Frammenti

di CatherineC94
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Di graffi e ultimi istanti (plus Aberforth)



1. Le sue mani sono fredde, come la neve in inverno.
Niente suggerisce che in lui ci sia un lampo di vita,
un sorriso tiepido. Gli occhi sono enormi pozze perse,
come la sua voce che a stento riesce ad uscire.
Ha le labbra appiccicaticce, mentre il cuore batte all’impazzata, incredulo.
«James, non fare l’idiota. Coraggio, alzati» biascica.
Nessuno risponde, i suoi indumenti sono stropicciati, coperti di polvere e le lacrime di Sirius che non riescono a scendere si tramutano in una risata gelida.
James, suo fratello è morto. Il mondo l’ha portato via e sembrano perduti quei giorni di sole colmi di risate.
Il tempo è scaduto, il silenzio l’annienta.
 
2. La coperta non basta.
Andromeda si stringe forte, graffia le braccia ossute nel vano tentativo di riscaldarsi.
«Che mi venga un colpo, Meda lascerai i segni sulla pelle» esclama Ted alzando gli occhi.
Andromeda non risponde, anche perché per un attimo vorrebbe solo scomparire in quell'immenso calore che suo marito sprigiona.
Anni dopo la coperta non basta ancora.
Fuori c’è la neve e Ted, chissà dove si trova.
Andromeda, quasi soffocata dall’abito nero del lutto si stringe ancor di più, mentre sente la carne lacerarsi.
«Meda!».
Sembra un sussurro, Ted non c’è più.
Le sembra che la neve la stia ricoprendo, certa che la coperta non sarà mai abbastanza.
 
 
3. Così è deciso mi pare di capire» sussurra mesto.
Ginny vorrebbe dire tanto, spiegare che chi decide da tempo è sempre e solo lui; invece si limita ad osservare come gli occhi di Harry siano colmi di tristezza.
«Harry, non possiamo» gli dice, anche se il tono fermo vacilla quando avverte il calore delle sue mani sul viso.
«Andrà meglio» promette, il respiro caldo sulla guancia.
Ginny tenta di non muoversi, anche se le pare l’atto più difficile al mondo.
Harry trattiene un singhiozzo, la stringe forte premendo il suo corpo contro quello di Ginny che pensa di fondersi in quell’istante.
«Non andartene» la implora Harry.
Ginny lo stringe piano.
 
 
 
4.Arriva sempre quel momento, quando Aberforth sente che le mani gli prudono e nel fondoschiena un brivido l’assale furtivo.
Tutto inizia dalla mattina, quando esce coperto dalla leggera e consunta trama del suo kilt.
Aberforth l’avverte, nell’aria. Quel puzzo di guai, che permane nelle sue narici e non se ne va.
Poi scende, grattandosi il deretano con una grazia immane e se lo ritrova fermo, appollaiato come un gufo saccente sul trespolo.
« Aberforth» dice affabile.
«Buongiorno un cavolo» abbaia invece lui.
«Ti ricordi della cena con Caramell, vero?» chiede Albus.
Aberforth sbuffa sonoro, afferra la sua capra pestifera dirigendosi verso la porta.
«Vacci tu, ne ho abbastanza» urla andando via.


 
Come scrivevo l'altra sera ho provato a scrivere qualcosa di serio però alla fine la mia vena demenziale appare. Scusate
 




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