettavo all’uscita di quella giostra, laggiù, ma non l’ho più visto…” chiese supplichevole una donna corpulenta agli addetti alla biglietteria d’ingresso. La voce sembrava molto triste, impastata e insicura e la donna era sicuramente in stato confusionale. Per ricacciare giù il groppo in gola che la stava strozzando, tracannò il contenuto di una lattina quasi piena di birra e poi l’accartocciò tra le sue mani. Il personale del luna park si scambiò un’occhiata perplessa, poi una giovane donna coi capelli raccolti in una coda di cavallo e una divisa colorata si rivolse a quella strana madre, offrendole il supporto che domandava

“Ma certo, signora, faremo un annuncio per ritrovarlo, così chiunque lo veda potrà portarlo qui! Potete dirci come si chiama il piccolo e qualche sua caratteristica, tipo il suo aspetto o com’è vestito?”

La donna si portò una mano alla fronte, premendosi le tempie come a cercare di ricordare qualcosa che le sfuggiva in mezzo a tutti i pensieri che le turbinavano in testa. I due peculiari individui a cui si accompagnava, una giovane rossa assai avvenente e uno spilungone dall’aria imperturbabile, le fecero qualche cenno d’incoraggiamento e quindi partì
“S-si chiama Kentaro, ha otto anni compiuti già da qualche mese, però io mi ero completamente dimenticata di festeggiarlo all’epoca, sicché l’ho portato oggi al luna park per regalargli una festa di compleanno posticipata…”

“Oh, tesoro, non abbatterti…non devi essere così dura con te stessa!” replicò l’amica mentre con una mano le accarezzava la spalla e con l’altra reggeva una sigaretta che aveva da poco acceso

“Infatti! Avrai pure il diritto di divertirti anche tu ogni tanto…e poi i bambini a quell’età sanno assai di quand’è il loro compleanno!” tentò di consolarla l’uomo allampanato, scoppiando in una fragorosa risata. Dalla tasca dell’impermeabile estrasse una nuova lattina di birra, che aprì con uno schiocco deciso e ne mandò giù una buona metà; la madre, nonostante le evidenti premure degli amici non sembrava affatto rincuorata, per cui continuò

“Sembra più piccolo della sua età, perché è di bassa statura: né io né mio marito siamo esattamente degli stangoni e Kami se questo gli dà fastidio! Mio marito…rientra domani da uno dei suoi viaggi d’affari e chi lo sente se gli ho perso il figlio? Vi prego, aiutatemi a trovarlo…indossa un giubbetto giallo e un cappellino rosso…o era il contrario?”
Nella confusione del ricordo era emersa di certo tutta la preoccupazione che quella singolare donna doveva provare: incuranti delle parole che faticosamente cercava di mettere insieme, delle profuse lacrime avevano cominciato a fuoriuscirle dagli occhi, quasi senza che se ne accorgesse impegnata com’era a dare un senso ai suoi pensieri. Fu solo quando l’amica le porse un fazzolettino ricamato che si rese conto di stare piangendo.

“Signora, state tranquilla, ci pensiamo noi: daremo l’annuncio così gli ospiti e gli addetti del parco divertimenti si guarderanno intorno per trovarlo!” provò a consolarla il ragazzo in biglietteria, mentre la collega afferrava il microfono delle comunicazioni e scandiva a chiare lettere

“Attenzione, è stato smarrito un bambino di otto anni di nome Kentaro. Indossa un giubbino giallo e un cappello rosso. Chiunque lo veda è pregato di accompagnarlo alla biglietteria d’entrata…”

In quel momento Nabiki Tendo fece il suo ingresso nel luna park, a braccetto con uno Shutaro Mendo vestito di tutto punto.
 
                                                                 -§-
 
“Dai, andiamo a quella bancarella dove si pescano le anatre: potremmo vincere un pesciolino rosso!” provò a proporre Kijo con entusiasmo, sperando di alleggerire l’atmosfera che si era creata

“Non se ne parla proprio! Tu con una canna da pesca in mano, anche se finta…ma neanche morto!” scosse vigorosamente il capo Ranma, trascinando via la ragazza dallo stand verso cui si stava avvicinando

“Uffa, va bene! Almeno possiamo sparare alle lattine della bancarella accanto?” incrociò le braccia al petto Kijo, accennando con la testa in quella direzione

“Dipende: sei più brava a sparare che a pescare? Non che ci voglia molto…” la schernì il ragazzo col codino e lei dovette controllarsi per non mandarlo a quel paese. La conversazione avuta in precedenza li aveva destabilizzati e innervositi, ma non per questo doveva andare tutto necessariamente a catafascio.

“Ho visto un sacco di film western, per quello che vale…comunque è un fucile a pallini di gomma, quanti danni potrò mai fare? Fanno sparare addirittura i bambini!” roteò gli occhi al cielo Kijo, dirigendosi spedita verso il robusto proprietario dello stand che, vestito alla Rambo con tanto di anfibi e tuta mimetica si sbracciava nella sua direzione per convincerla a giocare.

“Venite bella signorina, venite allo spara-lattine! Si vince sempre qualcosa! Scegliete la vostra arma: che ne dite di questa pistola rosa coi fiocchi? Molto carina eh? Mettiamo intanto cinque munizioni, che dite?” la sommerse di parole il millantato militare, affrettandosi a caricarle la suddetta colt

“Veramente vorrei il fucile più grosso che avete, sono venuta per sparare a quelle dannate lattine, non a far loro le trecce” replicò Kijo, scansando con la mano la ridicola pistola che le stava porgendo

“D-davvero? Ma una signorina graziosa come voi perché…” provò a controbattere l’uomo, decisamente sorpreso, ma uno sguardo fulminante della ragazza lo persuase definitivamente a non insistere. Scostò una tenda ed estrasse dal retro un grosso fucile nero, lucido come l’onice, poi si prese la briga di caricarlo con le munizioni di gomma e di porgerglielo, illustrandone le proprietà
“Questo è una perfetta imitazione di un Barrett M82, uno dei fucili semi-automatici a corto rinculo che garantisce la maggior precis-” 

“Guardate, potreste dirmi qualunque cosa, non ho la minima idea delle tipologie dei fucili, non ho neppure mai sparato in vita mia! Ma quanto sarà difficile? Ora se volete spostarvi…” imbracciò l’arma Kijo, non senza una certa difficoltà dato quanto era ingombrante. Al proprietario dello stand era comparsa una gigantesca goccia sulla testa e, guardandola con occhi spaventati, provò a darle un ultimo consiglio prima che facesse partire il colpo

