‘Cause there we are again in the
middle of the night
We’re dancin’ ‘round the kitchen in
the refrigerator light
And there we are again when nobody
had to know
You kept me like a secret, but I
kept you like an oath
Well, maybe we got lost in
translation
Maybe I asked for too much
But
maybe this thing was a masterpiece ‘til you tore it all up
Il suo
fiato è caldo contro al tuo collo,
la sua carne come burro sotto le tue dita. Ti gira la testa e sei
perfettamente
cosciente che non sia solo colpa del troppo alcol né della stanchezza
per
l’orario.
Riesci
a percepire solo il suo respiro, il
suo profumo, lo stesso che ti ha invaso la mente e stuzzicato i nervi
per
un’infinità; non sai dove finisci tu e dove inizia lei, perché non c’è
un
inizio e non c’è una fine, con lei non c’è mai stato.
La
stringi, la baci, la respiri come se da
ciò dipendesse la tua vita stessa, e anche nel momento in cui la senti
tendersi
contro di te, pelle contro pelle, calore contro calore, pensi che non
possa
essere reale, che i vostri corpi non possano incastrarsi così bene.
Mormora
roca il tuo nome al tuo orecchio e tu sai che l’universo ti ha
condannato a
lei.
« I’m
so fucking in love with you, Ichigo, » sussurri
quando è ormai troppo
tardi, quando non siete mai stati così vicini, quando sei letteralmente
parte
di lei e in lei sprofondi, ti perdi, come nel più meraviglioso degli
abissi.
In
caduta libera.
§§§
Tutti gli anni.
Tutti gli anni
riescono a incastrarti e a farti
partecipare alla festa di fine anno. Non solo partecipare, ma pure
organizzare.
Allestire. Finanziare.
Senza mai fallire.
A quante siete
arrivati ora?
Sbuffi e lanci uno
sguardo alla sala
gremita di gente, non riconoscendo praticamente nessun viso. Che senso
ha, a
parte per pubblicità di cui sei sicuro non abbiate bisogno?
Dovresti smetterla di
accontentarle.
Dall’anno prossimo non
succederà più.
Promesso.
Devi solo mantenere la
parola con te stesso.
Costeggiando il lato
del salone, il più
possibile vicino al muro e al tempo stesso cercando di non attirare
l’attenzione nel tuo volersi fondere con le pareti, ti allontani dalla
massa e ti
intrufoli in uno dei corridoi di quel salone per ricevimenti, alla
ricerca di
un’oasi di solitudine.
« Ah, mi stavo giusto
chiedendo quanto ci
avresti messo a scappare. »
Il sarcasmo improvviso
ti fa alzare un
sopracciglio mentre ti fermi e scruti attraverso la fessura di una
porta
socchiusa.
« E tu che ci fai qui,
sentiamo? »
Ichigo,
incredibilmente in un abito di
velluto verde scuro, sorride e si versa un secondo bicchiere d’acqua: «
Stavo
morendo di sete, e di là servono solo champagne, ho bisogno di una
pausa. »
Tu entri lentamente,
infilando le mani in
tasca: « E invece che chiedere a uno dei venti camerieri, ti infili di
soppiatto in cucina. Al buio. »
Lei sbuffa e ti guarda
da sopra l’orlo di cristallo:
« Perché tu cosa stai facendo? »
« Una passeggiata. »
« Certo, » ribatte,
non convinta, « Ti
conosco, Shirogane, stavi per dartela a gambe. »
Tu
fai un verso sarcastico dal naso e un
altro paio di passi, imponendoti sia di ignorare quel tonfo al petto
alle sue
parole sia di ricordarti da quanti anni ti costringi a ignorarlo.
« Non è il mio genere
di cose, e lo sai. Lo
sapete. Eppure, tutti gli anni mi costringete a farlo. »
« Non ti costringiamo
proprio a niente, »
replica quasi offesa, « Sei tu che dici di sì. Anzi, sei proprio tu che
hai
iniziato, dieci anni fa con la festa a cui ha suonato Mary. »
« Don’t
remind me, please. »
Lei ridacchia e,
nonostante abbia detto di
avere bisogno di una pausa, afferra due dei calici ordinatamente divisi
su dei
vassoi, stappa una delle bottiglie ancora chiuse e versa a entrambi un
altro
bicchiere di champagne, riempendolo certo di più di quanto farebbe un
cameriere. Tu, come al solito, non puoi fare a meno di osservarla, i
suoi
contorni un po’ sfumati nella luce bluastra che filtra dal frigorifero
a
vetrina, i capelli raccolti in un’elegante treccia laterale, le guance
tonde su
cui non puoi non cogliere il rossore dell’alcol, anche al buio, le
labbra tinte
di un ricco borgogna. Stringi le dita nelle tasche, poi ringrazi con un
filo di
voce quando ti passa il bicchiere.
