Gli Ultimi Maghi

di Zobeyde
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LA SOFFIATA


 


 

L’Arboreto del Parnaso era un’oasi di pace nel cuore di Arcanta; un paradiso rigoglioso, popolato da ogni specie umanamente conosciuta di alberi, fiori, arbusti e piante acquatiche, distribuite su varie Terrazze che ricreavano in maniera artificiale il loro habitat nel Mondo Esterno. Ruscelli, cascate e stagni rendevano ancora più piacevole percorrerne i sentieri coperti di ghiaia, oppure sedere all’ombra, meglio ancora se con un libro a portata di mano.
Il posto preferito di Alycia era sempre stato il Terrazzo Giapponese: un manto di muschio verde e rocce, dove regnavano le forme essenziali e i contrasti. Ogni elemento del Tutto era in perfetto equilibrio, nessuno prevaricava sull’altro, così come lo era nell’alchimia e come doveva essere stato un tempo anche nel Mondo Esterno.
Alycia era affacciata al parapetto di un ponte rosso ad arco, sospeso su un laghetto delimitato da rocce e giunchi; guardava il suo riflesso tra i fiori di loto bianchi che fluttuavano sullo specchio d’acqua artificiale e ripensava a quanto era stata stupida a illudersi di poter cambiare le cose alla Cittadella. Che bastassero lo studio e la determinazione per invertire la direzione di una ruota che da secoli girava sempre e solo nello stesso verso.
Si lasciò sfuggire un sospiro tetro. Quale destino poteva aspettarsi alla fine? Lo stesso di altre centinaia di donne: seguire il percorso che era stato tracciato per lei dal momento in cui era venuta al mondo. Rimanere per sempre là, a galleggiare nella stessa acqua priva di corrente come quei fiori di loto, il cui unico scopo era di mantenersi graziosi alla vista, ancorati saldamente al letto dello stagno in cui erano nati. Una vita tranquilla, senza affanni, senza pericoli e senza stimoli...
“Fa sempre piacere che una giovane donna trovi qualcuno che si prenda cura di lei.”
Alycia aggrottò la fronte. Estrasse dalla tasca della tunica un sasso liscio e rotondo raccolto dal sentiero e lo scagliò con forza nell’acqua immobile dello stagno, dando vita a una spirale di increspature.
Ripensare a quelle parole le faceva ribollire il sangue. Nessuno si era mai preso cura di lei: sua madre era morta prima che avesse imparato a pronunciare il suo nome, suo padre aveva sempre avuto ben altro per la testa che occuparsi di lei. Era entrata nella Corte delle Lame, aveva imparato a combattere e a evocare potenti magie. Aveva iniziato a studiare complessi manuali di alchimia senza che nessuno la aiutasse. Insomma, aveva sempre provveduto a se stessa e, accidenti, pensava di averlo anche fatto discretamente!
Aveva sul serio bisogno di un marito? Di qualcuno che le dicesse cosa fare e cosa non fare? Di protezione?
No. Non si sarebbe data per vinta così facilmente. Avrebbe ripreso il controllo sulla propria vita, anche a costo di tornare alla Cittadella e costringere il Primo Alchimista a darle l’occasione che si meritava. Lui non la conosceva, non aveva idea di cosa fosse capace...
Lascio il ponticello decisa a tornare al Cerchio d’Oro sul piede di guerra. Octavio l’avrebbe di sicuro accolta berciando come una gallina, visto che non aveva ancora cucinato nulla per il pranzo di compleanno del Maestro Rashid, ma non le importava. Gli avrebbe cucito la bocca con una fattura se necessario.
Attraversò una galleria di ferro battuto ammantata da rose selvatiche e nel frattempo ripeté nella mente il discorso che aveva intenzione di fare al Primo Alchimista. Era sempre stata una persona dedita all’azione, ma suo padre le aveva detto un sacco di volte che le parole avevano un potere e se scelte con cura potevano aprire qualunque porta...
Oltrepassato il roseto, con la coda dell’occhio distinse una figura che stonava nella vegetazione tropicale col suo cappotto ornato di pelliccia argentea.
Boris Volkov si trovava ai piedi di una gigantesca statua avvolta nelle rampicanti, che raffigurava uno dei Tre Fondatori, Tolomeo il Difensore, riconoscibile dal volto imberbe, dagli occhi infossati e dallo spadone impugnato a due mani; secondo una delle numerose leggende che circolavano sull’epoca della Fondazione, era stato lui a creare la Corte delle Lame, per insegnare ai maghi e alle maghe a difendersi dalle angherie del Mondo Esterno.
