If you’re leaving – still
you want me
If you're leaving,
close the door
I'm not expecting people, anymore
Hear me grieving, lying on the floor
Whether I'm drunk or dead, I really ain't too sure
[…]
I'm a blind man
I'm a blind man
And my world is pale
When a blind man cries
Lord, you know
There ain't a sadder tale
[…]
I'm a blind man
I'm a blind man
Now my room is cold
When a blind man cries
Lord, you know
He feels it from his soul
[When A Blind Man Cries,
Deep Purple]
La discussione non era cominciata da tanto, ma entrambi
erano stremati.
Martin aveva dimenticato per l’ennesima volta di chiudere le
ante dell’armadio dopo aver preso frettolosamente dei vestiti, e Joe si era
infuriato e aveva cominciato a gridargli contro.
Era stanco di non riuscire a far capire al suo compagno
quanto fosse difficile essere cieco e non poter semplicemente schivare un
ostacolo dopo averlo visto, anche se in cuor suo sapeva che non lo faceva
apposta.
Però succedeva e mandava Joe in bestia.
Martin, dal canto suo, era veramente stufo di essere
continuamente rimproverato come fosse un bambino; a volte era distratto, ma non
era decisamente il caso di farne una tragedia.
Il problema era che quella situazione andava avanti da fin
troppo e nessuno dei due era più capace di mantenere la calma.
«Ma ti pare che ogni volta che cammino devo rischiare di
farmi male? Vorrei proprio sapere come faresti tu al mio posto!» gridò
Joe.
«Non fare tante storie e smettila di urlare!»
«Invece urlo quanto mi pare, perché mi sono rotto i coglioni!
Io non vedo un cazzo e tu non mi aiuti, lasci sempre tutto in giro e io non
riesco a fare due passi senza inciampare o sbattere da qualche parte!» continuò
a inveire il riccio, gesticolando come un forsennato.
Aveva il viso paonazzo per la rabbia e le mani gli
tremavano.
Martin sbuffò rumorosamente e si lasciò cadere seduto sul
letto. Non sapeva più cosa dirgli, come rispondergli, non ne poteva
semplicemente più. Voleva andarsene di lì, l’atteggiamento di Joe non faceva
che indisporlo e portarlo a chiudersi ancora di più in se stesso.
«Beh? Ecco, come al solito non mi rispondi più, dovevo
aspettarmelo! Parlare con te è come parlare con un muro!» sbraitò ancora Joe,
ancora in piedi vicino all’armadio ancora aperto per metà – l’anta contro cui
aveva sbattuto l’aveva già richiusa con un gesto violento.
Martin rimase ancora in silenzio, sfinito da quell’inutile litigio
e assordato dalle grida isteriche del suo ragazzo. Quando si comportava in quel
modo era insopportabile.
Joe cominciò a imprecare, incapace di capire perché Martin
evitasse di continuare il discorso. Lo faceva sempre quando cominciavano a
discutere, con lui era impossibile affrontare qualsiasi discorso o confrontarsi
quando avevano idee o opinioni diverse.
Poi lo sentì sospirare a lungo e muoversi nella stanza, fu
quasi certo che ne stesse uscendo e la rabbia montò ancora di più in lui. «Dove
credi di andare, eh? Stiamo parlando, mi dà fastidio quando mi ignori e mi
lasci qui come un coglione!»
Tuttavia Martin non rispose, Joe udiva soltanto i suoi passi
allontanarsi sempre più. Il cuore accelerò i suoi battiti.
Il rumore metallico delle chiavi, lo scricchiolio della
porta, un tonfo secco e deciso.
Joe era sotto shock, perché Martin non era semplicemente
andato via dalla loro camera da letto, ma era uscito di casa. Non si era mai
comportato così durante un litigio, possibile che quella volta fosse cambiato
qualcosa?
Incespicando nei suoi stessi piedi, il riccio si spostò per
l’appartamento fino a raggiungere l’uscio. Era ancora incazzato nero, ma in lui
si erano insinuate paura e disperazione al solo pensiero delle conseguenze del
gesto di Martin.
