Figli di padri rinnegati

di Evali
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Mi dissolverò come il vento, poichè io ti vedo ma tu non vedi me
 
 
Strofinò con forza le scodelle e gli altri utensili da cucina sporchi, il morale a terra e la testa infestata di pensieri in quella dimora selvaggia e semivuota.
Improvvisamente, gli occhi le si riempirono di lacrime e le mani iniziarono a tremarle.
Si bloccò e si aggrappò ai bordi della bacinella piena di acqua sporca.
Si lasciò andare e pianse, silenziosamente.
Qualche secondo dopo, la porta si aprì, facendola riscuotere e sussultare.
Heloisa andò incontro a sua cugina, gli occhi spalancati e lo sguardo perso.
La sciamana non le diede il tempo di dire nulla, che lanciò uno straccio per terra.
Heloisa guardò il cencio ai suoi piedi e solo osservandolo più attentamente si accorse che non fosse uno straccio, bensì un abito. Estremamente sgualcito, strappato, vecchio, di un tessuto che non era più comune a Bliaint da secoli. In più, nonostante il terriccio presente sul vecchio cencio, era ben visibile che fosse anche sporco di sangue.
- Avevi ragione – esordì Imogene, gli occhi bassi, lo sguardo estremamente cupo. – Ha scritto tutto quello che le è accaduto, con il sangue, sui suoi vestiti. Poi li ha seppelliti nella cripta in cui era tenuta prigioniera. Ti consiglio di metterti seduta, di pulirti quelle lacrime dal viso, e di prendere un lungo e bel respiro, prima di iniziare a leggere quello che c’è scritto. È stata in grado di turbare persino me.
Quelle parole da parte della cugina implicavano una serie di conseguenze che Heloisa fece fatica a metabolizzare tutte insieme:
Nellie è apparsa a lei, in sogno, il giorno della Festa di Beltane.
Tra tutti, proprio a Imogene. È stata lei la prescelta, per trovare la sua veste.
- Sono passati giorni dalla festa di Beltane… - esalò Heloisa. - Non mi hai più fatto avere notizie, non sei più venuta…
- Ho avuto alcune questioni in sospeso da risolvere.
E poi, dovevo trovare la veste.
Inoltre, avevi cibo a sufficienza per sfamarvi entrambi.
Anche se… per lui non è necessario – commentò Imogene posando lo sguardo sul povero bambino ancora steso tra le pellicce, incosciente, con la cera di un morente.
- Non è questo il punto! Io aspettavo tue notizie…
- Come sta? – le domandò Imogene camminando verso il bambino, incurante di quello che aveva appena detto l’altra.
Anche Heloisa posò lo sguardo angosciato su Ioan. – Come sempre. Nessun miglioramento. Nessun peggioramento. Allora…? Com’è andata alla festa di Beltane? – le pose la domanda che voleva porle da giorni.
Imogene si accovacciò e osservò suo nipote, dandole le spalle. – Sarebbe potuta andare meglio.
- Cosa… cosa intendi? Hai visto Blake? Gli hai detto di suo fratello…? Gli hai detto che ci serve il suo aiuto?? Parlami, Imogene, ti prego…
- Ho visto Blake. Non stava bene.
Heloisa sbiancò di preoccupazione. – Cosa vuoi dire…? In che senso “non stava bene”? Gli è accaduto qualcosa?
- Non lo so, cugina. So solo che non sono riuscita ad avvicinarlo. Non gli ho detto ancora nulla di Ioan - ammise.
- A cosa diavolo è servito tutto ciò, dunque..?! – esclamò accovacciandosi, stringendosi i capelli con le mani. – Mi stai dicendo con tanta leggerezza che mio figlio non stava bene alla festa di Beltane, mentre io sono qui, e non posso fare letteralmente nulla. Non posso aiutare né Ioan, né Blake, nella mia posizione. Che razza di madre sono?
- Ieri si sono tolti la vita due ragazzi – la informò atona, a bruciapelo.
- Tolti la vita…? – domandò sorpresa Heloisa. – Chi erano costoro?
- Non credo tu li conosca. Due servi del Diavolo, due giovani amanti. Il popolo si sta rivoltando poiché vuole ottenere il permesso di celebrarli con un funerale e di seppellirli, ma i monaci sono irremovibili, come sempre – le spiegò con un sorriso stanco. – Presto vi sarà una rivoluzione, Heloisa. Con ciò che solo noi due siamo riuscite a scoprire, sul passato dell’ordine monacale di questo villaggio, potremmo essere molto utili per stabilire le sorti di questa battaglia contro di loro.
Heloisa la fissò, il volto ora più determinato e colmo di risentimento. Si voltò verso dove era rimasta la veste di Nellie lanciata a terra. La raccolse e la portò accanto a sé. – So già abbastanza da scardinare ogni convinzione, fede e credenza nei loro confronti, da parte di tutto Bliaint. Quando avrò la certezza di non venire catturata e giustiziata non appena rimetterò piede nel villaggio, tornerò e dirò tutto. Avremo l’appoggio di tutto il popolo.
- E Ioan? Cosa pensi di fare con lui? – le domandò Imogene, riportando la sua attenzione sulla questione più spinosa.
Heloisa si asciugò le lacrime secche sulla guancia. – Se non sei riuscita a parlare a Blake alla festa di Beltane, allora non hai altra scelta: devi andare a casa sua. Trova un travestimento, qualsiasi cosa, per non farti scoprire da nessuno che non sia lui. Digli di suo fratello, che ci serve il suo aiuto, e trovate insieme una soluzione. E poi … - si bloccò, riflettendo. – Scopri anche se sta bene.
- Da ciò che ho visto, è chiaro che non lo sia. Non posso intervenire né fare nulla a riguardo.
- Puoi venire a riferirmi se devo seriamente preoccuparmi per entrambi i miei figli. Questo puoi farlo - ribatté risoluta.
- Andrò da lui oggi stesso.
Tuttavia, devi prepararti, cugina.
Heloisa la scrutò dal basso, in quanto Imogene si era alzata in piedi e la guardava con la morte negli occhi.
- A che cosa?
- A perdere Ioan.
Se Blake non avesse alcuna soluzione miracolosa… il tuo secondogenito morirà.
Devi prepararti a questo, essere pronta ad affrontare tutto ciò a testa alta.
- Oh, mia cara Imogene… io sono già pronta a vederlo morire. Da più tempo di quanto immagini.
 
 
Padre Craig preparò due tazze del suo infuso rilassante, beandosi del sole mattutino che filtrava dalla finestra.
Era a casa.
Non riusciva ancora a crederci.
Così come non riusciva a credere a tutto ciò che era accaduto la notte prima, che sarebbe rimasto nella sua memoria indelebilmente.
Si avvicinò al tavolo e porse la tazza al ragazzo, il quale era seduto su una sedia, intento a sfogliare un libro.
Il suo volto era totalmente diverso rispetto a come era stato prima di quella notte: nonostante i rimasugli delle occhiaie scure sotto ai grandi occhi, Blake appariva, in un certo qual modo, libero; infinitamente più sereno, come se tutti i mali del mondo fossero stati tolti dalle sue giovani spalle. Era sempre il suo Blake, il ragazzo brillante e irriverente che aveva conosciuto mesi prima, certo, ma ora gli appariva diverso, in un modo che lo stesse prete fece fatica a comprendere. Più maturo, e al contempo più consapevole della sua giovane età, la quale era dipinta nel suo volto perfetto, rendendo i suoi lineamenti più dolci e delicati. Persino i suoi occhi blu risentivano di quella lieta e luminosa luce diversa, in quanto parevano più chiari del solito, meno cupi e più brillanti.
In conclusione, Blake sembrava più docile, meno disposto a usare la sua lingua tagliente e biforcuta contro chiunque osasse troppo con lui; sembrava persino rilassato mentre leggeva il suo libro.
Non avevano ancora avuto modo di parlare molto dopo quello che si erano detti quella notte.
Tutto ciò che padre Craig sapeva al momento, era che tra loro vi fosse finalmente la pace.
Lo percepiva dall’aura che emanava Blake, dalla scioltezza che mostrava quando padre Craig gli era intorno. La sua compagnia, allietava e rassicurava il ragazzo. E ciò non poté far altro che renderlo felice.
Solo in quel momento Blake si rese conto di essere osservato, e posò lo sguardo sulla tazza fumante che padre Craig gli aveva poggiato dinnanzi.
- Grazie – gli disse, prendendo la tazza e sorseggiando un po’.
- Vi aiuterà un po’ con il mal di testa.
- A dir la verità va già meglio rispetto a ieri – lo informò il ragazzo, accennandogli un sorriso sereno.
