Come starebbe stato giusto che finisse
Alla
mia Cincillà
dalle
mani piccole,
spero
che apprezzerai
questo
pensierino <3
Ps: è il regalo anche di Natale!
Come
sarebbe stato giusto che finisse
Emmeline,
affacciata al balcone, osserva senza davvero vederlo il panorama
dello Yorkshire. Quelle colline di un verde intenso e chiaro sono
ancora seminascoste dal buio della notte che, piano piano, sta
cedendo terreno alla luce del sole.
Ha
sempre trovato affascinante The Dales, quello spazio di natura
incontaminata che sembra rappresentare un piccolo angolo di Paradiso
in cui rifugiarsi quando il resto del mondo crolla. Forse le piace
per riflesso, perché quelle valli hanno lo stesso colore degli occhi
della persona che ha amato con tutta la testardaggine e genuinità
fin da bambina.
Eppure
ora, quell'affetto e quel clima di pace che hanno sempre
caratterizzato il luogo in cui sorge Rosier Castle
la
lasciano quasi indifferente.
Nonostante
l'aria fredda di inizio aprile
– da
cui cerca di difendersi con un pesante scialle appoggiato sopra
le spalle –, si
sente bruciare.
E
il motivo di quelle fiamme che le ardono nel petto, riducendole cuore
e le sue speranze in cenere, la sta ossessionando da quasi tre mesi.
«Avevi
bisogno di quel bambino»
osserva
Julian, lapidario, le labbra serrate in una smorfia contrariata,
seduto alla solita poltrona nel salotto che sono soliti usare quando
non ci sono ospiti.
Evan,
in piedi davanti alle fiamme, ha la spalla appoggiata contro la
mensola del camino. Vede le lingue di fuoco illuminargli il viso
serio in una sfumatura rossastra che però non riesce ad addolcire il
gelo dei suoi occhi.
«Ne
avremo altri»
mormora
piano, in un sussurro a malapena udibile.
L'altro
inarca le sopracciglia scettico, prima di versarsi due dita di whisky
nel bicchiere.
«Lo
spero»
afferma
asciutto, assaporando con calma il liquido ambrato e lanciando al
nipote un'occhiata eloquente. «Perché un matrimonio senza figli è
completamente inutile» fa notare inclemente.
«Anche
oggi sei mattiniera».
Emmeline
sussulta quando quella voce le giunge alle orecchie, strappandola da
quel ricordo sanguinante e ributtandola in un presente che vorrebbe
fare a pezzi.
Volta
appena il viso all'indietro
– e
si chiede se sia riuscita a nascondere la sofferenza che le incupisce
i lineamenti – nel momento in cui quelle
braccia
le
circondano la vita.
Sospira
tesa, cercando di reprimere la tentazione di scrollarsele di dosso.
Evan
le sorride, le iridi verdi baluginanti di dolcezza.
«Non
ho nulla da ridire su questa tua nuova abitudine» continua amabile.
«Ma non mi piace risvegliarmi in un letto vuoto» ammette lieve,
scoccandole un bacio tra i capelli corvini.
Emmeline
si volta di scatto, il volto fremente di rabbia.
«Per
quanto continuerai a fare finta di niente?» domanda imperiosa,
retrocedendo di un passo così da mettere un minimo di distanza tra
loro e sciogliendo quell’abbraccio che rischiava di soffocarla.
Lui
socchiude le palpebre, perplesso.
«Di
che parli?» replica prudente, senza mostrare preoccupazione o
spavento per quello scatto repentino d’umore.
«Lo
sai» attacca lei, aggressiva, gli occhi scuri baluginanti di furia.
«Ne
avremo altri» sputa
fuori, ripetendo parola per parola quella frase che gli ha sentito
dire a Julian in salotto, tempo prima.
Non
dovrebbe, lo sa, eppure quelle semplici tre parole sembrano
dilaniarle il petto con la forza di mille coltellate. Forse perché è
la prima nel rendersi conto che, per quanto crudeli, dicano solo la
verità.
«Lo
penso davvero» assicura Evan, senza esitazione, guardandola dritta
in faccia e strappandola da quelle riflessioni tetre. Inspira,
scuotendo appena la testa. «Liebchen,
abbiamo avuto un periodo complesso: la caduta dell'Oscuro Signore, il
processo, la quasi condanna di Julian, le continue ispezioni degli
Auror… eri spaventata ma un aborto non preclude la possibilità di
avere un'altra occasione» sostiene con cieca sicurezza, allungando
un braccio per accarezzarle la guancia con le punta delle dita.
Suo
malgrado, Emmeline si appoggia contro quella mano come se fosse
un’ancora di salvezza da tutto quel dolore che la scuote da dentro.
«E
allora perché non mi hai più toccata?» chiede in un mormorio
appena udibile, afflitta, dando voce a quella paura che ha cominciato
ad ossessionarla.
Forse
è sciocco ma finché l’altro non prova le sue stesse angosce,
significa che c’è ancora una speranza. E può aggrapparsi a questa
per cercare di non affogare.