Cercò la maniglia a tentoni e spalancò la porta,
affacciandosi sul pianerottolo per cercare di capire se il suo ragazzo fosse
ancora nel palazzo. Udì dei passi in lontananza, così gridò: «Martin? Martin!
Torna qui, andiamo!»
Non ottenne alcuna risposta, se non quella dell’eco della
sua stessa voce. Poi il portone in basso sbatté con un rumore quasi assordante
e il cuore di Joe perse un battito all’unisono.
Se n’era andato, lo aveva lasciato solo a casa mentre
litigavano.
Cacciò l’ennesima imprecazione e richiuse l’uscio,
lasciandosi andare contro di esso con un gesto colmo di frustrazione.
La consapevolezza di non poterlo inseguire, di non poter
fare letteralmente niente lo uccideva e lo faceva sentire più impotente e
inutile che mai.
Joe non era solito piangere, ma quel gesto compiuto da
Martin lo stava gettando sempre più nel panico – avvertì il terrore di poterlo
perdere, di averla davvero combinata grossa, di aver esagerato.
Nella sua mente si stavano creando scenari apocalittici che
non facevano che accrescere l’ansia nel suo petto: lui senza Martin, Martin che
gli diceva di andare al diavolo, Martin che voleva più saperne di lui.
Si lasciò scivolare fino a ritrovarsi sul pavimento, le mani
sul viso e gli occhi che bruciavano di lacrime amare e dolorose. Non poteva
credere di aver davvero combinato quel casino, e tutto perché non sapeva come
parlare civilmente con il suo ragazzo.
Era convinto di avere ragione e che non fosse semplice per
Martin accettare e capire la sua condizione, ma sicuramente non era gridandogli
in faccia e riducendolo al silenzio che lo avrebbe aiutato a entrare nel suo
mondo.
In altre occasioni ci era riuscito, ma c’erano cose più
complicate di altre e Joe si sentiva un idiota, un perfetto idiota.
Avvertiva già il senso di abbandono, di perdita, di
solitudine che una vita senza Martin al suo fianco poteva significare.
Si accasciò sul pavimento e si liberò in un pianto disperato,
mugolando il nome del suo ragazzo e stringendo convulsamente le mani a pugno.
Ubriaco di lacrime come non lo era da tantissimo tempo.
Martin lasciò il palazzo come una furia, diretto da nessuna
parte in particolare.
Era arrabbiato, deluso, insofferente. Un altro secondo tra
quelle quattro mura insieme a Joe e non avrebbe più risposto di se stesso. Non
se il suo ragazzo avesse continuato a gridare, a inveire, a sbraitare contro di
lui, facendolo sentire una totale nullità.
Sapeva che aveva ragione a rimproverarlo per le sue
distrazioni, ma per Martin era complicato spiegargli quanto dovesse sforzarsi
per ricordare di non lasciare degli ostacoli sparsi per casa.
Era nella sua natura: cominciava a fare qualcosa, poi un
secondo pensiero si faceva largo nella sua mente e automaticamente tutto il
resto scompariva.
Quel giorno aveva preso una felpa dall’armadio, poi si era
ricordato di mettere dell’acqua fresca in frigorifero e si era spostato in
cucina senza richiudere l’anta. Joe era andato a sbattere proprio lì e lui
aveva perso dieci anni di vita per il grido che aveva lanciato, salvo poi
essere aggredito per quella stupida dimenticanza.
Era un disastro e si sentiva tremendamente in colpa, però
ammetterlo gli costava un’enorme fatica e questo portava il suo ragazzo a
credere che non gli importasse delle conseguenze della sua disabilità.
Aveva preferito scappare, come al solito, ma quella volta non
si era limitato a lasciare semplicemente la stanza; si era precipitato fuori
dall’appartamento, giù per le scale, per la strada. Aveva bisogno di aria, di
camminare, di sbollire la rabbia.
Non sapeva neanche se ce l’avesse più con Joe o con se
stesso.