Volkov tamburellava le dita sulla testa di lupo d’argento sull’impugnatura del bastone da passeggio e lanciava occhiate nervose in giro, come se stesse aspettando qualcosa. O qualcuno.
Alla vista del maestro, Alycia sentì di nuovo montare la rabbia. Era anche colpa sua se il Cerchio d’Oro aveva trovato un pretesto per tagliarla fuori. Se non avesse sparso la voce di quella ridicola proposta di matrimonio forse a quell’ora sarebbe stata in laboratorio a occuparsi della sua pianta e non a piangersi addosso al Parnaso...
Due paroline se le meritava anche lui.
Mosse un paio di passi decisi in sua direzione, ma si fermò di colpo quando vide giungere la persona che Volkov stava aspettando.
L’Inquisitore Tibor Blackthorn.
«Mi auguro che tu mi abbia scomodato per una buona ragione stavolta, Volkov» esordì, con quella sua voce fredda e impersonale che aveva il potere di far annodare lo stomaco a chiunque. «Finora mi hai solo fatto perdere tempo: ho acconsentito a darti il supporto della stampa, ti ho persino lasciato organizzare quella buffonata della Disputa per smascherare Blake e il suo apprendista e hai ottenuto solo buchi nell’acqua.»
«Vi assicuro che questa volta ne varrà la pena.»
Un brutto presentimento si insinuò nel petto di Alycia, che si avvicinò di soppiatto e si acquattò dietro un cespuglio di rododendri, pronta a origliare tutto.
«Lo dici tutte le volte» borbottò l’altro con impazienza. «Non intendo stare qui ad ascoltare l’ennesimo delirio senza capo né coda sul tuo rivale.»
L’Arcistregone del Nord non disse nulla ma mostrò il palmo aperto su cui Alycia vide scintillare una piccola fede d’oro. L’Inquisitore aggrottò la fronte e si avvicinò.
Volkov lanciò in aria la fede come fosse una monetina, solo che invece di ricadere verso il basso rimase sospesa in aria, ruotando piano. Poi l’anello cominciò a dissolversi in una scia rosa chiaro, che formò un cerchio fumoso sopra le loro teste. E dal cerchio, risuonò forte e piena di astio la voce di Jim Doherty:
«Tu sapevi che l’Inquisitore Blackthorn è mio nonno?»
Alycia trattenne il fiato dalla sorpresa e non fu l’unica ad avere quella reazione. Anche Blackthorn si tese, colto alla sprovvista.
«Poco fa ho dovuto sorbirmi la storia di come abbia punito mia madre per essersi innamorata di un Mancante. Per poco non mi ha anche riconosciuto...»
«Il bastardo Cavendish» mormorò tra sé il Decano. «Allora avevo ragione, la somiglianza era impressionante...»
«Ne sei sicuro?» rispose quella che era inequivocabilmente la voce di Alycia. La ragazza non sapeva cosa pensare. Non aveva mai avuto quella conversazione con Jim, di questo era sicura. A meno che...
«Un’adepta della Corte dei Sussurri si è occupata di estorcergli l’informazione»
spiegò Volkov, dando conferma ai peggiori timori di Alycia. «Si è spacciata per
una persona di cui il ragazzo si fidava e lui ha ammesso tutto. Compreso il coinvolgimento del suo maestro, Solomon Blake.»
«Lui lo sa. Tuo padre...figuriamoci, lui sa sempre tutto! Fa sempre così, non è vero? Sparge briciole di verità per tenerti buono e convincerti a fare il cazzo che vuole lui! Scommetto che l’ha fatto anche con te quando ti ha detto che sono un Plasmavuoto!»
No! Alycia si premette la mano sulla bocca, per costringere l’urlo che aveva in gola a restarsene lì.
Anche Blackthorn pareva sconvolto. Continuava a fissare il cerchio di fumo a bocca aperta, come se non riuscisse a capacitarsi di quello che stava ascoltando.
«Io sono un’arma. Sono sempre stato un’arma, Alycia. Prima ero l’arma dell’Eretica e adesso sono quella di Solomon Blake.»
«Può bastare.»
