Frammenti di Specchio

di Registe
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Capitolo 23 - Proposta indecente







Gimli








Gli occhi che lo scrutavano con diffidenza da oltre la scarsa illuminazione della cella erano di quelli che Zexion avrebbe sempre preferito evitare di incontrare. Duri, fissi, a loro agio anche nell’oscurità più fitta. Se il suo olfatto gli permetteva di mantenere intatta qualsiasi percezione anche in totale assenza di luce, la figura dall’altro capo della cella poteva vantare la stessa sicurezza anche se tutte le luci della prigione fossero saltate all’improvviso.
I nani erano un popolo aggressivo, sprezzante, molto sicuro di sé. Da sempre legati all’Alleanza Ribelle, era il tipo di soldati che nessuno, nemmeno i migliori assaltatori di Carida, avrebbe voluto trovarsi di fronte in un combattimento ravvicinato. Il prigioniero che si avvicinò a Camus con passo marziale avrebbe potuto benissimo frantumargli una gamba con una sola stretta della mano; l’enorme barba tipica di quel popolo presentava segni di bruciatura e di sangue, ma il numero di trecce e decorazioni fece capire subito al ragazzo che il nano doveva essere qualcuno di importante e non un comune spaccapietre.
“Camus, trattieni la lingua per cinque minuti, per favore”.
Si portò di fronte alla barriera a passi lenti ma ben studiati per emettere quanto più rumore possibile. Si piazzò di fronte a lui, e sebbene gli arrivasse alla spalla il ragazzo sapeva benissimo che se le difese della cella non fossero state attive, la creatura davanti a lui avrebbe potuto atterrarlo in qualsiasi momento. Aveva una voce molto profonda, ma il suo Basic era perfettamente comprensibile. “Con questo moccioso adesso parlo io”.
“Gimli, non capisci, lui è …”
“L’ennesimo Membro dell’Organizzazione tuo amico, lo so”.
Gimli.
Zexion aveva letto abbastanza report dei Servizi Segreti per non sapere chi avessero tra le mani. Le facce del popolo dei nani gli erano sempre sembrate tutte uguali, ma il mandato di cattura per Gimli, figlio di Gloin, rientrava tra gli obiettivi di livello A.
Capì immediatamente perché l’Impero non lo avesse passato subito a colpi di blaster.
I nani erano legati all’Alleanza Ribelle grazie alla fedeltà che Gimli, uno dei loro principi, aveva posto nella figura del re Aragorn, l’unificatore.
Una figura del genere, se ben gestita, poteva cambiare molti assetti di battaglia e, capì subito Zexion, aveva appena mandato all’aria la sua immediata possibilità di ritrovare suo zio.
“Non stavo parlando con te, nano. Ritirati”.
“Poco male. Adesso sono io a parlare con te, principino”.
Camus provò ad interromperlo, ma Gimli mugghiò qualcosa di incomprensibile per poi voltarsi di nuovo verso di lui. “E te lo dico chiaro e tondo. Con quella tua lingua potrei pulirci la lama della mia ascia, se la avessi sotto mano! Perché potrai pure muovere a compassione Camus, ma con me la musica cambia”.
Il ragazzo non aveva bisogno dei suoi poteri per percepire tutta la collera del suo interlocutore. Non era violenta come gli scatti di tante persone con cui era entrato a contatto, piuttosto la sensazione di totale opposizione dell’altro, ancorato nella sua disposizione come un piccone nella roccia. Se i Ribelli avevano inviato un principe dei nani in una missione, era perché si sentivano più che certi che non vi sarebbero stati intoppi diplomatici durante i lavori; dunque era chiaro che la loro relazione con Onoam durava da molto più di quanto i Servizi avessero sospettato.
Non che la cosa gli importasse più di tanto.
“Camus, ascolta …” iniziò, cercando di aggirare l’ostacolo, ma il nano si piazzò in mezzo a loro, il grosso naso che sfiorava la punta della barriera elettromagnetica mandando scintille.
“Camus, non dare a questo moccioso quello che desidera. Figuriamoci, cerca di corromperti facendo gli occhi dolci … Bah, un Membro dell’Organizzazione rimane sempre un Membro dell’Organizzazione”
Gli odori del sacerdote si riflettevano nel suo sguardo sperduto e confuso. Zexion sapeva, sentiva il desiderio di Camus di rivelargli l’ID di suo zio, era così schifosamente zuccheroso da fargli venire il mal di stomaco, ma … la voce di quel Gimli aveva avuto l’effetto di una rozza grancassa dentro un’armonia ben costruita.
“Padron Zexion ha bisogno di rivedere suo zio, Gimli! Sarebbe ingiusto da parte mia non …”
“Senti, non ti sto dicendo di prendere quell’ID e buttarlo nella latrina, per la barba di Aulë! Ti dico solo di rifletterci” borbottò, poi sputò per bene a terra prima di fissare di nuovo Zexion negli occhi. “Ragazzino, tu ti presenti qui e pretendi qualcosa da noi. Così, solo perché ti sei venduto all’Impero e fai la voce grossa perché stai fuori da questa cella”.
“In caso non ve ne foste accorti …” fece il ragazzo, schiarendosi la voce “…siete prigionieri dell’Impero, non miei. E da Camus voglio solo …”
“Senti, sei stupido o sei sordo?”
Per un attimo al giovane venne in mente di chiamare gli assaltatori del piano di sopra, far spostare il nano in un’altra cella e continuare in separata sede col sacerdote. E lo avrebbe anche fatto, se non fosse stato per la rapida occhiata che scivolò tra Gimli e Camus nella frazione di un istante, quando il suo naso lo avvisò che il Cavaliere d’Oro aveva spostato la sua attenzione sulle parole del proprio compagno di cella.
Dèi ladri.
E, cosa purtroppo più importante, il nano aveva capito benissimo che Camus lo stava ascoltando. “Moccioso, stammi a sentire. Sai chi mi sembri? Uno di quelli che prima ti fanno franare la miniera, e poi vengono a venderti gli strumenti per scavare. In altre parole, mi puzzi più di un Sudrone”.
A braccia incrociate, nonostante la sua scarsa altezza, sembrava più lui a suo agio in quella cella sotto terra che tutti gli assaltatori ed i minatori di Onoam messi insieme “Camus, apri bene le orecchie perché se parli giuro sulle palle di Aulë che appena esco dico a Leia dei tuoi inghippi, che tanto li sappiamo tutti tranne lei. Il ragazzino vuole quell’ID, giusto? Bene, tu glielo darai. Se lui farà qualcosa per noi”.
La netta sensazione di essere appena stato messo nello sterco dal primo ribelle di passaggio si fece strada nella sua testa prima ancora che Gimli finisse il discorso. “Tu facci uscire di qua, bel faccino. Noi e tutti i minatori. E solo dopo Camus ti darà quello che vuoi. Ti piace come accordo?”
 





