Il Gioco Del Destino

di kissenlove
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«E' un tale destino.
Una tale punizione per me.
Anche se spari mille volte,
NON MORIRÒ.»

FUGGITIVI
Capitolo 1
(Seconda parte)


Le palpebre si spalancarono di colpo quando udii il fragore del clacson di un pullman che segnalava con gli abbaglianti. Immediatamente, ripresi il controllo, rimettendomi sulla carreggiata opposta facendomi sorpassare, e buttai fuori un lungo sospiro.

Per un pelo, non ci aveva travolti, e dovevo cogliere il segnale che il corpo mi stava lanciando.

«Mamma, stai bene?» Chiese Anna destandosi.

«Siamo arrivati?» Biascicò Charlie abbacchiato dal sonno.

«No, non siamo arrivati. Mi sono solo appisolata. Se non mi riposo qualche ora, rischiamo di fare un incidente.» Mi girai brevemente verso di loro per poi emettere un sospiro e strofinarmi ancora l'occhio. Schiacciai la mano sulla fronte e continuai a guidare per qualche altro chilometro, finché non svoltai in un ampio piazzale, dove c'era una pompa di benzina in disuso e sostai davanti a un fast food abbandonato, date le pessime condizioni delle finestre e i neon sul soffitto che si spegnevano e accendevano ad intermittenza. Guardai attentamente i dintorni per assicurarmi che non ci fosse nessuno e slacciai la cintura. Dopo scavalcai per mettermi dietro, in mezzo ai due, e mi tolsi il cappotto per usarlo come coperta. Il freddo delle notti irlandesi non era da sottovalutare: ti penetrava nei vestiti e ti gelava dentro le ossa. «Venite, mettetevi qui sotto. Avanti, alzati il cappuccio.»

Il bambino se lo tirò sulla testa, raggomitolandosi in cerca di calore, come fece Anna, e baciai entrambi sulla testa. Serrai gli occhi e crollai in un sonno profondo.



~♦~

Iniziai a muovermi, scorrendo la mano sulla schiena di mio figlio e spalancai placidamente gli occhi. La luce di un nuovo mattino inondava il posto, rendendolo meno spaventoso rispetto a ieri. Osservai Anna addormentata come un ghiro con il collo girato dalla parte opposta, poi abbassai lo sguardo sul piccolino. Lo staccai da me adagiandolo sul sedile e ripassai davanti. Sistemai il cappotto sui loro corpi quando scivolarono l'uno sull'altra e mi scappò un sonoro sbadiglio. Mi ero riposata abbastanza. Presi il cellulare e scesi, facendo un po' di stretching per i muscoli che sentivo atrofizzati. Camminai un po' più lontano per sgranchire le gambe e intanto feci una chiamata alla zia. Speravo che potesse offrirci ospitalità a casa sua fino a quando non avrei trovato un'altra sistemazione. In caso contrario, non avrei saputo dove altro andare.

«Ciao, zia Joyce? Sono io, Nora.»

«Ciao!» Rispose una voce femminile che non mi era familiare. «La signora Joyce è andata al mercato e ha dimenticato il cellulare qui. Sono la figlia del vicino, Jessica.»

«Ah... ciao. Quando torna?»

«E' andata con mia madre. Potrebbe volerci del tempo. Sua figlia sta per sposarsi ed è molto emozionata, ecco perché sono andate a fare compere.»

«Victoria... sta sposarsi?»

«Già. Si sposerà presto e c'è molto da organizzare qui, per questo sono venuta ad aiutarli.»

«Oh! Non lo sapevo. Sono molto contenta per lei. Be'… quando torna, puoi dirle che sua nipote Nora di Doolin l'ha chiamata, per favore? Sto venendo a Maynooth con i miei figli. Volevo solo informarla.»

«Certo, certo. Glielo dirò.»

«Grazie.»

Riattaccai, guardando lo schermo passando le dita sulla crepa provocata dalla caduta, prima di incrociare le braccia sotto il seno, tornando verso la macchina per rimetterci in marcia.



~♦~

Sciolsi le corde che tenevano bloccato il cofano e lo spalancai tirando fuori quella vecchia scatola, ch'era decisamente datata per questi tempi, ma ci avrebbe fruttato un po' di soldi.