No, decisamente non era avvezzo a vederlo così.
- Ora che il vostro male sembra essere stato debellato.. potremmo andare da Quaglia, e dire anche a lui che può tornare a casa. Che ne dite? – gli propose, sorseggiando a sua volta l’infuso.
Blake annuì. – Credo sia andato a chiedere ospitalità a Hinedia quando gli ho detto di andarsene per un po’. Ultimamente, i due si sono visti. Lui le sta insegnando alcune tecniche di difesa e combattimento.
- Dite davvero? – domandò padre Craig lieto, fingendosi sorpreso.
- Già. Bizzarro non è vero? Sono contento che si stia aprendo con le genti di questo villaggio.
- Credo che consideri già Bliaint casa sua – commentò padre Craig, senza pensare alle proprie parole.
- Esattamente come voi, non è vero?
Padre Craig quasi si strozzò con il suo infuso nel momento in cui Blake pronunciò quella domanda, che più di una domanda, era un’affermazione inconfutabile.
Blake lo guardava, nessuna traccia di risentimento, né di accusa o delusione nel suo viso.
- Sono mesi che considero Bliaint casa mia, Blake.
“Vorrei riuscire a mostrarvi il rispetto che meritate e desiderate da me. Vorrei essere in grado di non allontanarvi da me ogni volta che vi avvicinate, senza sentire l’esigenza di spingervi a tornare da dove siete venuto. Vorrei credervi capace di vivere in questo inferno. Ma non lo siete. Siete troppo buono per Bliaint. E lo siete anche per me. Vorrei non fuggire da voi, ma non ci riesco.”
Quelle parole di Blake non sarebbero mai e poi mai svanite dalla testa di padre Craig.
Il giovane prete le riviveva e ci pensava costantemente.
- Lo so bene.
- Così come considero questa casa… casa mia – azzardò. L’atteggiamento ammansito di Blake quella mattina lo stava spingendo ad osare di più.
- So anche questo.
- E a voi va bene? Che io consideri questa famiglia, la vostra famiglia… la mia famiglia?
- Certo – rispose il ragazzo, leggermente risentito. – Se in qualche modo vi ho fatto credere il contrario… me ne dispiaccio. Ho commesso degli errori negli ultimi tempi. Ho allontanato molte persone, e voi siete certamente una di queste.
Improvvisamente il giovane prete venne colto dal terrore che Blake potesse ricordare qualcosa della sua confessione d’amore della scorsa notte, nonostante fosse totalmente fuori dalla realtà in quel momento.
- Non avrei dovuto cacciarvi di casa – continuò il ragazzo. – Non avrei dovuto decidere per voi.
No, non ricordava nulla. Non avrebbe potuto.
- Eravate arrabbiato. A ragione – lo giustificò il giovane prete.
Blake accennò un sorriso sardonico. – Smettetela di giustificarmi sempre. Non siete costretto a farlo.
- Non lo faccio per costrizione. Cerco di empatizzare con voi e di capire cosa provate. Anche se… la maggior parte delle volte mi è molto difficile farlo – ammise.
- Avete la mia gratitudine per questo, ma non merito tutto questo riguardo.
- Voi non sapete cosa meritate o no. Avete un giudizio molto distorto in merito – disse di getto, sorprendendolo.
- Un riguardo che non mostrate a tutti, bensì a pochi privilegiati – sottolineò il ragazzo. – Ed ora comprendo il perché. Io sono la vostra famiglia, giusto?
Padre Craig percepì un grosso magone scendergli lungo la gola nel rispondergli. – Sì, lo siete.
- Immagino che anche Judith lo sia.
- Sì… anche lei lo è.
- Nonostante ciò… famiglia o no, non permettete più che io vi ordini di fare qualcosa che non volete fare – gli fece promettere il ragazzo.
Padre Craig annuì, non senza un po’ di titubanza. – Blake – lo richiamò poi. – Ricordate qualcosa della notte scorsa, di ciò che è accaduto durante i vostri momenti di delirio e distacco dalla realtà? - ebbe il coraggio di chiedergli.
- No, non ricordo nulla dei momenti in cui non ero in me. C’è qualcosa che dovrei ricordare? – indagò il ragazzo.
- No, certamente no – si affrettò a rispondere il prete, rincuorato da quella conferma, e al contempo lievemente deluso.
Se avesse scoperto tutto… i miei tormenti sarebbero giunti al termine ora.
Non mi tratterebbe con tanta gentilezza. Riceverei solo il suo disgusto e la sua commiserazione. Nel peggiore dei casi il suo odio.
- Ad ogni modo, sono davvero felice che Myriam, da sola, sia riuscita a guarirvi dal vostro avvelenamento da mercurio. Non avrei sperato in nulla di meglio. Tuttavia.. era solo il mercurio l’origine di tutto?
- Non lo so – rispose sinceramente Blake. – Ho respirato talmente tanti metalli e sostanze velenose, padre… potrebbe essere stato qualsiasi cosa.
Nessuno dei due si azzardò a dare voce a ciò che entrambi pensavano: e se si fosse trattato anche di una causa sovrannaturale? E se la spiegazione non fosse solo, banalmente e prettamente umana?
Le immagini del suo incubo con l’esorcismo di Blake tornarono alla mente al giovane prete, agghiacciandolo. Le scacciò immediatamente, cercando di guardare l’enorme lato positivo dell’intera faccenda: qualsiasi cosa fosse, sovrannaturale o fisica, era svanita. Blake ne era stato liberato.
Tuttavia… ne era davvero stato liberato per sempre? O vi era ancora qualcosa di cui si sarebbero dovuti preoccupare, in lui?  Era davvero tutto finito…?
- Padre – richiamò la sua attenzione il ragazzo, distogliendolo dai suoi turbolenti pensieri. – Il fatto che io sia stato “guarito” dalla mia intossicazione non implica che io sia una persona diversa da quella che ero: continuo comunque a non credere in nessun dio; inoltre… - si bloccò, portando gli occhi combattuti e pensierosi in direzione del corridoio, da cui si affacciava la porta chiusa di quella maledetta fucina. - … vi sono delle cose che devo comunque portare a termine.
Padre Craig seguì la traiettoria del suo sguardo e comprese. – Non ora. Non è ancora il momento. Siete uscito appena stanotte da quella fucina, distrutto nel corpo e nell’anima. Ora dovete solo pensare a riprendervi e a riposare. Poi, le vostre ricerche verranno dopo, a tempo debito. 
- Anche gli scavi alla galleria hanno bisogno del mio intervento – gli ricordò il ragazzo.
- Blake, potrebbe essere pericoloso tornare subito alla galleria. Non dobbiamo escludere l’ipotesi che possa essersi trattato di qualcosa di anomalo che avete assorbito e respirato alla galleria ad avervi infettato e avvelenato in tal modo. Quel luogo… non è sicuro.
- Avete ragione. Ma prima o poi dovrò tornarci, sono pur sempre il proprietario.
Per ora, posso limitarmi a stargli lontano e ad impartire le mie direttive agli scavatori a distanza – lo rassicurò, tornando con gli occhi all’ultima pagina del libro che teneva aperto sopra al tavolo.
Padre Craig scrutò la pagina a sua volta, a distanza. – Che state leggendo?
- Nulla. In realtà, ho terminato di leggere questo bizzarro e interessante racconto che mi ha prestato Judith.
Stavo solo leggendo la dedica che vi è alla fine del libro.
- Che cosa dice la dedica?
- “A Nellie: anima mia, sorella e luce sul mio cammino. A te, dono metà del mio cuore, sperando che ciò possa in qualche modo guarirti da tutto il male che ci hanno fatto.”
Padre Craig provò un inspiegabile brivido lungo la schiena, all’udire tali parole.
Sembrava una dedica davvero intima e sentita.
- E come mai vi ha colpito tanto? – domandò al ragazzo.
- Non lo so neanche io con precisione – rispose lui, sfiorando l’inchiostro sbiadito con le dita. – C’è qualcosa che non mi convince in questo racconto. È solo una mia strana sensazione – concluse.
Padre riprese a sorseggiare il suo infuso, continuando a guardarlo ancora un po’, poi si rialzò in piedi, andando a recuperare il suo mantello. – Allora andrò io da Quaglia, per riferirgli che può tornare a casa. In modo che voi possiate restare a casa e riposare.
- D’accordo – acconsentì il ragazzo.
A ciò, padre Craig fece per dirigersi verso la porta, ma prima di aprirla, si voltò di nuovo verso Blake.
Una frase premeva per uscirgli dalle labbra. – Blake?
- Sì?
- Sono felice che siate sempre voi, nonostante tutto. Non vorrei che cambiaste. Per niente al mondo - ammise, sorprendendolo nuovamente.