“Signorina, mi raccomando, prendete bene la mira perché la potenza generata è devastan-”
Non riuscì nemmeno quella volta a terminare la frase, che Kijo aveva già sparato a casaccio, mancando tutte le lattine e forando il retro della tenda.
“Ehm, signorina, dovreste mirare alle lattine allineate sullo scaffale, se possibile…” disse l’uomo con un filo di voce, temendo di contraddirla

“Andiamo Kijo, non sai fare! Lascia perdere e restituisci al signore quell’arma impropria che ti sei fatta dare! Cerchiamo qualche altra attrazione un po’ meno pericolosa, ok?” Ranma le si era avvicinato alle spalle e come lei si voltò la collera che emanava la sua aura lo colpì quasi come uno schiaffo. Deglutì e si morse la lingua, temendo che avrebbe potuto sparargli, ma la ragazza si girò nuovamente verso i bersagli e puntò l’arma in quella direzione. Tutto accadde in una frazione di secondo. Kijo lasciò partire il colpo dopo aver provato a mirare, ma la munizione di gomma volò da tutt’altra parte; contemporaneamente Ranma si mise le mani davanti agli occhi lasciando aperto solo uno spiraglio per sbirciare timorosamente lo scempio imminente, mentre il proprietario dello stand si gettava a terra gridando impaurito per cercare protezione, la musica dell’apocalisse che risuonava crescente nella sua testa. Il proiettile, per un assurdo gioco di rimpalli più unico che raro, rimbalzò furiosamente tra l’asta metallica superiore dello stand e lo scaffale, facendo saltar via ad ogni urto una lattina, finché la mensola non fu del tutto sgombra ed esso poté trovare la via della libertà con un ultimo balzo verso il sole nel cielo.

“Beh, immagino che gli ultimi tre colpi non mi serviranno” commentò Kijo ancora incredula, sporgendosi per cercare di scorgere il signore in tuta mimetica trinceratosi sotto al tavolino

“Eh-eh…no signorina, avete vinto tutto, ecco!” esclamò quest’ultimo mentre usciva dal suo rifugio e osservava con occhi spiritati il cimitero di lattine sul pavimento. Temendo che la ragazza volesse giocare ancora, si affrettò verso un ripiano laterale e tirò giù il super-premio riservato alle grandi occasioni, un orso gigante di peluche a grandezza quasi naturale, quindi glielo porse supplicandola
“Ecco signorina, prendete il vostro premio…ma vi prego, adesso posate quel fucile!”
Come la ragazza, alquanto perplessa dal tono dell’uomo, disimbracciò l’arma e la pose sul bancone per recuperare l’orso, una serranda scattò veloce chiudendo al pubblico lo stand, mentre lateralmente lo strano proprietario fuggiva a gambe levate recando una valigia verso destinazioni ignote.

Fece appena in tempo a voltarsi, col titanico orso in braccio, verso un Ranma esterrefatto che la sua attenzione fu richiamata dal titolare dello stand accanto, quello della pesca delle anatre; il tale aveva lasciato la propria postazione per avvicinarsi a lei munito di un grosso secchio pieno di pesci. Prima che potesse dire una sola parola l’uomo si inchinò davanti a lei, chiudendo gli occhi e tendendole il secchio mentre proponeva timidamente
“Gentile signorina, vi regalo tutti i pesci che potreste vincere se evitate di giocare al mio stand…volete, sì?”

“Ma-ma…non c’è bisogno, non importa” si trovò a balbettare Kijo, presa alla sprovvista dall’offerta

“Io insisto…quanti pesci volete? Cinque? Venti? Tutti? Ecco qui, basta che risparmiate la mia attrazione…” il signore, piuttosto magrolino e con dei fini baffetti, le sventolava davanti nuovamente il secchio

“Ok, ok…uno è più che sufficiente…” cedette Kijo aggrottando le sopracciglia incredula; in un nanosecondo si ritrovò una bustina di plastica piena d’acqua nella mano meno impegnata a sostenere l’orso gigante, dentro cui un pesciolino guizzava ignaro di tutto.
“Non dire niente…” sibilò a denti stretti al ragazzo col codino che stentava a trattenere un’esplosione di risate.

Poco lontano, una giovane donna con lo sguardo furbo e i capelli a caschetto commentò con un sospiro, rivolta al ragazzo elegante che le stava accanto
“È tanto una brava ragazza ma con gli affari non ci sa proprio fare…”
 

Ore 14.28
 
“Ti dispiace se prima di cominciare il giro delle giostre ci fermiamo a prendere qualcosa da mangiare? Stamani ho perso la cognizione del tempo in laboratorio e mi sono dimenticata di pranzare” chiese Kijo a Ranma non appena varcarono la soglia del luna park. La musica gioiosa delle varie bancarelle saturava l’aria frizzante di quella domenica pomeriggio, sfumando da un motivetto all’altro man mano che camminando si oltrepassavano alcune attrazioni per avvicinarsi alle successive; anche i profumi provenienti dai vari stand gastronomici turbinavano in quell’ambiente ricco di luci, colori e risate, creando una miscellanea di note aromatiche dal dolce, al sapido, allo speziato che solleticavano le narici e gli stomaci degli avventori. Un odore fra tutti riuscì a insinuarsi e imporsi nei recettori olfattivi di Kijo, un misto di zucchero a velo, crema e pastella alla piastra.

“Certo, non c’è problema, cosa ti va di mangiare?” chiese il ragazzo sorridendo nella propria casacca verde che riservava alle grandi occasioni

“Quel chiosco…emana un profumino delizioso! Mi è venuta voglia di crêpes! Che ne dici, andiamo?” rispose Kijo inspirando avidamente quella scia che come se avesse due lunghe dita la stava attirando verso il piccolo banchetto trainandola per il naso. Un brivido freddo corse lungo la schiena di Ranma sentendo il nome di quell’alimento. Il sorriso gli si congelò in una smorfia sul volto non appena lesse l’insegna verso cui Kijo si stava tanto rapidamente dirigendo: «Joe delle crêpes» recitava la scritta sulla tenda rosa e verde del camioncino adibito a chiosco mobile.

Un uomo avvenente dai lunghi capelli neri e gli occhi profondi stava eseguendo acrobazie indicibili con spatole, impasti e ripieni per smaltire nel minor tempo possibile la lunga coda di clienti che si era formata davanti al suo chiosco. Osservare i rapidi movimenti di quelle mani sapienti aveva un che di ipnotico, al limite del magico, come un gioco di prestigio in cui l’illusionista trasforma sotto gli occhi attoniti del pubblico una serie di pappette appiccicose in una squisita prelibatezza senza neppure violare accidentalmente l’immacolato candore della propria divisa da chef.

