Tutto ciò che vuoi

di Doctor Nowhere
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Il leggero risucchio della cannuccia annunciò che il Long Island era finito.

La mano di Carlo tremolava quando appoggiò il bicchiere sul tavolo. Si lasciò andare a una risata fragorosa. “Wo-hoo!” Mosse la testa su e giù, al ritmo pompato dalle casse. Era rimasto l’unico a quel tavolo. Meglio rimediare.

Si tirò su e si gettò in pista tra le luci multicolori, le braccia al cielo. La musica gli scorreva dentro, e lui era invincibile.

I suoi piedi scattarono sul pavimento. Le sue spalle si alzavano e si abbassavano, frenetiche. Era una forza! Invincibile!

La sua gola si fece secca. Ci voleva un altro giro. Carlo si alzò in punta di piedi per vedere meglio. Ma che razza di coda c’era al bancone? Che gli prendeva a tutti, erano appena usciti dal deserto? Meglio lasciar stare. In fondo non valeva la pena di sgomitare e di sgolarsi per farsi sentire dal barista.

Due colpetti sulla schiena lo fecero trasalire. Si voltò di soprassalto. Sara. Quanto era bella in quel suo top nero con le strisce d’argento!

«Tesoro!» disse Carlo ad alta voce, per sovrastare la musica «Dov’eri finita? Dai, balliamo!» la sua mano si allungò per afferrarle la spalla, ma lei si scostò.

Sara si morse il labbro, gli occhi puntati verso il basso. Con la testa accennò all’uscita, poi si voltò ed iniziò a camminare in quella direzione.

Carlo si grattò dietro l’orecchio. Lo sapeva, lo sapeva che c’era qualcosa che non andava. Era ormai da… quanto, due settimane che Sara era un po' più fredda nei suoi confronti? Cosa poteva essere? E davvero non poteva aspettare la fine della canzone? Si spazzò la maglietta con le mani.

Sara si districò tra la folla che si parava tra loro e il portone. Sull’uscita Carlo girò la testa verso la pista da ballo e si sfiorò il volto. Era qualcosa che aveva fatto?

Fuori c’era molta meno gente, e molta meno confusione. Carlo, investito dalla fresca aria aperta, si strinse le braccia. A destra ecco Michela, Pietro e Camilla che ridevano per chissà quale idiozia. Sara girò a sinistra.

Dietro l’angolo si ritrovarono in un vicolo cieco che puzzava di piscio e di vomito. Carlo socchiuse le ciglia, per abituarsi alla scarsa illuminazione. Tirò un calcio ad un sasso: «Che cosa c’è, Sara?»

Quel buco non gli piaceva per niente. Meglio risolvere la questione in fretta, qualunque cosa fosse, e rientrare. Gli era tornata la voglia di un altro drink.

«Ascolta, Carlo...» Sara sbatté le palpebre «Dobbiamo parlare»

Il cuore di Carlo iniziò a martellare fortissimo. «Oh» gli sfuggì. No, no, no, no! Parlare? Di cosa? Perché? Era una così bella serata. Potersela spassare senza il pensiero di doversi svegliare presto era semplicemente il massimo. Che bisogno c’era di rovinare tutto? Torse un po' la testa. Quanto sembrava lontana l’uscita del vicolo «Tesoro… proprio adesso? E proprio qui? Non possiamo parlarne più tardi, a fine serata?»
«No!» Sara aveva gli occhi lucidi e il respiro affannoso «Non possiamo rimandare. E sai perché? Perché a fine serata tu sarai troppo stanco, oppure lo sarò io. Non esiste un buon momento per parlare con te!» si diede un pugno su una coscia «Sono sempre troppo impegnata io e troppo di malumore tu. Sto rimandando questa conversazione da due settimane!»

Carlo si grattò la guancia, incapace di incontrare il suo sguardo. Ma cosa voleva esattamente da lui? D’accordo, era un periodo un po' difficile per entrambi, ma non c’era bisogno di farne una tragedia.