- Vi ringrazio, padre – gli rispose il ragazzo.
- Per cosa?
- Per essermi rimasto accanto. Per non avermi abbandonato.
E con il cuore che sprigionava calore e gioia, padre Craig uscì di casa, dirigendosi verso l’abitazione di Hinedia.
Trascorsero pochi minuti dacché padre Craig uscì di casa, che l’opale perennemente appeso al collo del ragazzo iniziò ad illuminarsi.
Blake lo prese in mano e lo osservò, confuso.
Dopo di che, qualcuno bussò alla sua porta.
Quando andò ad aprire, trovò dinnanzi a sè una figura incappucciata, con la testa bassa.
L’unico indizio sulla sua identità era un voluminoso ciuffo biondo miele che le fuoriusciva dal cappuccio.
- Imogene…? – sussurrò Blake riconoscendola vagamente, sgranando gli occhi per la sorpresa.
- Sbrigatevi a farmi entrare, prima che qualcuno passi da queste parti – disse seccamente la sciamana, ancora con la testa abbassata e il cappuccio a coprirla. – Nessuno deve vedermi davanti alla vostra porta – aggiunse, con voce sofferente e frettolosa.
A ciò, il ragazzo si fece da parte, permettendole di entrare e chiudendo la porta dietro di sé.
La donna si avvicinò al tavolo e si tolse cappuccio e mantello. – Se ci aveste impiegato un altro minuto a decidervi a farmi entrare vi avrei spinto dentro con ben poco garbo – esordì seccata. – E dannato quel prete, che ci ha messo ore ad uscire da questa casa.
- Avete aspettato tutto il tempo che padre Craig uscisse di casa? – le domandò lui, spaesato.
- Ve lo ripeto, ragazzo: nessuno deve sapere che sono qui.
- Padre Craig e Quaglia sono dalla nostra parte e sanno tutto, persino che state nascondendo mia madre. E mio fratello – aggiunse con palese risentimento lui, ponendo le braccia conserte, non accorgendosi che il suo opale avesse iniziato a brillare ancor di più.
- Incolpare me vi sarà del tutto inutile: non ho convinto io Heloisa a rapire vostro fratello e a portarlo con sé. Sarebbe stato infinitamente più facile se lo avesse lasciato qui con voi… - rispose Imogene, faticando visibilmente a parlare, iniziando a sudare e a perdere le forze. Si appoggiò al tavolino con le mani, aiutandosi a reggersi in piedi.
Ogni volta che si avvicinava a lui si sentiva sempre allo stesso modo: improvvisamente indebolita, impossibilitata a muoversi e a respirare, appesantita, quasi morente.
Più si avvicinava al ragazzo, più la sensazione aumentava a dismisura.
Non riusciva a capire chi diavolo avesse fatto un incantesimo di protezione sul ragazzo, per tenerlo lontano proprio da lei: che fosse Myriam? Possibile, considerando quanto fosse ossessionata da lui.
- Che cosa vi prende? – le domandò Blake, avvicinandosele, facendo aumentare involontariamente quell’orribile sensazione. – Se vi sentite male, vado a prendervi dell’acqua.
A ciò, Imogene, ancora semi-accasciata sul tavolo, alzò gli occhi su di lui, venendo quasi accecata dalla luminosità di qualcosa che penzolava sul petto del ragazzo. Un opale. Bellissimo e magnetico.
Fu allora che comprese. Non era il ragazzo ad essere soggetto ad un incantesimo. Era l’opale che indossava ad essere incantato.
Fu così che si mosse istantaneamente: si aggrappò all’opale che pendeva al collo di Blake e glielo strappò, gettandolo via, lontano da loro.
Blake la guardò interrogativo, in cerca di spiegazioni, mentre, man mano, la sensazione di debolezza e di morte imminente se ne andava dal corpo della sciamana.
- Chi ve lo ha dato? – gli domandò Imogene ancora con il fiatone, nonostante si stesse velocemente riprendendo.
Blake posò gli occhi sull’opale gettato a terra, che ora non brillava più. – Mio padre. Era l’opale a farvi stare male?
Imogene, stupita, vi rifletté su. – Intendete Rolland..? Quel Dun Rolland? Che è stato ritrovato morto giorni e giorni fa?
- Sì.
- Per quale dannato motivo un uomo che neanche mi conosceva avrebbe dato un amuleto incantato a suo figlio, per proteggerlo da me…?
Blake era sorpreso quanto lei. – Un amuleto incantato…? Mi sono chiesto più volte come mai mi avesse consegnato quel ciondolo quel giorno.. ora lo comprendo, ma non ne capisco le motivazioni. Mio padre non usava mai la magia. Tantomeno per proteggersi o proteggermi da qualcuno.
- A quanto pare, invece, la usava – sottolineò la donna, adocchiando con repulsione quell’oggetto terrificante a metri e metri da lei. – Di tutte le persone da cui avrebbe potuto proteggervi, tra cui i monaci e tutte le streghe di cui pullula questo villaggio… l’amato Rolland ha deciso di proteggervi proprio da una sciamana. State scoprendo inaspettati segreti su vostro padre, dovreste ringraziarmi - concluse in tono sardonico, decidendo di non indagare sull’argomento: in ogni caso Rolland era morto, dunque non avrebbero mai avuto risposta a quel quesito, né avrebbero mai saputo a quale strega o stregone si fosse rivolto per incantare l’opale.
- Perché siete venuta qui? Si tratta di mio fratello? Come stanno lui e mia madre? – iniziò a domandarle famelicamente il ragazzo, come ci si aspettasse.
- Prima di parlare di questo, fareste meglio a mettervi seduto e a prendere un bel respiro – gli consigliò lei, venendo bellamente ignorata: Blake rimase ostinatamente in piedi, in attesa.
A ciò, Imogene sorrise, semi esasperata. - Siete una persona molto difficile da rintracciare, Blake – gli disse guardandolo. – E non a causa del bell’opale che vostro padre si è tanto premurato di donarvi.
- Da quanto mi state cercando?
- Da un po’. Heloisa mi ha vietato di recarmi qui, per non rischiare che qualcuno mi vedesse e credesse che io e voi fossimo in combutta per nasconderla.
A ciò, ho deciso di avvicinarvi e parlarvi alla festa di Beltane. Ma, ahimè, è andata male. Mi avete costretto a venire qui, mettendo a rischio la vostra incolumità.
- Anche voi eravate a Beltane?
La sciamana lo studiò, accigliata. – Ho partecipato a Beltane solo per voi. Non ricordate di avermi vista e di avermi veementemente allontanata come fossi una piaga..?
- No, non lo ricordo. A Beltane non sono stato in me, per la maggior parte del tempo.
- Era chiaro non foste in voi. Eravate sotto l’effetto dei fumi incantatori, come tutti.
- No, non è stata colpa dei fumi incantatori – le rivelò.
A ciò, Imogene si concentrò a guardarlo. In qualche modo, il ragazzo le appariva diverso dall’ultima volta che lo aveva visto a Beltane. Il suo volto era più disteso, rilassato, come libero da qualcosa che gli rabbuiava e oscurava lo sguardo visibilmente prima. Persino i suoi occhi, erano molto diversi da come li ricordava. Dunque, forse era vero: quel ragazzo era stato vittima di qualcosa che avrebbe dovuto allarmare Heloisa, più di quanto fosse già allarmata per Ioan. Ma qualsiasi cosa fosse stata… adesso Blake sembrava stare meglio, in apparenza.
- Dunque, non ricordate nulla. Neanche di essere stato agguantato dalle maniacali attenzioni lussuriose di Ephram?
- Ahimè, quello me lo ricordo.
- Rimembrate per quale motivo mi guardavate come fossi la personificazione di un demonio?
- Negli ultimi giorni, mi è capitato di vedere, scorgere, parlare con entità che non esistono. Era tutto frutto di un avvelenamento da metalli.
- Che tipo di entità? – gli domandò la donna, incuriosita.
- Talvolta personaggi sacri, mai esistiti, leggende. Ma, colei che mi appare più spesso, da settimane, forse mesi, in forma di visione lucida, è una bambina morta qualche tempo fa, alla galleria. Una bambina che conoscevo, rimasta intrappolata inspiegabilmente sotto le macerie, durante un crollo - spiegò.
A ciò, Imogene si fece ancor più seria, nel suo volto un’espressione quasi solenne. – Non confondete delle semplici allucinazioni con delle apparizioni vere e proprie – lo ammonì.
Il ragazzo la guardò con sguardo interrogativo.
- Fantasmi. Fantasmi di esseri umani non più vivi. Non ne avete mai sentito parlare?
