Gli Ultimi Maghi

di Zobeyde
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RACCONTAMI UNA BUGIA




Creare un ambiente idoneo alla crescita dell'Anthea non fu semplice, visto che ogni elemento naturale risentiva dell'influsso della Torre. Jim e Alycia riempirono di terra due vasche da bagno e le sistemarono in un portico sul lato est dello Sherwood, quello che catturava maggiormente il calore dei raggi del sole; si riteneva che sole e aria fresca fossero indispensabili per il recupero dei malati, perciò una delle pareti era costituita interamente da una veranda, dalla quale si godeva una bella vista del frutteto e del prato che circondava l'ospedale. Costruirono un sistema di tubature che dai bagni portasse acqua alle vasche-vaso, dopodiché piantarono una manciata di semi e cercarono di mantenere l'ambiente caldo. Purtroppo, il cielo costantemente coperto impediva al sole di illuminare adeguatamente le piantine, ma speravano che la musica bastasse a stimolarne la crescita anche in quelle condizioni.
«É strano» disse Alycia, mentre con l'aiuto di Jim trasportavano il grammofono dalla zona ricreativa alla veranda. «Da quando siamo partiti non ci siamo imbattuti in nessuno Zelota. Siamo gli unici esseri umani nel raggio di miglia, è praticamente impossibile non si siano ancora accorti della nostra presenza.»
Jim convenne che era sospetto; continuavano a limitare l'uso della magia, a organizzare turni di guardia e Wiglaf restava di vedetta tutto il giorno, ma nessuno si era mai avvicinato all'ospedale. 
Ci sta aspettando. 
Era più di un presentimento, era una certezza che scaturiva dal profondo: i morsi lasciati dalla Creatura Vuota sulla sua spalla ormai si erano cicatrizzati, eppure di tanto in tanto tornavano a pungolarlo per ricordargli che non erano semplici ferite. Rappresentavano il legame con il Vuoto e con Lucindra e Jim aveva la sensazione che il risvegliarsi del dolore fosse collegato all'umore della strega. Era trionfante? Arrabbiata? Sofferente? Difficile dirlo con precisione. Forse era questo che intendeva per coscienza collettiva.
Non ci volle molto perché avvistassero la Torre in lontananza, un sottile squarcio nero tra cielo e terra. Quando l’aveva vista per la prima volta, in astrale, Jim ne era rimasto sconvolto, ma adesso era quasi rassicurante alzare lo sguardo e sapere di trovarla là; a volte si riscopriva a contemplarla per lunghi istanti, cullato dai sussurri nella sua testa e riusciva a tornare in sé solo quando Alycia lo chiamava per avere il suo aiuto.
Fortunatamente, la coltura dell'Anthea riempiva le loro giornate: Alycia si dedicava alle sue piantine con dedizione, restava ferma a irradiarle con la magia per ore e quando si dava il cambio con Jim, preparava pozioni rinvigorenti, mentre il grammofono riproduceva musica senza sosta. Quando iniziarono a spuntare i primi timidi germogli, la gioia fu tale che si presero per mano e iniziarono a ballare.
«É presto per cantare vittoria» disse Alycia, cercando di riportarli entrambi coi piedi per terra. «C'è ancora molto lavoro da fare.»
Prelevò del sangue da Jim e ne lasciò cadere alcune gocce nel terriccio e sui pistilli ancora acerbi dell'Anthea. Dovettero passare ancora alcuni giorni prima di estrarre la linfa da cui avrebbero ottenuto l'antidoto. L'attesa era snervante ma Jim cercava di rendersi utile come poteva, passando al setaccio la clinica alla ricerca di attrezzature e sbriciolando pillole per ricavarne le sostanze chimiche di cui Alycia aveva bisogno. Lavoravano fianco a fianco incessantemente, finché un giorno, Alycia esaminò un campione di linfa al microscopio e annunciò: «Pare che le vostre cellule si siano combinate! Guarda: l'Anthea ha inglobato la Materia Vuota contenuta nel tuo sangue, non avevo mai visto niente di simile!»
Jim sorrise e le posò un bacio fra i capelli. «Questa è la prova che al Cerchio d'Oro non capiscono un'emerita fava: saresti stata la loro alchimista migliore. Sono sicuro che quando salveremo Arcanta, ti supplicheranno di tornare!»
Lei rimosse gli occhiali e incrociò il suo sguardo. «Chi dice che io voglia tornare? Mio padre su una cosa non sbagliava: le conoscenze di Arcanta potrebbero davvero cambiare questo mondo in meglio, ma ai Decani non interessa salvare vite. Ora che lo so, non intendo più farne parte.»