Carlo sospirò e incrociò le braccia sul petto «Va bene, allora. Dimmi tutto. Qual è il problema?»

«Carlo, ascolta, non so come dirtelo…» Sara si torse le mani «Il problema è che non ce la faccio più a vederti in questo stato!»

Carlo strabuzzò gli occhi e inarcò un sopracciglio. Da una finestra aperta usciva ovattata la musica della disco, ma non era sufficiente a coprire quel vuoto silenzio. Che diavolo voleva dire? Come si poteva rispondere a una frase del genere?

Lei dondolò sui piedi, poi fece un passo indietro «Insomma, che cosa stai facendo in questo momento esattamente? Hai mollato il tuo lavoro, e adesso? Che cosa hai intenzione di fare?»

Carlo fu scosso da un brivido. «No, ti prego, Sara, non puoi voler parlare di questo»

Non poteva muoversi. Era come se fosse sprofondato in un abisso. «Lo sai che quel lavoro mi faceva impazzire. Non ci riesco a stare tutto il giorno dietro a una cassa a farmi urlare in faccia da perfetti idioti» Nella sua bocca il rimasuglio dolciastro dell’ultimo drink si era trasformato in un retrogusto acido «E poi mi pagavano uno schifo»

Sara allungò un braccio verso di lui, ma lo ritrasse a mezz’aria «Lo so, credimi, lo so. Ma adesso cosa hai intenzione di fare? Vuoi restare per sempre in quell’appartamento minuscolo e ammuffito, facendoti pagare tutto dai tuoi?»

Carlo scrollò le spalle. «È una situazione temporanea, Sara… si sistemerà tutto» Ok, non era il massimo, e allora? Perché tutta questa fretta di avere ogni cosa a posto subito?

«Una situazione temporanea?» la voce di lei era più alta, vibrante «Carlo, non puoi avere questo atteggiamento. I problemi sono temporanei se si cercano delle soluzioni, non si risolvono da soli. Voglio dire, come sei messo con gli studi? Quanti anni hai accumulato fuori corso?»

Carlo si portò una mano alla fronte. Aveva una leggera emicrania, e faceva fatica a reggersi in piedi. Non era proprio in grado di continuare la conversazione. «Hai ragione, Sara… senti sai cosa? Adesso siamo tutti e due un po' irritabili. Io ho bevuto, e tu domani devi lavorare. Facciamo che nel pomeriggio ti richiamo e cerchiamo un momento per chiarirci»
«No!» la mano di Sara si alzò a strofinare sotto l’occhio. Era una lacrima, quella? «Carlo, è proprio questo il problema. Tu rimandi sempre tutto. La ricerca del lavoro, gli studi, questa discussione. Sei troppo pigro per affrontare i problemi!»

Carlo le puntò contro l’indice «Questo non è vero!»

Lei roteò gli occhi e scosse la testa «Dimostramelo, allora. Dimmi quando hai intenzione di mandare un curriculum per cercare un nuovo lavoro. Oppure quando hai programmato di fare il prossimo esame.»

Carlo strinse i pugni. «Credi che non mi piacerebbe trovare un lavoro? Non ce n’è.» Adesso la principessina si sentiva in diritto di fargli la morale solo perché era stata assunta in un salone di bellezza? «Ti credi tanto migliore di me? Scusami tanto se non mi faccio sfruttare come un mulo» Sara socchiuse gli occhi e digrignò i denti. La sua espressione era insopportabile. Era lei che aveva iniziato quell’inutile conversazione! Carlo fece un passo avanti «Ascoltami bene, Sara, perché ti dirò una cosa importante. Questo non è il mondo delle favole, questo è il mondo reale, e nel mondo reale non puoi ottenere tutto ciò che vuoi. Che colpa ne ho io se non ci posso fare niente?»

