Nessun legame, nessun dolore

di Magica Emy
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Capitolo 2
 
Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma Ranma era così dannatamente sexy mentre si allenava che non sarebbe riuscita a staccargli gli occhi di dosso neppure se avesse voluto. I suoi movimenti armonici e fluidi parevano fendere l’aria intorno a lui e l’ampio petto nudo, sul quale indugiò a lungo, accarezzandolo con lo sguardo e immaginando di percorrerlo con una scia di baci roventi fino all’elastico dei pantaloni, si alzava e abbassava a ogni passo, mettendo in mostra i muscoli guizzanti talmente contratti da sembrare di marmo. Cavolo, aveva proprio un debole per quegli addominali.
Un momento.
Perché non stava indossando una maglietta? Il suo era forse un subdolo tentativo di mettersi in mostra, sperando di attirare su di sé gli sguardi furtivi di qualcuno? Magari della sottoscritta? Maledetto egocentrico che non era altro, a che gioco stava giocando? Lei era lì per tutt’altro motivo. O meglio, l’intenzione era quella, poi però si era lasciata distrarre. E comunque, come poteva sapere che si era nascosta nell’ombra per osservarlo, completamente rapita da quel corpo scultoreo che…
“Ok, basta così Akane, vedi di darti una regolata. Sei qui per dirglielo e lo farai. Perché adesso, grazie alla sua piccola fuga pomeridiana (a proposito, chissà dove era andato a cacciarsi), hai avuto tutto il tempo per rifletterci sopra. Gli dirai quanto, nonostante tu gli abbia fatto credere l’esatto contrario, sia rimasta colpita e turbata dalle sue parole. Perché mai, per nulla al mondo ti saresti aspettata che lui…cominciasse a provare qualcosa per te, contravvenendo a tutti gli accordi presi in precedenza. Ragion per cui, non indugiare oltre e…”
«Avanti, smettila di spiarmi e vieni fuori, Akane. Credi che non mi sia accorto che te ne stai lì, nascosta dietro la parete da almeno dieci minuti buoni?»
Il cuore le balzò in gola per la sorpresa. Anche se immaginava che si fosse accorto della sua presenza, non credeva di certo sarebbe stato così esplicito nel dichiararlo. Comunque c’era da aspettarselo considerando il gran baccano che aveva causato prima, inciampando più volte tra le varie cianfrusaglie che quel piantagrane di Happosai lasciava sempre in giro praticamente dappertutto.
«Non mi fraintendere» continuò, abbozzando un piccolo sorriso di scherno quando la vide girare l’angolo per comparirgli proprio di fronte, insicura e vergognosa come una bambina beccata con le mani nella marmellata «so che consideri tutto questo un belvedere e sono perfettamente d’accordo con te, ma se hai voglia di giocare permettimi almeno di partecipare.»
Farabutto, presuntuoso e arrogante. Accidenti a lui e a quell’insopportabile  espressione beffarda che si divertiva a esibire mentre muoveva qualche passo nella sua direzione, annullando in poco tempo la distanza che li separava.
«Veramente, io speravo che…» deglutì a vuoto, lasciando la frase in sospeso. Adesso era così vicino da permetterle di notare le minuscole gocce di sudore che gli imperlavano la fronte e il petto, ansante per la fatica, facendolo brillare sotto la luce e conferendogli un aspetto ancor più bello e affascinante del solito, rendendole difficile la concentrazione. Si sentì arrossire fino alla radice dei capelli. Che cosa stava per dire, ma soprattutto…com’è che si faceva a respirare?
«Speravo potessimo parlare. Di quello che mi hai detto oggi, intendo.» concluse finalmente, ritrovando d’improvviso la voce e il coraggio di sollevare lo sguardo per incrociare il suo. Ranma scosse lentamente la testa, proseguendo il cammino verso di lei fino a costringerla a indietreggiare, solo per ritrovarsi con la schiena contro la parete dove il fidanzato la bloccò col proprio corpo, privandola di ogni via di fuga.
