Nella foto, come immagino
Else nel 1947.
L’attrice è Diane Kruger,
dal film “Bastardi senza gloria”.
Capitolo
58
Arrendersi
Seconda
parte
-
“Sul bel Danubio blu” -
“La memoria umana è veramente qualcosa di strano. Sfioro un
braccio e trovo la voce di un’altra persona. Tocco dei volti e i loro occhi si
allontanano. Scopro un cielo azzurro e tutte le forme intorno si nascondono.
Attraverso un ponte e non c’è nessun fiume sotto. Come sono inafferrabili
taluni ricordi nel loro essere appesi a niente, forme in continuo movimento che
restituiscono il niente in un niente più grande.”
Fabrizio Caramagna
Il
vecchio valzer viennese suonato dal grammofono, i discorsi
filonazisti e le risate frivole della gente parvero zittirsi in un silenzio
irreale, intervallato in maniera quasi ipnotica dal fruscio dell’orlo del
vestito di Else sul pavimento e dal tintinnio dei suoi bracciali in oro, mentre
a lui s’avvicinava lentamente, sinuosamente.
La
scia di Chanel N°5, il suo profumo da sempre, la precedé, per empir poi di
vecchie sensazioni lo stretto, forse, per Hermann, disagevole spazio che fra
loro s’interponeva.
Quattro
anni e lei sarebbe parsa la stessa, se non fosse stato per lo spesso strato di
rouge che celava due guance smagrite e la fresca vedovanza per la quale non
aveva mai portato il lutto.
Fondato
già su un debole amore, il matrimonio si disfece assieme alla Germania nazista.
Terrorizzato dall’arrivo dell’Armata Rossa, svuotato della speranza del
delirante sogno d’“impero millenario” in cui Else, invece, non smetteva
ossessivamente di credere, il giovane Sturmbannführer si
tolse la vita con una pillola di cianuro e mai ricevette perdono per quel che
lei considerava gesto egoista, sentendosi abbandonata, e, in primis, vile verso l’amor di patria che tanto li aveva uniti.
Finì per odiarlo.
Alzandosi
sulle punte delle sue décolleté di raso color bronzo impreziosite da una
fascetta di strass, gli si aggrappò alla spalla ed
Hermann credette nel saluto di un bacio sulla guancia che già s’apprestava
istintivamente a ricambiare.
Invece
gli avvicinò le labbra rosse all’orecchio e, dischiudendosi quel tanto che
bastava per sussurrare, la sua bocca produsse il suono come di un bacio, prima
di chiedergli con voce seducente: “Ti andrebbe di ballare con me, Hermann?”
Scandì ogni parola, ma si trattenne qualche secondo in
più sull’ultima, per far sì che il suo nome gli arrivasse
all’orecchio come un sospiro, richiamo ammaliante di un silenzioso desiderio
che lo avvinse e, mentre il grammofono suonava le prime note del valzer “Sul bel Danubio blu”, la sua mano si ritrovò a
stringere quella di Else e fu subito al centro della sala – lui che, dapprima,
s’era nascosto all’ombra di un tendaggio per sfuggire all’attenzione della
gente.
Else
era un concentrato di ricordi dei suoi vent’anni. Danzar con lei era il
rievocare la fatica e la gratificazione dello studio prima, della carriera
militare dopo, il tremore e il coraggio di deviare il percorso di vita col suo
passaggio dalla Gestapo alle SS, affascinato più dalla divisa di suo suocero
che da quella di suo padre, il brivido d’orgoglio di sentirsi riconosciuto
dalla società dell’epoca, di credersi superiore rispetto a buona parte della
popolazione mondiale.
Ma
Else era anche la spensieratezza di un amore giovanile con la trepidante,
acerba curiosità di scoprire l’altro sesso e se stesso nella sfera dell’intimità,
la tenerezza di passeggiate mano nella mano al chiaro di luna, di romantiche
cene a lume di candela, gli eccessi di un bagno nudi nel lago Schlachtensee, di
una fuga ad Amsterdam, il tentativo d’imparare l’arte della fedeltà da entrambi
spesso tradita, di rado la sua manchevolezza perdonata. Eppure ne sorrise al
ricordo, mentre s’apprestava a farla volteggiare e il tempo si fermava,
dilatandosi.