«Ma era il tuo obiettivo» replicò Jim, stupito. «Volevi diventare come tua madre, no?»
«Mia madre si è sacrificata per permettere ad altri di vivere» rispose lei, accigliata. «Non ha senso possedere poteri quasi divini se restiamo indifferenti alla sofferenza umana: non lo avrei mai capito se non fosse stato per te.»
«Me?»
«Se non mi avessi mostrato come la magia possa essere usata per aiutare gli altri, sarei rimasta a servire un branco di ottusi burocrati senz'anima» completò lei, guardandolo con un'intensità che quasi lo intimidì. «Sei un ottimo mago, Jim. Ora capisco cosa mio padre vedesse in te.»
Lui tese la mascella. Si sentì uno sciocco, ma ebbe l'impressione di affogare letteralmente nelle proprie emozioni. Distolse in fretta lo sguardo, riconoscente e turbato insieme: «Vado a cercare altra legna o stanotte congeleremo.»


Era una mattinata grigia e fredda e la terra brulla del frutteto scricchiolava sotto le sue suole: l'inverno era definitivamente arrivato e a Jim sembrò quasi di sentire odore di neve nell'aria.  Mentre vagava tra gli alberi spogli e rinsecchiti, vide sul terreno un cumulo di piume arruffate. 
Un pettirosso morto. Jim si accovacciò e raccolse tra le mani coperte da guanti la piccola creatura, così fragile e misera; Margot gli aveva raccontato che esisteva una simbologia antica sui pettirossi, messaggeri di cambiamento e di speranza. Trovarne uno morto rappresentava un cattivo presagio per l'anno venturo.
Jim rivolse uno sguardo alla Torre Nera che vorticava all'orizzonte. Secondo Alycia, per i maghi era un dovere usare la magia per qualcosa di più alto della mera erudizione e Solomon Blake aveva cercato di fargli capire che persino la sua natura di Plasmavuoto poteva essere indirizzata verso qualcosa di buono.
Si sfilò un guanto tirandolo via coi denti e scoprì la mano segnata dalla Magia Vuota, nera dalle dita fino al palmo. Coprì il corpicino del pettirosso e chiuse gli occhi.
Percepì il fiume attorno a sé, le acque nere e vorticanti del Vuoto. Un coro di voci ultraterrene si levò in segno di benvenuto, mentre si immergeva sempre più nel gelo. Il buio lo circondò, un deserto arido e inospitale, ma in esso vide baluginare una luce. Era diversa da quella del Tutto, dal suo calore bruciante. Questa fiamma ardeva bassa e malinconica, quasi fredda. Jim allungò una mano per afferrarla...
Qualcosa si agitò sotto il suo palmo, facendogli il solletico. Sollevò la mano e il pettirosso arruffò le piume, poi spiccò il volo come un proiettile e sparì oltre le fronde di un melo, diffondendo il suo vivo cinguettio nel cielo.
La memoria gli restituì improvvisamente un ricordo appartenuto a una vita lontana, relegato in un angolo della sua mente: il ricordo di sua madre, seduta insieme a lui nel giardino dietro la fattoria, che creava dal niente un uccellino e gli insegnava a non aver paura del Grande Cambiamento che, volente o nolente, avrebbe portato nel mondo col suo potere. Il potere di plasmare la realtà, di distruggere sì, ma anche di creare. Di donare seconde possibilità, forse. Come per suo padre. 


«Stasera è la Vigilia di Natale.»
Jim, Valdar e Alycia erano riuniti nell'atrio dell'ospedale, imbacuccati nelle coperte attorno alla stufa; fuori dalle finestre, delicati fiocchi di neve avevano iniziato a cadere senza far rumore.
«Davvero?» domandò Alycia dal suo fagotto di coperte, mentre sfogliava uno dei libri di alchimia di suo padre e sorseggiava la zuppa preparata da Valdar.
«C'è un calendario alla reception» spiegò Jim. «Oggi è il 24. Se l'avessi notato prima avrei almeno addobbato un albero...» 
«Perché avresti dovuto?»
«Perché è Natale» rispose Jim, sconcertato. «A Natale si prepara l'albero: quello con le candele e i bastoncini di zucchero, dove Santa Claus lascia i regali...»
«Non saprei, ad Arcanta non ho mai festeggiato il Natale.»
«Stai scherzando, vero?!»
«É una festa Mancante» rispose lei con semplicità. «E prima ancora una celebrazione pagana legata al culto del Sole, perciò un retaggio del...»
«Vecchio Mondo» completò lui con un sospiro. «Devi aver avuto un'infanzia tristissima!»