«Noi non parliamo mai Akane, non è così? Noi agiamo e basta.» le sussurrò all’orecchio con voce roca, protendendosi verso di lei per sfiorarle il viso, seguendone il profilo con un dito e indugiando sulle labbra piene e invitanti, riempiendole di attenzioni fino a farle tremare le ginocchia. Il suo cuore perse un battito all’eventualità che lui potesse smettere di accarezzarle, tracciandone piano i contorni così come stava facendo, per chinare la testa e coprirle con le proprie. Fu allora che, per la prima volta in assoluto da quando quella strana e turbolenta relazione aveva avuto inizio, si ritrovò a pensare, stupendo persino sé stessa che, se fosse davvero accaduto, se in quell’istante Ranma l’avesse veramente baciata, non lo avrebbe fermato. Ma lui non lo fece e con gli occhi ancora incollati ai suoi spinse l’indice oltre la gola, scivolando lungo la clavicola fino alla morbida curva dei seni, che titillò attraverso la stoffa leggera della camicetta fino a farli inturgidire tra le proprie mani, riaccendendole i sensi. A quel punto si impegnò a liberarli del fastidioso lembo di tessuto che li ricopriva, lasciandoli nudi e indifesi a subire la lenta e instancabile tortura della sua bocca calda che ne stuzzicò a lungo i capezzoli, succhiandoli avidamente e strappandole intensi gemiti di piacere, facendola impazzire di desiderio. Kami, perché era così maledettamente bravo nei preliminari? Ancora un po' e sarebbe uscita di testa.
«Nessun legame, nessun dolore.» disse piano, parlando forse più a sé stesso prima di continuare la lenta esplorazione di quel corpo sinuoso e impaziente, che sentiva ormai praticamente incollato addosso. Col respiro corto lasciò di nuovo le mani libere di premere e spingere sulla sua pelle, abbattendone ogni barriera e portandola in breve tempo fuori controllo quando, risalendo lungo la coscia e insinuandosi sotto la gonna colorata, le sue dita incontrarono la stoffa sottile delle mutandine, scostandole di lato per affondare nel suo umido calore. Questo la fece gemere forte e le ginocchia le cedettero all’improvviso, tanto che dovette aggrapparsi saldamente alle sue spalle possenti per evitare di cadere. Trovarla così calda e pronta ad accoglierlo lo eccitò oltre ogni limite, facendogli perdere la testa. D’un tratto il suo unico pensiero divenne quello di prenderla lì, in piedi contro quella parete, senza curarsi minimamente delle conseguenze. Afferrò così i minuscoli slip, tirandoli giù fino a metà coscia ma, proprio mentre stava per slacciarsi i pantaloni, le mani di Akane si posarono con risolutezza sulle sue, prendendolo in contropiede.
«Ranma, ti prego…» lo supplicò con un filo di voce, serrando forte le palpebre. Stava ansimando. Cercò, controllando la respirazione, di placare i battiti impazziti del proprio cuore.
«Vuoi davvero che mi fermi?» chiese lui, roco, premendole le labbra sul collo e respirando il suo dolce profumo.
«No. Solo…non qui. Non così.»
Fece un respiro profondo, prendendole la testa fra le mani e appoggiando la fronte contro quella scottante della ragazza, per tentare disperatamente di riprendere il controllo delle proprie azioni. Il bisogno di possederla, di perdersi completamente in lei gli aveva confuso le idee a tal punto da impedirgli di ragionare lucidamente. Come se, per un attimo, il cervello gli si fosse riempito di ovatta. Ma Akane aveva ragione. Si trovavano in palestra e lì qualcuno avrebbe certamente potuto vederli. Anzi, era già un miracolo che non fosse ancora successo. Approfittò di quell’improvvisa presa di coscienza per costringersi a rimettere a posto gli slip della fidanzata che, seppur frustrata e insoddisfatta, piegò la testa in un breve cenno di assenso nella sua direzione. Quanto lo desiderava! Eccitata com’era, pregò silenziosamente che riprendessero al più presto ciò che avevano iniziato, poiché la voglia di sentirlo ancora dentro di sé era talmente dirompente da mozzarle il fiato.