«Perché
non vuoi» svela lui, morbido, con due iridi verdi che non esprimono
colpa o biasimo. «Va bene così, possiamo aspettare» assicura,
lasciandosi persino sfuggire un sorriso lieve e sincero. «Liebchen,
io ti amo» confessa a bassa voce, scaldandole il petto e togliendole
un peso dal cuore, perché a volte la dolcezza è in grado di fare
miracoli. «E continuerei a farlo anche se rimanessimo
solo
noi due» conclude risoluto.
Emmeline
punta lo sguardo in basso, cercando di trattenere le lacrime che
minacciano già di inumidirle gli occhi.
«Volevo
davvero quel bambino» confessa spezzata, un nodo che le serra la
gola per quelle parole che sono pregne di tutto.
Delusione,
rammarico, senso di colpa.
Evan
le alza il mento con due dita, così da incrociare il suo sguardo.
E
non ci mette molto a comprendere quello che prova.
«Lo
so» garantisce piano, il viso che esprime un tormento simile al suo.
L’attrae a sé, stringendola al petto in una stretta rassicurante
che fa sciogliere quelle barriere che ha sempre utilizzato per
arginare il dolore. Singhiozza contro il suo petto, le mani che
stringono la camicia linda dell’altro. «Anch'io» mormora
rammaricato, appoggiando la guancia contro il suo capo.
*
«Ho
sentito che i Tiger aspettano un bambino».
«Pettegolezzi
infondati» decreta Rosamund, secca, mescolando con un cucchiaino
d’argento il proprio tè, prima di portarsi la tazzina di
porcellana alla bocca. «Lei è sterile» aggiunge indelicata.
Emmeline,
seduta su una poltrona del salotto principale di Rosier Castle, fa
del suo meglio per impassibile.
Gran
parte delle parole di sua suocera sono delle stilettate rivolte nella
sua direzione, soprattutto da quando il suo ventre è rimasto piatto.
«Ho
sentito qualcosa di simile riguardo ai Nott» si inserisce Druella,
pettegola, addentando un pasticcino alla crema e chiudendo un istante
le palpebre per gustarselo. «Speriamo solo che sia un maschio, le
femmine sono inutili» ammette insofferente, storcendo il viso in una
smorfia dolorosa, forse perché pensa di riflesso a quel compito che
non è riuscita a svolgere.
«Sempre
meglio di non aver figli» conviene Rosamund, indirizzandole
un’occhiata obliqua e tagliente. «Vero, Emmeline?» sprona
significativa.
Lei
si sforza di
stamparsi
sulle labbra un sorriso falso.
«I
Tiger potrebbero avere davvero un figlio» riprende Alecto,
pensierosa, stringendo tra le dita tozze il terzo tè del pomeriggio.
«A volte ci si mette anni per procreare» continua assorta.
Rosamund
sbuffa, prima di riprendere a sorseggiare la sua bevanda.
«Sciocchezze!»
decreta, infine, dura, appoggiando la tazzina sul piattino, sopra al
tavolo intorno al quale loro cinque si sono riunite per consumare uno
spuntino in attesa delle ore che le separano dalla
cena.
«Davvero?»
sottolinea zia Joanne, asciutta, seduta accanto alla sorella e
inarcando le sopracciglia con eloquenza. «Tu ci hai messo parecchio
tempo prima di rimanere incinta di Evan, o sbaglio?» sottolinea
stoica, facendo serrare con fastidio gli occhi chiari dell’altra.
«Emmeline, ho bisogno di sgranchirmi le gambe. Fai una passeggiata
con me?» chiede sollecita.
Dopo
essersi allontanate dal camino e posto una certa distanza dalle altre
commensali, fingendo di avvicinarsi alla finestra per poter scrutare
il cielo del pomeriggio, Emmeline si permette di lasciarsi sfuggire
un sospiro esausto.
«Grazie»
dice con gratitudine, accennando anche a un piccolo sorriso.
«Di
nulla» replica la zia, laconica, appoggiandosi meglio al braccio che
le offre. Da qualche mese ha cominciato a soffrire di dolori alle
ginocchia e, sebbene i Guaritori non facciano altre che assicurarle
che è un fastidio che svanirà con il tempo e qualche pozione,
camminare senza il supporto di qualcuno le risulta difficile.
«Rosamund ha il brutto vizio di godere della sofferenza altrui. Non
mostrarle nemmeno un briciolo del tuo dolore: sarebbe la tua fine»
l’avverte dura.
Lei
fa una smorfia amareggiata.
«Credo
che sia inutile» sostiene sfiancata, «Si è accorta del mio
malessere» constata infastidita a morte per quella debolezza che non
riesce a celare.
L’anziana
strega finge di osservare il parco del castello al di là della
finestra, le iridi fisse davanti a sé.
«Non
demoralizzarti» la incoraggia stringata. «Avrai presto un figlio»
mormora certa.
«Lo
dice anche Evan».
«Ti
mette pressione?» indaga Joanne, attenta, tornando a guardarla.
Emmeline
scuote il capo, malinconica.