“Ehm, sei sicura di voler mangiare questa roba? Ci sono un sacco di altri chioschi più avanti…” provò a proporre Ranma, ma Kijo sembrava ormai vittima di un incantesimo da cui non poteva essere dissuasa

“No, no…adesso che questo odorino si è insinuato nel mio naso non riesco a desiderare altro!” esclamò Kijo estatica, continuando ad avanzare verso il camioncino, finché non fu il suo turno

“Cosa ti preparo, bella signorina?” le si rivolse il famigerato Joe, sorridendo

“Una crêpe crema e Nutella!” rispose lei con l’acquolina in bocca, già pregustando il delizioso involtino

“E per il tuo…amico?” domandò nuovamente Joe, mentre approntava la preparazione della comanda di Kijo. La ragazza si rivolse verso Ranma, che si trovava praticamente incollato al grande menu cartonato che pendeva dalla tenda parasole, sperando di non essere riconosciuto. Inutilmente.
Con un rapido sguardo Joe si accorse di lui e, mentre consegnava a Kijo la propria crêpe fumante, lo apostrofò con sarcasmo
“Bene, bene! Chi non muore si rivede! Ranma Saotome…che ti è successo, hai cambiato fidanzata perché non ne potevi più di mangiare quegli insulsi okonomiyaki che ti propinava Kuonji?”

A Kijo per poco non cadde di mano il fragrante dolcetto quando sentì nominare Ukyo…quindi c’era un retroscena! I due si conoscevano e quel Joe era convinto che fosse la fidanzata di Ranma…cosa diamine era successo?

“Joe. Se dovessi dire che è un piacere rivederti mentirei, ma almeno apprezzo che tu sia stato ai patti e abbia spostato il tuo giro d’affari altrove” esclamò Ranma passandosi una mano tra i capelli, simulando tracotanza. Se la tecnica di passare inosservato non aveva funzionato sperò che almeno fosse vincente quella di apparire estremamente sicuro di sé. Andò bene.

“Certo, per chi mi hai preso? Sono un uomo d’onore io e so riconoscere una sconfitta, per quanto bruciante. Adesso scusate ma ho una lunga fila di clienti in attesa” confessò Joe, prima di accomiatarsi e continuare ad assemblare crêpes alla velocità della luce.

Kijo si guardò bene dal partecipare alla conversazione, rimanendo in silenzio e seguendo con lo sguardo lo scambio di battute che i due si erano rivolti, quasi fosse un incontro di tennis; dopo, però, avrebbe gradito una spiegazione, quindi si incamminò verso una panchina e vi si sedette, certa che Ranma l’avrebbe accompagnata.
“Allora, si può sapere cos’è successo tra voi due?” domandò curiosa Kijo, addentando poi la sua crêpe

“Nulla di che, una vecchia storia…praticamente quel tipo si piazzò col suo camioncino vicino al locale di Ukyo e lei risentiva della concorrenza, per cui si sfidarono, lui perse e smammò” riassunse il più brevemente che poté Ranma, grattandosi una tempia con l’indice

“Davvero? E tu cosa c’entravi allora? Joe ti ha riconosciuto come il fidanzato di Ukyo, se non sbaglio” continuò imperterrita Kijo, staccando un altro morso

“Ehm…no, è che in realtà l’idea della sfida fu mia…per aiutare Ukyo, che era partita per un viaggio di allenamento, proposi a Joe un patto: se avesse vinto un combattimento contro di me avrebbe potuto prendere il locale ma se avesse perso avrebbe dovuto levare le tende per sempre da quella zona. Alla fine Ukyo tornò e sostenne lei stessa il combattimento, vincendo”

“Hai corso un bel rischio! Dici che Kuonji ti avrebbe perdonato anche se le avessi perso il locale? Beh, forse sì, bastava che le promettessi di sposarla!” scoccò la frecciatina Kijo, sogghignando sotto i baffi mentre Ranma le rivolgeva una smorfia

“Con Ukyo avevo un rapporto speciale, prima che ammattisse del tutto…spero davvero che la terapia che sta seguendo l’aiuti a tornare la ragazza grintosa e altruista che ricordo” si espresse il ragazzo, perdendosi per un istante con lo sguardo nel vuoto

“Uh, siamo già arrivati alla parte delle confessioni? Che bello! Dunque, hai più avuto notizie o senti la mancanza delle tue spasimanti? O dei tuoi spasimanti…effettivamente non so se tu ne abbia anche come Ranko!” domandò Kijo guardandolo con aria allusiva

“Ehi, ma cos’è questa invasione della privacy? Io non ho acconsentito a niente di tutto questo…” bofonchiò Ranma incrociando le braccia e rivolgendo il volto nella direzione opposta a Kijo

“Ma come no! Non era un appuntamento per conoscerci meglio? Di cosa dovremmo parlare secondo te, del tempo?” obiettò la ragazza mentre finiva il suo spuntino e ne accartocciava l’involucro. Effettivamente proprio tutti i torti non li aveva.

“Ehm…ok, quindi…E va bene, però la prossima domanda la faccio io, intesi?” cercò di imporsi Ranma, la cui aria era tutt’altro che autorevole. Come Kijo ebbe manifestato il proprio consenso agitando su e giù la testa, il ragazzo continuò, sospirando
“In realtà sento solo ogni tanto la mancanza di Ukyo: non sono ancora riuscito a perdonarla del tutto per essersi lasciata trascinare nell’agguato contro di te, però in fondo era l’unica con cui avevo una specie di legame che andava al di là della sua ossessione nei miei confronti. Illudere lei per ottenere benefici…beh, ecco, era più fastidioso rispetto al farlo alle altre. Di Shampoo e Kodachi ho avuto poche notizie frammentate, oltretutto ormai datate: non mi sono mai interessato a cercarne altre. Invece lo spasimante di Ranko per eccellenza è sempre fin troppo presente nella mia vita…parlo di Kuno Tatewaki, se ti fosse sfuggita la sua reazione quando siamo andati a casa sua perché ti eri fissata coi giochi di ruolo!”

“Oh mio Dio è vero! Non avevo mica ancora collegato…Quindi fammi capire, entrambi i fratelli Kuno sono innamorati di te? In più Tatewaki ti odia mentre sei Ranma e ti ama alla follia quando ti trasformi in Ranko? Ahahahah, è troppo divertente, scusa!” la ragazza non riuscì a trattenere le risate e si beccò pure un buffetto punitivo, ma quando riuscì a ricomporsi continuò imperterrita
“Cioè…possibile che Kuno non si sia mai accorto che tu e Ranko siete la stessa persona? Veramente incredibile, come si può essere così fessi?”