Blackthorn fece un cenno con la mano e Volkov lasciò che il cerchio di fumo si dissolvesse e la fede d’oro tornasse dentro il suo pugno.
«Mi sono preso la libertà di riunire dieci dei miei Evocatori migliori» lo informò in tono pragmatico, intascando l’anello. «Basta una vostra parola e saremo da Blake in un attimo. So dove si nasconde, è da tempo ormai che lo tengo d’occhio.»
A quelle parole, Alycia trattenne un gemito. Certo che lo sapeva. Era stata lei a riferirglielo, questo e molto altro ancora.
Blackthorn però sembrava ascoltarlo solo in parte, lo sguardo fisso sulla statua del Fondatore.
«Tutto a causa di mia figlia» mormorava, muovendo appena le labbra e scuotendo la testa. «Il sangue del mio sangue...alla fine è riuscita a rovinarmi: il mio nome sarà coperto di vergogna fino alla fine dei tempi.»
«Eminenza» disse Volkov a bassa voce. «Vi assicuro che la vostra parentela con il Plasmavuoto non diventerà di pubblico dominio. Ho tutto l’interesse nel preservare la dignità del Decanato e nessuno più di me è grato per i vostri sforzi di proteggere Arcanta...»
«Già» mormorò Blackthorn distrattamente. «I miei sforzi.»
«Il mio unico interesse è servire la Cittadella» assicurò Volkov, zelante. «La Legge di Arcanta è sacra, per questo mi sono rivolto a voi. Sono certo che converrete con me sull’urgenza di sbarazzarci una volta per tutte di Lucindra Sforza e dei suoi sostenitori.»
«Assolutamente.» L’Inquisitore si rivolse a guardarlo con espressione dura. «Farai meglio a risolvere questa faccenda il prima possibile. È già un tale scandalo che Blake abbia portato qui il ragazzo e che sia stato per tutto questo tempo sotto il naso del Decanato!»
Congiunse le mani dietro la schiena, ergendosi in tutta la sua altezza. «La Corte delle Lame ha carta bianca. Confido che vi sbarazziate al più presto dell’Eretica e della sua abominevole creatura prima che l’informazione raggiunga gli altri Decani e soprattutto la stampa: il nostro popolo ha patito abbastanza ed è meglio che resti all’oscuro.»
Volkov rivolse all’Inquisitore un profondo inchino. «Agirò con la massima discrezione.» Dopodiché, gli scoccò uno sguardo da sotto in su. «E quanto a Blake?»
«Giusto.» Le labbra sottili e rugose del Decano si curvarono in un sorriso macabro. «Hai diritto a una ricompensa, immagino. Se dovesse - come suppongo farà - opporre resistenza e disgraziatamente gli capitasse qualcosa...sono certo di poter convincere la Cittadella a passarci sopra: per quanto sia amato ad Arcanta, l’erba cattiva resterà sempre erba cattiva e va estirpata alla radice.»
«Sarà fatto.»
Alycia strinse spasmodicamente le dita per mettere fine ai tremori, facendo appello a tutto il suo autocontrollo per non saltar fuori e scagliare contro quei due un anatema. Attese pazientemente finché non fu certa che entrambi fossero lontani, dopodiché uscì dal suo nascondiglio. Se prima aveva dei dubbi, adesso sapeva esattamente cosa fare. E doveva farlo in fretta.
 
 
Una brezza gelida le scompigliò i capelli, quando giunse di fronte alle imponenti porte di quercia della Corte delle Lame.
Il castello incombeva minaccioso, una composizione ordinata di linee dure e blocchi squadrati scolpiti nella pietra viva. Per chiunque, quel posto era una roccaforte inespugnabile dove venivano formati guerrieri imbattibili. Per Alycia, era stata il luogo più simile a una casa che avesse avuto dall’età di tredici anni.
Sul timpano del portale erano incise le parole che erano diventate il motto della Corte:
 
SII LA TUA ARMA

Parole dure, che rappresentavano la mentalità dell’Arcistregone del Nord, votata all’onore e al sacrificio. O almeno era quello che Alycia aveva sempre creduto...
Superate le porte, la maga avanzò in un ampio cortile dalle mura scintillanti di ghiaccio, sollevando il bavero di pelliccia del cappotto. Ad Arcanta il normale corso delle stagioni veniva continuamente alterato, uno degli innumerevoli paradossi della Città Nascosta: la Legge imponeva agli stregoni il rispetto degli equilibri del mondo naturale, ciononostante, in città l’aria non era mai troppo calda o troppo fredda, le piogge mai troppo copiose o le estati troppo torride. La falsità laggiù regnava sovrana anche nelle piccole cose e in ogni occasione per gli stregoni era lecito piegare la natura per rendere la vita ad Arcanta il più confortevole possibile.
