Tutto ciò che vuoi

di Doctor Nowhere
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«Dottor Ricci, il suo turno non finiva alle otto di mattina?»

Ricci sbatté le palpebre «Sì, sì…» soffocò uno sbadiglio sul dorso della mano «Finisco solo un attimo il giro e… e poi vado a casa»

Angela annuì «Mi raccomando dottore, non si sforzi troppo» e passò oltre. Il rumore dei suoi passi sfumò nel corridoio semideserto. Che tesoro d’infermiera!

Il dottor Ricci si sistemò gli occhiali. Ogni anno che passava gli occhi lo tradivano un poco di più. Dunque, dunque… stanza 167. Incidente d’auto dovuto a stato di ebbrezza. Scosse il capo e si accarezzò la barba. «Brutta storia» mormorò.

Aprì la porta, che emise un cigolio sinistro.

Accanto al letto c’era un uomo, basso e molto elegante, chino sul ragazzo in coma. Il dottore sobbalzò. Lo sconosciuto indossava un cappello a cilindro, e portava un bastone da passeggio con un pomolo a forma di… testa di coccodrillo? Ma era uscito da una festa in maschera?

Il dottore si accarezzò il collo «Mi scusi, che cosa ci fa qui? Non è orario per le visite»

L’uomo si voltò verso di lui. Si passò un fazzoletto di seta sulle labbra. «Buonasera, dottore. Mi perdoni, me ne stavo giusto andando» tornò a guardare verso il paziente «Una persona davvero squisita, sa?»

Ricci afferrò il colletto del camice e lo strattonò: «Non mi sembra di averla mai vista, qui. È un parente, un amico?»

«È una lunga storia» l’ometto si gonfiò «Ne abbiamo passate tante insieme, ma adesso se ripenso a tutti i momenti passati con lui» accarezzò la mano del ragazzo «…è come se fosse tutto un dolce sogno».

Emise un singhiozzo soffocato. Ricci si grattò la testa. Avrebbe giurato che quel suono fosse una risatina.

Cadde il silenzio, interrotto soltanto dal meccanico “bip… bip… bip...” dell’elettrocardiogramma.

Il dottore fece un passo avanti «Ad ogni modo, devo ripeterglielo, non è ancora l’orario di visite. Le dispiacerebbe tornare più tardi?»

L’uomo misterioso sorrise. «Ha perfettamente ragione. Mi sto trattenendo troppo. Le porgo i miei saluti, dottore. Chi lo sa, magari un giorno ci rincontreremo» e si diresse verso l’uscita.

Un brivido freddo corse lungo la schiena del dottore. Che tipo bizzarro. Scrollò le spalle. Meglio non darci peso. Un breve controllo e via, sotto le coperte. Era ormai troppo vecchio per il turno di notte.

Aprì la cartella. Perché diavolo si ostinavano a stampare tutto così in piccolo? Ecco lì. Mancini Carlo, ventisette anni, eccetera eccetera. Sbadigliò. Forza, forza coi test di routine, che prima si iniziava prima si finiva.

Prese dalla tasca una torcia, poi con due dita aprì le palpebre del paziente e puntò la luce contro il suo occhio. La pupilla rimase fissa e dilatata. Ricci mugugnò e si massaggiò la tempia. Midriasi. Pessimo segno.

Meglio provare i riflessi. Impugnò un laringoscopio e lo infilò nella gola, nel tentativo di stimolare una reazione dal riflesso faringeo. No, niente. Nessun segno di deglutizione, nessun movimento. Ricci si morse il labbro.

L’ultimo test. Il dottore prese con mano salda il tubo che pompava ossigeno nel corpo incosciente. Diede un forte strattone. «Boccheggia, ragazzo mio, boccheggia…» mormorò «Dimostrami che ci provi a respirare, che ci tieni ad avere l’aria nei polmoni!»

Niente.

Ricci si morse l’unghia del pollice. Dannazione! Si volse verso il monitor dell’encefalo. Completamente piatto. Nessun segno di attività cerebrale da… due ore?

Si passò una mano tra i capelli, si lasciò sfuggire un borbottio senza senso e si accasciò sulla sedia per le visite.

Morte cerebrale.

Il ragazzo non si sarebbe mai più risvegliato.

Il battito del cuore artificiale, il respiro costretto a forza dall’apparecchio… niente di tutto questo avrebbe potuto riportarlo tra i vivi. Mancini Carlo era morto.

«Così giovane…» il dottor Ricci si portò la mano alla fronte, poi la fece scivolare sugli occhi e infine sul mento «Così giovane».

Incrociò le braccia sul petto. C’erano ancora alcuni esami da fare perché tutto fosse in regola a livello legale, ma se ne poteva occupare qualcun altro. Tanto non sarebbe cambiato niente.

Ricci si sistemò il colletto. Aveva gli occhi pesanti.

La porta cigolò, ed il dottore trasalì. Era Angela, seguita da una ragazza. Quella ragazza.

L’infermiera gli sorrise «Dottore, so che manca ancora un po' all’orario di visita, ma per questa volta non sarebbe possibile fare una piccola eccezione?»

La ragazza fece un passo avanti. Il suo sguardo era rivolto verso il basso «Mi dispiace, è che oggi è l’unico giorno questa settimana che potevo venire, e fra poco…»

Continuò a parlare, ma Ricci non afferrò quello che diceva. Quella ragazza. Così gentile, così premurosa. Quattro mesi era venuta a trovare il suo moroso in ospedale. Si torse le mani. Proprio vero che a certe cose non ci si abitua mai. Poteva lasciare che glielo dicesse qualcun altro… no, meritava di saperlo subito.

Com’è che si chiamava? Chiara? Mara? No, no.

Si schiarì la gola «Sara?»

Il suo tono era stato molto meno deciso di quanto avesse voluto. La ragazza si attorcigliò una ciocca di capelli «Sì, dottore?»

«Signorina» Ricci inspirò «Dovrei dirle una cosa»

 

FINE





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