Questo racconto nasce un po' su richiesta, anche se è nella mia mente strettamente correlato ad un altro che non so se troverà la forma per essere presentabile.
L'idea per l'ambientazione è arrivata ripensando ad una recente passeggiata nel bosco, vedendo come la vita si rigenera e fa di tronchi caduti o piegati veri spettacoli della natura.
La grande quercia
Quella notte enormi nuvole scure facevano da tetto al mondo. Tuoni e lampi promettevano pioggia a una terra riarsa dal caldo estivo.
Nel bosco, proprio al bivio tra due sentieri, sorgeva una grande quercia il cui tronco era abitato da una chiassosa famiglia di gufi.
I piccoli si stringevano tra loro impauriti, mantenendosi il più lontano possibile dall'apertura.
L'implacabile vento scuoteva le fronde e di lì a poco cominciarono a cadere grosse gocce d'acqua.
Papà Gufo si stagliava sulla soglia e chiamava a gran voce tutti i piccoli amici che si trovavano nei paraggi.
Così i tre piccoli gufetti si trovarono presto in compagnia: una piccola civetta e la zia, un allocco con il nonno, due cugini barbagianni.
"Chissà come sarà ridotto il nostro nido" diceva l'allocco stringendosi al nonno.
I saggi volatili guardavano la potenza del temporale senza osare fiatare, non sapendo che cosa avrebbe lasciato quando si fosse finalmente placato.
I fratelli di Urfo erano però riusciti a distrarsi e giocavano con gli altri piccoli tirandosi un guscio di noce come fosse una palla o costruendo un trenino con le noccioline e i bastoncini.
Urfo era tutto arrabbiato in un angolo e si accorse solo all'ultimo che la mamma gli si era avvicinata.
"Vai a giocare, sei al sicuro qui" gli disse pensando fosse impaurito.
"Ma quelli sono i miei giochi" rispose invece lui arruffando le piume.
"Che sciocchezza è mai questa!" si inalberò a sua volta mamma gufo, spingendolo con poca grazia a giocare con gli altri.
Il temporale passò e all'orizzonte già si scorgevano i primi bagliori dell'alba.
Urfo era così stanco che si stava già stiracchiando quando la mamma lo chiamò.
"Vieni a salutare i tuoi nuovi amici" e poi gli disse "Hai visto? Tutti i giochi tuoi e dei tuoi fratelli sono ancora qui. Ma non è stato divertente giocare insieme agli altri?"
"Sì" risposte Urfo "avevi ragione tu mamma, mi ero persino dimenticato del temporale" disse euforico. Poi si addormentò.
Curiosità: il Gufo bubola, questo è il verbo che si usa per il suo verso.
Il senso del possesso è più o meno radicato in noi, dipende dalla nostra indole, dall'educazione e da molte altre cose probabilmente. Più si cresce, più si impara che ciò che vorremmo fosse nostro è sempre meno qualcosa di materiale.
Ho paura dei temporali e per questo a volte ricorrono nei miei testi, ho paura del potenziale distruttivo di queste enormi forze della natura. Mentre scrivo mi viene da pensare che i temporali e i grandi eventi naturali hanno qualcosa in comune con i sentimenti autentici e profondi.
Che il vostro cielo sia sereno
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