«No,
è comprensivo» rivela lieve, le labbra che si spiegano con dolcezza
in un sorriso spontaneo. Poi torna a mostrare un’espressione cupa.
«Solo che… mi irrita quando mi tratta come se fossi fatta di
cristallo» ammette irritata, serrando la mandibola con irritazione.
L’altra
si lascia sfuggire un piccolo sbuffo che probabilmente vuole
camuffare una risata.
«È
il suo peggior difetto da sempre» dichiara saputa, senza però
quell’aria di arroganza. «Diventa iperprotettivo quando sa che
qualcosa ti ferisce. Soprattutto perché è qualcosa che non può
controllare» osserva oculata, poi sposta quel braccio che aveva
appoggiato sul suo, così da liberarsi da quel sostegno e,
consapevole che le altre donne non possono vedere il suo gesto, le
prende una mano, stringendogliela in una morsa rassicurante. «Siete
giovani, avete tutto il tempo per riprovarci. L’importante è che
non diventi un’ossessione: ho visto tanti matrimoni naufragare per
questo» racconta, inchiodandola con un’occhiata significativa.
*
«Sei
ancora sveglia».
«Ti
stavo aspettando».
Emmeline
lo osserva scivolare all'interno della camera da letto che
condividono a Rosier Castle, togliersi la giacca e abbandonarla sulla
prima poltrona disponibile.
Seduta
sul bordo del letto e con indosso una candida veste da notte lunga
fino ai polpacci, si lascia sfuggire un sorriso benevolo.
«Com’è
andata la giornata?» domanda amabile.
Evan
le getta una lunga e valutativa occhiata prima di iniziare a
slacciarsi la camicia.
«Moody
continua ad assillare il Wizengamot, sostiene che combattessi per il
Signore Oscuro di mia spontanea volontà» risponde piatto, storcendo
il viso in una smorfia di fastidio per quell’ipotesi tanto sensata
quanto vera. E mai come in questo momento, hanno bisogno di
allontanare anche il minimo sospetto. «Un giorno, quando tutto sarà
dimenticato, mi sfuggirà un
Crucio»
aggiunge svagato, piegando le labbra in un sorriso intrigato da
quella prospettiva. «A parte questo, non è facile ricostruire la
nostra influenza. Fortuna che buona parte delle famiglie Purosangue
erano tra i Mangiamorte, il che ci assicura la loro lealtà. Almeno
per il momento» conclude oculato, la fronte contratta in un cipiglio
pensieroso, togliendosi l'indumento e rimanendo a torso nudo. «Com’è
stata la tua?» chiede interessato, cambiando argomento.
Lei
scrolla le spalle, noncurante.
«Noiosa»
ammette schietta. Soprattutto perché, negli ultimi tempi, non si
vedono spesso. Dopo la caduta di Voldemort, tutte le loro energie
sono state impiegate per evitare all’altro e a Julian Azkaban,
oltre che a scansare la bancarotta. È stato il denaro della sua dote
che gli ha salvati, pagando sanzioni e Magiavvocati. Se Emmeline ha
dovuto muoversi tra i salotti, esibendo un sorriso e una tranquillità
che era ben lungi dal provare, Evan ha cercato di tessere nuove
alleanze con le Sacre Ventotto, partecipando a incontri che lo hanno
tenuto lontano da Rosier Castle e da lei. «Ho preso un tè con tua
madre, zia Joanne e qualche parente. Almeno smetteranno di circolare
voci su quanto io sia deperita e depressa» spiega cercando di
camuffare l'irritazione dietro l'ironia, alzandosi in piedi e
avvicinandosi alle sue labbra.
La
snerva sapere che dopo il suo aborto, chiacchiere meschine non
abbiano
fatto
altro che serpeggiare sul suo conto e sulla sua apparentemente
incapacità di generare un bambino.
E
sa benissimo che è stata Rosamund a far partire i pettegolezzi.
«Non
vedo come sia possibile» la riscuote Evan, leggero, dopo che si sono
scambiati un lieve bacio, facendole alzare lo sguardo per incontrare
i suoi occhi e dissipando quelle pieghe che erano comparse sulla sua
fronte. «Sei più bella e desiderabile che mai» sostiene a bassa
voce, genuino.
Emmeline
sorride radiosa, colma di riconoscenza.
«Meglio
così» bisbiglia, prima di riprendere a baciarlo.
Lo
fa con calma, assaporando la bocca dell’altro e quelle mani che
sono scese a circondarle quasi con naturalezza la vita. Poi, quando
sente il desiderio accendersi nelle vene, si allontana quanto basta
per fare un piccolo sorriso, prima di tornare ad appropriarsi di
quelle labbra.
Mentre
gli sfiora la lingua in una carezza languida, le dita le scivolano in
basso, sulla pelle liscia dell’altro, sentendola fremere sotto i
polpastrelli, fino a raggiungere il bordo dei pantaloni dell’altro
e la cerniera.
