Crepe

di Spica6277
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Crepe.

 
    Per cercare di rendere il tragitto verso casa meno noioso e concentrarmi su altro per non far caso al passare del tempo, avevo iniziato a contare i passi e le crepe. Non "contare" nel senso di uno, due…, ma nel senso che sapevo esattamente che fra un passo e mezzo ci sarebbe stato un gradino e che fra quella crepa e la successiva potevo mettere il piede due volte, una sarebbe stato troppo poco e tre troppo.
 
    Una routine si genera se ripetuta abbastanza volte, giusto? Ecco, io non saprei dire quanto tempo fa questa sia iniziata.

    Sono passati otto anni e quasi due mesi da quando ci siamo trasferiti, ma non ricordo se già facessi questo gioco, anche perché non scendevo spesso verso il paese. Al terzo anno di medie ero troppo insicura per mettere piede fuori casa da sola, e se non sei da solo non devi passare il tempo, e in quelli successivi scendevo sempre in bici. L’unico posto verso cui andavo a piedi era la casa di Lei, ma si trovava un paio di tornanti più in alto della mia, quasi una retta perfetta in linea d’aria, quindi non facevo il solito tratto. Ho questa vaga immagine della cosa, però, che mi mostra sempre la strada al buio, anche se so di farlo anche di giorno, quindi suppongo di averlo fatto la maggior parte delle volte di notte.

    È un piccolo rito: mi metto scarpe e giacca, ti aspetto sulla porta, buona notte, un bacio, mi apri la porta, buona notte, un bacio, accendi la luce anche se sai che non voglio, io intanto ho già iniziato a scendere le scale. Per un periodo cercavo di scendere il maggior numero di gradini possibili nei secondi successivi al bacio, così da dimostrarti che ci vedo al buio e non serve che accendi la luce, ma non sono mai riuscita ad arrivare oltre la metà della rampa successiva al primo pianerottolo prima di restare abbagliata. Poi sento i giri di mandate della porta, mentre io continuo a zampettare giù per i gradini, tre, pianerottolo, cinque, pianerottolo, dieci, pianerottolo e poi di nuovo tre, cinque e poi tre passi fino alla porta; la maniglia interna col passare del tempo è diventata sempre più dura e la porta non si chiude del tutto a meno di non tirare forte il pomello una volta fuori. Maniglia, spingi giù, apri, dando un colpetto perché all’inizio cerca di ribellarsi anche al fatto di aprirsi, cigolio, esci, tira il pomello per chiudere, cigolio, clack.

    Sei fuori. Cammina un pezzettino nel sottoportico, rampa, sei sull’asfalto, controlla che non arrivi nessuno – anche se a quest’ora chi vuoi che passi? – e attraversa, cammina fino alla curva, gira, cammina fino a dove il marciapiede si stringe gradualmente fino a diventare un triangolino e lì fermati. Controlla che non stiano passando macchine – anche se sai già che non ce ne sono perché non senti arrivare nessun motore – attraversa e sali sul marciapiede che, in speculare a quello del lato opposto, comincia a triangolo e man mano si allarga fino a diventare un normale rettangolo. Cammina, controlla se il cane della casa sulla sinistra è sveglio, se è sveglio fermati a fargli due carezze attraverso le sbarre del cancello, mentre lui ti lecca la mano e ti guarda con quegli occhioni grandi, parlagli sottovoce ma in tono dolce, salutalo, ricomincia a camminare, ora sei in discesa.

    E lì iniziano le crepe, dal preciso momento in cui inizi la discesa del sottopasso. Cammina, crepa, due passi, crepa, sei passi, crepa… Arrivi al punto centrale, attraversi lo sbocco laterale, comincia la salita, occhi fissi sul marciapiede, crepa, tre passi, crepa, due passi, crepa… Il tragitto è più breve quando, invece di far caso alla fatica, conti. E io ogni sera conto, sussurrando a me stessa il passaggio successivo. 

 
Febbraio 2019




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