Percorreva strade casuali senza guardarsi intorno, a passo
spedito, cercando di rimettere insieme i propri pensieri e riprendere il
controllo che aveva perso da diversi minuti.
Non era quello il modo giusto per risolvere i loro problemi,
ma aveva avuto la netta impressione di non potercela fare, non se Joe avesse
urlato ancora e ancora.
Inspirò ed espirò alcune volte, si fermò nei pressi di un
piccolo parco situato poco distante da casa e si sedette. Si lasciò
letteralmente cadere e si prese la testa tra le mani.
Temeva di aver esagerato con quella reazione, con quella
fuga, con quel mutismo che non avrebbe portato a nulla di buono.
Si guardò intorno e, nonostante il sole splendesse e facesse
un caldo pazzesco, ciò che lo circondava pareva spento e incolore; era domenica
mattina, in giro non c’era anima viva ed era probabile che la maggior parte
delle persone fossero in spiaggia.
Anche loro si stavano preparando per andarci, poi avevano
cominciato a litigare e le cose erano degenerate.
Martin si passò una mano sul viso: perché si era comportato
in maniera così tanto stupida e impulsiva? Non era da lui, non l’aveva mai
fatto prima. Si chiedeva cosa fosse cambiato e cominciò a mettersi in dubbio.
Forse lui e Joe non era poi così tanto perfetti insieme,
forse non era adatto a quel ragazzo e non sapeva davvero prendersi cura di lui
come si era ripromesso; forse era semplicemente un disastro e non era più certo
che Joe volesse ancora averlo al suo fianco.
Un moto di disperazione lo colse e lo mandò letteralmente
nel panico. Non poteva immaginarsi senza di lui, era semplicemente troppo
doloroso e inconcepibile.
La verità era che spesso discutevano, alzavano la voce, si
scontravano, ma mai in quel modo. Lui era sempre rimasto in casa, si era
calmato e alla fine le cose si erano sistemate senza troppi problemi. Ma ogni
volta che nasceva un’incomprensione, era come se tutte le questioni irrisolte
tornassero a galla e rendessero l’aria irrespirabile e la tensione ancora più
forte e palpabile.
Come erano arrivati a quel punto?
Martin non voleva perderlo, quella era una delle poche
certezze che gli restavano, ma non sapeva come fare.
Non riusciva a fronteggiare la furia di Joe e non capiva
perché il suo ragazzo fosse sempre così incazzato e aggressivo. Allo stesso
tempo non sempre era in grado di catalogare le proprie emozioni e di reagire ai
suoi atteggiamenti, così finiva per rimanere in silenzio a lasciarsi investire
da fiumi di parole.
Non voleva più che funzionasse così, perché sapeva
perfettamente che potevano trovare un punto d’incontro – ci erano riusciti in
tante occasioni, ce l’avrebbero fatta anche quella volta.
Si alzò dalla panchina e si costrinse a tornare verso casa,
deciso a rimettere le cose a posto in un modo o nell’altro. Voleva almeno
provarci, Joe era troppo importante per lui – la persona più importante della
sua vita.
Mentre camminava verso il loro appartamento, fu assalito da
mille dubbi e domande: lo avrebbe ancora voluto? Aveva già compromesso tutto?
Si sarebbero chiariti? Avrebbero trovato una via d’uscita? Sarebbero stati
capaci di affrontare tutto insieme? Era un momento di crisi come tanti altri o
c’era di più? Joe lo amava ancora o si era stancato di lui come gli aveva detto
mentre litigavano?
Nonostante tutto doveva fare un tentativo.
Joe si sentiva completamente smarrito.
Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso da quando
Martin se n’era andato, ma sperava vivamente che tornasse da lui – anche se più
i minuti scorrevano, meno ne era sicuro.
Quegli oscuri pensieri continuavano a gettarlo nella
disperazione più totale: quando pareva essersi calmato ed essere riuscito a placare
il pianto in cui stava affogando, un nuovo terribile scenario si faceva largo
tra i suoi pensieri e i lamenti ricominciavano a fluire insieme alle lacrime.
Non era stato capace di spostarsi dall’ingresso di casa, si
sentiva debole e svuotato, completamente perso.