“Coff-coff…non per sottolineare l’ovvio, ma neppure tu ti eri accorta di niente, Sherlock Holmes, e mi hai frequentato molto più di Kuno!” tossicchiò Ranma beffardo, zittendo finalmente Kijo che provò debolmente a controbattere

“Ehi, ma conosci lui da molto più tempo…”

“Basta con le scuse, è il momento della tua domanda: come hai contratto la maledizione?” domandò diretto il ragazzo col codino, aggiustandosi la tesa del cappello.
Kijo sussultò impercettibilmente e istintivamente cercò una seduta più comoda sulla panchina, appoggiando la schiena alla spalliera. Si schiarì la voce mentre sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio e poi rispose asciutta
“Ho fatto il bagno in una delle sorgenti di Jusenkyo”

“Grazie al piffero, questo lo sapevo già! Intendevo dire che cosa ti ha portato a quell’episodio?” specificò spazientito Ranma

“Uhm…quanto tempo hai?” replicò lei esibendo un sorriso tirato e ricevendo un’occhiataccia in cambio, quindi si decise a continuare

“Ok, ma questa vale come…dieci domande almeno! Perché per rispondere sono costretta a scendere in dettagli che non conosce assolutamente nessuno e che ho fatto una discreta fatica a lasciarmi alle spalle”
Il suo tono era divenuto improvvisamente serio e gli occhi che aveva socchiuso le conferivano un’aria quasi solenne.

Ranma deglutì silenziosamente, timoroso di ciò che avrebbe scoperto, evidentemente roba grossa se Kijo s’era data la pena di nasconderla con tanta cura…

I suoi occhi si riaprirono e lei cercò l’ultimo cenno di assenso di Ranma prima di sospirare e proseguire per una strada senza possibilità di ritorno
“Dunque, forse ricordi che nei panni di Hokano una volta ti accennai al mio viaggio prima di arrivare in Giappone, il mio primo viaggio così lungo…il mio primo viaggio da sola. Inutile dirti che se da un lato il mio entusiasmo era alle stelle per la nuova avventura che stava cominciando, dall’altro ero preoccupata di allontanarmi da tutto ciò che conoscevo per andarmene verso l’ignoto, potendo contare esclusivamente sulle mie forze. Avevo pianificato scrupolosamente ogni tappa, ogni visita, ogni giorno, prenotato alberghi e mezzi pur di darmi un senso di sicurezza che ben presto avrei distrutto, ricercandolo altrove…” Kijo fece una pausa, mise su un sorrisetto rassegnato e prese a mordicchiarsi un’unghia, mentre Ranma attendeva impazientemente che continuasse
“Neppure il tempo di salire sull’aeroplano che i miei progetti andarono in frantumi…sì, esatto, proprio della serie Uh, mi siedo al 21b e provo a distendere le gambe e zac, il danno era fatto: comparve lei, ridente e professionale in mezzo alla folla di passeggeri che ancora stavano cercando il proprio posto. Mi chiese se desiderassi un cuscino. Un cuscino. Ti rendo conto che ho stravolto la mia vita per uno stramaledetto cuscino? Fosse stato un posto in prima classe almeno, invece no! Un singolo, sprimacciato, soffice cuscino!” s’infervorò Kijo, gesticolando come non le aveva mai visto fare. Notando lo sguardo dubbioso e le sopracciglia aggrottate di chi faticava a seguire il filo della storia, si schiarì di nuovo la voce e riprese
“Inizialmente pensai che le assistenti di volo della Air China fossero selezionate in base a standard elevatissimi di gentilezza e pazienza: non mi ero mai sentita tanto coccolata in vita mia, le mie esigenze venivano anticipate ancor prima che le percepissi io stessa e tutto questo mi infuse un profondo senso di calma durante la trasvolata. Addirittura durante il primo scalo di due ore, questa gentilissima hostess si offrì di farmi compagnia, quindi andammo a mangiare insieme e chiacchierammo un sacco, grazie al suo inglese fluente. Si chiamava Xiu-Li e possedeva una personalità così frizzante che era impossibile rimanerne indifferenti. Aveva giusto qualche anno più di me, ma vantava un’esperienza vastissima: era stata in un sacco di posti, conosceva miliardi di cose e planava sulla vita con la sicurezza di una cittadina del mondo. E per qualche strana ragione si era interessata a me, una liceale che non era quasi mai uscita nemmeno dalla propria nazione, se non in compagnia dei genitori. Era veramente assurdo e fantastico al tempo stesso: questa bellissima ragazza spigliata mi ascoltava con coinvolgimento, rideva alle mie battute e mi portava in giro per l’aeroporto come se mi mostrasse le stanze di casa sua. Quando arrivammo in India, il caso volle che avesse un paio di giorni prima di ripartire e li passammo insieme. Inutile dire che nessuna delle mie tanto pianificate tappe fu visitata, tuttavia seguendo lei ebbi l’opportunità di scoprire una miriade di luoghi esotici, autentici, genuini che non si trovano sugli itinerari turistici; nel momento in cui afferrò la mia mano con la sua compresi che tutto ciò che volevo era lasciarmi condurre da lei: non so come spiegarlo, ma con quel tocco mi infuse una forza tale che pensavo avrei potuto arrivare con lei fino in capo al mondo”

Ranma pendeva dalle sue labbra, attendendo dove sarebbe andata a parare. Aveva involontariamente stretto un pugno per la tensione e lo aveva adagiato sul ginocchio destro, lasciando che si desensibilizzasse e poi si schiudesse con fastidiosi formicolii.