I più li ritengono un’invenzione della nostra mente, qualcosa creato da noi stessi, per espiare alcune colpe, per lenire qualche mancanza o per spaventare i bambini – spiegò lei. – Nessuno pensa mai che i fantasmi possano essere reali. Reali, nel vero senso della parola.
- Cosa intendete dire…?
- Gli spettri sono da sempre portatori e rivelatori della verità, negli antichi culti che mi sono stati trasmessi.
Compaiono ai vivi soprattutto coloro morti prima del tempo, in quanto hanno qualcosa in sospeso da portare a termine.
Appaiono per far comprendere che non esiste una sola verità
Il loro percorso non è mai lineare. Se li si segue senza timore, conducono verso nuovi orizzonti; d’altra parte, tendono a restare sui propri passi, incastrati su ciò che è stato e che mai sarà di nuovo.
Blake la guardava con uno sguardo indefinibile, a metà tra l’allibito e il desideroso di sapere di più.
Imogene scrutava i suoi occhi come se potesse leggergli dentro, fin sotto le ossa.
- Lo spettro che vi perseguita è una bambina morta prematuramente, ingiustamente.
Il rancore e il veleno di una bambina. Infondo, lo sapete. Sapete che lei è reale.
A modo vostro, per sin troppo tempo avete cercato di sopprimerla, di sopportare il suo rancore, il suo dolore, che infestano questa casa.
L’avete cacciata, rifiutata, l’avete fatta sentire indesiderata.
Non è una presenza furiosa e distruttiva.
Ella è solo persa. Perduta in un mondo che non le appartiene più, desiderosa di dire, di comunicare qualcosa. Arrabbiata contro una realtà crudele, ma ella non è vendicativa, né realmente pericolosa.
Lei è qui, con voi, perché l’oblio non è contemplato.
Nessuno deve dimenticare. I fantasmi non lo permettono.
Lei reclama uno spazio e una voce  da voi, uno spazio e una voce che voi non siete mai stato disposto a darle.
La voce di qualcuno che è stato soffocato.
Il loro scopo… è da sempre quello di costruire un futuro diverso e migliore, attraverso la ricostruzione del senso del passato, per quanto doloroso.
Lo spettro ci invita a riappacificarci col passato, con le nostre ombre.
Lo spettro ci ricorda la sofferenza che abbiamo causato, e ci mostra da dove ha origine la nostra stessa sofferenza, chiedendoci di accoglierla.
Non sono maligni.
Gli spettri ci chiedono solo di essere visti.
E noi… noi non dovremmo far altro che concederglielo.
In seguito a tali parole, Blake rimase pietrificato.
Per tutto questo tempo…
Per tutto questo tempo ho creduto che tu fossi una mia invenzione.
Non è mai stato così.
Tu sei sempre stata qui, Bonnie.
Ed io… io non ti ho mai vista.
Una lacrima sfuggì al suo controllo e, solo per il lascito di un istante, gli sembrò di rivederla un’ultima volta, in piedi dietro Imogene, con i suoi sporchi capelli biondi e il suo vestitino sgualcito, intenta a ballare e a guardarlo, con il volto piccolo, bellissimo e distrutto.
Stavolta, non gli disse quello che gli diceva sempre, la solita litania, no.
Gli disse qualcos’altro.
Oppure, era ciò che gli aveva sempre detto, ma che lui non aveva mai voluto udire.
Ora la stava udendo.
L’aveva udita e vista, per la prima volta.
E mai, mai si sarebbe dimenticato di lei e delle sue parole.
In quel momento… per la prima volta, il ragazzo desiderò che lei non se ne andasse.
Ma lo spettro svanì. Un sorriso tra le labbra e la sua vocina che ancora viaggiava nell’aria, rarefatta, in grado di pervenire solo a lui e a nessun altro.
Imogene comprese che doveva averla vista un’ultima volta.
- Onorerete la sua memoria? – gli domandò, riscuotendolo.
- Lo farò. Andrò dai suoi genitori, a dire loro ciò che ho udito da lei – affermò con decisione e immensa tristezza.
- Bene – Imogene abbassò lo sguardo, sapendo fosse giunta la parte difficile della conversazione. – Vi ho cercato e ho voluto incontrarvi per dirvi… - si bloccò per un istante. – Si tratta di vostro fratello.
Blake sgranò le sue vivaci iridi blu e le si avvicinò, il volto precipitato nella preoccupazione. – Che cosa gli è accaduto…? Parlate.
- Si è riammalato. È peggiorato, sempre più. Abbiamo provato letteralmente di tutto, ma nulla ha funzionato – gli confessò, senza filtri. – Sappiamo che, se la sua salute è migliorata miracolosamente, è solo grazie a voi e alla vostra mandragora morta. Ma è anche a causa vostra che la malattia ora lo sta consumando più velocemente di prima. Sapevate quali fossero i rischi nell’uso della mandragora morta, non è vero?
Blake indietreggiò, reggendosi al bordo del tavolo per non piombare a terra. – Volevo solo che migliorasse velocemente. Stava sempre peggio. Se non lo avessi fatto, lui-
- Difatti non vi sto giudicando. Sono qui davanti a voi solo per chiedervi aiuto.
- Riesce ancora a parlare almeno…? È ancora cosciente??
- No. Da giorni, tutto ciò che riesce a fare è respirare, dormire e bere un po’ d’acqua. Heloisa è oltremodo addolorata e temeva per la vostra reazione.
- Al diavolo la mia reazione! C’è la vita di mio fratello in ballo! – esclamò lui, cercando di restare lucido e di riflettere razionalmente sul da farsi.
- Voi siete la nostra ultima speranza per salvarlo, Blake. Avete qualcosa in mente? La vostra alchimia, i vostri esperimenti possono aiutarlo in qualche modo? - lo incalzò Imogene. – So che la mia preoccupazione può sembrare inadeguata al momento, ma si tratta pur sempre di mio nipote. Inoltre, so che se anche Ioan dovesse morire, Heloisa non si riprenderebbe mai più da ciò.
- Non ho nessuna cura miracolosa questa volta – le disse secco, sprigionando un’angoscia dolorosa da guardare.
- Che cosa…?
- Ho detto che non ho nessuna cura miracolosa questa volta! Non ho ancora trovato una cura che posso sperimentare su di lui! Tutto quello che ho in testa ora, sono idee confuse e sconclusionate, e non rischierò la vita di mio fratello per un’intuizione!
- Blake, Heloisa mi ha detto che avreste fatto di tutto, letteralmente qualsiasi cosa, per salvare vostro fratello.
- Difatti è così – rispose lui con ferma convinzione. Ad un tratto, la sua espressione cambiò in una di piena realizzazione. – Voi siete una sciamana, possedete il potere di dominare sia la magia nera, che quella delle popolazioni antiche: sicuramente conoscerete un modo per trasferire l’energia vitale da un corpo ad un altro.
- Che cosa state suggerendo esattamente…?
- Trasferite la mia salute e la mia energia vitale a lui – gli disse con determinazione Blake, riavvicinandosi a lei, guardandola negli occhi con la disperazione nel volto. – Vi prego. Sicuramente esisterà un incantesimo che permette di fare una cosa simile… deve esistere. Date a me il suo male fisico e donate a lui la mia vita e la mia buona salute.
- Sei completamente folle… - sussurrò lei, mettendo da parte ogni formalità, sconvolta da tale proposta. - È una follia!
- Non mi importa di morire! Non mi importa se vivrò il resto dei miei giorni da malato o morente! Basta che salviate lui… togliete tutto ciò che c’è di buono in me e datelo a lui! Vi imploro, Imogene – la pregò ancora, fissandola nuovamente dritta negli occhi, trasmettendole tutta la sua implacabile risolutezza.
- Non esiste un incantesimo simile.
- Bugiarda! Mi credi tanto stupido?
- Non ti credo affatto stupido! È proprio questo il punto! – esclamò lei. – Come puoi dire una cosa simile con tanta leggerezza?? Mi credi forse un’assassina a sangue freddo? Tuo fratello è a un passo dalla morte, ragazzo. Mi stai chiedendo di uccidere te per far vivere lui!
- Esatto! Perché esiti tanto? – le domandò incredulo.
- Non lo farò. Se questa è l’unica soluzione, allora Ioan morirà! - decretò categorica, ancora allibita da tale proposta disperata ma lucida, più lucida che mai.
Lo guardò negli occhi, cercando di leggergli dentro ancora una volta, rimanendo pietrificata da tanta irremovibilità. – Dunque è vero. Faresti davvero qualsiasi cosa per salvarlo. Persino sacrificare la tua stessa vita.