Era vero che Martin non se n’era mai andato in quel modo, ma
nemmeno lui forse gli aveva gridato così tante cattiverie – quanto era
coglione, il suo ragazzo non si meritava di essere trattato in quel modo.
Dio, quanto lo amava.
Dio, quanto gli mancava.
La frustrazione per non essergli potuto correre dietro lo
stava divorando, ma ancora di più a distruggerlo erano i dubbi su loro due. se
Martin aveva reagito in quel modo, forse non teneva più a lui come un tempo. Si
era stufato di farsi trattare in quel modo, non ne poteva più, era
semplicemente stanco.
Aveva smesso di volerlo nella sua vita.
Si era reso conto che per lui era soltanto un peso
insopportabile.
Il suo pianto si intensificò, voleva strapparsi via il cuore
per quanto gli faceva male la sola idea di vivere senza di lui.
I singhiozzi convulsi lo scuotevano fin nel profondo, aveva
paura di non farcela, di non riuscire più a sopportare quella sofferenza.
Doveva cercare di calmarsi, lo sapeva, ogni tanto la sua
mente glielo suggeriva. Forse stava esagerando, forse non era tutto perduto,
poteva anche essere soltanto un momento di crisi.
Avevano superato tante cose insieme, potevano affrontare
anche quella. Cosa poteva esserci di tanto diverso?
Si mise faticosamente a sedere e si passò le mani sul viso,
trovandolo completamente impiastricciato di lacrime; alcune ciocche di capelli
gli si erano incollate alla pelle e il naso gli colava. Era un vero e proprio
disastro e si sentiva una merda per aver trattato male Martin, non avrebbe
dovuto permettersi.
Era da un po’ che capitavano cose come quelle: il suo
ragazzo faceva qualcosa che lui riteneva sbagliato, così Joe si infuriava e lo
investiva di parole a non finire, riducendolo al silenzio – Martin non amava
discutere, non era nella sua natura.
Com’erano arrivati a quel punto?
Se voleva sperare di fargli capire come si sentiva, non era
certo quello il modo giusto.
Martin poteva anche commettere degli errori, ma anche Joe ne
commetteva – sicuramente molti più di lui.
Che diritto aveva di farlo sentire una merda quando
litigavano?
Nuove lacrime sgorgarono dai suoi occhi senza vita,
bagnandogli le guance e le mani che tentavano invano di scacciarle.
Se avesse perso Martin, sarebbe stata soltanto colpa sua.
Del suo atteggiamento indisponente e della sua incapacità di mantenere la
calma.
Forse avrebbe dovuto fare qualcosa di serio per modificare
le sue cattive abitudini, cercare aiuto, tentare di capire cosa lo facesse
scattare in quella maniera spropositata.
Senza Martin però sentiva di non poter affrontarlo.
Ma dov’era finito?
Quanto avrebbe voluto avere due occhi funzionanti per uscire
a cercarlo.
E se non fosse più tornato?
Una nuova ondata di angoscia lo colse e il pianto si
intensificò ancora.
Era talmente sopraffatto dalle emozioni e dai singhiozzi che
non si accorse nemmeno della porta che si apriva.
Martin lo trovò seduto sul pavimento, immerso in un mare di
lacrime, le mani strette sul viso. Tutto attorno a lui regnava il silenzio,
interrotto soltanto dai lamenti disperati che abbandonavano le sue labbra.
Rimase fermo sulla soglia per alcuni istanti, lo sguardo
fisso su quell’immagine straziante e il cuore che batteva a mille per la
preoccupazione che ancora lo attanagliava.
Poi venne investito dalla sofferenza, la stessa che leggeva
in ogni singolo respiro del suo Joe.
Richiuse la porta con un tonfo e il suo ragazzo parve
accorgersi di lui solo in quel momento.
«Martin?» mugolò, allungando le mani alla sua ricerca.
«Sono qui» esalò il moro, gettandosi sul pavimento accanto a
lui.