«Però abbiamo la Festa delle Luci» disse Alycia. «Si tiene il 21 dicembre: celebra l'accensione della prima lanterna alla Cittadella da parte dei Fondatori. In quell'occasione, la fortezza a spirale brilla tutta la notte, si organizzano cene e ci si scambia doni, libri più che altro. Somiglia un po' al vostro Natale, se ci pensi.»
Jim ridacchiò. «Tutto il mondo è paese!»
Alycia chiuse il libro e mise da parte la ciotola di zuppa. «Oggi pomeriggio ho filtrato l'antidoto: è pronto.»
Il sorriso di Jim si attenuò un poco. «Oh. Bene.»
«Purtroppo non abbiamo modo di verificare che funzioni» replicò Alycia.
 «Dovremo fare noi stessi da cavie. Io e Valdar.»
«Aspetta, possiamo lavorarci ancora un po'! Per essere sicuri...»
«Jim, non abbiamo tempo, la Torre è vicinissima: se non assumiamo subito l'antidoto potrebbe inghiottirci prima di essere pronti.»
Jim si agitò sotto la coperta, irrequieto. Quei giorni trascorsi allo Sherwood a prendersi cura dell'Anthea erano stati i più sereni da quando aveva lasciato la magione Winters, tanto che aveva potuto crogiolarsi nell'illusione che tutto fosse tornato come prima.
«E poi» lo esortò Alycia. «Prima riusciamo a entrare, prima salveremo i miei genitori e i tuoi amici.»
Lui lasciò andare un profondo respiro. «Hai ragione.»
Lei si scambiò uno sguardo d'intesa con Valdar, dopodiché tirò fuori due flaconcini contenenti una sostanza dalla consistenza oleosa, che screziava dal verde scuro al nero.
«Alla salute» disse, offrendo a Jim un sorriso ironico dannatamente simile a quello di suo padre. Lui deglutì, mentre guardava la ragazza e l’orco mandare giù alcuni sorsi.
«Allora?» domandò ansioso. «Come vi sentite?»
Alycia si passò la lingua sulle labbra. «Non sa di niente. Che strano, ci avevo aggiunto succo di lampone.»
«Ok, ma ti senti...diversa?»
Lei si accigliò per un momento, come se cercasse di sondare il proprio corpo alla ricerca di sintomi. Valdar invece fece un rutto. I due ragazzi si fissarono e scoppiarono a ridere.
Trascorsero il resto della serata chiacchierando, scambiandosi racconti e battute, cercando di allontanare il pensiero di ciò che li aspettava, per quanto possibile. Quando fu tempo di andare a dormire, Valdar si offrì di fare il turno di guardia, visto che aveva riposato tutto il giorno e lasciò l'atrio per ispezionare il piano terra.
Jim però non riusciva a chiudere occhio. L'indomani avrebbero tentato di avvicinarsi alla Torre per studiarla più da vicino e organizzare l'attacco. Arcanta non aveva risposto a nessuno dei loro appelli, il che significava che se la sarebbero dovuta sbrigare da soli. Se una parte di lui si sforzava di essere fiduciosa, che coi suoi poteri, i muscoli di Valdar e il cervello di Alycia l'avrebbero spuntata alla fine, ce n'era un'altra che continuava a spingerlo affinché portasse Alycia il più lontano possibile da lì. Avrebbe potuto convincerla che non valeva la pena morire così, che avevano ancora tanti anni da vivere, tante cose da fare, posti da vedere insieme...
Ma che genere di vita potrei offrirle?
La guardò dormire accoccolata al suo fianco, ascoltò il suo respiro e una morsa gli attanagliò il petto. Aveva rinunciato ad Arcanta per lui, aveva perduto la sua famiglia, la sua gente... cosa avrebbero fatto, nell'ipotesi di riuscire a scamparla? Gli Arcistregoni avrebbero ripreso a dargli la caccia e forse anche gli Zeloti. Sarebbero stati condannati a fuggire in eterno, a nascondersi come suo padre e sua madre: loro erano la dimostrazione che quel genere di storie non finivano mai bene.
Quando il rumore dei suoi pensieri si fece troppo assordante, decise di fare due passi. Vagò un po' senza meta per i corridoi gelidi in cui regnava un silenzio di tomba e decise che tanto valeva uscire a prendere una boccata d'aria per schiarirsi le idee.
Sui gradini dell'ingresso trovò Valdar, i grossi gomiti sulle ginocchia e il testone pelato dalle orecchie puntute spolverato di neve; una delle cose che aveva più apprezzato della loro permanenza allo Sherwood era il fatto che avessero recuperato tutti il loro aspetto.