Lei aveva mai nutrito un amore tanto grande nei confronti di qualcuno?
Aveva provato le stesse cose nei confronti di Drusilla, quando ella era ancora in vita?
Sarebbe mai stata disposta a tanto?
Non volle darsi una risposta.
Ma un tale incurante coraggio fu in grado di impaurirla e disarmarla.
Tornò in sè, accostando il viso al suo e fulminandolo con le sue iridi dorate, parlando sicura e tagliente come era sempre stata: - Non credere che l’idea non mi tenti, dolcezza – gli sussurrò. - Se tu fossi morto, avrei svariati guai in meno, e non solo io. Tuttavia, non posso accontentarti.
Blake non fece una piega, né emise alcuna espressione. Resse il suo sguardo con dignità, restando in silenzio per lunghi istanti.
- Devo vedere mio fratello – esalò duramente alla fine, spezzando il silenzio. – Al più presto.
- È un tuo sacro diritto. Faremo in modo di trovare una soluzione per farti venire nella dimora in cui sono nascosti, magari camuffando il tuo aspetto con qualche trucco.
- Non ce ne sarà bisogno – la interruppe lui. – Ho convinto Myriam a mediare con i monaci per me: li convincerà che Heloisa è innocente.
Imogene sgranò gli occhi, più che stupita. – Tu… hai convinto Myriam a fare una cosa simile…?
Blake annuì.
- Judith ci ha già provato. Come sai che daranno ascolto a lei, se fino ad ora non hanno ascoltato Judith?
L’espressione del ragazzo mostrò un lieve vacillamento quando Imogene gli diede quell’informazione: evidentemente non sapeva dei tentativi di Judith di difendere Heloisa dinnanzi ai monaci, e la cosa lo aveva sorpreso.
- Myriam sarebbe in grado di persuadere chiunque a fare qualsiasi cosa – le rispose lui. – Li convincerà massimo entro due giorni. Ne sono certo. A quel punto, mia madre e mio fratello potranno tornare a casa.
La sciamana dovette riconoscere che aveva ragione. Se erano in due, tra le presenze fidate al clero, a sostenere la tesi che Heloisa fosse innocente, sicuramente i monaci avrebbero ceduto e avrebbero rivolto la loro attenzione su qualcun altro.
- Myriam sarebbe in grado di persuadere chiunque, è vero.. – commentò la sciamana. – Ma nessuno sarebbe in grado di persuadere lei. A parte te. Hai molti assi nella manica, e sai come giocare le tue carte, devo dartene atto – concluse, rinfilandosi il mantello e il cappuccio.
Per qualche motivo, prima di lasciare la casa, si sentì in dovere di dirgli un’ultima cosa, presa dallo sconforto e dall’angoscia per quello che sarebbe inevitabilmente accaduto:
- Io ti rispetto, Blake. Ma non posso uccidere un figlio di mia cugina per farne vivere un altro. Mi dispiace – detto ciò, aprì la porta e uscì dalla casa.
Rimasto solo, lo sconforto e la disperazione si impossessarono del ragazzo.
Tuttavia, sapeva che non si sarebbe arreso.
Mai si sarebbe arreso, quando si trattava di Ioan.
Avrebbe lottato fino all’ultimo per trovare un modo per salvarlo.
Myriam avrebbe convinto i monaci che sua madre fosse innocente, suo fratello sarebbe tornato a casa presto e lui si sarebbe occupato di lui.
Christopher sarebbe vissuto, in un modo o nell’altro.
E con quel fermo e trascinante proposito in mente, raccolse da terra l’ultimo ricordo che suo padre gli aveva donato e se lo riappese al collo.
Fu in quell’istante che gli tornò alla mente che vi era qualcos’altro che doveva fare al più presto.
Il ricordo dell’ultimo sguardo che gli aveva rivolto Bonnie un attimo prima, gli impattò la mente.
Non sapeva perché forse apparsa proprio a lui, non gli importava.
In quel momento, sapeva di essere solo un messaggero che doveva riferire un messaggio.
Si cambiò d’abiti, si infilò gli stivali e uscì da casa, senza il suo mantello: oramai la temperatura era abbastanza calda da potersi permettere di non indossarlo.
Vagò per le strade, trovandole inaspettatamente vuote.
Inizialmente, Blake si domandò per quale motivo lo fossero, poi rimembrò un’informazione che padre Craig gli aveva accennato vagamente quella mattina: il giorno prima, un ragazzo e una ragazza si erano tolti improvvisamente la vita, insieme. Uno di loro era Folker, il fratello di Bonnie.
Quale tragedia doveva aver colpito la loro famiglia, dopo la morte di ben due figli.
Padre Craig gli aveva anche accennato che stavano avvenendo delle rivolte, per le strade, con l’obiettivo di convincere i monaci a concedere il diritto di celebrare i funerali e di seppellire i due suicidi, malgrado la legge lo vietasse.
Immaginava che Judith si stesse battendo a sua volta per la causa.
Il vento caldo soffiò, ma nessuno parve sentirlo a parte lui.
Solamente quando raggiunse la piazza principale da cui si affacciavano le due cattedrali, il ragazzo comprese dove fossero finiti tutti: vi era una carovana lunghissima di persone, inaspettatamente di entrambi i culti, che si dilungava dalle cattedrali, fino a diramarsi in due direzioni, probabilmente verso le due abitazioni dei due ragazzi morti, dedusse Blake.
Ognuna di quelle persone pregava a bassa voce, con una candela accesa tra le mani, formando una scia luminosa che, nonostante fosse mattina e il sole illuminasse discretamente il cielo plumbeo, brillava a metri e metri di distanza.
Se si fossero trovati in un altro luogo e in un’altra circostanza, Blake avrebbe trovato tutto ciò commovente.
Camminò, stregato da quella scia di luci, da quel borbottare di preghiere diversissime tra loro, di culti diversi, accorgendosi di essere quasi l’unico, in giro per le strade, a non essersi unito alle carovane.
Improvvisamente, una vecchia serva del Diavolo gli andò incontro, distogliendolo dai suoi pensieri e da quella magnetica visione. – Oh, caro! Voi siete colui che ha perso suo padre, giorni fa, non è vero? Il figlio di Dun Rolland.
Blake annuì, a ciò la donna gli porse una candela in mano e gliela accese. – Il Diavolo vi benedica. Ecco. Venite a pregare anche voi.
- Potete darmene un’altra? – le domandò, e la donna si affrettò a fare come gli aveva chiesto, dandogli un’altra candela accesa tra le mani. – Potete anche dirmi quale delle due carovane conduce alla casa di Folker?
La donna gli indicò la carovana che conduceva sin sopra una collinetta.
Blake la ringraziò e si diresse verso la collina, seguendo la fila di persone dirette allo stesso luogo.
Quando raggiunse l’abitazione di Bonnie, di Folker e della loro famiglia, trovò la casa letteralmente circondata da persone di entrambi i culti: la maggior parte erano inginocchiati a pregare, tenendo la loro candela tra le mani. La dimora era letteralmente circondata da altrettante candele accese, poggiate a terra.
Blake si stupì di trovare una così variegata folla, tutta intenta a rendere omaggio ai due sfortunati ragazzi.
Mai prima di allora, i due culti si erano uniti in una tanto sentita e accorata rivolta contro i monaci, con l’unico e fermo scopo di poter celebrare il funerale di due giovani suicidi, oltretutto servi del Diavolo.
Evidentemente, i tempi stavano cambiando.
Il popolo di Bliaint era stanco, almeno quanto lo era lui.
Blake avanzò, riponendo una candela accanto a tutte le altre, riposte sotto quello che presunse essere il capezzale della camera di Folker.
Tuttavia, l’altra candela, la più importante per lui, voleva lasciarla altrove, in un luogo più significativo.
Non conosceva il volto della madre di Bonnie, ma conosceva quello di suo padre, essendo egli uno degli scavatori della galleria.
Lo cercò con lo sguardo ma non lo trovò tra la massa di persone inginocchiate a pregare sul prato, dinnanzi alla casa.
A ciò, decise di entrare dentro, dato che la porta dell’abitazione era aperta.
Una volta all’interno, notò vi fossero altre persone che pregavano, e altre candele poggiate un po’ ovunque, nella cucina, nelle scalinate, nelle varie stanze.
Dei genitori, tuttavia, nessuna traccia.
Blake si diresse verso quella che credeva essere la stanza di Bonnie e forse anche di Folker.
Aprì la porta silenziosamente ed entrò nella stanzetta, notando subito un letto perfettamente ordinato dinnanzi a sé: sopra di esso vi era una lira e una piccola collanina.
Nel comodino accanto al letto, erano adagiati, puliti e ripiegati, degli abitini da bambina, evidentemente inutilizzati da tempo.