«Perdonami, non so cosa mi sia preso. Ascolta, vai nella tua stanza. Ti raggiungo tra qualche minuto.» bisbigliò, aiutandola a riabbottonarsi la camicetta e scostandosi quanto bastava per lasciarla andare, anche se il bisogno di stringerla di nuovo tra le braccia era tanto forte da farlo star male.
«Non ti azzardare a farmi aspettare troppo.»
«Non ci penso nemmeno.»
 
 
***
 
 
 
 
Amava guardarla dormire. Anche se non accadeva spesso, considerando quanto Akane apparisse spesso ansiosa di spingerlo fuori dal suo letto per paura che qualcuno potesse scoprirli, lasciandolo con l’amaro in bocca. Stavolta però si era finalmente appisolata, permettendogli così di contemplarne indisturbato il bel viso, dai tratti distesi e sereni, incorniciato da lunghi capelli scompigliati che non smetteva di accarezzare, sistemandole delicatamente una ciocca ribelle dietro l’orecchio. Le sfiorò le guance, ancora arrossate col dorso della mano, perdendosi a immaginare di posarle un bacio sulle labbra, ma scacciò via in fretta quel pensiero dalla mente. Non aveva certo intenzione di farla arrabbiare, né di disturbare il suo riposo. Non ora che poteva restarsene sdraiato vicino a lei per un tempo più lungo di cinque minuti, indugiando con lo sguardo sulle lunghe ciglia delle sue palpebre chiuse. Abbozzò un sorriso. Come poteva pensare di riuscire a soffocare i sentimenti che nutriva per la fidanzata, se gli bastava guardarla perché riaffiorassero con la stessa potenza di uno tsunami, ancora una volta pronti a schiaffeggiargli violentemente il cuore? Che stupido. Smettere di amarla sarebbe stato come rinunciare a un arto, se non alla vita stessa. Se ne rese conto di nuovo quando la vide riaprire lentamente gli occhi, muovendoli in tutte le direzioni fino a incontrare i suoi.
«Ehi, sei ancora qui?» la sentì mormorare, ma non vi era alcuna nota di rimprovero nella sua voce. Era felice che fosse lì, oppure…totalmente indifferente? Soffermarsi più del dovuto ad analizzare le intenzioni o i sentimenti di Akane era come giocare un terno al lotto, poiché non sarebbe riuscito a cavarne un ragno dal buco. Optò così per un’opzione più semplice. Con quella non avrebbe sbagliato di certo.
«Sì, mi dispiace» si scusò, quindi «mi sarò appisolato un momento. Vado via subito.»
Ma non si mosse perché d’un tratto la giovane spinse un dito contro il suo petto nudo, lasciandolo scivolare piano fino a scoprire una piccola lacerazione che pareva quasi deturparne la pelle, liscia e perfetta. Percorse il graffio in tutta la sua lunghezza, girandosi su un fianco per esaminarlo più da vicino.
«E questo? Dev’essere stata colpa del mio braccialetto.» considerò. Ranma si guardò con scarso interesse. Strano, non lo aveva neppure notato.
«Non è niente, non fa nemmeno male.»
«Però potrebbe infettarsi. Aspetta, lascia fare a me.»
La osservò sporgersi dal letto quanto bastava per aprire il cassetto del comodino e tirarne fuori un minuscolo barattolo piatto che aprì con uno scatto, intingendovi il mignolo fino a ricoprirlo di una strana crema biancastra che odorava di menta. A quel punto ne rivestì con cura l’intera ferita, lasciandolo perplesso.
Accidenti, che tipo. Eppure lei era così. Capace di spezzarti il cuore usando solo due parole l’attimo prima, per poi preoccuparsi per una cosa da nulla come quella appena l’attimo dopo. Fu allora che un improvviso, fastidioso bruciore sulla parte trattata lo spinse a imprecare a bassa voce.
«Ahi! Che diavolo, vuoi fare attenzione?» si lamentò, mordendosi nervosamente le labbra.
«Ma se l’ho appena sfiorato! Che esagerato che sei. E poi hai detto che non faceva male.» replicò la fidanzata, fissandolo contrariata.