«Non
è una buona idea» sussurra lui, basso, il respiro più rapido e con
una luce di bramosia che contrasta con quelle parole. «Sono mezzo
ubriaco e tu sei-»
«Più
bella e desiderabile che mai?»
ripete
lei, scherzosa, interrompendolo divertita. «Allora dovrebbe essere
un'impresa pressoché impossibile resistermi» fa notare allegra.
«Lo
è» concorda Evan, amabile, accennando un sorriso invitante. «Per
questo dovremmo fermarci» conviene ragionevole.
«Ma
non voglio» ribatte Emmeline, di slancio, le mani appoggiate ai lati
del collo dell’altro. «Sono pronta. E non lo faccio perché voglio
un bambino ma perché mi manca fare l'amore con te» confessa
spontanea, sostenendo senza problemi quell’occhiata verde e
penetrante che le viene rivolta, e facendogli capire di non lanciare
un incantesimo contraccetivo.
Lui
sospira, continuando ad osservarla per avere la certezza che non
menta, prima di sporgere il capo in avanti e tornare a baciarla. La
spinge verso il letto, le mani sempre all’altezza della vita.
Lei
ubbidisce docile quando la invita a sedersi a cavalcioni sopra, la
camicia da notte che si alza fino alla vita, rivelando le gambe su
cui le dita di Evan lasciano una scia di carezze leggere, su e giù,
che fanno tremare entrambi. Ma non quanto la i pantaloni di lui
premuti sull’inguine, contro la sua biancheria intima, che incendia
loro le vene e che fa pensare di riflesso alla prospettiva di un
piacere nemmeno lontanamente paragonabile a quello che stanno già
provando.
Quando
allontana il viso, a corto di ossigeno, Emmeline vede chiaramente gli
occhi verdi di lui incupiti dalla brama, dal desiderio di voler
altro. Alza le braccia verso l’alto, così da aiutarlo a toglierle
la camicia di dosso e non oppone resistenza quando lui la trascina
sul materasso, sovrastandola e completamente alla sua mercé.
Abbassa
le palpebre per riflesso nel momento in cui sente quella bocca
baciarle la pelle, per poi muoversi verso il seno, leccando e
mordicchiando il capezzolo destro, mentre una mano è scesa a
sfiorarle l’interno coscia, accarezzandolo con movimenti lenti e
concentrici.
Lei
trema, respirando aria che le sembra rovente mentre assapora tutte
quelle sensazioni di un calore liquido che sembrano scorrerle nel
sangue.
«Guardami»
le sussurra lui, contro il suo petto, con una dolcezza che cozza con
l’ordine con cui è intrisa quell’unica parola.
Si
ritrova ad alzare le ciglia, riaprendo gli occhi e, puntellandosi sui
gomiti, a sollevare la parte superiore della schiena. Quando incontra
quel viso, un fiotto di pura bramosia sembra irradiarsi nel basso
ventre, portandola a sfregarsi con impazienza le gambe.
Eppure
le apre senza nessuna reticenza nel momento in cui lo vede
abbassarsi, sempre senza smettere un momento di fissarla finché non
inizia a baciarla lì in mezzo.
Emmeline
si lascia cadere sul materasso, il volto che si storce in
un’espressione di appagamento in cui sente quella lingua umida
toccarla, costringendola a stringerli i capelli con un mano avida,
accogliendo quelle ondate di piacere.
Solo
quando si allontana, lasciandola stremata sul letto e con il respiro
corto, lo guarda mentre incamera ossigeno. E continua a farlo anche
quando Evan torna a sovrastarla, posizionandosi tra le sue gambe e
facendosi strada in lei.
Lo
vede piegare per un momento il capo, sostenendosi a quel braccio che
le ha appoggiato all’altezza dell’orecchio, abbassando le ciglia
e lasciandosi scappare un gemito. E un altro, ancora più forte e di
pura sorpresa, sgranando anche gli occhi quando Emmeline lo stringe
tra le cosce, così da averlo ancor più vicino.
«Ich
liebe dich»
mormora
flebile, facendolo sorridere prima che ricomincino a baciarsi e lui
inizi a spingere sempre più profondamente nella sua carne,
annullando ogni cosa.
*
«Bevi»
dice zia Joanne, allungandole un bicchiere d’acqua.
Emmeline
lo accetta subito e, dopo essersi pulita le tracce di vomito,
trangugia il liquido in un unico sorso. Sente ancora in bocca un
sapore sgradevole, che la porta a fare una smorfia per il disgusto.
Si
rimette in piedi, all’interno del bagno nel quale si è rifugiata,
appoggiandosi al water di ceramica a causa delle forze che sembrano
averla improvvisamente abbandonata. Le capita spesso, negli ultimi
tempi, insieme anche a capogiri improvvisi.
Si
lascia ricondurre mollemente verso il salottino privato, quello che
sono soliti utilizzare quando non hanno ospiti e possono trattenersi
in un ambiente più intimo e familiare, per poi abbandonarsi sopra il
divano.
L’altra
chiama un Elfo per chiedere del tè, il prima possibile. Infine, si
accomoda sulla poltrona, scrutandole il viso con attenzione.
«Mi
sembri stanca» afferma allusiva.