Non appena Joe trovò il contatto con il suo corpo, gli si
buttò tra le braccia e scoppiò a piangere come mai Martin l’aveva visto.
Anche i suoi occhi cominciarono a bruciare e non riuscì a
contenere le lacrime, stringendosi forte al corpo del ragazzo che amava più di
ogni altra cosa al mondo.
Perché avevano perso tempo a litigare e a farsi del male in
quel modo? Erano così forti insieme, così affiatati e capaci di affrontare
qualsiasi cosa.
«Sei qui…» continuava a ripetere Joe, toccandolo come se non
riuscisse a credere che fosse tornato da lui e si trovasse tra le sue braccia.
Martin piangeva e non riusciva a rispondere, si limitava ad
accarezzarlo e abbracciarlo sempre più forte.
Tra le gocce salate che inondavano i loro volti e si
mescolavano tra loro, cercarono l’uno le labbra dell’altro e si unirono in un
bacio disperato e pieno di tutte le emozioni che avevano provato e stavano
provando quel giorno – rabbia, delusione, paura, insicurezza, amore.
«È tutta colpa mia» disse Joe. «Tutta colpa mia…»
«Non è vero» lo contraddisse Martin, il viso affondato sulla
spalla dell’altro.
Joe lo strinse forte. «Non voglio perderti…»
«Sono qui, non vado da nessuna parte» lo rassicurò – era
sincero, non aveva alcuna intenzione di abbandonarlo.
Era così felice di sentire che Joe non si era stancato di
lui.
«Però prima sei andato via.»
«Lo so» replica Martin. «Lo so.»
Joe tirò su col naso e cercò di scostarsi da Martin, doveva
assolutamente lavarsi la faccia e calmarsi un po’; tuttavia il suo ragazzo non
glielo permise e mugolò in protesta mentre lo tratteneva contro il proprio
corpo.
«No, dove vai?»
Joe si arrese al suo abbraccio. «Ti ho bagnato e sporcato la
maglia» spiegò, sentendosi un po’ sciocco nel preoccuparsi per qualcosa di
tanto irrilevante. «E poi si sta scomodi sul pavimento» aggiunse.
Martin fece risalire le dita lungo il suo corpo, fino a
prendergli il viso tra le mani; Joe sapeva perfettamente che lo stava guardando
negli occhi, gli stessi che non potevano restituire il suo sguardo.
Poi avvertì il tocco leggero delle sue labbra sulle proprie,
quel contatto così familiare e naturale, così intimo e rassicurante.
«Martin…»
Joe lo chiamò e Martin rispose con un altro lieve bacio, per
poi carezzare le guance dell’altro con la punta delle dita. I suoi occhi scuri
erano fissi su quelli celesti e smarriti del suo ragazzo, non si sarebbe mai
stancato di osservarli e rendersi conto di quanto fossero espressivi nonostante
tutto.
Qualcosa dentro di lui spingeva per uscire, una verità che
non sapeva più trattenere e che aveva bisogno di esternare – voleva che Joe ne
fosse certo, che sapesse, che ascoltasse ciò che gli faceva provare.
«Ascoltami. Per me sei importante. Non voglio perderti, ho
avuto paura di aver rovinato tutto con la mia reazione.» Fece una pausa, senza
però smettere di scrutarlo in viso e godersi la bellezza di quei lineamenti che
nemmeno le lacrime sapevano alterare. «Dio…»
«Che c’è?» Joe sorrise appena.
«C’è che ti amo.» Martin lo disse con la voce che tremava e
mille emozioni a scaldargli il cuore. Non era qualcosa che ammetteva spesso, forse
non aveva mai preso per primo l’iniziativa di confessarlo a Joe – tra loro non
c’era bisogno di parole come quelle, tutto ciò che provavano era talmente
luminoso e chiaro.
Joe si inarcò verso di lui e tornò ad abbracciarlo più forte
di prima. Era rimasto senza parole, non si aspettava che Martin gli aprisse il
suo cuore in quel modo – quel giorno stavano capitando situazioni inedite per
entrambi, era difficile assimilare tutti quei cambiamenti.
