A&A: Strane Indagini – “IL QUADRO MALEDETTO”

di Orso Scrive
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5.

 

 

Torino, Regno d’Italia, 1882

 

 

«L’unica testimone della vicenda fu una giovane domestica, accorsa alle grida della padrona», concluse il signor Barbero. Nello stesso tempo, terminò anche il suo calice di vino. «Riuscì a stento a raccontare ciò che era accaduto, prima di perdere completamente il senno. Fu rinchiusa in un convento, dove le monache si sarebbero prese cura di lei: ma dopo poco tempo, non reggendo il ricordo di ciò che aveva veduto, si impiccò.»

Delacroix bevve un sorso di vino. Guardò il calice in controluce e fece un cenno di soddisfazione. Poi tornò a rivolgere l’attenzione all’amico.

«Conosco la vicenda leggendaria, caro Barbero», disse. «D’altra parte, quante volte me l’avrà già narrata, questa storia? Una dozzina, come minimo.»

Barbero non si scompose.

«Ciò che non le ho mai detto, maresciallo Delacroix, era il motivo per cui mi fossi interessato tanto alla vicenda di Francesco il Bianco e del suo quadro maledetto», rispose. Si guardò attorno, facendo scivolare lo sguardo sulla vasta collezione di tele antiche che riempiva la stanza. «Anche se presumo che possa comprendere da solo il motivo del mio interesse.»

Il maresciallo seguì il suo sguardo.

«La sua raccolta?» intuì. «Vorrebbe trovare il quadro e aggiungerlo a…»

Barbero alzò la mano con il dito indice sollevato e la scosse in segno di diniego.

«No, no, caro amico», disse. «Non è ciò che vorrei, ciò che conta. Semmai ciò che ho fatto.»

Si alzò dalla poltrona – che gemette nel venire liberata da quel grave peso – e fece cenno al maresciallo di seguirlo. Lo condusse attraverso la sala, fino a raggiungere una porta chiusa. Vi si fermò davanti, la mano grassoccia sulla maniglia.

«Vede, caro amico, la proclamazione dell’Unità d’Italia è stata per me una vera benedizione. Mi ha permesso di girovagare per la Toscana in completa libertà, senza bisogno di lasciapassare di vario genere. Firenze è una città meravigliosa, sarebbe stata degna di rimanere la capitale del nostro nuovo stato. In fondo, è in essa, e non in Roma, che ha avuto origine la nostra lingua, la nostra cultura… Roma, lo sappiamo, con il suo passato imperiale e come sede del Papa, ha una vocazione universale, mentre Firenze, patria dell’Alighieri, del Boccaccio, e poi dell’Umanesimo e del Rinascimento, è sempre stata il centro d’Italia, il suo cuore pulsante, la sua anima… ma, certo, non mi sono recato in Toscana per motivi politici. Ho esplorato ville, conventi, chiese, sempre alla ricerca del quadro… il quadro maledetto. Mi ci sono voluti dieci anni, per raggiungere il mio obiettivo.»

Un sopracciglio si sollevò sulla fronte del maresciallo Delacroix.

«Vuol forse dire, signor Barbero, che c’è riuscito?»

Barbero annuì.

«Il quadro di Francesco il Bianco era ben nascosto, celato in uno scantinato dimenticato di una villa che, secoli or sono, appartenne alla famiglia degli Ambrogiuoli. La famiglia si estinse tanto tempo fa, e la proprietà, non sussistendo eredi, entrò a far parte del demanio pubblico. Il Ministero mi diede l’incarico di ispettore delle proprietà statali, e fu quindi facile, per me, una volta giunto a termine delle mie lunghe ricerche, mettere le mani sul capolavoro.»

«Al signor Ministro sarà venuto un colpo», ipotizzò il maresciallo.

«Niente affatto, amico caro, niente affatto», ridacchiò il signor Barbero. «Basta mettere un po’ di denaro nelle tasche giuste, e si ottiene tutto. Questa Italia sarà pure giovane, ma per chi ha occhi e orecchie, è già molto facile intendere quale sarà il suo vero spirito.»

Il maresciallo Delacroix si strinse nelle spalle. Non era certo lì per parlare di corruzione e di politica. Guardò la porta. Nonostante non avesse mai creduto alla veridicità della leggenda, non vedeva l’ora di ammirare con i propri occhi il quadro. Chissà se sarebbe davvero stato degno di tanta fama.

Come intuendo i suoi pensieri, il signor Barbero abbassò la maniglia.

Madonna Fiammetta li fissò attraverso la tela, portando ai loro occhi la sua eterna bellezza. Era un’armonia celeste, un’immagine indescrivibile. Era tanto bella e viva da risultare incomprensibile.

Il maresciallo si sentì piccolo e insignificante, di fronte a tanto splendore.

«Io non riesco a capacitarmi che…» disse.

Le parole gli morirono in bocca.

L’immagine nel quadro sembrava essersi mossa. Sbatté le palpebre. Scosse il capo. Doveva essere stato un effetto della scarsa illuminazione dello stanzino. O, forse, aveva esagerato con il Nebbiolo che gli aveva offerto il suo amico Barbero.

«Niente di più bello, niente di più eterno», sussurrò il signor Barbero, immobile al suo fianco, la voce fattasi d’improvviso rauca. «Valeva bene la dannazione, per riuscire a imprimere siffatta bellezza.»

Il maresciallo deglutì. Si sentiva incapace di muoversi. Avvertì a malapena il rumore della porta che sbatteva alle sue spalle.

«Un quadro degno del Signore delle Tenebre!» ruggì Barbero al suo fianco.

Solo che, adesso, il signor Barbero era scomparso.

Al suo posto c’era un essere altissimo, di una bellezza incomparabile, gli occhi fiammeggianti. L’essere allargò le braccia. Madonna Fiammetta si alzò dal divano su cui era stesa, venne avanti con passo leggero, facendo ondeggiare le sue grazie nel riverbero rossastro del fuoco che, adesso, riempiva tutte le cose. La bellissima donna venne accolta tra le braccia del diavolo e, con un grido ferino, si unì a lui in un amplesso demoniaco e bestiale.

Il maresciallo Delacroix gridò, gridò sempre più forte.

 




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