Lei
si lascia sfuggire un sorriso.
«Lo
so a che cosa stai pensando» assicura previdente, accettando una
tazza di tè con ben tre zollette. Ne beve un lungo sorso,
apprezzando il calore della bevanda che si dirama nel corpo,
riscaldandola e facendola sentire un po’ meglio. «Ma non credo di
essere incinta. Abbiamo ripreso a essere intimi solo da qualche
settimana e-»
«Sono
certa che tu sia abbastanza informata sul sesso da sapere che basta
una volta sola per concepire» la interrompe zia Joanne, scontrosa,
prendendo posto sul comodino. «Avete usato contraccettivi?» si
informa attenta. Quando la vede scuotere il capo, gli occhi bassi
verso il pavimento, sbuffa con quella sembra pure esasperazione.
«Devi prendere la pozione» stabilisce risoluta. «Almeno saprai
subito il risultato. Che c’è?» chiede quando nota la sua
espressione ansiosa.
Emmeline
prende un grosso sospiro, appoggiando la tazzina sul tavolino per
evitare che le scivoli via dalle dita.
«Ho
un po’ paura» confessa in un mormorio preoccupato, gli occhi
tormentati. «Se dovesse succedere di nuovo…» si blocca, la bocca
improvvisamente secca.
«Non
accadrà» la rassicura la donna ferrea.
Lei
le punta iridi sulla all’altra, spaurita.
«Non
puoi saperlo» sostiene dolente.
«No,
ma farò in modo che non succeda» promette quella, semplicemente,
guardandola con una tale sicurezza che le dà forza. «Bevi il tuo tè
e poi faremo il test» ordina più morbida.
*
«Ti
disturbo?» domanda Emmeline, dopo aver bussato e aperto la porta
abbastanza da intrufolarci il viso.
Evan,
appoggiato di sedere alla scrivania e con il corpo rivolto verso la
finestra aperta, volta il capo all’indietro così da poterla
guardare. Piega le labbra in un sorriso caloroso e le fa cenno di
avvicinarsi.
Lei
scivola all’interno dello studio di Rosier Castle, ambiente nel
quale ogni capofamiglia si è sempre ritirato per valutare gli affari
e l’andamento delle varie proprietà. Sa che all’altro piace quel
luogo e che, dopo la morte di Edric, Julian ha eliminato tutte le
tracce che erano rimaste del precedente proprietario.
E,
per una volta, non se la sente di discutere una decisione dell’uomo.
«Ci
sono problemi?» domanda incuriosita, quando circumnaviga la
scrivania così da essere al suo fianco, riferendosi a quei documenti
che gli vede in mano.
L’altro
scrolla le spalle con noncuranza.
«Ci
stiamo riprendendo» dichiara morbido, appoggiando i fogli sul tavolo
e alludendo alla loro situazione finanziaria. «A molte delle nostre
proprietà, dopo essere state perquisite, sono stati rimossi i
sigilli» rivela piatto, storcendo appena il naso per quell’impiccio
rappresentato da Auror e dall’insistenza di Moody. «Perché hai in
mano quel libro?» indaga attento, socchiudendo appena le palpebre e
indicandolo con un cenno del mento.
Emmeline
sorride, abbassando lo sguardo su quel vecchio e consunto tomo che ha
tra le dita.
«Ti
ricordi quando lo leggevamo?» replica amabile, il viso che si
illumina di gioia al ricordo di quando trascorrevano i pomeriggi a
scoprire più informazioni possibili sulla storia di Anne e Dickon.
«Ti piaceva molto» continua radiosa.
Evan
annuisce, allungando una mano per accarezzarle il viso.
«Piaceva
a entrambi» corregge piano, sereno.
Lei
arrossisce, puntando per un momento le iridi sul libro prima di
sollevarle.
«Stavo
pensando che dovremmo procurarcene un altro, magari più semplice»
esordisce leggera, la voce ridotta a sussurro soffice. «Non è
proprio la lettura adatta a un bambino» conclude spensierata,
cercando di mascherare il nervosismo, arricciando anche il naso in
una smorfia scherzosa.
Il
volto di lui si irrigidisce di colpo e gli occhi, di riflesso, si
puntano in basso, verso il suo ventre, prima di tornare a posarsi su
di lei, formulando una muta domanda. Si stacca dalla scrivania,
palesemente guardingo.
Emmeline
annuisce, raggiante di gioia.
«Sì»
conferma, ridacchiando del suo stupore. «È ancora presto per
stabilire se sarà un maschio m-»
Viene
interrotta quando le labbra di Evan si posano contro le sue,
baciandola con una vorace dolcezza, assaporando ogni istante di quel
contatto. Le tiene il viso tra le mani, allontanandosi di poco solo
per sorridere in un modo che lo rende bello oltre ogni dire.
«Non
mi importa» biascica in un soffio, gli occhi verdi splendenti.
«L'amerò anche se sarà una femmina» afferma genuino, senza
riuscire a smettere di sorridere. Poi un’ipotesi gli incupisce i
lineamenti. «Te la senti di affrontare la gravidanza?» azzarda
esitante.