Gli venne nuovamente da piangere e affondò con il viso sulla
spalla di Martin. «Davvero?» fu tutto ciò che riuscì a pronunciare.
Le mani di Martin, grandi e calde, scivolavano lungo la sua
schiena e tra i suoi capelli, era una sensazione bellissima che mai smetteva di
farlo emozionare e rabbrividire. «Certo. Non devi mai dubitarne. Anche quando
mi comporterò da irresponsabile come oggi.»
«Vale lo stesso per me» replicò Joe senza alcuna esitazione.
«Voglio fare qualcosa per evitare di trattarti in questo modo. Non te lo
meriti.»
«Faremo tutto ciò che vorrai, ma adesso abbracciami.»
Quella di Martin era una preghiera, candida e sincera, senza
vergogna né imbarazzo. Era ciò di cui aveva bisogno e sentiva che per Joe era
lo stesso.
Si strinsero l’uno all’altro, intrecciati come le loro
anime, uniti come i loro cuori.
Dovevano lavorare su alcune cose, modificare degli
atteggiamenti che rischiavano di rendere pesante la loro convivenza, ma erano
forti dei sentimenti che provavano l’uno per l’altro.
Ce l’avrebbero fatta.
Avrebbero lottato per preservare il loro legame.
A qualunque costo.
Something about the way
that you walked into my living room
Casually and confident lookin' at the mess I am
But still you, still you want me
[…]
Oh, I Always let you down
You're shattered on the ground
But still I find you there
Next to me
And oh, stupid things I do
I'm far from good, it's true
But still I find you
Next to me
[…]
So thank you for taking a chance on me
I know it isn't easy
But I hope to be worth it
[Next To Me,
Imagine Dragons]
♥ ♥
♥
TANTISSIMI AUGURI DI BUON COMPLEANNO AL MIO JOE, E SONO
32!!!! *________*
Okay ragazzi, so che sono sadica… non c’è bisogno che me lo
diciate, sento già i vostri rimproveri vibrare nell’aria per aver scritto
qualcosa del genere per festeggiare un compleanno, ma…
Ditelo alla mia ispirazione, non è colpa mia!!
In realtà quest’idea già mi frullava in mente da mesi, era
nata sulla base di When A Blind Man Cries dei Deep Purple, ma ha
definitivamente preso forma quando sono andata al loro concerto e l’hanno fatta
dal vivo!!!! Io non ho ancora realizzato che sia successo davvero, credetemi, è
stato un enorme colpo al cuore!
Poi ho pensato anche al testo di Next To Me degli
Imagine Dragons – altro concerto a cui sono stata circa un mese fa – e mi sono
detta che le due canzoni potevano entrambe ispirarmi, quindi ho deciso di
inserire le parti più significative di entrambe all’inizio e alla fine del
racconto.
Anche per il titolo ho preso una frase da una canzone e una
dall’altra, trovo che si sposino bene tra loro, nonostante gli artisti non
potrebbero essere più diversi XD
So che questa storia è piuttosto drammatica e triste, me ne
rendo perfettamente conto, ma noi tutti sappiamo che ogni coppia ha i suoi
momenti di crisi e i miei bimbi non sono un’eccezione. Joe ha un caratterino
tutto suo e Martin pure ha i suoi difetti. Litigare è inevitabile, ma in questo
caso le cose sembravano star davvero deragliando.
Conto di parlare ancora di questi loro problemi e di ciò che
faranno per cercare di risolverli, però in questa OS contavo soltanto di farli
stare nuovamente vicini e di farli parlare di ciò che provano l’uno per
l’altro. Di far capire a entrambi che possono superare anche questa difficoltà,
perché hanno un legame importante e forte e questo non può che aiutarli!
Spero che, nonostante il dramma, la storia vi sia piaciuta
:)
Ancora buon compleanno al mio bellissimo bimbo, spero possa
perdonarmi per avergli regalato tanta sofferenza anche in un giorno come
questo, che dovrebbe essere soltanto speciale!
TI AMO TANTISSIMO, JOSEPH GUY SANDYS ♥♥♥
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