Il signore dei Khai

di Enchalott
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L’essenza di un difensore
 
Kalemi avvitò la piega dimensionale e si materializzò nel mondo in cui il Distruttore aveva dimora. Recarsi lì era la decisione più saggia.
Si era giocato ogni carta disponibile, non avere il mazzo lo limitava e parlamentare era inutile. Avrebbe preferito risolvere da solo l’impasse, ma Belker avrebbe coinvolto l’intero pantheon, compreso chi se n’era allontanato. L’orgoglio era un consigliere dannoso, l’implicazione di Azalee interferiva con la sua naturale obiettività.
«Mi inchino al mio sovrano.»
Irkalla lo aveva percepito appena varcato il confine del regno celeste e lo attendeva nello spazio-tempo estraneo al divenire. Nonostante il saluto formale non si piegò.
«Non so da dove iniziare» sospirò Kalemi.
«Da una coppa di vino.»
A la cortesia. Il dio della Distruzione era irriconoscibile in quella forma: solo gli occhi erano quelli che sfolgoravano spietati mentre arbitrava l’annientamento di un mondo.
«Il tuo sguardo non è cambiato.»
«Non sei l’unico a sostenerlo.»
La giovane divinità sorrise. Anche la sua essenza era immutata, sebbene il risultato del percorso di estrema sofferenza fosse evidente.
«Kushan» enunciò senza tergiversare «Raccontami i suoi ultimi istanti.»
«Vuoi sapere chi è il signore dei Khai?»
«Auspicavo che gli echi di quel creato non avessero disturbato il tuo riposo. Me ne dolgo e mi vergogno a confessare che Belker ha la vittoria in pugno. Senza l’erede dei daama di lui siamo perduti.»
«Se non fossi stato maledetto e costretto in carne umana, non avrei perso le tracce della sua linea di sangue. Impossibile rintracciarlo ora.»
Kalemi giocherellò con la lunga treccia, indice dell’elevato stato di apprensione.
«Eri presente alla sua morte, ti ha affidato le estreme parole. Ogni minuzia è utile.»
Irkalla scosse la testa, abbassando le ciglia sulle iridi lucenti.
«I ragionamenti limitati vi rendono vulnerabili. Rifuggi dall’errore, Kalemi. La creatura di Kushan e Dorcha era una bambina. Risvegliare il sangue demoniaco non ti consegna la certezza di una spada esterna alla perissologia.»
«Il signore dei Khai non è un guerriero!?»
«Lo è di certo, la stirpe del fuoco non fa differenze. Sono scettico sui criteri. Kushan ha giurato che il suo lignaggio non avrebbe mai più rivolto le armi contro gli dei e Belker, volenti o nolenti, è uno di noi.»
«Non mi raccapezzo» esalò il sovrano celeste.
La mano che sosteneva la fronte tremava. Irkalla gli riempì di nuovo la coppa.
«Ricordo il nostro scambio. Non aveva paura né di morire e né di me. C’era in lui un’energia straordinaria, ma non ne avevo compreso la portata. Solo quando ho sfidato la Profezia, la sua scelta mi è risultata limpida. All’epoca l’ho ascoltato perché era stato un avversario valente. E perché ha interrotto la siesta di tuo padre» aggiunse con un sogghigno.
Kalemi sollevò il calice a gradire l’abituale insolenza, condividendo la scarsa stima di Almaktti.
«Ascoltare non significa esaudire. Perché quell’eccezione?»
Il Distruttore sedette, fissando il liquido rubino come se racchiudesse la risposta.
«Aveva qualcosa che a me mancava. Miravo a dimostrarne l’infruttuosità sulla base dell’esperienza personale. Non è stata una possibilità, bensì una scommessa.»
 
Kushan teneva tra le braccia la neonata, suo ritratto in miniatura, avvolta in un fagotto macchiato di sangue. La ferita che Belker gli aveva inflitto era seria, ma non lo aveva fermato. Arrendersi non era contemplato, perdonare chi aveva negato l’aiuto e gli aveva portato via tutto era escluso. Le fiamme nei suoi occhi erano dolore e gioia, il sorriso orgoglio e tormento. Guardava la figlia e brandiva la spada per proteggerla, indomito davanti al supremo arbitro.