«L'ho presa, va bene. Ragazzi salite in auto. Torno subito.»

Entrai nel negozio di elettrodomestici, trasportandola a fatica e la scaricai sul primo mobile che mi capitò a tiro.

«Salve.» Salutai un uomo di mezz'età confinato dietro il bancone.

«Salve. Come posso esserle d'aiuto, signora?»

Mi avvicinai, indicando l'oggetto. «A quanto lo comprerebbe?»

«Non vale niente, è un modello datato. Non si vendono più da quando sono usciti i nuovi televisori al plasma in HD o in 4K. Se funziona ancora, continui a usarla.» Sentenziò, rigettando la proposta.

«Non posso più usarla. Anche se meno, quanto può darmi?» insistei.

«Gliel'ho detto, è un modello vecchio. Anche se lo compro, non lo venderei a nessuno.»

Mi passai la lingua sulle labbra per inumidirle e abbassai leggermente gli occhi a disagio.
«Senta, sono in una situazione difficile. Sto viaggiando con i miei figli e la benzina sta per finire.» L'uomo alzò gli occhi dal quaderno. «Mio figlio è molto malato, devo comprargli al più presto le medicine. Se non può venderla come ha detto, la dia a un rigattiere, non importa. Necessito di un po' di soldi. La prego!» Probabilmente gli feci abbastanza pena perché gli spillai 150 euro. «Dio la benedica. Grazie. C'è un distributore di benzina da queste parti?»

Uscì dal bancone e mi indicò la direzione col braccio.
«Ce n'è uno sulla destra.»

Lo ringraziai e mi fiondai fuori dal negozio. Feci un pieno poco più avanti, anche se mi costò quasi tutto il denaro ricavato, ma almeno avremmo continuato il viaggio senza rimanere a piedi.

Attualmente eravamo sulla M6, sulla tratta Galway/Dublino e continuai a guidare, mentre il sole si era innalzato nel cielo. Non ci fermammo per fare soste, volevo arrivare a Maynooth prima che facesse buio.

«Mamma!» Allungai il collo guardando il bambino attraverso lo specchietto. «Mi sta venendo la nausea, ho una fame da lupi.»

Guardai l'orario. «E' mezzogiorno... e voi ragazzi non avete fatto colazione. Ok, tesoro, pazienta un pochino. La mamma ti comprerà qualcosa, va bene?»

«D'accordo, mamma.»

Si rimise ubbidiente sul sedile e dopo qualche chilometro imboccai un'uscita, dove c'era un distributore di benzina e un agglomerato di ristoranti e bistrot con un'insegna blu e bianca. Parcheggiai nello stallo adibito e scendemmo.

Ci accomodammo ad uno dei tavoli all'interno di un ambiente rustico, il cui nome mi ricordava una marca di liquore alcolico tipico dell'Irlanda: BaileysOrdinai il pranzo e i ragazzi divorarono con gusto, mentre io non riuscivo a godermi quel momento di pace senza smettere di guardarmi intorno. C'era un uomo, per esempio, poco più lontano da noi che beveva il caffè e leggeva il giornale, e se ci fosse stato scritto qualcosa su noiSe ci riconoscessero?

Il mio evidente stato di agitazione mista ad ansia non passò inosservato ad Anna che abbassò la forchetta, appoggiandola nel piatto.

«Mamma, non hai mangiato quasi niente e di questo passo ti ammalerai.»

«Sto mangiando un po' di pane, cara. Non mi andava di prendere l'insalata di pollo.» Poi spostai gli occhi su Charlie, che aveva spazzolato interamente il piatto. «Sei pieno?»

«Molto! Mi sta per scoppiare la pancia.»

«Bravo!» Tornai a fissare il signore, masticando controvoglia il boccone. «Avete finito?» chiesi girandomi. Charlie annuì spostando il piatto. «Andate ad aspettarmi in macchina. Io pago e vi raggiungo.»

Porsi le chiavi a mia figlia e si alzarono prendendo i cappotti per poi dirigersi all'uscita. Guardai ancora in giro prima che il volto di un uomo abbastanza in carne mi si parasse di fronte.