«Non mi azzanni se ti faccio compagnia, vero?» chiese Jim mentre gli sedeva accanto, sfregandosi le mani.  
L’orco gli rivolse una breve occhiata da sopra la spallona. «Jim riposa.»
«Non ci riesco. E poi, Alycia continua a tirarsi tutta la coperta...»
«Tu spaventato.»
«Tu no?» Tacque per un momento, poi disse: «Puoi andartene, sai? Anzi, penso proprio che dovresti: questa non è la tua battaglia, posso farti somigliare a un Mancante per sempre, pare che questi maledetti poteri da Plasmavuoto mi permettano di fare cose impossibili.  Puoi ricominciare in qualsiasi posto desideri, aprirti un ristorante e lasciarti questa pazzia alle spalle...»
«Valdar non può andare» rispose lui con voce bassa, rauca e straordinariamente tranquilla.
«Ma sì che puoi!» si infuriò Jim. «Blake probabilmente ha già tirato le cuoia, non c'è più niente che ti lega a lui...!»
«Jim non capisce.» Valdar lo guardò, i piccoli occhi neri che scintillavano nella poca luce come sassi di fiume. «Solomon Blake salvato vita a Valdar.»
«Credevo che avessi cercato di ucciderlo.»
«Valdar un tempo grande guerriero» disse l’orco con un'intonazione fiera nella voce. «Grande guerriero, con moglie e figlio. Lui felice, cacciava e cucinava per loro. Un giorno, uomini malvagi attaccato con fuoco villaggio di Valdar. Dolce Pomona e Daltar morti. Poi loro messo a Valdar catene e lui fare guardia a Libro Nero, come cane.»
«Cristo santo» fece Jim, addolorato. «É terribile, perché non hai mai detto che avevi una famiglia?»
«Jim non ha mai chiesto storia di Valdar.»
«Hai ragione» convenne il ragazzo. «Poi, cosa ti è successo?»
«Solomon Blake cerca di rubare Libro Nero» raccontò lui. «Lui giovane e poco saggio, Valdar costretto a ucciderlo. Solomon Blake grande mago, col potere di uccidere Valdar...ma Solomon Blake risparmia Valdar e poi lo libera. Così Valdar ora salva Solomon Blake e sua famiglia.» Batté con forza il pugno contro il torace. «Perché Valdar ancora grande guerriero, dentro.»
«Sono sicuro che è così» disse Jim. «Ti fa onore, davvero. Ma Valdar, non serve che tu...»
«Jim e piccola Blake unica famiglia rimasta per Valdar» tagliò corto lui, snudando le zanne. «Valdar non lascia morire due volte sua famiglia.» 
Si girò verso il prato e borbottò: «Tu riposare ora. Piccoli maghi bisogno di dormire più di orchi: voi delicati come topolini.»
Jim non avrebbe mai pensato di potersi commuovere per colpa di quello stupido orco. Si stropicciò il naso, poi gli diede una maldestra pacca sulla spalla e tornò dentro.
Trovò Alycia sveglia, in piedi vicino una finestra. Guardava la neve cadere, con la coperta sulle spalle a mo’ di mantello. «Dove sei stato?»
«Avevo bisogno di sgranchirmi le gambe.» 
Lei gli venne vicino, lo prese per mano. «Vieni, voglio farti vedere una cosa.»
Perplesso, lui la seguì su per le scale. Alycia aprì una porta al secondo piano, rivelando un ufficio rivestito di legno, con il camino, un'intera parete occupata da libri e una scrivania con sopra una di quelle belle lampade in ottone col paralume di vetro verde.
«Mi sa che hai trovato l'ufficio del direttore» commentò Jim, osservando le onorificenze accademiche incorniciate e le illustrazioni di anatomia affisse alle pareti.
«Non solo.»
Da un cassetto della scrivania, Alycia tirò fuori una bottiglia contenente un liquido ambrato e la fece oscillare. «Non so cosa sia, ma dall'odore sembra buono.»
La mostrò a Jim, che la stappò, l'annusò e sorrise. «Il nostro signor dottore è un estimatore del brandy al caramello.»
«Non è furto se ne assaggiamo un po', vero?»
Jim si mise a ridere. «Gli abbiamo trasformato il sanatorio in una serra-base segreta-laboratorio di alchimia. E poi, domani salveremo il mondo o moriremo provandoci. Ce lo deve.»
Quella notte rischiava di non passare mai; perciò, accesero il camino e si godettero il tepore del fuoco seduti sul pavimento, con le schiene premute contro la libreria. Jim porse la bottiglia ad Alycia che fece il primo sorso e disse: «Avresti mai immaginato di ritrovarti a bere brandy in un ospedale abbandonato insieme a me in attesa della Fine del Mondo?»