«È bella, vero? Assomiglia alla mia perduta sposa, ogni suo respiro grida il vincolo eterno che ci lega. Non vi permetterò di spezzarlo.»
Irkalla si era meravigliato nell’avvertire dolcezza nella sfida blasfema del demone. Aveva abbassato la mano, i frammenti del creato in dissolvenza che roteavano alle sue spalle.
«Dalle un nome. La sua anima tornerà a Reshkigal e si reincarnerà.»
«Non merita di morire.»
«Incolpa te stesso. Sfidare il pantheon equivale alla fine, nessuno escluso. Tu e lei siete gli ultimi.»
«Non comprendere l’amore sacro tra l’uomo e la donna che ne mettono al mondo il frutto, vi strappa il diritto di definirvi Superiori. Siete iniqui e privi di misericordia, rifiuto la riverenza che pretendete. Ma se questa è la legge, vi darò la mia vita. Non la sua.»
«Non serve consenso. Un battito di ciglia e tutto si annullerà per ripartire. È la sorte riservata a chi sovverte l’ordine costituito.»
«Allora perché esitate, sommo Irkalla?»
Lui aveva inchiodato gli occhi in quelli di Kushan: aveva inteso la sorgente della sua risolutezza, la stessa che lo aveva condotto a violare l’ordine cosmico. In ciò aveva avvertito un’analogia, ma non era stato sufficiente.
«Mi domando come tu possa confidare nell’amore di un’altra creatura. I mortali sono volubili, chi ti dice che tua moglie ti sarebbe rimasta fedele, che tua figlia sarà il tuo sostegno? Persino nel pantheon tale assoluto è un’utopia.»
«Credo nel valore eterno delle promesse, nella voce del mio sangue caduco, nell’insegnamento dei padri, nel assoluzione, nel riscatto. Credo in un cuore ardente, che non teme di amare a costo di trascinarsi nelle spine. Per voi non è lo stesso?»
Irkalla aveva pensato alla recente controversia con Amathira, un’incrinatura divenuta voragine, che gli aveva abbattuto lo spirito, contraddicendo nella sua crudezza ogni affermazione di Kushan.
«È una chimera. Suppongo di averne prova diretta.»
«Se vi dimostrassi il contrario?»
«È tardi per contrattare.»
Il dio della Distruzione aveva aperto le braccia, richiamando il potere dall’io profondo. Ogni scheggia di esistente era andata in cenere, quell’universo aveva esalato l’ansito terminale.
«Non io, ma lei» aveva replicato il daama, sollevando la bambina «Risparmiatela e il sangue demoniaco rispetterà il patto. Il mio amore si tramanderà e acquisterà valore ai vostri occhi. Giuro che la mia gente non si leverà mai più contro gli dei, obbedirà, li servirà. Accolgo su di me e sui miei discendenti l’espiazione che prediligerete, non importa quanto severa, il mio retaggio non mancherà.»
«Preservare un mortale dall’annullamento ha un prezzo elevato. Apparterrete a un mondo spietato, privi dei poteri che vi rendono secondi agli Immortali e il tormento della tua imperdonabile colpa graverà nei millenni sui posteri. Formuleresti la stessa richiesta?»
«Sì, mio signore.»
Il Distruttore aveva riflettuto, osservando l’incrollabile fiducia dell’opponente.
«E sia. La tua anima resterà in stasi finché le azioni dei daama non ti attribuiranno il torto o la ragione. Tua figlia sopravvivrà e su di lei peserà l’impegno che hai preso. Ti avverto, Kushan. La tua gente non conserverà la memoria degli eventi, per loro sarai poco più che una leggenda.»
«Fate di me ciò che volete. Compilerò il lascito con la linfa vitale e siglerò l’accordo alle vostre condizioni.»