Kijo si scusò e velocemente fece un salto al chiosco lì vicino per prendersi una bibita fresca, che risucchiò avidamente con la cannuccia prima di proseguire
“Avevo trovato una compagna di avventure e abbandonarsi e seguirla per le strade che dimostrava di conoscere alla perfezione mi liberava dal costante senso di vigilanza che avrei dovuto mantenere viaggiando da sola in luoghi a me ignoti. Passammo assieme gran parte del mese successivo, io le comunicavo i miei recapiti durante il tour e lei trovava il modo di raggiungermi una volta finito il lavoro: erano giornate e serate folli, con lei non ci si annoiava mai. Una sera, riaccompagnandomi in albergo, si fermò davanti alla mia porta e semplicemente mi prese il viso tra le mani e mi baciò sulle labbra” Kijo scrutò l’espressione indecifrabile del ragazzo che aveva di fronte: leggeva un mare di interrogativi su quel volto, punti di domanda che culminavano nelle pupille di quegli occhi che in quell’istante non osavano guardarla, ma si sforzavano di non lasciar trapelare l’ondata di pensieri che premevano per emergere. Dato che non volle esternare nemmeno un accenno di replica, la fanciulla riprese la narrazione
“Per me fu totalmente nuovo e inaspettato, fino a quell’istante non avevo mai preso in considerazione che potessero piacermi anche le donne. Non mi ero mai interrogata in merito, paga della mia collaudata attitudine a innamorarmi dei ragazzi: perché avrei dovuto indagare più a fondo e complicarmi la vita? Tuttavia quel bacio strappò violentemente un sipario che avevo inconsapevolmente calato su di un significativo aspetto della mia personalità e sessualità e, una volta provato come mi faceva sentire, non fui più in grado di fingere che non esistesse” Kijo prese un altro sorso di Coca-cola e si rese conto che stava tremando. Quando aveva cominciato a farlo? Possibile che l’opinione di lei che si sarebbe formato Ranma in seguito a quel racconto le stesse tanto a cuore? Ma chi voleva prendere in giro, era terrorizzata e il suo corpo non mancava di farglielo notare rifiutando di calmarsi. Nemmeno mezza parola, neppure un cenno di comprensione: lui se ne stava lì come un blocco di ghiaccio totalmente impassibile e inespressivo; c’era quasi da chiedersi se la stesse ascoltando, ma nel profondo del suo cuore era indecisa sull’opzione che temeva di più, indifferenza o giudizio. Ormai però era in ballo e doveva terminare la confessione
“Quando arrivammo in Cina, lei insistette che voleva presentarmi alla sua famiglia e per quanto prematuro mi sembrasse, non volle sentire ragioni; tuttavia prima organizzò una gita notturna clandestina a queste sorgenti che a detta sua erano un luogo assai magico e romantico: l’avevo seguita ovunque fino a quel momento, quindi non mi posi più di tanti problemi, nemmeno quando fu palese che stavamo entrando senza autorizzazione, nemmeno quando i segnali sembravano indicare pericolo. In fondo io il cinese non lo conosco e lei sapeva bene come raggirarmi perché la compiacessi. Il guaio più grosso era che mi fidavo totalmente, avevo abbandonato qualsiasi buon senso a favore dell’entusiasmo che lei mi faceva perennemente provare: ero come un’ubriaca, una tossica, e lei era la mia droga. Per farla breve e rispondere finalmente alla tua domanda, mi chiese di immergermi in una di quelle pozze che a me parevano tutte uguali, dato che non sapevo interpretare i cartelli, promettendomi che mi avrebbe raggiunta. Non mi accorsi subito della trasformazione, ma iniziai a maturare dei dubbi quando mi resi conto che lei non si sarebbe calata in quell’acqua: se ne stava fuori, guardandomi con ammirazione e sorpresa, diversamente rispetto a come aveva fatto in precedenza; capii che c’era qualcosa di differente in me e presi a tastarmi febbrilmente. Nonostante fossi già avvinta nel panico più totale, lei con tutta calma mi porse uno specchietto sorridendo, pronunciando queste parole: Adesso sì che posso presentarti alla mia famiglia. I ricordi dei momenti seguenti sono un po’ confusi, ma quella che più mi è rimasta impressa fu la sensazione di ferita bruciante nel petto, come se mi avessero squarciato con una lama rovente. Non so bene cosa le dissi, cosa obiettai, ma lei rispose che era l’unico modo per cui avremmo potuto avere una relazione ufficiale. Ero il suo fottuto esperimento, il ragazzo da sfoggiare con amici e parenti e la ragazza con cui soddisfare la sua intimità, il pacchetto completo, la versatilità a portata di acqua fredda o calda. In tutto questo, ovviamente, la mia opinione non aveva avuto il minimo peso. Penso che se non mi avesse frenato avrei cercato di uccidermi, non tanto per essere diventata un mezzo uomo, quanto perché non riuscivo a convivere con la consapevolezza di essere stata così stupida da fidarmi di lei.” Kijo dovette fermarsi un attimo perché anche la voce aveva iniziato a vibrare con un tremito strano. Si rese conto di avere le guance arrossate e gli occhi lucidi, ma evitò di soffermarsi sul proprio interlocutore e, come un sub che aspira un’ultima boccata di ossigeno in superficie prima di rituffarsi in apnea, respirò profondamente e riprese
Nan Nichuan. Quel suono di cui ignoravo totalmente il significato rimbombava nella mia testa come l’eco di un mortaio mentre lei estraeva un thermos e mi mostrava la banale semplicità di quella trasformazione: ero di nuovo Kijo ma in realtà ero cambiata per sempre, profondamente, intimamente, al di là del pene o della vagina che si alternavano tra le mie gambe a seconda della temperatura dell’acqua. Poco dopo fummo costrette a scappare a rotta di collo perché, come se non bastasse, stavamo commettendo un qualche reato per permetterle di giocare con la mia vita, ma in quel momento non riuscivo a sentire niente, non avevo più la padronanza del mio corpo che si muoveva come se a comandarlo fosse una qualche entità esterna: non avevo freddo, non provavo fatica, ero totalmente alienata e mi lasciai condurre nella mia stanza d’albergo, senza dire una parola. Di tutto quello che Xiu-Li provò a dirmi non ricordo nulla, so solo che alla fine si decise a lasciarmi da sola per riposare, promettendomi probabilmente di tornare il giorno seguente. Come questo stato di shock passò, detti finalmente retta al mio poco buon senso residuo e fuggii di nascosto, contando sul fatto che fortunatamente non le avevo ancora rivelato dove sarei stata in Giappone.”