«Vuole che le porti un caffè, signora?»

«No, grazie. Va bene così.»

«Va bene. Come vuole.»
Portò via i piatti allontanandosi e a quel punto colsi quella ghiotta opportunità. Mi alzai, indossando il cappotto con nonchalance, e lanciando un'altra occhiata al signore con il giornale mi avviai all'uscita, aggiustando la borsa sulla spalla.

In tutta fretta, raggiunsi l'auto infilandomi dentro più veloce di un Saetta McQueen e buttai la borsa sul sedile affianco.
Quando però girai la chiave, quel catorcio stentò a partire. Ritentai.

"Non poteva abbandonarci proprio ora!"

«Non ora.» dissi a denti stretti, muovendo la leva del cambio. Girai di nuovo la chiave. «Andiamo! Andiamo! Andiamo!» Una volta… due volte, ma non funzionava. Non partiva.
Tirai giù il freno a mano e provai, ma la macchina sobbalzava, come se avesse il singhiozzo. Pian piano, decise di collaborare.

«Mamma, un uomo ci sta inseguendo!»

«Mamma! Che succede?»

Un giovane si buttò davanti al muso della vettura e fui costretta a frenare per non investirlo.
Mi immobilizzai sul sedile, non sapevo come comportarmi o come spiegare l'accaduto, mentre l'uomo in carne ci raggiungeva, bussando contro il finestrino.

«Dove sta andando senza pagare quello che deve?»

«Mamma, non abbiamo pagato il conto?»

«Ora la denuncio alla polizia. Aspetti!» Minacciò e a quel punto mi affrettai a prendere il portafoglio dalla borsa mentre Charlie batteva il pugno contro il finestrino implorandolo di non chiamare.

Scesi dall'auto e gli feci abbassare il cellulare dall'orecchio. «Signore! Signore, la supplico! La prego, non chiami la polizia. Lo giuro, mi creda! Non ho più soldi. Guardi!» Per dargli una prova concreta, gli mostrai il portafoglio. «I miei figli erano affamati, non mangiavano da ieri e ho dovuto farlo. Mi dispiace, sono desolata. Lo giuro, mi vergogno a morte, ma l'ho fatto per i miei figli. Loro sono tutto per me e voglio che stiano bene. Per favore!» esclamai, trattenendo le lacrime che premevano per uscire.

«Da dove viene?»

Mi passai il dito sotto l'occhio, tirando su con il naso.
«Doolin.»

«E dov'è diretta?»

Dovevo essere sincera, non avevo altre possibilità. Confidavo che l'uomo fosse un bravo cristiano.

«Sto andando a Maynooth.»

«E pensa di andarci con un paio di spiccioli nel portafoglio?»

«Non lo so. Mi sento impotente. Lo giuro! Voglio dire...» gesticolai nervosamente con le braccia. «Sono disposta a fare qualunque cosa mi chiederà. Posso lavare i piatti. Posso anche fare le pulizie o lavare i pavimenti. Lavorerò e la ripagherò. Ma la prego... non chiami la polizia.»

L'uomo di mezza età mi ascoltò e si piegò verso i finestrini posteriori, guardando i miei figli, increspando le labbra in un sorriso. Continuò a scuotere la testa, mentre una parte di me fremeva dalla paura di non averlo convinto. Ma era la pura verità. Quando mi fece cenno di rientrare, capii che avevo incrociato una brava persona sul mio cammino.

~🦋~

Permise ai miei ragazzi di ordinare quello che preferivano dal bancone e mi offrí quella tazza di caffè, come segno d'amicizia.

Mi guardò con affetto e congiunse le mani sul tavolo. «Non ha nessuno, figliola

Feci un cenno all'indietro indicando i bambini, accostandomi la tazza alle labbra. «Ho i miei figli. Non è abbastanza?»

«Certo che lo è, ma… qualcuno come un marito?»

Appoggiai delicatamente la tazza sul piattino e chiarii. «Ho perso i miei genitori anni fa e ho rotto con il padre dei miei bambini.»

«Quindi è sola?» Annuii. «E viveva a Doolin?»

«Vivevamo, ma è successo qualcosa di terribile e abbiamo dovuto lasciare il paese.»