«La stirpe guerriera non gradirà apprendere di una sconfitta dovuta al prevalere dei sentimenti. Ti rinnegherà. Mi stai favorendo.»
«Lasciate che siano i miei discendenti a stabilirlo. Il mio unico timore è che qualcuno li sfrutti a scopo personale. Il loro valore è ineguagliabile, si riveleranno alleati indomabili ma all’oscuro dei fatti: sarebbe semplice fuorviarli con l’esca di una vita degna delle loro origini.»
«Un’osservazione appropriata. Porrò un deterrente, desidero una sfida leale. In caso di necessità o ingerenza, l’erede del tuo casato si risveglierà e riacquisterà i poteri di semidio. Ma farò in modo che il sigillo si spezzi soltanto per un essere in grado di amare, così come sostieni. In caso contrario saranno artefici della loro perdizione.»
 
«Non gli hai facilitato le cose» commentò Kalemi.
«Lo ammetto. Ora sarebbe diverso, ma quella clausola è inviolabile.»
«Cosa accadrà all’anima di Kushan, se il signore dei Khai non interverrà contro Belker? È lui il nemico che li inganna e li sfrutta per l’ergon
«Assumerebbe il torto e pagherebbe il fio della sua arroganza. Il suo spirito non si reincarnerebbe. Sfidare gli dèi resta un fallo meritevole di punizione.»
«Se invece avesse ragione?»
Irkalla posò il calice e sorrise. Gli occhi terribili brillarono tra le ciglia scure.
«Ha ragione. Altrimenti io non sarei quaggiù. Diversamente da ere fa, condivido il suo punto di vista, pur non ammettendo deroghe. Sono i Khai che lo precipitano nel torto con il loro modo di vivere. Il dio della Battaglia è stato padrone della partita dall’inizio, me ne sarei accorto se la mia mente non fosse stata occupata da ciò che sai. Se l’atteso difensore non prova lo stesso amore del suo antenato, sarà una duplice sconfitta.»
Il principe celeste inalò l’aria, conscio della portata degli eventi.
«I Khai non amano e ne fanno una ragione di vanto. Persino Valarde è in ansia.»
«Mi risulta che non tutti siano così.»
«Se ti riferisci agli hanran, non hanno credibilità. Vivono ai margini, sono fumo negli occhi, nessuno seguirà un guerriero proveniente dalle loro fila. Inoltre i figli di Kaniša sono decisi a infliggere il colpo di grazia alle loro aspirazioni egualitarie.»
Il Distruttore rifletté in silenzio, rigirando un orecchino tra le dita. Intuendone i ragionamenti, Kalemi gli posò la mano sul braccio.
«Non puoi eliminare Belker, è fuori discussione: ha presunto un tuo intervento, si è asserragliato nell’apeiron. Attaccarlo è minare ciò che ci rende pan-theon, un suicidio collettivo. Sarebbe distruggere la fonte di ogni nuova creazione. Metà di te, Irkalla. Non concepisco nulla di peggio.»
«No? Ti aiuto io. Senza la metà bianca, quella nera non sarebbe controbilanciata» asserì il Distruttore, scostando la chioma dalla fronte e mostrando il cerchio bicolore disgiunto «Avrebbe luogo un’implosione, ogni spazio-tempo si contrarrebbe nella non esistenza. Ci chiamano Immortali poiché il dettaglio non è noto, ciò dimostra che non lo siamo affatto. Sparire dai pensieri degli esseri umani sarebbe il meno.»
«Spero non si giunga a questo. Uno scontro tra te e Belker…»
«Lo so. Capisco perché non mi hai convocato. La mia presenza lo inasprirebbe, al momento è meglio che non mi intrometta.»
«No» obiettò Kalemi «Alla fine, per una ragione o per l’altra, tocca sempre a te. Non è giusto, inoltre sono trascorsi pochi anni dall’ultima volta in cui hai agito. Meriti di riposare, beneficiare della tranquillità che hai reclamato.»
«Sbagli, non ho preteso nulla. Conosco il mio ruolo.»
«C’è chi ha domandato per te» sorrise il giovane dio.