Silenzio. O meglio, totale predominanza dei rumori di sottofondo, come le musichette allegre delle giostre, le risate dei ragazzi, il vociare dei proprietari dei banchetti che richiamavano gli avventori, spari finti, scoppi di palloncini, gridolini e chiacchiere normali. Tra tutti. Tranne che tra loro due.
Caspita…avrebbe voluto decisamente dire qualcosa, qualsiasi cosa invece di starsene lì come uno stoccafisso. Lei aveva smesso di parlare già da un paio di minuti, ancora non era riuscita a voltarsi verso di lui e sicuramente si aspettava un qualche cenno di vita da parte sua, una reazione, un commento…Per tutti i Kami, si era aperta così tanto per dargli l’opportunità di conoscere la storia completa e lui non riusciva nemmeno a eseguire un cenno di assenso o a dirle due parole di comprensione. La verità era che lui era rimasto incredulo e sconvolto da quanto in profondità lo avesse lasciato entrare, solo a pensarci rabbrividiva: lui non sarebbe mai riuscito a essere altrettanto trasparente con chicchessia, ad ammettere cose tanto personali, a lasciare che qualcuno lo scorgesse senza l’impalcatura che negli anni si era creato. Cosa ne pensava poi della questione specifica? Non riusciva a capirlo…Se chiunque altro avesse dimostrato tendenze del genere avrebbe rapidamente archiviato il dato come non conforme alle proprie convinzioni morali e probabilmente l’avrebbe ignorato senza rifletterci un secondo di più, ma questa volta era diverso: intanto si trattava di lei, che aveva imparato a conoscere e ad ammirare senza essere condizionato da questa informazione, per cui gli risultava difficile stravolgere completamente la sua percezione alla luce di quella novità; inoltre quella minuziosa descrizione di tutto l’accaduto lo aveva in qualche modo obbligato a porre attenzione a come il tutto si era sviluppato, agli aspetti emotivi, ai problemi concreti…improvvisamente quella non era più una storia generica ipotetica tra due persone dello stesso sesso, ma era diventata vera, tangibile, a portata di mano e di cognizione. Calata nella realtà della persona che gli sedeva accanto non gli sembrava poi così fuori luogo o sbagliata, come credeva l’avrebbe ritenuta in generale basandosi sui principi tradizionali con cui era stato cresciuto e che aveva più o meno consapevolmente accettato negli anni. Di colpo fu attraversato dalla vastità di un pensiero di cui non aveva capito l’effettiva entità fino a quel momento: quanto era stato complicato per Kijo accettare quasi contemporaneamente la sua doppiamente duplice natura conscia che l’opinione dilagante della società le sarebbe stata avversa? Perfino quella delle persone a lei più vicine…amici, famiglia, lui…neppure lui era stato molto di supporto fino a quel momento! Chissà se era riuscita a confessarlo a qualcun altro. Doveva sentirsi terrorizzata al pensiero che qualcuno potesse scoprirla e non riuscisse ad accettarla o peggio la disprezzasse. Infine era forse possibile che dinanzi a una scoperta di sé così profonda il fatto di trasformarsi con l’acqua fredda fosse quasi una barzelletta al confronto?
Non riusciva a credere a tutte le implicazioni che quell’ammissione aveva…fra tutti aveva scelto lui per una confidenza così importante, nessuno si era mai spinto prima a renderlo partecipe di una questione così intima. Non aveva assolutamente idea di come comportarsi, per cui decise di emulare le parole di una vecchia donna di un villaggio in cui aveva vissuto per qualche giorno durante i viaggi di duro allenamento col padre; in fondo gli anziani erano spesso saggi, no?
“Ehm, credo di aver afferrato il problema…t-ti s-serve un m-matrimonio r-riparatore!” balbettò a bassa voce unendo ritmicamente gli indici delle mani ed evitando accuratamente di guardarla negli occhi

“Come prego? Perdonami, devo aver sentito male…” aggrottò le sopracciglia Kijo, voltandosi lentamente verso di lui mentre aguzzava l’udito per evitare di riprendere fischi per fiaschi

“U-un m-matrimonio r-riparatore…per quello che è successo con quella ragazza…ti proteggerebbe dalle dicerie della gente. È questo di cui hai paura, no? Non essere accettata…” fortunatamente per Ranma, pronunciò queste parole in modo così genuino e ingenuo che l’incredulità e la pietà presero il sopravvento sulla gamma di emozioni ben più esplosive che Kijo si trovò a provare in quegli attimi. Per questo, anziché aggredirlo, si limitò a rispondergli con una punta di sarcasmo, incrociando le braccia

“Oh, davvero? Ti stai forse proponendo, Saotome?”

“Beh, no, non proprio…cioè, nel senso, se ci pensi bene potremmo sfruttare questa cosa per rompere intanto il mio fidanzamento: salvare l’onore di una fanciulla è un’ottima motivazione e sono sicura che l’accetterebbero” iniziò a blaterare lui. Ma cosa stava dicendo? Ormai la lingua gli si era sciolta e per giustificarsi si stava addentrando in un ginepraio dal quale sapeva che non sarebbe riuscito a uscire incolume

“E in che modo, di grazia, avresti attentato al mio onore?” domandò Kijo esterrefatta ma tremendamente curiosa di capire come avrebbe continuato. Decise di ignorare quella sensazione che ribolliva di sottofondo nelle sue viscere e serrò ermeticamente le labbra per cercare di controllarla

“No, no-non l’ho f-fatto d-davvero! Però se gli altri credessero di sì si rassegnerebbero a troncare il fidanzamento. I-io s-sarei libero di u-uscire a passeggiare con te qualche volta senza sentirmi in colpa…e in fondo tu non dovresti più preoccuparti di ciò che hai fatto con quella donna, perché avresti un f…f…f-fidanzato maschio ufficiale. Nessuno sospetterà mai nemmeno il resto…Vinciamo tutti e due…” Ranma era paonazzo e si stava incartando cercando di spiegare il filo logico che nella sua testa era chiarissimo ma che tradotto in discorso risultava contorto e pretenzioso. Con la mano destra si accarezzava nervosamente la nuca, mentre con la sinistra mimava il gesto della vittoria.

Dal canto suo Kijo aveva sbattuto le palpebre un paio di volte a distanza di parecchi secondi l’una dall’altra, come a riprendersi da una specie di shock. Schioccò rumorosamente la lingua e poi esclamò
“Vediamo se ho capito bene…io ti ho confidato, con non poca fatica, lo ammetto, questo intimo dettaglio della mia vita e la tua reazione primaria è Ommioddio ormai sei merce rovinata, dobbiamo trovare una soluzione sennò cosa dirà la gente? Non solo, vuoi trarre vantaggio dalla situazione per sistemarne un’altra in cui ti senti scomodo, perché ehi, tanto ormai a cosa posso ambire se non a un fidanzamento di facciata visto che sono così compromessa e danneggiata su così tanti fronti? Un matrimonio riparatore…è veramente l’idea più antiquata che ti potesse venire, quindi mi dispiace ma rifiuto l’offerta!” riuscì a stento a mantenere il controllo della sua voce affinché risultasse chiara e omogenea, ma dentro di sé era un tumulto di emozioni. Orgoglio ferito, vergogna…ecco cosa si otteneva ad aprirsi così tanto; compatimento, pena…ecco quello che immaginava di leggere nei suoi occhi; sconforto, rassegnazione…come poteva essersi ridotta solo a questo per lui?