«Se lo strofini a quel modo fa male, eccome! Cavolo, come al solito hai la delicatezza di un pachiderma.»
«Disse mister dolcezza in persona! Vogliamo parlare di tutti i lividi che mi lasci, considerando che per te ogni occasione è buona per saltarmi praticamente addosso? Perché credi che tenga l’unguento a portata di mano, altrimenti?»
«Così ora sarei io a saltarti addosso? E tu, allora?»
«Io non ti salto addosso!»
«Sì che lo fai.»
«Invece no.»
Ranma sbuffò, spazientito.
«Ti dico di sì. E comunque quei lividi te li procuri da sola, perché sei talmente imbranata da non guardare mai dove metti i piedi.» rispose, senza nascondere una risatina di scherno. Ricordava ancora bene quella volta in cui, troppo impegnata a tracciare con la lingua strani ghirigori sui suoi pettorali, rischiò quasi di frantumarsi la schiena contro lo spigolo della scrivania. Per fortuna, accortosi in tempo del pericolo che stava correndo indietreggiando così alla cieca, era stato veloce a farle scudo con le proprie mani, evitando il peggio. Eh sì, era davvero un impiastro. Ma era il suo impiastro e non l’avrebbe mai scambiata con nessun’altra.
«Ah! Sei matta?» esclamò, dimenticandosi di tenere bassa la voce mentre lei infieriva apposta sul graffio con più pressione di quanta ne occorresse, facendolo imprecare nuovamente dal dolore.
«Così impari, brutto cafone.»
«Passi per cafone, ma brutto proprio no.»
A quelle parole, la smorfia imbronciata sul viso della ragazza lasciò il posto a un’espressione vagamente divertita.
«Sei un cretino.» sentenziò sorridendo sotto i baffi, facendolo ridere a sua volta.
«Però ho ragione.»
«Non montarti troppo la testa. Ecco, ho finito.» disse infine richiudendo il barattolo, ma le dita continuarono a vagare distrattamente sul suo petto, sfiorandolo appena per disegnargli piccoli cerchi immaginari sulla pelle. Il giovane si rilassò, chiudendo gli occhi e godendosi la sensazione. Gli piaceva da morire quando lo toccava in quel modo e le sue mani erano così calde che avrebbe voluto prolungare quel dolce momento all’infinito.
«Ranma, tu…provi davvero qualcosa per me?»
La sentì domandare a bruciapelo, riaprendo gli occhi di colpo. Per quale motivo all’improvviso se ne usciva con una cosa del genere? Non aveva affatto voglia di parlarne. Non in quel momento.
«Perché me lo stai chiedendo?» disse, ignorando un’odiosa, quanto ormai familiare stretta allo stomaco che, puntuale come un orologio, tornava a ripresentarsi ogni volta che pensava alle famose parole che lo avevano spezzato dentro, togliendogli il respiro. Akane gli scoccò un’occhiataccia.
«Non puoi semplicemente rispondere alla domanda? Sto solo cercando di capire. Capire com’è possibile che, in tutto questo tempo, io non me ne sia accorta.» considerò, abbassando il tono fino a ridurlo a un debole sussurro. Sembrava quasi amareggiata, tuttavia Ranma non potè giurarci. Probabilmente si stava divertendo a farsi beffe di lui come al solito e ben presto sarebbe uscita allo scoperto, svelando le sue reali intenzioni. Mai abbassare la guardia con lei. Era pericoloso. E poi non voleva illudersi.
«Cos’è, ti serve un altro motivo per continuare a prenderti gioco di me?» ribattè, contrariato. La vide fissarlo con espressione inorridita.
«Di che stai parlando? Non potrei mai usare una cosa del genere contro di te e se lo pensi non mi conosci affatto!»
«Hai detto che non era un tuo problema.» le rinfrescò la memoria, nel caso avesse dimenticato il modo tutt’altro che piacevole in cui lo aveva liquidato, appena qualche ora prima. La piccola Tendo sospirò, aggrottando le sopracciglia.