«Dimenticavo che ascolti le preghiere dei mortali.»
«Me l’hai insegnato tu, ora non lamentarti.»
«Allora lascia che questo assennato tutore ti metta in guardia. Non sottovalutare il cuore degli esseri umani. Il signore dei Khai è un daamakha, ma vive da sempre in mezzo a loro. Anche se il codice d’onore cui si attiene gli imponesse di non amare, il dettame non annullerebbe i suoi veri sentimenti.»
«Già, ma i demoni lo vedono come un morbo insanabile. Preferiscono uccidersi. O vengono considerati indegni e condannati a morire di stenti come schiavi.»
«Allora sono abituati» considerò Irkalla serafico.
«A cosa?»
«A sopprimere l’ego.»
 

 
Danyal schiuse le palpebre in un candore irreale. Impiegò qualche secondo a riconoscere il ricovero destinato ai feriti gravi. Il bianco delle lenzuola, delle tende e delle pareti garantiva l’asetticità dell’ambiente ed era una preghiera agli dei, affinché preservassero l’anima di chi giaceva tra la vita e la morte.
La memoria si era arrestata all’attimo in cui la spada di Mahati gli aveva squarciato la carne, il resto era un coacervo sbiadito di immagini e suoni. Avvertiva un dolore intenso al fianco, la luce smorzata della lampada lo infastidiva, l’odore di medicinali era stordente. Prese fiato, ottenendo in cambio una fitta decisa. Gemette.
«Generale? Il generale è sveglio!»
L’esclamazione fu seguita da uno scalpiccio: i guaritori comparvero al suo capezzale e scambiarono pareri concitati a bassa voce.
Chiuse gli occhi, le voci si fecero indistinte, mani estranee lo toccarono sollecite per mantenerlo cosciente. Tornare dai sogni costava caro.
Sua moglie e sua figlia in vita, la guerra un evento lontano e letto sui manuali militari. La quercia sacra ombreggiava il tempio della divina Azalee, non era un tizzone carbonizzato, le fronde riparavano dalla calura estiva.
Non rammentava parole, bensì sorrisi, sguardi, il bacio romantico della donna che aveva sposato, l’abbraccio genuino della loro piccola.
Una lacrima scese lungo la guancia, dolore invitto che gli lacerava l’anima. Aveva trentaquattro anni e un terzo della vita lo aveva trascorso a combattere.
Quando erano morte, era in prima fila alla difesa della capitale e la notizia era giunta al tramonto insieme alla sconfitta. Non aveva avuto tempo di piangerle, di affrontare la sofferenza, di abitarla. Ma nel coma che lo aveva condotto alla soglia del Custode aveva implorato il loro perdono e lo aveva ottenuto – ne era certo - in una visione di perduta serenità. Si era riconciliato con se stesso, scontrandosi con il senso di colpa per averle lasciate sole e con quello insormontabile del non detto.
Nel luogo della mente, creato dalla precarietà, aveva raccontato alla moglie del giorno più difficile della sua vita, quando per difenderla era stato costretto a offenderla e aveva sentito di non avere lacrime sufficienti a mondare il trascorso. Lei lo aveva ascoltato, la mano era scesa a confortarlo mentre si prostrava ai suoi piedi, scosso dai singhiozzi. Lo aveva accarezzato con dolcezza e, quando tutto era stato posto sul piatto, gli aveva detto addio in una stretta struggente.
Dèi pietosi, come avrei voluto seguirla oltre il confine!
Non lo aveva fatto, le braccia erano di nuovo vuote. Prive della sua famiglia e del suo principe, senza la spada.
Shaeta, non vi abbandonerò.
Tornò al contingente, alla stanza bianca, alle voci angosciate di chi lo aveva visto perdere conoscenza. Al desiderio di preservare la sua terra sino all’ultima scintilla vitale.
«Non sforzatevi, generale. Avete perso molto sangue, siete rimasto incosciente per oltre due settimane.»
«Il kori?» mormorò rauco.
«Ha funzionato. Mahati è morto.»