Lui
ed Else erano stati amici, complici, fidanzati, conviventi, amanti – nel senso
stretto della parola, proprio durante la sua festa di nozze –, insieme avevano
scoperto l’amore nelle varie sfaccettature e superatone il fallimento, senza
considerarlo una sconfitta, senza rancori.
Facendola
girare su se stessa, l’abito color oro che le stringeva i fianchi si accorciò,
allargandosi e roteando in una gonna svasata con stampa a fiorellini, dallo
chignon, le bionde ciocche si liberarono, fluttuando in lunghi capelli neri
dalle tenui sfumature color rame, e tornò a lui – che rivide anche sé, di
sottecchi, sbracato in stivali, camicia e bretelle – con le fattezze e il
sorriso di colei con la quale aveva imparato ad amare, sperimentando il
sentimento della gelosia e la paura di perdere la persona amata, restandole
fedele. Le sorrise come nel luglio del ’44 e furon soli nella sua stanza a
Fossoli.
La
musica s’era zittita in una silenziosa melodia inventata e, assieme alla sontuosa
sala, eran spariti gli sguardi attoniti di chi un tempo li aveva invidiati e di
quanti su di loro avevano sognato.
Uno
scroscio di applausi lo riportò alla realtà, ma fu Sarah e non Else a prenderlo
per mano, la sua voce a invitarlo a salire su per le scale: «Vieni con me».
Come in un sogno, le parole vibrarono senza che lei aprisse bocca, la sua immagine
apparve sfocata e le sue labbra incurvate nel dolce sorriso che sfavillava
negli occhi color miele lo convinsero a seguirla, infervorandolo subito dopo a
precederla.
Da
lontano, Birgit aveva assistito alla scena e, al vedere come Hermann guardava
Else, nei suoi occhi eran rifulsi stupore e speranza. Lo sentì di nuovo suo
figlio, mentr’egli imboccava di corsa le scale mano nella mano col primo amore
sulle note di un più vivace valzer.
A
differenza di sua moglie, Karl aveva percepito la scena in modo diverso e
guardato ad essa col volto indurito dalla severità e, non vedendo in Else
un’ancora di speranza, bensì la possibilità di uno scandalo per quel figlio che
già era sulla bocca di tutti, fece un passo in avanti verso la scalinata che
portava alle stanze nell’intento di fermarlo.
Ma
una mano si appoggiò sulla sua spalla e una voce gli parlò con il tono ironico
e rassicurante che solo un amico di vecchia data avrebbe potuto permettersi:
“Suvvia, Karl! Non fare l’antiquato, ché sono stati insieme per tanti anni.” A
parlare fu proprio il padre di Else, ma Karl non si stupì di tal linguaggio,
conoscendone la mentalità più libertina. “E poi fidati”, proseguì, “sentire di
nuovo il profumo di una donna ariana gli rimetterà in ordine le idee.”
Nello
champagne, Karl intinse appena le labbra e la coppa rimase a mezz’aria,
sospesa, come anch’egli era tra il desiderio di credere a tali parole,
scabrose, se pronunciate dal padre di lei, e il suo senso della realtà.
Conosceva troppo bene l’ossessione di suo figlio per Sarah e non mutò di
espressione, mentre lo guardava voltarsi indietro e sorriderle ancora.
“Quanta
fatica facciamo a dimenticare,
certi
ricordi ci rimangono addosso sempre,
come
per dire «guarda cosa ti è successo mentre
salvavi
quello che comunemente»
chiamiamo
amore, per quante volte
facciamo
finta di non ricordarci il nome
che
sotto voce si sente eccome,
ma
di profilo c’è il tuo seno che mi vuole
e
anche se non lo dico
mi
fa male tantissimo.”
Le
Vibrazioni, Tantissimo