A modo suo, anche Volkov aveva giocato col clima: alla Corte delle Lame regnava un inverno perenne. Come suo padre, anche Boris era nato e cresciuto nel Mondo Esterno, nelle gelide lande della Siberia e riteneva che niente temprasse il corpo e lo spirito più del freddo, che le eccessive comodità a cui la maggior parte degli abitanti di Arcanta – e soprattutto Solomon Blake – si erano abituati avessero finito col rammollirli.
Il cortile era affollato di giovani discepoli, ragazzi e ragazze compresi tra i quindici e i diciassette anni, impegnati nei loro esercizi quotidiani; erano abbigliati tutti allo stesso modo, con uniformi nere e argentee orlate di pelliccia. La preoccupò non vedere in giro Siegfried e gli altri Evocatori anziani.
L’arrivo di Alycia non passò inosservato e presto un gruppo di ragazzi le fece muro scrutandola con sospetto e con le armi salde in pugno.
«Che sei venuta a fare?» chiese in tono duro un ragazzo di nome Ivan, coi capelli scuri a spazzola, facendosi avanti con un’ascia portata sulla spalla. «Sua altezza si annoia nei suoi lussuosi appartamenti personali alla Cittadella?»
«Devo parlare col maestro.»
«È impegnato.»
«Gli parlerò lo stesso.»
Ivan sollevò il mento, con aria di sfida. «E perché dovrebbe voler parlare con te? Abbiamo sentito quello che si dice sul tuo conto: che sei figlia di un traditore e l’amante di un fuorilegge!»
Alycia sentì subito la rabbia infiammarle le guance, ma non era lì per litigare; quei ragazzini non avevano idea di cosa stesse accadendo in realtà fuori da quel castello, ripetevano solo a pappagallo ciò che sentivano dal maestro.
E pensare che ero proprio come loro...
«Fossi in te sceglierei le prossime parole con saggezza, Ivan» ribatté invece, con voce calma e autorevole. «Ho trascorso abbastanza anni tra queste mura da sapere che qui si rispettano le gerarchie: sono un’alchimista del Cerchio d’Oro e sono un’Evocatrice, un grado sotto l’Arcistregone. E tu farai meglio a stare al tuo posto, discepolo.»
Lui serrò la mascella, ma prima che riaprisse bocca per ribattere, un ragazzino pallido coi capelli rossi lo anticipò con una vocina remissiva: «Il maestro è nella Sala della Guerra. Con Siegfried, Magnus, Thor e gli altri Evocatori: si stanno preparando a partire.»
Un brivido le corse dietro la schiena, ma Alycia rispose con un composto cenno del capo e un garbato: «Ti ringrazio, Misha. Ora, se volete scusarmi.»
Il gruppo si aprì per cederle il passo mentre entrava nella fortezza.
Quante volte aveva percorso quei corridoi! Quante volte si era esercitata in quelle sale, patendo il freddo in silenzio, imparando da sola a rigenerare tagli e lividi. Quante volte aveva ripetuto a se stessa che solo laggiù avrebbe trovato ciò che aveva sempre cercato: un punto di riferimento incrollabile, una famiglia che non l’avrebbe abbandonata, un mentore a cui offrire devozione e rispetto. Una strada giusta da seguire, uno scopo nobile e onorevole in un mondo dominato da corruzione e falsità...
Che idiota era stata.
A dispetto del nome altisonante, la Sala della Guerra era solo l’aula dove ci si riuniva per consumare frugali cene a base di pane di segale e aringhe e ascoltare i discorsi d’apertura dell’anno accademico: una lunga stanza di pietra illuminata con scarso successo da bracieri e lampadari in corna di alce, provvista di panche di legno rivolte verso un solido scranno di roccia spigolosa. Lungo le pareti della navata erano allineate le statue degli Arcistregoni del Nord che si erano susseguiti nei secoli; la prima apparteneva a Tolomeo il Difensore, le ultime erano quelle di Fenrir Sigurðsson e dello stesso Boris Volkov.