«Solo perché mi avevi colto alla sprovvista» spiegò «così ho risposto con la prima cosa che mi è venuta in mente, ma questo non significa che…»
«Vuoi sapere per quale motivo non te ne sei accorta?» la incalzò senza neppure starla ad ascoltare, sentendosi d’un tratto assalire da una rabbia irrefrenabile «perché sei troppo occupata a pensare a te stessa e ai tuoi sentimenti per il dottor Tofu, per renderti conto di qualunque altra cosa accada al di là del tuo stesso naso!»
Ecco, finalmente aveva trovato il coraggio di dirglielo. Akane rimase a bocca aperta, talmente scioccata da non riuscire a emettere suono.
“Beccati questa! Non sono certo un idiota, mia cara.”
«Che c’è, credevi che non mi fossi accorto di come gli sbavi dietro tutte le volte che lo vedi?» rincarò la dose, provando un sottile piacere nel provocarla a quel modo.
«Io non sbavo dietro a nessuno!» esclamò lei, ritrovando d’improvviso la voce mentre fiamme ardenti parevano danzare nelle sue iridi color cioccolato, ormai traboccanti di livore «E comunque non sono affari che ti riguardano, perciò non permetterti mai più di tirare in ballo la mia vita privata. Sono stata chiara?»
«Stai sprecando il tuo tempo a rincorrere una chimera» insistette, duro «mentre invece l’unica cosa sensata che dovresti fare è dimenticarlo per sempre. Lui non merita le tue lacrime.»
«Non parlare così del dottor Tofu, tu non vali neppure la metà di lui!» replicò e l’espressione costernata che assunse subito dopo, segno evidente che si era già amaramente pentita dell’orribile cattiveria che, per colpa della rabbia si era lasciata sfuggire, non parve toccare minimamente Ranma, il quale si limitò a guardarla come se avesse avuto il superpotere di incenerirla sul posto.
Questo era veramente troppo.
Le voltò le spalle, affrettandosi a raccogliere i vestiti sparsi sul pavimento per indossarli e uscire velocemente dal suo letto, d’un tratto ansioso di mettere tra loro quanta più distanza possibile.
«Scusa, mi è uscita male. Non volevo dire una cosa del genere, io…»
«Invece penso sia esattamente quello che volevi dire.» la interruppe, ignorandone il tono colpevole. Si sentì afferrare per una spalla, liberandosi con un violento strattone che la raggelò all’istante.
«Ranma, per favore, aspetta!»
Il suo ultimo, disperato tentativo di trattenerlo non servì allo scopo. Non avrebbe sentito ragioni. Non a quel punto.
«Non me ne starò qui un minuto di più a continuare a farmi insultare da te» disse amaro, abbassando la maniglia con uno scatto furioso ed evitando accuratamente di guardarla negli occhi «Inoltre, lascia che sia chiaro su una cosa, Akane: non sono il tuo giocattolo, non puoi usarmi a piacimento ogni volta che ne hai voglia per poi scaricarmi e offendermi nei peggiori modi possibili, solo perché ti diverte mancarmi di rispetto.»
Il tono era basso e controllato, ma vibrante di risentimento. Era stanco di quell’assurda situazione e talmente patetico da farsi pena da solo.
«Ranma, non…»
«Qualunque cosa ci fosse tra noi, da questo momento è finita. Completamente finita.» aggiunse, lapidario, e di nuovo si costrinse a non incrociare neppure per sbaglio lo sguardo smarrito della fidanzata, il cui nodo in gola divenne insopportabile quando riprese la parola.
«Vuoi lasciarmi finire o no? Ti ho detto che mi dispiace, non era mia intenzione ferirti.»
«Sì, riprovaci quando saranno delle scuse sincere.»
«Perché credi che non lo siano?»
Avrebbe voluto urlarle contro che poteva contare un milione di motivi per non fidarsi di lei, ma a cosa sarebbe servito? Forse solo a farlo sentire peggio di come stava.
«Ho chiuso, Akane. Ti saluto.» bofonchiò prima di lasciare la stanza, richiudendosi violentemente la porta alle spalle.
 
 
 
 
 




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