«Il
peggio è ormai passato» conviene lei, limpida, per nulla intimorita
da quel futuro che si prospetta davanti a loro e appoggiando il
libro,che ha rischiato di caderle quando è stata travolta da quella
gioia selvaggia, sulla scrivania. Ora lo vede chiaramente e senza
quelle tinte cupe che la tormentavano. «Solo… possiamo aspettare
prima di annunciarlo?» chiese impacciata, desiderosa di attendere
qualche tempo prima di rivelarlo anche al mondo. Solo per essere
sicura che il suo corpo riesca a sostenere quel compito e che non
rifiuti una nuova vita.
Evan
le fa un cenno d’assenso, le labbra sempre piegate in quel sorriso
amabile che la riporta all’infanzia, un periodo in cui non
esistevano problemi e nulla minacciava la loro serenità.
«Saremo
felici, liebchen»
dichiara convinto, facendo scivolare per la prima volta una mano
verso il suo ventre ancora piatto e pronunciando quella frase con una
sicurezza che sa tanto di promessa.
E
lui è sempre determinato a mantenerle, quasi ne andasse della sua
vita.
*
«Congratulazioni»
commenta Julian, laconico, dopo l’annuncio della gravidanza.
Emmeline
non riesce proprio a trattenere un sorriso radioso, seduta al suo
posto nella sala da pranzo, mentre stringe la mano di Evan, a
capotavola, e l’altra le scivola quasi con naturalezza alla pancia,
verso quella nuova vita che sta crescendo a poco a poco.
Hanno
atteso qualche settimana e consultato dei Guaritori prima rivelarlo
alla famiglia. Zia Joanne è stata di parola: non ha detto a nessuno
il lieto evento, aspettando che fossero loro a diffondere la notizia,
E
se Julian appare lieto, probabilmente compiaciuto di quel nuovo
discendente, anche se la sua espressione è stoica come sempre, chi
non lo sembra affatto è Rosamund, la quale ha rischiato di far
cadere la forchetta sul piatto quando ha scoperto che presto
diventerà nonna.
«Speriamo
solo che non si riveli un altro fallimento» è quello che riesce a
dire, affilata come un rasoio.
«Non
succederà» taglia corto Evan, piatto, inchiodandola con uno sguardo
raggelante e stringendo di più quella morsa, così da suggerire a
Emmeline di non ribattere.
Stranamente
non coglie quell’occasione per iniziare un feroce litigio, anche se
una piccola parte di sé ne avrebbe voglia.
«E
che non sia una femmina» continua l’altra, imperterrita nel
provocare e contrariata di non aver avuto la soddisfazione di una
reazione che avrebbe fatto scatenare una guerra violenta.
Lei
si sforza di mantenere un’espressione impassibile, anche se gli
occhi scuri dardeggiano per la rabbia.
«Giacché
siamo in tema di cambiamenti» riprende Julian, apatico, dall’altra
parte della tavolata, interrompendosi dal mangiare e appoggiando la
schiena alla sedia. «Direi che è il caso che io ritorni in
Cornovaglia» conviene asciutto.
Emmeline
inarca le sopracciglia, presa alla sprovvista, ma la sua sorpresa è
nulla se paragonata a quella di Evan, che nonostante il solito
controllo, ha gli occhi che manifestano tutto il suo sgomento.
«Perché?»
domanda questo, piano, corrugando la fronte.
«Sono
rimasto a Rosier Castle perché era necessario far fronte comune
contro il Ministero» spiega l’uomo, spiccio. «Ma abbiamo vinto:
anche se ci sono stati dei sospetti, nessuno ci ha condannato ad
Azkaban. È arrivato il momento di ricominciare» sentenzia pratico,
senza esitazione. «E dovresti farlo anche tu, Rosamund» aggiunge,
rivolgendo un’occhiata alla donna seduta alla sua destra.
Quella
mostra vera confusione.
«Che
cosa intendi?» si informa frastornata.
«I
ragazzi hanno bisogno di intimità» spiega lui, infastidito di dover
illustrare un concetto tanto naturale. «Puoi venire in Cornovaglia
con me» elargisce magnanimo, quasi le stesse facendo un favore.
Emmeline
vede Rosamund aggrottare la fronte con irritazione, irrigidendo la
mascella per la rabbia.
«Perché
dovrei?» rilancia brusca. «Questa è casa mia» dichiara ferrea.
«Era
casa
tua» la corregge l’altro, secco, per nulla intenzionato a usare
delicatezza. Sorseggia un po’ del vino nel suo calice, prima di
riprendere a parlare. «Ora è di tuo figlio e di sua moglie. E
sappiamo entrambi che può esserci solo una padrona» sottolinea
eloquente. «È la soluzione migliore, ora che non siamo più in
pericolo» conviene razionale.
Nel
silenzio cupo che è calato nella sala da pranzo, dove c’è chi è
impegnato a squadrare con rancore, chi a incassare una brutta notizia
cercando di non mostrare quanto lo addolori, chi nel sfoggiare la
solita indifferenza, Emmeline si ritrova a prendere una decisione
d’istinto.