Il ragazzo camminò lentamente, accostandosi al letto, sfiorando il cuscino con le dita.
- Cosa ci fate qui?
Quella voce pressocché sconosciuta, dura e gelida, lo riscosse, facendogli capire di non essere da solo dentro quella stanza: nel lato destro della camera, il lato che Blake non aveva guardato minimamente una volta entrato, vi era un secondo letto, sul quale era accasciato un giovane servo del Creatore, di stazza grossa ed imponente, benché la sua voce e il suo viso rivelassero la sua età fanciullesca. Doveva avere due o tre anni meno di lui, pensò Blake osservandolo, chiedendosi se lo avesse già visto.
Egli era inginocchiato a terra, con i gomiti puntati sul materasso ben in ordine, le mani giunte in segno di preghiera e il mento poggiato su di esse; gli occhi chiusi, che non si disturbavano nemmeno ad aprirsi per guardare l’intruso, la presenza disturbante. Blake capì che doveva essersi accorto che fosse entrato qualcuno solamente grazie al suo udito.
Il volto del ragazzo rivelava una sofferenza a dir poco disarmante, che fece sentire Blake in dovere di scusarsi.
A quanto sembrava, quel servo del Creatore doveva amare molto il fratello di Bonnie.
Per un istante, Blake visualizzò se stesso al posto di quel ragazzo, piegato nella stessa posa di disperazione, sopra il letto vuoto di suo fratello.
- Mi spiace. Pensavo non ci fosse nessuno – gli disse garbatamente, riscuotendosi dai suoi stessi tormentati pensieri.
- Lo conoscevate? – gli domandò Ambrose in tono distaccato, mantenendo gli occhi chiusi.
- Conoscevo sua sorella.
- Bonnie…?
- Sì.
- Allora perché siete qui?
- Sto cercando i suoi genitori. Ho qualcosa da dire loro.
- Tutti li cercano, per porre loro le condoglianze, ma sembrate essere l’unico a non sapere dove trovarli: sono davanti alla cattedrale, a vegliare sui loro corpi insieme ai genitori di Bridgette, e a pregare. Li hanno temporaneamente riposti lì, nella speranza che i monaci si convincano a concederci “l’onore” di celebrarli e seppellirli. Dove avete vissuto nelle ultime ventiquattro ore? – gli domandò vagamente irritato.
Non ho vissuto, nelle ultime ventiquattro ore. Così come negli ultimi giorni e mesi.
- Perché non siete a vegliare su di lui anche voi con loro? – gli domandò. – Sembrate molto affezionato a lui.
Solo in quel momento Ambrose aprì gli occhi, fissandoli nel vuoto: erano scuri, vitrei, orribilmente addolorati. – Sono rimasto per un’intera giornata davanti alla cattedrale, ad urlare giustizia, senza chiudere occhio, né smettere di piangere, per un solo istante. Sono stanco… – rivelò, estremamente stremato.
A ciò, Blake preferì non dire altro. Si accostò al comodino del letto di Bonnie, lasciò la candela per lei lì sopra e fece per andarsene, intenzionato a dirigersi verso la cattedrale.
Tuttavia, il suo strano gesto non passò inosservato ad Ambrose:
- Siete un po’ in ritardo per commemorare la scomparsa di sua sorella – gli disse seccato. – Per quale motivo siete qui? – ripeté, ora una lieve sfumatura iraconda emergeva dalla sua voce.
Blake si bloccò sul ciglio della porta, volgendo lo sguardo al servo del Creatore. Si accorse che ora lo stava guardando. Tuttavia, non aveva mosso un muscolo del corpo rispetto a prima.
- Voi siete l’Abnegazione – constatò improvvisamente Ambrose, studiandolo ancora, a distanza. – E siete anche il figlio del defunto proprietario della galleria.
Blake affilò lo sguardo. A quanto pareva il ragazzo si ricordava di lui ma Blake non si ricordava del ragazzo. – Dove ci siamo già incontrati?
- Lo spettacolo teatrale – rispose atono Ambrose. – Interpretavo lo Zelo – gli rinfrescò la memoria.
In quel momento, il volto del servo del Creatore con i capelli tinti di verde tornò distrattamente alla mente di Blake. Sembravano trascorsi secoli da quel giorno, da quella felicità illusoria.
- Posso sapere cosa volete dire ai genitori di Folker? – gli chiese, una punta di disperazione nella voce. - Si tratta di Folker..?
- Non direttamente. In realtà, se Folker fosse stato ancora vivo, lo avrei detto a lui. Credo fosse il più affezionato e attaccato a Bonnie – gli spiegò Blake.
- Allora… se volevate dirlo a Folker, ditelo a me. Io lo custodirò nel mio cuore… per lui - la sua voce ora era tremante, rotta, in preda alle lacrime.
Blake lo guardò a distanza, non sapendo cosa fare. Improvvisamente si rese conto di non aver mostrato un minimo di tatto nei confronti di quel povero ragazzo.
A ciò, richiuse la porta dietro di sé, si avvicinò a lui, prese una sedia e si sedette accanto al letto di Folker. – Mi dispiace per la vostra perdita. Vi porgo le mie condoglianze – gli disse in ritardo.
Ambrose sembrò apprezzare comunque, a modo suo. Inaspettatamente cambiò posizione anche lui, alzandosi in piedi e sedendosi sopra il letto di Folker.
Passò una mano sopra le coperte pulite, che mostravano ancora un accenno dell’odore del ragazzo.
Sorrise nostalgico e distrutto. – Mi fa male pensare di star pregando un dio diverso da quello che lo accoglierà nell’oltretomba – disse improvvisamente.
Blake seguì la traiettoria della sua mano, distratto.
Quante cose erano cambiate.
Ora come ora, era come se fosse normale per un servo del Creatore e un servo del Diavolo essere amici.
Lui stesso ne sapeva qualcosa.
- Cosa volevate dirgli..? Riguardo sua sorella? – riprese il fulcro del discorso Ambrose, alzando gli occhi incredibilmente sofferenti su di lui.  
- Il fantasma di Bonnie mi è apparso, più volte – gli confessò finalmente.
- Il fantasma di Bonnie…? – domandò incredulo il servo del Creatore. – Se quello che dite è vero… per quale motivo Bonnie avrebbe scelto di apparire a voi e non a lui?
- Non ne ho idea – rispose sinceramente, posando gli occhi sul letto della bambina, a distanza. – Ho cercato in tutti i modi di allontanarla, di liberarmene, troppo stupido, troppo ignorante per non nutrirne timore… - esalò, disilluso e deluso da se stesso. -  Credevo fosse frutto della mia mente malata. Poi, oggi una persona mi ha aperto gli occhi e mi ha aiutato a capire che tutto ciò che dovevo fare era… accoglierla ed ascoltarla.
Quindi l’ho ascoltata, per una sola volta, l’ho fatto.
- Che… che cosa vi ha detto? – sibilò Ambrose, allibito.
- “Ho sentito scaturire in me il terrore della morte e dell’ignoto.
Il vento gelido proveniente dalla terra dei morti mi avvolgeva, ma io cercavo di vedere l’invisibile.
Sono inquieta, non sono più in grado di riposare.
Il mondo materiale non mi appartiene più.
Ho cercato tutti i miei pezzi, sepolti chissà dove, a metà tra i due mondi, ma non li ho trovati.
Sono stata cacciata via? Ho incontrato il Signore nel mio cammino? Non mi ha voluta più neanche lui?
Il mio corpo è spezzato e ho il terrore che dovunque io vada, la terra mi inghiottirà ancora, affamata.
Mi dissolverò come il vento, lo so. Gli oggetti non sono a fuoco, il mondo reale è evanescente.
Ti vedo ma tu non vedi me.
Non sogno più, quindi mi infilo nei tuoi, di sogni, per non perdermi.
Fammi dormire ancora, fammi dormire e fammi sentire i battiti del tuo cuore, perché io non sento i miei.
Al sicuro. Con te mi sento al sicuro.
Però ti prego, svegliati, cerca tutti i miei pezzi e rimettili insieme prima che inizino a muoversi da soli. Guarda il mio sudario un’ultima volta e smetti, smetti di piangere, altrimenti non riuscirò mai ad addormentarmi sottoterra.” – concluse, la voce calda pregna di emozione, come avvolta in un sogno terribile e meraviglioso insieme.
Ambrose lo guardava a bocca aperta, lo aveva ascoltato incantato, disperato e terrorizzato insieme.
Copiose lacrime uscirono dal suo volto, esausto, annientato, violentemente funereo e commosso.