«Non puoi o non vuoi?» la voce di Sara era rotta dall’emozione, come se fosse sul punto di scoppiare a piangere.

Carlo sbuffò. Non avrebbe dovuto alzare la voce. Non aveva voglia di litigare, solo di essere lasciato in pace. «Scusami… forse ho bevuto troppo. Non dicevo sul serio»

Allargò le braccia per stringerla forte. Aveva bisogno di averla vicina, di sentire la pressione del suo corpo, il suo profumo.

Lei respinse il braccio con uno spintone.

«Sara…»

Lei gli voltò le spalle. Iniziò a camminare, al ritmo più veloce che le consentivano i suoi tacchi alti. Carlo tentò di seguirla, per scusarsi di nuovo, per spiegarsi meglio, ma una fitta di vertigine lo fece inciampare e cadde a terra. La sua coscia destra divenne umida e calda.

Il vestito nero e argento scomparve dietro l’angolo. Carlo si afferrò a un bidone per tirarsi in piedi. Pregò silenziosamente che la macchia sui suoi pantaloni fosse solo una pozzanghera, ma non ebbe il coraggio di controllare.

Appoggiato al muro si diresse verso la strada. Nello stomaco aveva un bruciore infernale, come se gli avessero tirato un pugno fortissimo.

Quando arrivò all’incrocio Sara non si vedeva più. Carlo si asciugò il sudore dalla fronte. Gli tremavano le gambe.

«Ohi, Carlo… Carlo, tutto bene?»

Pietro lo raggiunse, e gli poggiò una mano sulla spalla «È tutto a posto, amico?»

Il ragazzo scosse il capo. Aveva voglia di vomitare. «Sara… Sara mi ha mollato. È finita.»
«Oh, diavolo» Pietro lo sorresse «Ti senti bene? Vuoi che ti riaccompagni a casa?»

Carlo si strofinò gli occhi «No, no.» deglutì «Ci vado da solo. Ho la macchina proprio qui»

Pietro corrugò la fronte «Sei sicuro? Non è meglio se…»

«No!» urlò Carlo «Voglio stare da solo, adesso» fece qualche passo «Da solo!»

Barcollò fino alla macchina e fece scattare lo sportello. Si passò una mano sulla fronte.

Sara lo aveva lasciato.

Lo aveva lasciato perché lui era un pigro buono a nulla, mentre lei era una a posto, lei lavorava, lei era bellissima, perfetta, perfettina, snob, so-tutto-io, maledetta, ingrata!

Basta, basta, basta!

Si infilò la mano in tasca per prendere le chiavi. Non c’erano. Provò l’altra tasca, niente. Per terra, no.

Carlo era sul punto di mettersi a urlare. Tirò un pugno contro un muro. Fece una smorfia. Aveva fatto un male cane!

Un momento, cos’è che teneva nella mano?

La aprì. Erano le chiavi.

Carlo imprecò e salì sulla macchina. Non gliene andava bene una, quella sera.

Fece ingranare il motore e uscì dal parcheggio. Non si vedeva nulla. I lampioni che ci stavano a fare se non li accendevano? Fece partire gli abbaglianti.

Ripassò nella sua testa la strada. A destra alla rotonda, poi dritto fino al semaforo, poi a sinistra… sì, tutto a posto.

Schiacciò sul pedale. Più veloce andava, prima sarebbe arrivato.

Voleva solo tornare a casa e buttarsi a letto, dormire, dimenticarsi di Sara, di tutto, dormire, chiudere gli occhi… dormire.

La strombazzata di un clacson gli fece riaprire gli occhi di colpo. Le luci dei fari lo accecarono, e d’istinto sterzò di lato.

Ci fu uno schianto metallico,

Tutto intorno si accendevano le luci dalle case, la gente si sporgeva, c’era persino un uomo sull’altro marciapiede che lo fissava con uno sguardo divertito.

Che serata di…





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