« Buone feste,
Shirogane-kun, » fa
tintinnare il cristallo contro al tuo, « Tu non hai fame? »
« Hai delle lamentele
anche sul catering,
Ichigo? »
Lei ti fa una
linguaccia e poi ti dà le
spalle: « Era tutto molto buono, però le porzioni erano minuscole. »
« Si chiama finger
food apposta. »
« E poi Minto continua
a sgridarmi che non
devo riempirmi la bocca come una volgarotta di provincia,
quindi almeno
qui posso starmene in pace a mangiare.
»
Tu prendi un altro
sorso di champagne,
lasciando che le bollicine ti pizzichino la lingua, mentre lei quasi
spiaccica
il naso contro al vetro, il fiocco sul retro del vestito che
praticamente
domina il tuo intero campo visivo.
« Dovremmo prendere
uno di questi per il
Caffè, » esclama golosa, « Si può ammirare tutto. »
« Perché, ti costa
fatica aprirlo per sbirciarci
dentro? »
« Costa energia
elettrica! » replica furba,
guardandoti da sopra la spalla e alzando un dito supponente e un
sopracciglio
divertito, e tu non puoi evitare di ridacchiare.
Finalmente apre il
frigorifero e ne tira
fuori un vassoio di frittatine tonde alle verdure, sospirando un po’
sconsolata: « Non saranno il massimo da fredde, ma okay. »
Tu non dici niente e
continui a guardarla
mentre inizia a masticare con gusto. Forse ha incrociato i tuoi occhi
due volte
da quando l’hai scovata, e non avete passato neanche un minuto in
silenzio, e
tu sai benissimo perché lo sta facendo: perché è nervosa, a disagio,
nonostante
si stia sforzando al massimo di nasconderlo, e tu ti chiedi in fondo
perché
abbia attirato la tua attenzione, perché non ti abbia lasciato
continuare lungo
il corridoio se fatica a rimanere da sola con te.
Sai anche che
dopotutto la dicotomia dei
suoi comportamenti è esattamente il problema.
Prendi un altro sorso
mentre lei si lecca i
baffi e trangugia un altro aperitivo.
« Non ne vuoi nemmeno
uno? »
« No, thank you, » un altro sorso ancora e il
bicchiere si svuota, « Not hungry. »
Al che alza gli occhi
su di te per una
frazione di secondo, abbastanza per farti capire che ti sta sgridando
per
l’aver bevuto troppo veloce avendo mangiato poco – come se potesse
farti la
predica – e poi sorride: « Non sai cosa ti perdi. »
« Li ho scelti io, »
le ricordi, afferrando
la bottiglia e rabboccando i calici di entrambi, « Dopo una cauta
selezione. Me
ne intendo di cameriere. »
Non intendevi per
forza un doppio senso, ma
lei arrossisce all’improvviso, strabuzza gli occhi e rischia di
soffocarsi con
il suo ultimo boccone, prendendo a tossire mentre ti squadra
infastidita e
imbarazzata; tu non riesci a trattenerti dal ridere né dal
picchiettarle sulla
schiena per aiutarla.
« Ma cosa… ah, lascia
perdere! »
Svuota metà calice in
un colpo e sospira
pesantemente, riprendendo fiato e sfregandosi il petto coperto di
velluto; la
tua mano è ancora posata sulla sua schiena, puoi sentire il ritmo
erratico del
suo respirare. È più forte di te, sai che non dovresti, ma le tue dita
si
contraggono sul tessuto e in una mossa la tiri a te.
« Possiamo smetterla
con questi giochetti,
Ichigo? » mormori tra il rubino dei suoi capelli, la tua mano che si
assesta
sull’incavo dei suoi fianchi e lei che poggia la fronte contro la tua
camicia.
« Scusa, » borbotta,
sempre incapace di
guardarti, sempre bisognosa di un contatto con te, « È che non so… cosa
fare. »
Cala il silenzio
mentre lei esala e pare
rilassarsi un istante nella tua presa, che non accenna ad allentarsi.