Blake si rialzò in piedi, guardando quella figura perduta e distrutta un’ultima volta. – Forse, se lo spettro di Bonnie è apparso a me… lo spettro di Folker apparirà a te, un giorno.
Detto ciò, lo lasciò da solo, in quella stanza vuota.
 
 
Giunto a casa di Hinedia, padre Craig non si sarebbe mai aspettato che, insieme ai genitori della ragazza, di quest’ultima e di Quaglia, avrebbe trovato anche quella carogna di Naren a conversare amabilmente con loro.
Non aveva idea che Hinedia e Naren fossero ancora ufficialmente promessi, e che stessero progettando il giorno delle loro nozze.
Eppure, il prete aveva notato che il volto della ragazza non fosse in pace, né tanto meno felice o a suo agio dinnanzi al suo promesso.
Il viso gioviale di Hinedia aveva subìto un cambiamento grande quanto quello di Blake, da quando la ragazza era stata involontariamente vittima di quella maledizione malauguratamente provocata da Quaglia, il quale se ne stava assumendo tutte le responsabilità, aiutandola in qualsiasi modo conoscesse.
Nonostante Quaglia le stesse insegnando l’arte del combattimento e ciò l’avesse resa più padrona di se stessa e del suo autocontrollo, la giovane serva del Creatore aveva sempre gli occhi puntati nel vuoto, i pensieri turbinosi diretti chissà dove.
- Allora, come sta? – gli domandò Quaglia in pensiero.
I due si erano appartati rispetto agli altri quattro, per affrontare l’argomento.
- Vedrai tu stesso con i tuoi occhi quando tornerai a casa – rispose padre Craig, la voce lieta e gioiosa. - Myriam ha compiuto un vero e proprio miracolo, amico mio: a tratti non sembra neanche lui, eppure è rimasto lo stesso Blake di sempre. Ora è libero, Quaglia, libero dai suoi più profondi tormenti.
Quaglia abbassò lo sguardo, sorridente e al contempo disilluso. – Un uomo non potrà mai essere liberato dai suoi traumi, padre. Sono felice stia meglio, ma non illuderti sia tutto finito. Lo conosci meglio di me: Blake non troverà mai la pace.
Padre Craig si rabbuiò, ma Quaglia si affrettò a riprendere subito in mano la situazione: - Ad ogni modo, non vedo l’ora di tornare a casa e di abbracciarlo fino a snervarlo e a infastidirlo adeguatamente! Inoltre, mi manca infinitamente il divano di casa Rolland. È proprio vero quando si dice che ti rendi conto di quanto sia importante qualcosa solo quando ti viene a mancare: per quanto siano ospitali i genitori di Hinedia, in questa casa non esistono divani o altri poggia-schiena comodi!
Padre Craig si lasciò andare ad un sorriso divertito, riportando lo sguardo sulla serva del Creatore, a distanza.
- Come sta? – domandò all’amico, il quale capì subito a chi si stesse riferendo.
- Sta diventando una combattente con i fiocchi, sai? Credevo non fosse troppo portata inizialmente, invece, quella fanciulla mi ha sorpreso non poco. È molto dotata, attenta, concentrata e determinata. Tuttavia…
- Tuttavia…? Layla è riemersa?
- Fortunatamente no. Ma temo che, se dovesse ripresentarsi, Hinedia non perderà un secondo di tempo e pronuncerà la frase per attivare il veleno della manticora immediatamente. La vedo molto decisa a riguardo.
- Naren sa nulla di tutto ciò?
- Non saprei. Non credo – rispose adocchiandolo a distanza. – Quel ragazzo non mi piace. In tre giorni, questa è la prima volta che viene a trovarla, fortunatamente. Sembra non veda l’ora di sposarla, ma sospetto che non sia per i giusti motivi.
- Cosa intendi dire?
- Come ogni uomo, ha delle esigenze. Hinedia è troppo casta e pia per avergli concesso qualcosa prima del matrimonio. Temo che egli stia fremendo per sposarsi solo per poter consumare.
Oh, amico mio… se solo sapessi cosa è stato in grado di fare quel verme alla donna di cui sei infatuato.. pensò in silenzio il prete, osservando tristemente l’amico, sapendo fosse più saggio non rivelargli nulla più del dovuto.
- Inoltre… ho la netta sensazione che voglia sposarsi con lei per togliersi dalla testa un’altra donna - aggiunse Quaglia.
- Dici davvero? Hai dedotto sia innamorato di un’altra?
- Innamorato o no, mostra i classici atteggiamenti di chi sta cercando di dimenticare qualcuno che non può avere – disse, poi riportando l’attenzione sull’amico, con sguardo lievemente sardonico. – No, non era una frecciatina nei tuoi confronti, padre.  Anche perché, non sia mai, tu non potresti certo adottare la soluzione di un matrimonio combinato per cercare di dimenticar-ahi! – lo zittì padre Craig con un calcio sulla gamba.
Ad ogni modo, se Naren fosse davvero ancora innamorato di Judith.. ciò non sarebbe affatto una buona cosa.
- Ad ogni modo.. neanche Hinedia mi sembra presa da lui – riprese Quaglia.
- No, affatto. Sembra lo stia facendo solo per accontentare i suoi genitori – osservò padre Craig. – Mi chiedo come mai, lei che è giovane e ha totale libertà di scelta, si stia condannando all’infelicità in questo modo.
- Forse crede di meritarselo. Crede di non poter aspirare a nulla di più. Dimmi, padre, chi è che si sposa per amore, in questo villaggio o in qualsiasi altro?
- I servi del Diavolo, talvolta.
- Hinedia non è una serva del Diavolo. Inoltre, il fatto di poter guardare solo gli uomini e le donne appartenenti al proprio credo, di certo non stimola in nessuno la scelta libera del “vero amore”.
Per qualche motivo, in seguito a quelle parole, padre Craig si figurò nella mente il volto disperato e sconvolto dalla sofferenza del giovane Ambrose.
Ambrose si era innamorato di un ragazzo appartenente all’altro culto.
Sicuramente non era stato né il primo, né l’ultimo.
Erano tutti condannati ad una vita di estrema infelicità, coloro che trovavano la loro anima gemella in un uomo o in una donna non appartenenti al loro stesso culto?
Lui stesso poteva dire di servire il Creatore, seppur straniero, e si era inevitabilmente innamorato di un servo e di una serva del Diavolo.
Chissà se anche Hinedia si sarebbe potuta innamorare di un servo del Diavolo, trovando in lui il suo vero e impossibile amore.
I due si riavvicinarono al gruppo e ringraziarono caldamente Hinedia e i suoi genitori per l’ospitalità.
Dopo di che, padre Craig prese da parte la ragazza.
Il prete le strinse le mani e le sorrise. – Mia dolce fanciulla, come state?
Ella accennò un sorriso forzato e gli strinse le dita a sua volta. – Bene, padre.
- Ne siete sicura?
Hinedia abbassò lo sguardo, sorridendo d’amarezza. – Non vi si può nascondere nulla, non è vero?
- Ho saputo che state già fissando la data delle nozze e organizzando i preparativi. Congratulazioni.
- Vi ringrazio.
- Lui vi rende felice? – le domandò.
La ragazza lo scrutò, affilando lo sguardo. – Perché mi state facendo tutte queste domande?
- Non parliamo da un po’ e volevo sapere come steste vivendo gli ultimi giorni di sconvolgimenti. Ho saputo che Quaglia vi ha insegnato a combattere e che ciò vi sta aiutando a dominare le vostre due anime ribelli.
- Già. Gli devo molto. Sono stata felice di ospitarlo – rispose sinceramente la ragazza, posando gli occhi su Quaglia a distanza. Tuttavia, era palese vi fosse una domanda che smaniava di uscire dalla sua bocca.
- Blake sta bene – la anticipò il prete, vedendola trasalire lievemente a tali parole. – Qualsiasi fosse il male che lo imprigionava, ne è stato liberato. Sapete, dovreste venire a trovarlo. Sono certo gli farebbe molto piacere.
- Non ne sono certa – rispose lei, titubante. – Stargli lontano è la scelta migliore per me. Se la sua vicinanza dovesse risvegliare Layla…
- Non la risveglierà. Ci saremo anche io e Quaglia con voi, non temete – la rassicurò. – E poi… sapete, la scorsa notte, in un momento di follia razionale, Blake ha elencato una serie di eventi che vorrebbe non fossero mai accaduti, provocati o causati grossomodo da tutte le persone che gli sono vicine. Eppure… ho notato che in nessuno degli eventi e dei nomi elencati da lui… c’eravate voi.
- Con ciò cosa volete dire?
- Tutti noi, volenti o nolenti, gli abbiamo fatto del male, senza rendercene conto. Tutti, eccetto voi, Hinedia.