Il maestro era là, attorniato da una decina di Evocatori alti e ben piazzati e stava impartendo loro istruzioni su come tendere un agguato a suo padre:
«Dovete essere pronti a tutto» lo sentì borbottare, mentre metteva in guardia i suoi allievi. «Blake è un infido ingannatore: cercherà di confondervi, di mettervi gli uni contro gli altri, di corrompervi. E quando meno ve lo aspettate, vi salterà alla gola come un serpente!»
«Oppure» intervenne Alycia, ferma all’ingresso della sala. «Vi inviterà semplicemente a prendere una tazza di tè e proverà a farvi ragionare.»
Tutti i presenti si volsero in sua direzione.
«Alycia!» esclamò Volkov. Dopo un iniziale momento di incertezza, si schiarì la gola e proseguì con voce controllata: «Sono desolato, mia cara, ma abbiamo degli ordini da eseguire.»
«Uccidere un uomo in casa propria sulla base di un’informazione estorta a un ragazzo con l’inganno» disse Alycia, trattenendo a stento la collera. «Credevo che alla Corte delle Lame si educassero guerrieri, non sicari.»
«Fatti da parte, Blake» intervenne Siegfried, ciondolando in avanti con fare minaccioso. «Te lo stiamo chiedendo gentilmente. Anche se sei la figlia di un traditore, resti sempre un valido membro della Corte delle Lame.»
La ragazza rimase immobile, le mani dietro la schiena, fissandoli con uno sguardo di fuoco. «Temo di non poterlo fare.»
«Sai che agiamo per il bene della Città» replicò Volkov, che malgrado il tono autoritario faceva di tutto per evitare di guardarla. «Tuo padre è una minaccia e il mostro che sta proteggendo...»
«Jim è una persona» sibilò Alycia, indignata. «Un ragazzo, esattamente come quelli che sono in questa stanza. Per quale motivo non dovrebbe avere diritto a un processo? Alla possibilità di difendersi? Credevo che la Legge avesse lo scopo di renderci migliori dei Mancanti! Di non commettere i loro errori!»
«Ci sono casi in cui la Legge non è sufficiente!» replicò Volkov con voce rauca. «Non se è in gioco la vita delle persone a cui teniamo. Capisco che tu sia sconvolta, che si tratti di tuo padre ma...»
«Quello che ho capito» disse Alycia freddamente. «È che ciò che ho sempre creduto fosse giustizia in realtà non era altro che rancore e desiderio di vendetta.»
«Tutto quello che ho fatto l’ho fatto per proteggerti, Alycia, per evitarti tutto questo...»
Alycia assottigliò gli occhi. «Anche volermi sposare per impedirmi di diventare alchimista?»
L’espressione di Volkov rimase d’acciaio, ma nel suo sguardo lei fu sicura di aver colto un fremito di imbarazzo. «Sì, anche quello. Il mio unico desiderio è potermi prendere cura di te, non lascerò che tuo padre ti trascini nell’oscurità come ha fatto con tua madre...»
Si interruppe, guardandosi attorno con aria confusa. Da qualche parte aveva iniziato a giungere della musica: uno scoppiettante motivo di ottoni, pianoforte e contrabbasso…
Anche gli altri allievi esaminarono l’ambiente con circospezione, non riuscendo a capire da dove provenisse quella musica. Sembrava generata dalle stesse pareti della fortezza.
«Che diavoleria è questa?» ringhiò Siegfried. Roteò le mani ed evocò una luminosa, lunga spada vibrante di energia rossa. «Che cosa stai facendo?»
Alycia non si mosse di un millimetro, mentre attorno la musica continuava ad aumentare. «Io non ho bisogno che qualcuno si prenda cura di me.»
Con un gesto fulmineo, gettò in aria un’ampolla contenente un liquido verde acido, che si infranse sul pavimento di pietra. Gli Evocatori si immobilizzarono, sbalorditi.
«Attenti!»
Ci fu una piccola esplosione, che riempì la sala di una fitta nube verde e maleodorante. Volkov, Siegfried e i suoi compagni si ritrovarono attorniati da quella nuvola tossica e presero a lacrimare e ad annaspare, la pelle che si ricopriva di escoriazioni pruriginose. Alycia ne approfittò e corse via.
«Prendetela!»
Siegfried e diversi altri compagni riuscirono a emergere dalla nube, tossendo e schermandosi il viso con il braccio, e si diedero all’inseguimento.
«Blake, maledizione! Fermati!»