«Considerando che sei mesi fa hai cercato di strangolarmi sul prato di casa Winters?»
«Solo dopo averti fatto notare che puzzavi.»
«Forse un po’ era vero» ridacchiò lui. «Sono successe un sacco di cose che non avrei mai immaginato.»
«Hai ragione.» Alycia mandò giù un altro sorso, dopodiché assunse un'espressione pensierosa. «Infatti, in questi giorni riflettevo su una cosa.»
«Che cosa?»
«Queste settimane senza usare la magia o almeno limitandola allo stretto necessario...non sono state poi così male» disse lei. «Sono state dure, è vero...»
«Suppongo che prima non avessi mai avuto bisogno di rammendarti i calzini o fare il bucato.»
«Ho vissuto circondata dalla magia da quando sono nata» convenne Alycia, stringendosi nelle spalle. «Ma adesso non posso non chiedermi: mi servirebbe davvero per essere felice?»
Jim la ascoltò attentamente, ma intuì subito dove quel discorso li avrebbe portati. «Alycia...»
«Insomma, andiamo, che cosa dovrei farmene di questi poteri? Ad Arcanta possono tranquillamente fare a meno di me e io di loro. Una volta che tutto questo sarà finito potremmo essere semplicemente Jim e Alycia, due ragazzi qualunque, senza poteri, senza il destino del mondo sulle spalle...»
«Non ti chiederei mai di rinunciare a tutto ciò che sei per me.»
«Non me lo stai chiedendo, infatti.»
«Non cambierebbe niente» rispose Jim amaramente. «Ci hanno provato anche i miei genitori: mia madre ha rinunciato alla magia per stare con mio padre e hanno trascorso la vita in fuga da tutti e tutto...»
«Vorrà dire che gireremo il mondo, potrebbe essere anche divertente. Una specie di avventura...»
«No, non lo sarà» replicò Jim, serio. «Non è il genere di vita che voglio darti. Non è la vita che ci meritiamo. Se dovessimo fermare Lucindra, se ci fosse un “domani” per il nostro mondo, non trascorrerò gli anni che mi restano scappando in attesa che il prossimo mago fuori di testa mi voglia sfruttare per i suoi scopi. Seguirò il piano di tuo padre, andrò ad Arcanta e mi costituirò.»
«Jim...»
«E anche se i Decani non dovessero essere d'accordo, farò in modo di restare chiuso da qualche parte finché il mondo si dimenticherà della mia esistenza» concluse Jim, con una risolutezza che non sapeva neppure di avere. «É l'unico modo per mettere fine a questa storia, per tenere tutti al sicuro e lo sai.»
Alycia lo guardò fisso, le labbra strette e gli occhi colmi di lacrime. «Perché sentire la verità deve sempre fare così male?»
«Lucindra mi ha detto che i maghi una volta non mentivano» rispose Jim, accennando un sorriso triste. «Probabilmente, è per questo che hanno iniziato a farlo.»
Alycia si sporse verso di lui e posò una mano sulla sua guancia. Un tocco caldo e gentile, che gli fece battere forte il cuore. «Raccontami una bugia. Solo una, solo per stanotte: dimmi che domani riusciremo a tornare sani e salvi dalla Torre Nera, dimmi che andrà tutto bene. Che mi porterai di nuovo a ballare e magari anche a Coney Island un giorno.»
Il respiro di Jim inciampò in una piccola risata, mentre Alycia gli asciugava una lacrima col pollice; non si era neanche accorto di aver cominciato a piangere. 
«Ti amo» disse. «Qualunque cosa accadrà...»
Le labbra di Alycia si posarono sulle sue senza dargli modo di finire. Lei non aveva risposto, ma non aveva importanza: quel bacio racchiudeva tutto ciò che non avevano avuto il tempo o il coraggio di dirsi, tutto ciò che forse non si sarebbero detti mai più.
Jim mise via il brandy, lasciò perdere il passato e il futuro e continuò a baciare Alycia, mentre lei lo trascinava con sé sul pavimento. Si spogliarono con urgenza, strato dopo strato, finché a separarli non ci fu più nulla e furono per la prima volta pelle contro pelle; soli, mentre il mondo andava verso il baratro, al sicuro dalla tempesta nella loro piccola isola di felicità, fatta di baci al sapore di caramello, di sospiri, di movimenti prima tesi e impacciati, poi lenti e regolari come la neve che cadeva oltre le finestre. E dopo tanto tempo, Jim ebbe finalmente la sensazione di essere completo.

 
 




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