- Volete scherzare…? Ho ucciso suo padre…
- Ma non eravate voi, Hinedia. È stata Layla. Voi, in quanto Hinedia, siete da sempre il suo rifugio sicuro da ogni male. Questo ho compreso, e ne sono del tutto certo. Egli si fida di voi, in quanto voi gli donate solo e solamente pace, serenità e tanto bene.
Hinedia rimase meravigliata da tali parole. – Andrò da lui. Quando mi sentirò pronta a vederlo e sarò certa di non fargli del male – affermò, ringraziando con lo sguardo padre Craig.
- Ve lo domando ancora: siete del tutto certa di voler sposare quell’uomo?
Hinedia posò lo sguardo su Naren a distanza, accorgendosi che il ragazzo li stava fissando, con uno sguardo attento e indagatore. – Lui mi apprezza. E mi fa sentire protetta, quando siamo insieme – si limitò a dire, senza alcuna inflessione nella voce. – Oramai siamo promessi, è giunto il momento per me di lasciare la casa dei miei genitori e di costruirmi una famiglia – concluse, atona.
- D’accordo. Se è quello che desiderate, non posso far altro che sostenere la vostra scelta, cara.
Tuttavia, ricordatevi sempre… - disse, riattirando la sua attenzione su di lui. - … la vita ha in serbo ancora molto per voi. Non mollate mai la presa. Abbiate fede, siate forte, avete ancora molto per cui vivere! Vedrete che verrete ricompensata, ve lo garantisco. Perciò… dimenticate la frase che permetterebbe al veleno di uccidervi. Dimenticatela, e vivete la vostra vita.
Si sentì in dovere di dirglielo, per assicurarsene. Dopo ciò che era accaduto la mattina prima, sentiva come se ogni singolo fanciullo e fanciulla di quel villaggio avessero bisogno di sentirselo dire.
Il suicidio di Folker aveva scosso ognuno di loro, in modi differenti.
La ragazza annuì, grata, e abbracciò il giovane prete con calore.
Terminati i saluti, padre Craig e Quaglia tornarono a casa, trovandola inaspettatamente vuota.
- Sarà andato a fare qualche commissione al villaggio – ipotizzò Quaglia. – Intanto risistemo le mie cose.
Padre Craig, intanto, si adoperò a spazzare via un po’ di polvere dagli scaffali e a raggruppare gli ingredienti per preparare il pranzo.
Ad un tratto, qualcuno bussò alla porta.
Il prete andò ad aprire e si trovò dinnanzi un bambino, un giovane servo del Creatore orfano, con un pacco e una lettera tra le mani.
- Cercate qualcuno? – domandò al fanciullino.
- Ho un pacco e una lettera per Even Blake. È in casa?
- No, ma potete lasciarli a me, glieli farò avere non appena tornerà.
Il piccolo annuì e gli lasciò tutto, per poi andarsene.
Padre Craig era cosciente che non avrebbe dovuto ficcare il naso in tali faccende, ma la sua curiosità prese il sopravvento al momento, così decise di aprire il pacco prima, poi di leggere la lettera.
Se avesse riposto la lettera nella busta esattamente come era arrivata, Blake non si sarebbe accorto di niente.
Per quanto riguardava il pacco… tale oggetto, che avrebbe dovuto essere inanimato, stava emettendo un rumore strano e alquanto molesto, che fece storcere il naso all’uomo.
Sembrava addirittura muoversi…
Aprì il pacco, e il suo sguardo da sospettoso mutò in sconcertato: una gatta miagolante e pelosissima uscì dal recipiente e lo guardò diffidente.
Craig provò ad avvicinare la mano per accarezzarla, e, dopo averlo annusato un po’, la micia decise che poteva fidarsi e si lasciò coccolare, prendendo già confidenza con il nuovo ambiente circostante.
Solo dopo qualche riflessione, il prete riconobbe il felino: si trattava di Nellie, la gatta che Judith stava accudendo alla cattedrale.
Per quale assurdo motivo l’aveva donata a Blake?
La domanda gli sorse spontanea, motivo per cui si affrettò a leggere la lettera, per ricevere risposta a tale quesito:
“Caro Blake,
non sto prendendomi gioco di voi e della vostra richiesta di far cessare la nostra corrispondenza epistolare.
Ho compreso i motivi per cui mi avete chiesto di non scrivervi più, e li rispetto.
Tuttavia, vi sono delle informazioni che non posso attendere dal darvi.
Innanzitutto, spero che gradirete il mio dono: i monaci stanno rendendo la permanenza di Nellie alle cattedrali impossibile, e non c’è più nulla che io possa fare per far accettare loro la presenza di un felino all’interno della dimora del Creatore e del Diavolo. L’alternativa sarebbe stata lasciarla per strada e non avrei mai potuto farlo, dopo essermi affezionata a lei.
Ricordo che Nellie si era fidata istantaneamente di voi, così come rimembro il vostro racconto di quando eravate bambino e avreste desiderato possedere un gatto.
Spero che la sua presenza in casa possa lenire, a suo modo, alcune ferite che vi portate dietro da tempo e di cui sono all’oscuro.
Ad ogni modo, vi scrivo in seguito ad una tremenda tragedia avvenuta qualche ora fa.
Sicuramente avrete udito del duplice suicidio per cui quasi l’intero villaggio sta manifestando.
Oggi ho fallito nel perseguire i miei obiettivi, e questo costituisce motivo di grande delusione verso me stessa. Tuttavia, non mollerò. Continuerò a raggiungere i miei propositi, e lo farò con ancor più determinazione di prima.
Spero che per voi sia lo stesso, e che lotterete, contro qualsiasi cosa vi stia rubando la pace e la stabilità mentale al momento, lasciandovi aiutare e supportare da coloro che vi amano.
Me lo auguro con tutto il cuore.
Eppure, c’è una cosa ancora più importante che ci tengo a farvi sapere, dopo attente riflessioni.
Qualche tempo fa mi avete informata sul male che affligge vostro fratello, sin dalla nascita, un male giudicato incurabile da ogni medico del villaggio che lo ha visitato.
Mi avete detto di aver provato e letto di tutto, ma di non esser mai riuscito a trovare una cura permanente.
Ora vostro fratello sembra stare meglio, da mesi, tuttavia è bene non illudersi che la sua salute rimarrà stabile se quel tremendo male è ancora in circolo nel suo corpo.
Ebbene, ho consultato diversi manuali, in entrambe le biblioteche, anche tra quelli proibiti, a cui solo io ho accesso.
Tra uno dei più antichi e sepolti manuali, ho trovato una teoria, descritta da alcuni studiosi di medicina delle terre dell’Est. Questi uomini utilizzavano metodologie molto più avanzate e complesse delle nostre, per la cura dei mali fisici, anche dei più astiosi e sconosciuti.
Secondo i sintomi che mi avete descritto, credo di aver trovato la cura per la tremenda malattia di vostro fratello, Blake.
Tuttavia, temo che mettere in pratica tale metodo potrebbe essere molto pericoloso, in quanto noi non siamo studiosi di medicina e non sappiamo nulla a riguardo, a parte ciò che è scritto su carta.
Ho voluto comunque dirvelo, nel caso voleste tentare ugualmente.
La scelta sta a voi.
Se vorrete tentare, venite da me, con vostro fratello, nelle prime ore del mattino: conosco un luogo, all’interno delle cattedrali, in cui potremmo agire indisturbati.
Preferirei non farci scoprire dai monaci: nonostante non si tratti di utilizzare la magia nera, si tratta comunque di sperimentare una metodologia estranea, sconosciuta, straniera, dunque giudicata automaticamente barbara da loro. Meglio non rischiare.
Perdonatemi per non aver rispettato la vostra richiesta, ma è stata un’eccezione: se non lo vorrete, in seguito a questa lettera non vi scriverò più.
Spero con tutto il cuore che stiate bene.
Vi auguro di guarire e ristabilirvi presto.
 
Ps: Nellie odia le verdure e ama farsi le unghie sui tappeti. Trattatela con riguardo e lei vi ripagherà mille volte tanto.
 
                                                                                                                                           Vostra, Judith”
 
Padre Craig, sconcertato, ripose la lettera dentro la busta e prese il suo mantello in fretta e furia, senza dire nulla, diretto verso la porta.
- Dove diavolo state andando?? – gli domandò Quaglia appena entrato in soggiorno, bloccandolo sull’uscio della porta.
- A cercare Blake.
- Perché tanta fretta? Che sta succedendo…?
- Abbiamo la soluzione, Quaglia! Abbiamo la cura alla malattia di Ioan!
 
 
 
 




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