«Avete visto il suo corpo?»
«No. I Khai lo hanno cremato.»
«Hanno attaccato?»
«Nonostante il lutto, lo stormo agli ordini del principe Rhenn ingaggia battaglia.»
Danyal sospirò. Difficile credere che quel figlio dell’inferno avesse reso l’anima tanto in fretta. La presenza dell’erede al trono era ambigua: era lì per supplire in attesa della guarigione del fratello o per decretarne il sostituto? I ribelli avrebbero chiarito il quadro, sempre se fossero stati disposti a rinnovargli la fiducia dopo il duello con il loro Kharnot. L’unica al corrente del sodalizio era Amshula: considerando i tempi stretti e lo stato d’immobilità, avrebbe dovuto occuparsi lei del contatto.
«La regina?»
I guaritori ebbero un’esitazione che non gli sfuggì. Fece per sollevarsi, ma quelli lo bloccarono e vuotarono il sacco con l’intento di tenerlo a letto senza agitarlo con un silenzio di facile interpretazione.
«E non l’avete ancora trovata?»
«No comandante. La neve ha cancellato le tracce e il demone non è tornato al campo, non siamo sicuri che non l’abbia portata a Mardan.»
Il generale strinse le lenzuola, meno bianche del volto. Privo di lei e di Shaeta, l’Irravin era distrutto a livello morale. Il tracollo definitivo era una questione di tempo, ma non era quella certezza a farlo sentire inutile. Era un sentimento privato.
Neppure questa volta l’ho salvata.
La memoria volò a una quindicina d’anni prima, alle candele oscillanti che rischiaravano il buio della torre, alla paura, al senso d’impotenza.
 
«Chiudete gli occhi, concentratevi sulla persona che più amate al mondo.»
«Quella persona non esiste, sono sola.»
«Siete voi quella persona.»
«Cosa cambierebbe, pensandolo?»
«Che non rinuncereste mai a salvare l’oggetto del vostro amore.»
«Ma non sono in grado di farlo.»
«Forse non materialmente, il vostro spirito non deve restare in catene.»
«Conoscete la via?»
«Sì. Chiudete gli occhi.»
«Come vi chiamate?»
«Danyal. Per servirvi.»
«Anche voi siete prigioniero?»
«Del mio orgoglio.»
«Di uno sporco ricatto. Mi dispiace.»
«Non attribuitevi la colpa, mia signora.»
«Siete il primo a chiamarmi così. Potremmo guardarci negli occhi, se lo concedete.»
«A costo che mi vediate piangere.»
 
Il generale strinse i pugni, trasportato da emozioni lontane e feroci, una ferita più dolorosa di quella che gli pulsava al fianco.
«Non importa cosa mi fate ingoiare, riempitemi di farmaci e rimettetemi in piedi!»
I guaritori si consultarono, pronti a esprimere un parere contrario.
In quel momento le mura di Minkar tremarono.
 
Rhenn caricò in piena notte. Le nubi che oscuravano la luna mimetizzarono lo stormo finché non lanciò il segnale d’attacco.
I vradak bendati obbedivano fiduciosi ai talloni e ai finimenti. Non si sarebbero fatti ingannare dal buio, la visione perfetta dei Khai avrebbe governato lo scontro.
I reikan, armati di archi e con le redini tra le zanne, infierirono sui nemici accorsi alle merlature e rasentarono le mura, eliminando i soldati schierati ai portali. Solo alla fine l’olio incendiario fu scagliato e colse l’obiettivo, aprendo una breccia nella torre nord.
«Anche noi sappiamo giocare a freccette!» commentò sprezzante.
L’esplosione fuori norma, seguita alla bordata, segnalò il traguardo. Sorrise gelido, gli occhi viola schiariti dalle fiamme verdastre.
«Abbiamo preso i laboratori degli alchimisti!» esclamò Sheratan «Lode a Belker!»
«Se non sono inetti, hanno nascosto le riserve nei sotterranei. Accontentiamoci, avranno difficoltà a produrre l’arma e i nostri guaritori disporranno di ampio respiro.»