«State andando a Maynooth, ma… conosce qualcuno lì?»

«Mia zia vive lì. Andremo a stare da lei.»

Le domande dell'anziano si interruppero e si spinse contro lo schienale mentre riprendevo a bere la bevanda calda.
Mise sul tavolo un gruzzoletto di banconote facendole scorrere dalla mia parte per non attirare l'attenzione della clientela.

«Tenga.»

«Signore, io…»

«No, non si dovrebbe viaggiare senza soldi.»

«Lei ha già fatto molto per noi, questo è troppo.» Tesi le mani nella sua direzione respingendo la generosa offerta con orgoglio.

«Li prenda, mia cara, non si preoccupi. Glieli sto dando di mia spontanea volontà. Se mi avesse detto che non aveva soldi, le avrei dato comunque da mangiare. Due piatti in più non avrebbero fatto alcuna differenza. E inoltre sta andando a Maynooth… è molto lontano da qui.» Aveva ragione, ma non avevo pensato alle coordinate geografiche da un posto all'altro quando eravamo scappati. Sembrava un dettaglio superfluo rispetto a cosa avevamo affrontato. «Avrà bisogno di soldi per pagare il pedaggio in autostrada. Li tenga.» Gli rivolsi un sorriso caritatevole. «Quando avrà trovato un lavoro e guadagnato abbastanza, potrà venire a restituirli. Io sono sempre qui. Ci lavoro da anni.»

«Non so come ringraziarla.»

«Non mi deve ringraziare, figliola. L'ho capito subito ch'è una brava ragazza.» Puntellò i palmi mettendosi in piedi e si sporse in avanti. «Bene, diamo un'occhiatina alla macchina. Dopotutto con quel vecchio catorcio non potrete né scappare da me, né raggiungere Maynooth. Gliela riparerò e tornerà come nuova.»

Quell'uomo era proprio un pezzo di pane, pur non conoscendoci, mi aveva fornito l'aiuto di cui avevo bisogno senza volere nulla in cambio e persone così erano un miraggio in mezzo a tanta falsità.

Scompigliò il nido di riccioli di Charlie che mangiava il budino al cioccolato e uscì fuori.

I pensieri che mi affollavano il cervello però erano molti.

~🦋~

Poco dopo esserci rinfocillati, uscimmo del ristorante ed ero intenta a chiudere la cerniera del portafoglio, quando una voce maschile risuonò alle nostre spalle.

«Ehi! Giovanotto!» Ci girammo simultaneamente e mi trovai a fissare più del dovuto un uomo dai tratti palesemente europei, una massa indomita di ricci scuri, fisico asciutto e occhioni blu, che ci indicava il terreno con l'indice. «Ti sono caduti i soldi.»

Guardai la monetina da un euro e, in seguito, il ragazzo.

«Mi ha chiamato giovanotto!» esclamò Charlie tutto elettrizzato, con un sorriso che gli andava praticamente da un orecchio all'altro.

Gli sorrisi. «Vai!»

Corse subito a raccoglierla. «Grazie, signore.»

«Non c'è di che.»

A quel punto, alzò quei lapislazzuli incastrandoli nei miei per qualche secondo, prima di imboccare definitivamente l'entrata.

«Mettilo dentro, tesoro.»
Charlie buttò la moneta nel portafoglio e ripresi a camminare. «Siamo in ritardo. Abbiamo perso un sacco di tempo. Diamoci una rinfrescata e andiamo via.»

Accerchiai le spalle della ragazzina e ci dirigemmo verso i bagni pubblici dell'autogrill. Mentre stavo spalancando la porta, Charlie protestò:
«Questo è per le signore. Non posso usarlo io!»

«Non essere sciocco. Sei ancora un bambino.» lo rimbeccò Anna facendolo scostare quando gli scompigliò i capelli in testa.

«Non lo sono affatto. Sono cresciuto.»

«Ok, va bene. Giovanotto, può tenermi la borsa?» Troncai la loro discussione in maniera pacifica e gliela lasciai, ma il piccolo se ne andò con un broncio evidente e le guanciotte gonfie. Anna per poco non scoppiò a ridere per il teatrino del fratello ed entrammo nel bagno delle ragazze.