«Ma
lo saremo sempre» obietta pacata, attirando gli sguardi di tutti i
presenti e trovandosi al centro dell’attenzione. «Moody non si
arrenderà, non dopo che Evan lo ha sfigurato. Cercherà un modo per
aggirare le regole e provare la vostra colpa» continua convinta,
sicura che non basterà il denaro o la giusta influenza, quella che
resta, sul Ministero per chiudere definitivamente quel capitolo della
loro vita. «Siamo più forti quando restiamo uniti. E a Rosier
Castle c’è abbastanza spazio per tutti» commenta eloquente,
guardando prima Evan e poi Julian.
Curioso
come, anche se abbiano lo stesso colore degli occhi, quelli del primo
siano completamente diversi da quello che una volta era quanto di più
simile a un nemico.
Però
nella vita si cresce e si può cambiare idea, se la situazione lo
necessità.
*
«Credevo
non mi volessi tra i piedi» osserva Julian, monocorde, una volta
terminato il pranzo, quando lei si è ritirata nel suo studio
privato. Lo ha visto entrare una mezz’ora dopo, avanzando nella
stanza e prendendo silenziosamente posto alla poltrona. L’ha
fissata per una manciata di minuti, facendo calare un clima
inquietante, prima di aprir bocca.
Emmeline
distoglie l’attenzione dalla corrispondenza che ha ricevuto quella
mattina, posando le buste e le pergamene sullo scrittorio di legno
scuro e drizzando la schiena così da assumere una postura dignitosa.
«Poco
importa quello che voglio» replica concreta, infilando di nuovo la
piuma al suo posto accanto al calamaio. «L’obiettivo è rimanere
vivi e, se possibile, fuori da una cella umida» dichiara risoluta.
Poi prende un profondo respiro, così da espellere quelle parole che
sono difficili da pronunciare. «E ho bisogno che resti. Tu trovi
sempre un modo per vincere una battaglia» butta fuori accorta.
Lui
rimane impassibile, prima di piegare le labbra.
«Ora
riesco quasi a capire quello che Evan vede in te» svela a bassa
voce, più morbido. Fa pressione sui braccioli della poltrona, così
da rimettersi in piedi. «Come vuoi, Emmeline. Ma se hai intenzione
di avermi come alleato, dovresti sapere che non mi faccio scrupoli a
ottenere quello che voglio. Non importa chi dovrò calpestare» la
mette in guardia, secco, alzando le sopracciglia con chiara
allusione.
«Lo
so» assicura lei, seria. Abbassa per un momento lo sguardo,
inumidendosi le labbra e scacciando quei pochi scrupoli di coscienza
che le sono rimasti, prima di tornare a incrociare le iridi chiare e
gelide dell’altro. «E non ti fermerò» promette schietta.
*
Con
le dita appoggiate alla tiepida ringhiera di marmo del balcone della
sua camera da letto, si riempie i polmoni con l’aria primaverile e
frizzante del The Dales.
Non
crede che esista un panorama più meraviglioso di quella sconfinata
valle dai colori brillanti, composta da così tante gradazioni di
verde, che tanto le dona una totale sensazione di pace.
Soprattutto
quando c’è il tramonto, come in quel momento, dove tutto assume
una sfumatura rossastra, tanto simile a quella del cielo.
Sussulta
appena quando due braccia le circondano la vita ma il sorriso le
spunta per riflesso, perché sa già di chi sia anche senza voltarsi.
«Amo
questo momento della giornata» confida Evan, piano, con il solito
tono di voce basso, appoggiando la guancia contro il suo capo. «Forse
per il silenzio» termina genuino.
Lei
sospira, deliziata.
«Piace
anche a me» concorda morbida, girando appena la testa così da
guardarlo con la coda dell’occhio.
Rimangono
per una manciata di secondi in silenzio, contemplando il panorama che
si presenta di fronte.
«Mi
hai sorpreso con Julian» riprende lui, amabile, la mano destra che
le sfiora quasi per casualità il ventre piatto. Prova un brivido di
trepidazione quando quelle dita la toccano, forse perché le sembra
un gesto così pieno di sottintesi. «Lui non ti piace» sostiene
acuto.
Emmeline
annuisce, scrollando appena le spalle con noncuranza.
«Ma
a te sì» ribatte consapevole, voltandosi completamente così da
appoggiargli le mani sul petto e guardarlo dritto in faccia. «Posso
provare ad apprezzarlo per te» ammette con una punta di fatica,
perché non è facile cercare di mettere da parte un’antipatia così
radica anche se ora non è più una bambina. «E poi penso davvero
quello che ho detto a pranzo. Non credo che il pericolo sia passato»
conviene a fatica, tesa, un’ombra di preoccupazione a incupirle i
lineamenti.
Evan
le alza il viso con una mano, così da incrociare il suo sguardo.
«Non
ci accadrà nulla» promette sicuro, totalmente fiducioso per quello
che li aspetta.