La ragazza continuò a correre, gli stregoni che la seguivano a ruota. Sentì sibilare gli incantesimi dietro di sé, un paio così vicini da avvertire l’odore dei propri capelli bruciati.
Ma all’improvviso, l’intera fortezza fu attraversata da un violento scossone e gli stregoni della Corte delle Lame rallentarono, allarmati.
Poi, da dietro l’angolo, spuntò qualcosa: un’onda verde di rami selvaggi invase ogni centimetro del pavimento, travolgendo qualsiasi cosa si trovasse sul suo percorso. Gli apprendisti ulularono di sorpresa e si diedero alla fuga in direzione opposta, prima di essere fagocitati dall’Anthea Ingannatrice, cresciuta a dismisura. Le ramificazioni occuparono l’intero corridoio, fino al soffitto, debordarono oltre il parapetto delle finestre, per gettarsi lungo le pareti di pietra della fortezza.
Siegfried mulinò la lama incantata, falciando i tentacoli verdi per farsi strada in quella giungla; sollevò una mano e un’esplosione di fiamme incenerì foglie, radici e fiori viola dai pistilli rossi.
Alycia non perse tempo: afferrò saldamente una delle rampicanti con entrambe le mani, saltò fuori da una finestra e si lasciò trasportare dai rami lungo le mura.
Una piccola folla di ragazzi si era radunata in cortile, indicando impressionati l’immensa pianta che aveva ormai quasi interamente inghiottito un’ala della Corte e parte della torre nord.
Alycia atterrò davanti ai suoi ex compagni sconvolti.
«Che cosa hai fatto?» Una ragazza coi capelli biondi raccolti in treccine puntò contro di lei l’arco incoccato. «Fermati, in nome dei Fondatori!»
Molti altri seguirono il suo esempio e sguainarono le proprie armi.
In quell’istante, un’ombra calò sul piazzale e tutti sollevarono gli occhi al cielo. Un velodrago verde smeraldo piombò in mezzo al cortile, generando un turbine di vento e ghiaccio con le enormi ali. Poi spalancò le fauci irte di zanne ed emise un possente ruggito e i ragazzi arretrarono istantaneamente, reggendo le loro armi con poca convinzione.
Alycia invece corse verso la viverna e vi montò in groppa, sicura che nessuno di loro avrebbe cercato di fermarla. Dopotutto, aver trascorso giorni a fare da sguattera a Octavio aveva avuto i suoi vantaggi: introdursi nel suo ufficio con la scusa di dover fare pulizie, accedere ai formulari delle Rune di Sottomissione che controllavano ciascun velodrago di Arcanta e cancellarne una non era stato difficile. E non lo era stato nemmeno intrufolarsi nelle scuderie ed esercitare la malia per convincere il velodrago liberato a seguirla. Lo era stato un po’ di più rubare una manciata di semi di Anthea Ingannatrice dalle serre...
«Alycia!»
Era Volkov. Lo vide arrivare di corsa seguito da tre dei suoi Evocatori; anche se erano riusciti a sfuggire ai tentacoli dell’Anthea, non se la passavano troppo bene, i volti e le braccia ricoperti di lividi, graffi e pustole purulente.
«Non fare sciocchezze» ansimò l’Arcistregone del Nord. «Tu sei migliore di tuo padre, non gettare la tua vita come ha fatto lui!»
Alycia serrò le dita attorno agli spuntoni sul dorso del velodrago.
«Hai ragione» disse, ricambiando con forza lo sguardo del maestro. «Non sono mio padre, ma non sarò nemmeno come te: io sono la mia arma e posso decidere da sola cosa è giusto e cosa no.»
Siegfried affiancò Volkov, livido di rabbia, e mulinò l’alabarda di energia rossa pronto ad attaccare, ma il maestro gli fece segno di fermarsi, mentre continuava a guardare Alycia con espressione quasi implorante.
Ma lei voltò loro le spalle e premette la mano nel punto in cui era incisa la Runa di Sottomissione dietro la testa del velodrago, che come lei ormai non era più vincolato alla Cittadella, imprimendovi la propria Volontà. Con un poderoso battito d’ali, la creatura si sollevò in volo e lasciò la Corte, portandola via con sé.
Non si sarebbe guardata indietro, non più. Se questo era quanto di meglio Arcanta aveva da offrirle avrebbe trovato la propria strada altrove.
 

 




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