Quel rifiuto così netto gli arrivò addosso come uno schiaffo alla sua fierezza. Come osava liquidarlo così, tra l’altro travisando le sue parole, con tutto quello che gli era costato pronunciarle? In quale universo la sua proposta poteva essere ritenuta un affronto? In fondo, tra le righe, lui le aveva manifestato una grande apertura mentale, di quelle che a lei piacevano tanto: le aveva praticamente detto che a lui non importava della sua esperienza passata con quella donna, non gli importava del suo essere attratta anche da loro, non gli importava della trasformazione che l’affliggeva e che avrebbe rotto il suo attuale, ormai anacronistico, fidanzamento per essere libero di frequentarla! Cosa diamine voleva di più? Fermi un attimo, ma tutto ciò che aveva appena pensato era vero? Caspita…prendendosi qualche secondo per rifletterci si rese conto che effettivamente sembrava proprio così, finalmente aveva capito come si sentiva a riguardo. Un leggero e fugace dubbio si affacciò quindi alla sua mente: era proprio sicuro di essere riuscito a esprimere quei sentimenti così complessi e confusi nel suo balbettante discorso di poco prima? Era proprio sicuro di aver usato i termini giusti? Cavolo, però anche Kijo, che si vantava sempre della sua intelligenza, poteva anche fare uno sforzo per capire cosa intendeva! E invece eccolo lì, un rifiuto netto che innescava quasi causalmente la reazione che aveva perfezionato negli anni per mettersi al riparo dalle delusioni, il contrattacco.   
“Sai che c’è? Risolvitela da sola allora la tua situazione! Per me non è altro che un sollievo infischiarmene e lavarmene le mani…fai come ti pare, come fai sempre del resto!” sbottò lui incurante della gente che passeggiando si voltava a guardarli, imbarazzata

“Ma chi ti ha chiesto niente! Io ho solo risposto alla tua domanda, ti ho spiegato come stanno le cose, non ti ho domandato di gestire la situazione al posto mio!” si trovò a rispondere Kijo, totalmente incredula, con gli occhi spalancati

“No, infatti! Perché tu sai sempre gestire al meglio tutto da sola! Sia mai che qualcuno possa darti una mano…allora sai cosa? Stattene da sola! Non mi coinvolgere più nelle tue cose se non ti interessa la mia opinione! Tanto da marzo saremo di nuovo soli comunque, quindi tanto vale abituarsi fin da subito” pronunciò queste parole in un decrescendo di intensità, lasciando trasparire dall’ultima frase, quasi bisbigliata, tutta la profonda amarezza che lo pervadeva. Era stato duro, se ne rendeva conto, ma non era riuscito a trattenersi. Aveva esagerato, lo sapeva, si era lasciato trasportare da quell’impeto che sempre si impadroniva di lui quando aveva a che fare con qualcosa a cui tenesse. Scrutando il volto di lei, i suoi occhi lucidi, il labbro inferiore che stava quasi per lacerarsi stretto com’era nella morsa dei suoi denti, le sue mani che si aggrappavano alla stoffa del cappotto in cerca di una qualche stabilità, desiderò avere una spugna magica per cancellare i suoi ultimi, rabbiosi discorsi. Ma purtroppo, per quanto avesse potuto girare nei mercatini cinesi più malfamati, era consapevole che un oggetto del genere non esisteva e quindi l’unica sua possibilità era provare a rimettere insieme i cocci che aveva creato.

Meno di quattro mesi. Ecco la data di scadenza che aveva appena apposto sul loro rapporto, di qualunque natura fosse. Anzi, l’aveva addirittura anticipata al giorno stesso, tanto che senso avrebbe avuto vivere qualcosa di così effimero? O quello o il matrimonio di convenienza…ancora non riusciva a capacitarsi di quale delle ipotesi fosse più insensata. Possibile che l’unica opzione fosse legare a doppio filo due vite che non avevano ancora neppure avuto l’opportunità di formarsi completamente, né di mettersi alla prova come coppia? Due vite che avrebbero dovuto svilupparsi agli antipodi del mondo, ciascuna coi propri sogni, i propri progetti, le proprie ambizioni…Sarebbe davvero bastata la presenza dell’uno a ripagare l’altro per tutte le rinunce fatte, soprattutto a lungo termine? Perché l’entusiasmo dei primi tempi prima o poi finisce, o almeno così aveva letto nei libri, visto nei film e ascoltato dalle testimonianze dirette degli adulti che c’erano passati. Poteva davvero sopportare di essere l’ancora che impediva a Ranma di volare verso il suo luminoso futuro di realizzazione personale o altresì rassegnarsi a rinunciare a tutto per lui? Come si poteva pretendere che lo decidesse in quell’istante, a diciassette anni, su due piedi, lei che ci metteva secoli per fare una scelta di qualunque tipo, valutando accuratamente tutti gli aspetti? Già una volta aveva preso una discreta batosta abbandonando la ragione per l’entusiasmo, non poteva permettersi di commettere nuovamente il solito errore. Anche se significava rinunciare a Ranma. Anche se significava rimanere sola.
“Ranma, io…” si avventurò a bisbigliare, con un filo di voce, ma fu subito interrotta da un gesto che non si sarebbe mai aspettata: il ragazzo la prese per le spalle e la strinse a sé in un maldestro abbraccio, sussurrandole all’orecchio

“Scusami Kijo, dimentica quello che ti ho detto se puoi, e se non puoi…scusami, non volevo”

No, non poteva dimenticare, non era nemmeno giusto. Però poteva coltivare quel germoglio di speranza che si era prepotentemente insinuato nel suo cuore, dopo quel gesto.
 
 
Ore 11.58
 
Che bello! Di lì a poco sarebbe cominciata la giornata con Ranma che tanto avevano rimandato a causa della brutta influenza che li aveva colpiti dopo la notte di Halloween! Il meteo era perfetto, c’era un bel sole a rischiarare la città; l’abito che aveva scelto era perfetto, comodo ma comunque carino, sembrava addirittura che quel giorno le cadesse meglio del solito; il trucco era perfetto, l’eyeliner era venuto sorprendentemente simmetrico su entrambi gli occhi e non aveva traccia di occhiaie; i capelli erano perfetti, era riuscita a far sì che rimanessero delle morbide onde voluminose dopo appena una passata di ferro! Adesso non le rimaneva che dirigersi alla fermata del pullman e aspettare. Poco dopo una sedia glitterata a cui era attaccata una moltitudine di palloncini colorati planò lentamente davanti a lei, quindi vi si sedette e subito l’inusuale mezzo di trasporto si sollevò per recapitarla al luna park. Certo che poteva scegliere anche un mezzo più convenzionale, quello era privo perfino della cintura di sicurezza! Oddio, cosa sarebbe successo se fosse scivolata? Aveva raggiunto una bella quota quell’aggeggio, cosa le era saltato in mente di salirci? Improvvisamente fece il madornale errore di guardare di sotto e alla vista della minuscola città che si diramava molto, ma molto più in basso, ebbe un capogiro: per portarsi le mani alla testa lasciò il sedile che fino a quel momento teneva con tutte le sue forze e cadde giù, gridando disperata, la sensazione dello stomaco in gola con un vuoto incolmabile sottostante.