~🦋~

Dopo aver svuotato le vesciche e lavato la faccia, uscimmo, e mi resi conto che di mio figlio si era volatizzato. Legai la cinghia sull'addome e guardai da tutte le parti. «Dov'è Charlie?» Anna si allarmò e lo chiamò a gran voce. Lo cercò con lo sguardo, spostando il collo a destra e a sinistra, preoccupata che fosse successo qualcosa. «Charlie! Charlie! Dove sei?!»

Ci mancava questo per finire in bellezza questo rocambolesco viaggio.

«Charlie!» urlai ancora.

«Eccomi, mamma!»

Vedendo il bambino spuntare dietro al cespuglio, potei tornare a respirare, sollevata che stesse bene. Ma non avrebbe dovuto essere così imprudente, visti i pericoli dei tempi odierni.

«Tesoro, dov'eri? Perché non me l'hai detto prima di allontanarti? Mi sono spaventata a morte.»

«Mamma, e la tua borsa?» mi fece notare Anna e slittai lo sguardo da lei al bambino confusa.

«Dov'è la mia borsa?»

«Sono andato a giocare con il cagnolino e l'ho lasciata lì.» Indicò la fioriera e Anna si offrì di andare a recuperarla prima che qualche malintenzionato ci ficcasse le mani dentro.

«Ma perché hai lasciato la borsa, tesoro? E se qualcuno la rubava?» Fece una faccia dispiaciuta e sbattei le braccia contro i fianchi.

«Mamma, il tuo portafoglio è sparito.»

«Come? Dov'è?» le strappai la borsa dalle mani e rovistai di persona, spostando convulsamente il contenuto, ma mancava l'essenziale: il portafoglio. «No, no! È sparito. Dentro c'erano tutti i nostri soldi.» confessai coprendo le labbra con la mano.

«Sei scemo, cazzo? Cos'hai nel cervello? La segatura! Come faremo a mettere la benzina adesso? Come compreremo da mangiare? Eh!» sbottò inferocita contro il fratello, che abbassò lo sguardo.

«Va tutto bene, Anna. Va tutto bene. Non prendertela con il bambino. È stata colpa mia. Non avrei dovuto separarmi dalla borsa.» Mi portai le mani sui fianchi, mordicchiando l'interno della guancia.

"E ora come potevamo andarcene se ci avevano derubato?"

«Mamma, Denise ti sta chiamando.»

Mi porse il mio cellulare e mi allontanai un po' da loro con le lacrime pronte a sgorgare dagli occhi facendo invidia alle Cascate del Niagara.

«Sì, Denise?»

«Ah! Nora, tesoro? Scendi da quell'auto. Una cliente del salone mi ha detto che il marito ha saputo che la polizia sta cercando l'auto di Henry ovunque. Hanno il suo numero di targa. Devi sbarazzarti immediatamente di quell'auto, Nora.» Proprio in quel momento, una vedetta della polizia parcheggiò proprio accanto al catorcio, alcuni poliziotti scesero e si avvicinarono. «E inoltre, Henry.» Fece una pausa. «Quel bastardo è morto.»

Ebbi un tuffo al cuore e persi così tanti battiti che fui fortunata a non aver avuto una sincope, ascoltando quella notizia.
Il mondo mi precipitò addosso e finì per seppellirmi.

Quel molestatore era finito all'inferno come meritava, ma aveva macchiato l'anima di mia figlia. Aveva distrutto la sua vita e derubato la tranquillità.

A stento riuscii ad articolare una mezza frase. «Denise, devo... andare.»

«Mamma, cosa ti ha detto?»

Ero frastornata da non riuscire a guardarla negli occhi, a parlare o trovare una soluzione.
Con gli occhi cerulei velati di pianto e una voragine che si allargava nello stomaco, non facevo che ripetermi. «Cosa faremo ora? Cosa faremo ora...»

«Mamma, stai bene!»

"È un incubo, mi sveglierò." strizzai gli occhi, sentendo le ultime forze scivolare via.

«Mamma!»