Lei
sorride radiosa, rincuorata per quella sicurezza che è ben lungi dal
provare.
«Sai
a cosa stavo pensando prima, mentre osservavo il panorama?» domanda
lieve, arrossendo appena sulle guance a causa di quella riflessione
che è nata spontaneamente nella sua testa. «Dici che è troppo
presto per iniziare a sistemare la nursery?»
domanda incerta, socchiudendo le palpebre.
Lui
abbassa le ciglia, nascondendo per un momento le iridi verdi. Però
quando le rialza, sono più limpide che mai e le sue labbra sono
incurvate in una linea dolce.
«Dopo
che me lo hai detto, ho guardato l’albero genealogico» ammette
morbido, sorprendendola e gonfiandole il petto per quel fiotto di
commozione bollente. «Stavo cercando un nome» continua, poi,
sommesso.
«Ti
dico già che non sono dell’idea di dargli uno dei nostri» lo
mette in guardia, svagata, arricciando scherzosamente il naso. «Di
Emmeline ce ne sono state fin troppe… quanto a Evan» afferma
sottovoce, affettuosa, alzando una mano per accarezzargli la guancia.
«A me piace che tu sia l’unico» sussurra calorosa.
«Scarterei
anche Rosamund» replica Evan, basso.
«E
anche Joanne» riflette Emmeline, accorta, prima di far scivolare
quella mano sulla spalla dell’altro. «Ci ucciderebbe se osassimo
farle questo» osserva concreta, gli occhi persi nel vuoto nel
tentativo di immaginare la reazione della zia e inarcando le
sopracciglia con eloquenza quando si rende conto che non sarebbe
delle più felici.
«A
me Julian non dispiace» afferma lui, tenue, attirando immediatamente
tutta la sua attenzione. «Ma non te lo propongo nemmeno» commenta
sicuro, scrollando la testa con disimpegno.
«Non
è male» si costringe a dire lei, a fatica, ignorando l’espressione
scettica dell’uomo che ama. «Sempre meglio di Edmund» sottolinea
eloquente, lasciandosi sfuggire una smorfia amareggiata al pensiero
di tutto quello che ha fatto suo padre per dividerli. «Hai mesi per
farmi cambiare idea, signor Rosier, nel caso non trovassimo nessun
nome che ci metta d’accordo» butta lì, divertita.
Evan
ridacchia, scuotendo il capo per il divertimento. Ha il viso
illuminato da una dolcezza che lo rendono più bello di qualsiasi
tramonto. Le sorride, prima di abbassare il viso e baciarla.
Emmeline
ricambia d’istinto, lasciandosi andare contro quelle labbra e
sentendo il cuore gonfiarsi di una gioia selvaggia.
Non
c’è motivo di temere il futuro, non se lui è al suo fianco.
“...
non riuscirono mai a passare del tempo insieme,
come
tanto avevano desiderato e meritato.
E
come da allora io ho…
come
da allora io ho sempre sentito di aver impedito.
Ma
quale senso di speranza o di soddisfazione
avrebbe
avuto un lettore da un finale del genere?
[...]
Mi piace pensare che non sia stata debolezza o evasione,
ma
un atto finale di gentilezza.
Io
ho restituito loro la giusta felicità.”
Espiazione
Spero
che vi sia piaciuto, perché a me ha spezzato il cuore. Forse perché
immaginare quello
che sarebbe potuto essere
è
stata una botta assurda che mi ha lasciata distrutta. Però anche se
difficile, ho pensato che sarebbe stato un bel regalo per qualcuno
che ama questa coppia.
E
nonostante io sia una di quelle che cerca sempre di seguire il canon
della Rowling, questa volta l’ho bellamente ignorato. E poi penso
che sia anche giusto così: a volte è bello cambiare le carte in
tavola.
Se
proprio vogliamo tenere Condannati
come
punto di riferimento, questo what if si colloca dopo il sesto
capitolo (che ho quasi finito e che speravo di pubblicare prima di
questa storia).
Il
titolo, se mi perdonate la sfacciataggine, penso che sia perfetto per
riassumere quello che vorrei raccontare.
Inoltre
vorrei farti notare, mia piccola Maqry, che, sullo stato della
storia, non c’è la dicitura conclusa. Eh sì, è folle ma ho preso
questa decisione.
E
non provare a dire che sei innocente!
Infine
vorrei ringraziare Vale, che è sempre paziente con me e mi sostiene
ogni singola volta. <3
Un abbraccio e a presto,
Blue
The
Dales: purtroppo non l'ho mai visto ma, sfruttando il potere di
Google, posso dire che mi sembra un posto magnifico? E visto che i
Rosier, nel mio universo, hanno la casa di famiglia nello Yorkshire,
mi è sembrato giusto che godessero della vista e presenza di una
natura fantastica.
Ich
liebe dich:
sempre seguendo il mio headcanon, i Rosier hanno origini tedesche.
Emmeline parla questa perché immagino che conoscere altre, oltre
all'inglese, fosse uno dei punti cardini dell'educazione Purosangue. Significa ti amo.
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