Fu così che cominciò la giornata di Kijo, rovinando dal letto, urlando per quanto fosse tardi e maledicendo la sveglia che non aveva suonato.
Naturalmente i preparativi all’appuntam-, ehm, all’incontro accordato con Ranma, stavano andando in modo totalmente diverso da quello che aveva previsto. Intanto non aveva preventivato di svegliarsi appena due ore prima del…meeting? (Insomma, quello che era…) e poi stava diventando estremamente difficile ignorare i segnali di insoddisfazione che il suo stomaco gorgogliante le stava inviando per non averlo ancora riempito di colazione: non aveva assolutamente tempo per quello, se doveva scegliere tra un aspetto decente e la sazietà non aveva nemmeno bisogno di soppesare i pro e i contro!
Mentre si lavava i denti con una mano cercando di spazzolarsi i capelli con l’altra, sentì suonare il campanello dello studio medico. Una volta. Due volte. Tre.
Scendendo di rincorsa le scale dopo aver arraffato al volo la propria vestaglia, si soffermò un paio di secondi a leggere il biglietto che Tofu aveva appiccicato alla porta con lo scotch
«Esco con Kasumi, buona giornata! J»

Aprì quindi la porta e si trovò di fronte un ometto non tanto alto con due lunghi baffi sottili e degli occhiali piuttosto spessi.
“Buongiorno! Voi siete la signora Tofu?” domandò lo sconosciuto esibendo un largo sorriso

“No, guardate, sono solo l’assistente del dott-” provò a spiegarsi Kijo, ma quello continuò imperterrito

“Piacere di conoscervi, signora Tofu! Non dev’essere facile essere sposata a un medico, giusto? Sempre a disposizione dei pazienti…chissà quanto tempo vi lascia da sola!”

“Ma verament-” provò a intromettersi Kijo nel fiume di parole in piena che quel tipo le aveva riversato addosso, inutilmente

“Non preoccupatevi signora…posso sapere il vostro nome?” domandò l’uomo dimostrando finalmente interesse ad ascoltarla

“Mi chiamo Kijo, ma non sono-”

“Kyoko, un bellissimo nome! Complimenti signora!”

“Kijo, non Kyoko…”

“Come dice? Kikyo? Scusatemi, avevo capito male…comunque, signora Kikyo, ho qui la soluzione alle vostre serate solitarie! Una bella enciclopedia! Questo lotto è stato aggiornato all’inizio di quest’anno ed è un’ottima fonte per ampliare le vostre conoscenze, quando vi trovate a dover conversare coi colleghi di vostro marito, inoltre per le ricerche scolastiche dei bambini…” sciorinò a velocità supersonica il venditore porta a porta, aprendo la grande valigia che si portava appresso e mostrando un tomo rilegato

“Non ci sono bambini in questa casa, non sono la moglie del dottore e non mi chiamo Kikyo!” disse tutto d’un fiato la ragazza, che guardava le lancette dell’orologio nell’ingresso scorrere inesorabilmente. Doveva trovare un modo per liberarsi da quello scocciatore e alla svelta

“Ops, scusatemi signora Keiko! Non preoccupatevi per i bambini, siete ancora giovane, arriveranno…magari ogni tanto potete invitare vostro marito a leggere l’enciclopedia con voi per sentire cosa ne pensa: sono certo che sarà entusiasta!”

Kijo stava stringendo un pugno con tutte le sue forze, segno evidente che la pazienza che possedeva stava per terminare. Sibilò a denti stretti solo poche parole, prima che il venditore riattaccasse a declamare le virtù del proprio prodotto
“Kijo…e non mi interessa!”

“Giusto! Signora Kochiyo, come può non interessarvi il mio articolo, guardate la rilegatura in pelle, le cuciture a mano, la doratura dei caratteri…Un vero gioiello di conoscenza a portata di mano!”

La ragazza sbuffò sfrontatamente, pronta a dare il benservito al tipo, che però era di tutt’altro avviso
“Sentite, ho molto da fare e sono in ritardo per un appuntamento…insomma, un ritrovo…”

“Signora Fujiko, capisco che la cura della casa richieda tanto tempo, ma non sottovalutate l’importanza di una buona cultura! Vostro marito non resterà con voi solo perché gli fate le pulizie, vorrà pure fare conversazione qualche volta: guardate come sono resistenti questi tomi!” così dicendo lasciò cadere a terra un volume e prese a saltarci sopra, per poi recuperarlo e soffiarci via la polvere
“Visto signora Mildred? Neppure un graffio…”

“Adesso basta, per cortesia, andatevene! Non voglio nessuna enciclopedia! E poi mi chiamo Kijo!” gridò esasperata la ragazza, provando a spingere la porta che lui teneva bloccata col piede

“Ginko? Avrei giurato che vi chiamaste Bernardette…decisamente avete la faccia da Bernardette. Comunque non è un problema, posso ripassare quando non avete il nikujaga sul fuoco! Arrivederci e salutate vostro marito!” il venditore ripose accuratamente il tomo nella valigia, si sistemò il cappello e si avviò verso il cancello lasciando Kijo sconcertata sulla porta.
Proprio simpatica, quella signora Mildred…” sorrise poi mentre imboccava la strada per dirigersi verso un’altra abitazione.


 
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Ciao a tutt*! Torno con l’angolo delle curiosità, anche se questo capitolo ne è indubbiamente più carente rispetto al precedente xD
Grazie per aver letto fin qui!!
 
Curiosità
  • Il nikujaga non è altro che uno stufato giapponese a base di carne, patate e cipolle, un piatto che ogni casalinga perfetta che si rispetti deve saper preparare con maestria
 
  • Uno dei simboli dell’amore eterno più profondi della cultura orientale è la camelia, fiore che rappresenta l’amore e l’attesa. Secondo una leggenda, sull’isola Honsu, viveva un crudele serpente che richiedeva annualmente il sacrificio di una fanciulla. Quando il Dio del vento mise fine a questa barbarie uccidendolo con un spada, le gocce di sangue della bestia tinsero di rosso il prato. Da lì nacquero le Rose del Giappone : una pianta dai fiori bianchi e con piccole macchioline rosse che non perdono petali, ma cadono intere diventando così il simbolo delle vite spezzate delle giovani donne.  Anche le gru, animali che ricorrono spesso nell’iconografia nipponica e simbolo di longevità e salute, sono accumunate all’amore eterno. Il senbazuru, una ghirlanda fatta da mille gru a origami, viene donata agli sposi novelli come augurio di buona vita e buona fortuna. Inoltre si dice che le gru siano monogame: scelgono un compagno e lo tengono per tutta la vita. Anche per questo vengono donate nei matrimoni come simbolo dell’amore eterno giapponese.
Sono stata ispirata da queste credenze nella descrizione del Tunnel dell’amore.
 
  • Avrete senz’altro notato il piccolo omaggio che ho voluto rendere a Maison Ikkoku, lasciando fare un breve cameo ad alcuni dei nostri inquilini preferiti :)




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