«Anna…»

All'improvviso mi girò la testa come se fossi salita su una giostra, la vista si offuscò e mi sentii debole a tal punto che crollai nelle braccia di Anna, che proruppe in un urlo di terrore.
Mi adagiò sull'asfalto, potei sentire tutte quelle voci che si accavallavano le une sulle altre, ma non potevo muovere un muscolo. Ero paralizzata.
Strizzai gli occhi che si erano annebbiati per le lacrime, il labbro mi tremava e delle braccia forti mi presero per le ascelle mettendomi su una sedia.

«Sta bene, signora?!» chiesero in coro le persone che mi avevano accerchiata.

«Sto bene. Grazie...» risposi mentre cercavo di rassicurare Charlie che mi si stringeva addosso.

«Cosa l'è successo? Si sente bene? Ha avuto un calo di pressione?»

«Sto bene, sto bene. Grazie...»

«Beva un po'.» suggerì il moro, passandomi una bottiglietta d'acqua che afferrai, tremando come un cucciolo bagnato.
«Sta bene?»

«Mhm-hmm.»

«Ok. Lasciatele un po' di spazio per respirare.»

Le persone mi augurarono di riprendermi e ringraziai con un filo di voce, svitando il tappo, mentre il mio sguardo si soffermava sui poliziotti che stavano perquisendo l'auto.

«Mamma…»

«Tesoro, sto bene.» accarezzai la guancia di Anna mentre il piccolo mi dava un bacio sulla guancia.

L'unica persona che non si era mossa era il moro che avevamo incontrato uscendo dal locale.

Era rimasto.

«La porto in ospedale? Almeno le faranno un controllo approfondito così anche il giovanotto si sentirà meglio.»

Bevvi un lungo sorso, al punto che mi andò di traverso. Tossii. «Non serve. Grazie.»

Tenevo costantemente d'occhio i poliziotti che controllavano il cofano, torturando il labbro inferiore con i denti.

«È successo tutto per colpa mia! Ho lasciato che rubassero il portafoglio perché non ho fatto attenzione...» E si girò verso il moro spiattellandogli. «Così non possiamo più andare a Maynooth. Ora siamo senza soldi.»

La polizia era a pochi passi di distanza, ingoiai a vuoto e alzai per un attimo gli occhi sul giovane.

Charlie tornò a stritolarmi e gli accarezzai il braccio. «Sto bene, amore. Tranquillo.»

Il moro si abbassò e distolsi lo sguardo. «Non mi fraintenda. Voglio aiutarvi. Sto andando a Dublino con la mia macchina. Potrei darvi un passaggio.»

Ormai avevano trovato l'auto ed era questione di tempo, ma non potevo approfittare della gentilezza di quel ragazzo. Non potevo metterlo nei guai.

«No.» declinai la proposta, seppur a malincuore. «Non è necessario. Per favore, non si disturbi.»

«Non è un disturbo. Ascolti, sono appena tornato dalla Russia. Sono stato in viaggio per giorni e mi piacerebbe avere un po' di compagnia. E poi mi piacerebbe conversare con questo giovanotto.» Il moro non si arrendeva al mio no di prima, e tirai su con il naso. Vidi i poliziotti entrare nel locale per interrogare qualcuno e il terrore dilagò dentro di me.

«Non restiamo qui ancora a lungo, mamma. Ti prego...» Prese parola Anna.

«Ok, certo. Andiamo...» sibilai.

«Benissimo.» Il moro si tirò su e anch'io mi alzai.

Lo seguimmo verso un SUV tirato a lucido e parcheggiato di fronte al locale. Lui sbloccò la sicura e salimmo. Si mise al volante, io al suo fianco e i bambini dietro.

«Il sedile posteriore è pronto, co-pilota?» Scherzò, allacciando la cintura.

«Siamo pronti a partire, capitano!»

«Bene, allora andiamo.»

Avviò il motore e da una parte mi rilassò lasciare questo posto, ma dall'altra mi gettò nell'inquietudine, perché con la morte di quel bastardo eravamo condannati ad essere degli evasi.

Niente e nessuno poteva riportare indietro la nostra vita.

Guardai il proprietario del ristorante che mi sorrideva, accompagnato dai poliziotti, prima che la macchina si rimettesse sulla strada.





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