«Un colpo da maestro, altezza reale.»
«Dappoco. Mi chiedo perché mio fratello non lo abbia messo a segno.»
«In verità ci siamo concentrati sull’ala settentrionale. Il principe Mahati ha espresso seria inquietudine per i precedenti esiti negativi.»
«Mh» borbottò il primogenito «Troppa indulgenza.»
Il generale si guardò dal replicare, limitandosi a osservare la nuova deflagrazione. Ma non si era sognato fiamme che non attecchivano e in ciò era in buona compagnia.
«Riducete il bastione in cenere» ordinò l’erede al trono «Niente prigionieri.»
Lasciò che Sheratan si occupasse del resto e compì un volo discendente, guidando Delzhar in un giro d’esplorazione. Con l’uniforme addosso e il dorcha sulla pelle si sentiva rinato, da tempo gli mancava la sensazione di avere la guerra in pugno, piegare gli avversari portando una formazione gli forniva un senso di potere.
Se Kaniša lo avesse saputo, si sarebbe infuriato e lo avrebbe rinchiuso per un paio di secoli o finché Reshkigal non fosse intervenuto a liberarlo. In teoria la visita a Minkar si sarebbe dovuta concludere con la nomina di un sostituto ad interim.
Al diavolo mio padre! Troverò una panzana da rifilargli, sempre che sia in sé.
Quanto gli premeva non era a Mardan, a partire dal rimandato confronto con Yozora.
Sarebbe opportuno rientrare con lei per consultare lo Shikin, ho la sensazione che le risposte siano lì. L’altra volta ho iniziato a decifrarlo dopo che ci siamo beccati, forse il segreto sta nel farmi montare in collera. Sarà complicato schiodarla da Mahati, salvo un suo ordine diretto.
Il fratello appariva restio a separarsene, specie dopo la terza asheat. Si domandò se nell’intimità della tenda avesse concluso con un accoppiamento degno di quel nome e avvertì la solita punta di fastidio.
Non aveva riferito alla principessa i risultati dell’esame del sangue, come se una parte di lui ambisse alimentare i dubbi per impedirle l’unione carnale. Difficile che si fosse concessa a Mahati con quella domanda pendente.
La memoria gli aveva restituito ogni dettaglio di quando le era saltato addosso, il che aveva alimentato gli interrogativi sulla forza segreta delle divinazioni.
Sono un veggente da strapazzo e mi accendo al ricordo di una donna che non ho posseduto. Patetico.
Chiuse il cerchio intorno alle fortificazioni fumanti e riportò Delzhar in assetto. Avevano l’offensiva in pugno: Sheratan non si stava risparmiando, i cavalieri alati erano uno spettacolo sublime, la prima armata era all’altezza della fama. Lo aveva seguito senza eccepire, il cambio al vertice non aveva destabilizzato gli uomini, erano un insieme compatto creato per volare e uccidere.
Si domandò come si sarebbero schierati in caso di un suo scontro con Mahati. La riflessione, germinata dalle parole dell’hanran giustiziato, lo innervosì. Tuttavia era una realtà possibile. Attendeva da sempre che il minore lo sfidasse per il trono, forse gli avrebbe dichiarato guerra dopo il rogo funebre di Kaniša, forse mai.
Credevo che l’unico impulso a spingere un principe khai alla lotta fratricida fosse l’affermazione di sé e della propria linea di sangue. Invece ne esiste un secondo, mai contemplato e altrettanto forte.
Se Mahati avesse disconosciuto il suo diritto, lo avrebbe fatto per Yozora. Un’idea tanto assurda da fargli prendere in considerazione il suggerimento del sesto senso.
A quel punto tornare alla capitale e farsi il bagno nell’antidoto al farmaco propinatogli da Ishwin, per poi ingravidare Rasalaje, si classificava alla pari dell’identificazione del discendente di Kushan. Sempre che le cose non venissero a coincidere.
Le prime luci dell’alba irruppero da oriente, presagio di mutamento.




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