Il
greve profumo dei fiori riempiva le orchidee e si mescolava all'odore
della terra, umida di pioggia.
Alejandro,
in ginocchio, fissava una lapide, gli occhi velati di lacrime. Sotto
quella tomba, riposava suo fratello Reynaldo.
La
sua vita tormentata aveva avuto un esito tragico.
Le
lacrime, impetuose, bagnarono le sue guance e il suo corpo si
irrigidì, in un estremo tentativo d'autocontrollo. Avevano sfruttato
il suo amore per Mercedes Ferreira, pur di abbatterlo, come un
animale.
Un
nobile sentimento, pur nato in un animo oscuro, lo aveva condannato
ad una fine tragica.
– Ed
è tutta colpa tua, papà... – sussurrò. Il disgusto per suo
padre, implacabile, emergeva nel suo animo.
Quell'uomo,
un tempo da lui amato, non era degno del loro rispetto.
Il
suo esempio aveva degradato la natura di Reynaldo e lo aveva
trasformato in un criminale.
Come
suo padre, anche lui aveva le mani macchiate di sangue.
Quelle
quattro lettere, riferite ad un simile uomo, parevano quasi vibrare
d'un suono scordato.
Un
conato di vomito, come un pugno, lo colpì allo stomaco. Fernando
Maldonado, per compiacere la sua avidità, non aveva esitato a
colpire la sua amata Mercedes.
Non
aveva avuto alcun rispetto dei sentimenti del figlio a lui più
simile.
Scosse
la testa, cercando di calmare gli accessi di pianto. Perché si
meravigliava di tali atti?
Suo
padre aveva strappato tutti e tre all'affetto delle loro madri.
Per
soddisfare la sua avidità, non aveva esitato a uccidere il padre di
Isamar.
– Quanto
male ci vorrai ancora fare, Fernando Maldonado? – sussurrò.
Implacabile, la morte di Reynaldo si ripeteva nella sua mente.
Gli
pareva di sentire il gelo della sua pelle contro le proprie dita e
avvertiva il tanfo ferrigno del suo sangue.
Di
scatto, si alzò. No, non poteva restare in quel luogo.
Se
fosse rimasto lì, ne era sicuro, sarebbe morto, soffocato dai suoi
rimpianti.
Avanzò
d'un passo, ma un nuovo, violento conato di vomito lo sopraffece e
cadde.
Due
braccia forti, pronte, lo sostennero e lo appoggiarono ad un albero.
Alejandro
reclinò la testa sulla spalla e i capelli scuri coprirono parte del
suo viso.
– Da
quanto tempo sei qui? – domandò una voce maschile decisa, seppur
pacata.
Il
giovane girò la testa e i suoi occhi si rifletterono nelle iridi
cerulee di José Luis Alvarado.
Fissò
di lui uno sguardo perplesso. Un tempo, quel ruvido avvocato era
stato innamorato di Isamar.
Forse,
non aveva mai smesso di amarla.
Non
aveva esitato a porre le sue conoscenze giuridiche contro l'intera
famiglia Maldonado.
Perché
era lì, in quel cimitero?
Un
mezzo sorriso sollevò le labbra dell'altro. Aveva sentito il corpo
di Alejandro irrigidirsi, in un moto di diffidenza, e non poteva
biasimarlo.
Questa
sua emozione era comprensibile.
Un
tempo, non aveva esitato a servirsi delle sue conoscenze giuridiche
in nome di obiettivi egoistici.
Pur
di ottenere l'amore di Isamar, aveva distorto la sua ricerca della
giustizia e non si era curato dell'innocenza di Alejandro e
Guillermo.
Scosse
la testa. Gli occhi di Alejandro, rossi di lacrime, rivelavano
l'amarezza di un cuore nobile, straziato da tante, troppe tragedie.
Non
idealizzava la figura di suo fratello, ma questa sua consapevolezza
non lo proteggeva dalla disperazione.
Un
simile uomo era ben degno dell'amore di Isamar.
Non
era colpevole delle infamie dei suoi familiari.
Anche
tu sei una vittima. Forse più di Isamar., pensò.
Un tempo, aveva visto in lui il primogenito di una famiglia
degenerata, meritevole di punizione per il solo cognome.
Ma,
davanti a quel viso sofferente, le sue convinzioni crollavano.
Isamar
e Martha potevano conservare un ricordo sublime dei loro cari
defunti.
Ad
Alejandro tale privilegio non era concesso e doveva sopportare il
peso di un disonore immeritato.
– Perché
sei qui, Alvarado? – domandò Alejandro, diffidente. Il tono del
suo rivale gli era parso differente, ma non riusciva a credere ad una
tale fortuna.
In
quei giorni, tante crudeli disgrazie si abbattevano sulla sua
famiglia.
– Volevo
parlarti. Ma non è il momento. –
rispose l'altro, serio.
Desiderava un dialogo franco tra entrambi, ma non poteva obbligare
Alejandro ad uno sforzo per lui impegnativo.
Fissò
lo sguardo sul viso dell'architetto. I sottili occhi neri sembravano
ben più grandi sul suo viso, d'un pallore spettrale.
La
sofferenza si era riverberata sul suo volto e lo avrebbe creduto
morto, se non avesse sentito flebili singhiozzi.
– Torna
da lei. Non penso che voglia cercarti per tutto il paese. –
affermò.
Alejandro
sbarrò gli occhi. Lui lo stava incoraggiando a tornare da Isamar?
Eppure,
un tempo, non aveva esitato a gettare fango sul suo nome.
E
aveva ragione., pensò.
La sua famiglia, un tempo ritenuta onorevole, si era rivelata un covo
di segreti dolorosi ed efferati delitti.
E
lui, come un idiota, non aveva saputo andare oltre un distorto
affetto familiare.
– Tu
non sei loro. E sono stato un idiota a non capirlo prima. Pur di
soddisfare i miei desideri, sono andato contro i miei principi
di uomo di legge.
Non mi fa onore. – affermò. Finalmente, si era liberato di un
pesante gravame.
Aveva
saputo discernere la realtà dalle sue fantasie erotiche e gli pareva
d'avere ripreso la sua dignità.
Alejandro
fissò su di lui uno sguardo lucido di gratitudine. Un simile raggio
di luce, in quella tenebra, era a lui gradito.
Forse,
in un tempo futuro, poteva aspirare alla felicità.
Provò
a rialzarsi, ma un nuovo giramento di testa lo fece barcollare.
José
Luis scosse la testa, avanzò d'un passo e gli strinse la vita con un
braccio.
– Sarà
meglio che ti riporti io da lei. Almeno, sarai tutto intero. –
affermò, il tono rassegnato.
Poco
dopo, i due giovani uscirono dal cimitero.
P.S.:
ritorno a scrivere su questa telenovela venezuelana dopo una
settimana un po' tempestosa.
Secondo
me, una cosa che è mancata è una evoluzione del personaggio di José
Luis (Gianluigi nel doppiaggio italiano), che, pur fatto passare per
buono, non ci arriva a capire che Alejandro, con i danni commessi da
suo padre, non c'entra nulla. Ho cercato di rimediare io.
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