Posi il
bicchiere sul tavolo e la stringi anche con l’altro braccio; sai che
anche lei
ci sta pensando, a tutte le volte che siete stati così, all’ultima
volta che è
stata tra le tue braccia.
Forse però a lei non
brucia così tanto.
La
senti respirare, le mani rannicchiate
contro al tuo petto che ancora stringono il cristallo,
e per una volta parli prima di riflettere, a
metà fra una risposta e una preghiera.
« Vieni via con me,
Ichigo. »
Sa benissimo che non
intendi ora, in quel
momento; ma sa anche benissimo che ti basterebbe pure solo quello.
Sospira e
poi si irrigidisce, ti sembra che stia inspirando il tuo profumo prima
che
scuota la testa e faccia un passo indietro che non crea altro che
l’ennesima
voragine fra di voi.
« Non posso, »
sussurra scuotendo la testa,
e per un brevissimo istante si riappoggia a te, « Io ho… sarebbe tutto…
»
Sarebbe tutto troppo
complicato, non c’è
nemmeno bisogno che te lo dica. Ne sei pienamente conscio, lo sei
sempre stato.
Forse è proprio ciò che ti ha fatto innamorare di lei, ed è ciò che
continuerà
a scavarti un cratere nel petto.
La totale, abbacinante
consapevolezza che voi
due non sarete mai ciò che lei vuole. Che tu non sei il perfetto
cavaliere
delle favole, quello che continua a scegliere nonostante poi corra da
te.
Che tutto ciò che è
successo è stato di più
di quanto avresti mai sperato, e molto più di quanto ti fosse mai stato
concesso.
Allora ti sposti tu,
anche se il tuo intero
essere ti grida il contrario, ti prega di insistere per una volta, di
tentare
di convincerla che ne varrebbe la pena, che non ci sarebbe nulla di cui
avere
paura se foste insieme, ma a che pro?
Hai chiesto troppo, e
lo sai benissimo.
È il passo più
difficile della tua vita.
« Chi è
che se la sta dando a gambe ora, Momomiya? »
Non
aspetti nemmeno che risponda, non le rivolgi neanche un’ultima
occhiata; la
luce fredda del frigorifero le tinge il viso di una strana sfumatura
malaticcia, e non hai più neanche voglia di chiederti se sia solo
quello a
coprirlo di sofferenza.
Hai
smesso di essere coraggioso per entrambi.
§§§
Traccia i
contorni del tuo corpo come se
lei stessa non li conoscesse, come se non ci credesse. C’è un respiro
di
distanza tra di voi, il suo calore t’irradia e si mischia al tuo. Temi
che un
solo singulto, un solo movimento possa spezzare la bolla in cui siete
sospesi.
La senti così fragile e così pesante al tempo stesso che devi
concentrarti per
inalare, per intrappolare ogni istante e imprimertelo in ogni cellula.
I
suoi polpastrelli ti sfiorano di nuovo
uno zigomo e poi sussurra: « È un segreto. »
Le
tue dita si contraggono involontariamente
sulla sua schiena, ma annuisci prima di sporgerti a baciarla ancora
perché non
puoi farne a meno.
Non
qui, non ora, forse mai più. Però giuri
a te stesso che andrà bene.
E
cadi.
Running scared, I was there
I remember it all too well
Adesso vi dico una cosa che scommetto non vi
sconvolgerà: questa
fanfiction è nata mesi e mesi fa, a Dicembre 2021 più o meno, ovvero
dopo un
mese ininterrotto di ascolti di All too well (10 minute
version) (Taylor’s
version) (From the vault) di Taylor Swift, da
cui prende titolo,
versi, ispirazione, tutto xD
Poi ha languito perché era troppo triste pure per
me, ma stamani ho
preso una pausa dalla riscrittura di M&C (che è in pausa…. Da
un po’ :D) perché
– in attesa che esca Midnights e visto che sta
tornando l’autunno – è
tornata una botta di ispirazione grazie anche alla cinquemillesima
volta che
riascolto la canzone.
E basta, smetto di dirvi che finirò un giorno di
torturare
Shirogane, non ci credo neanche più io :3
Bacioni a tutti e buona settimana, grazie in
anticipo per ogni
lettura <3
Ps:
ovviamente non vi devo dire di andare
ad ascoltarla,
vero? Vero? :D
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