Quando Vexen provò a ordinare una tazza di tè al club privato dei membri del Sole Nero, il rodiano dietro il bancone lo guardò come se fosse uscito fuori di testa.
“Ehi amico, questo è un locale serio! Non vendiamo piscio riscaldato!”
Vexen bestemmiò tra i denti, ma alla fine dovette accontentarsi di uno dei pochi articoli non alcolici nel menù, ovvero un caffè ithoriano. Aveva un sapore simile alle miscele che aveva già provato all’Alleanza e su altri pianeti, ma con un vago retrogusto di cannella. Non male tutto sommato.
 
Narratore: "L’ avventura di Vexen ormai si sta trasformando in un tour enogastronomico. Ma sta sempre a bere o a mangiare questo qui?”
Registe: “Tu non hai un corpo, Narratore, ma guarda che gli umani normali mangiano anche tre volte al giorno.”
Narratore: “Ecco, sempre a rimarcare la mia mancanza di un corpo. Se non è discriminazione questa…”
 
Lavok avrebbe iniziato anche subito con le lezioni di alchimia, ma il principe Xizor lo aveva richiamato per esaminare i resti del medaglione maledetto e il mago non si era potuto sottrarre alla richiesta. Ciò aveva concesso a Vexen tempo e tranquillità per dedicarsi al suo progetto personale.
L’idea gli era venuta osservando Katjaa, la hacker sullustana. Era stata lei a dargli appuntamento in quel posto, una cantina a pochi isolati dal palazzo di Xizor dove erano ammessi solo gli affiliati al Sole Nero e gli ospiti personali del principe.
Nel locale si soffocava - Vexen iniziava a credere che l’aerazione fosse un concetto sconosciuto nei Bassifondi - ma per il resto l’atmosfera sembrava piuttosto tranquilla. Alcuni membri del Sindacato erano raccolti attorno a un tavolo dove due criminali si sfidavano in un gioco strategico con miniature olografiche che teneva tutti con il fiato sospeso e, grazie al cielo, relativamente in silenzio. L’unico accenno di rissa, scoppiato poco dopo l’arrivo di Vexen, era stato prontamente sedato da un colpo di blaster della twi’lek che gestiva il posto. Il corpo era stato rimosso ancora prima che la maggior parte degli astanti si fosse resa conto dell’accaduto.
“L’odore promette bene.”
Katjaa seppellì il muso nel sacchettino che Vexen le aveva appena consegnato, aspirando a pieni polmoni l’aroma di spezia.
“E se il sapore è buono anche solo la metà del campione che mi hai fatto provare un’ora fa… direi che ti sei guadagnato il mio tempo, tesoro!”
“Ti ho già detto tutto quello che so sul ragazzo. Scopri su che pianeta si trova e te ne darò il doppio. E niente scherzi strani.” Vexen era consapevole che il suo sguardo minaccioso necessitasse di considerevoli miglioramenti, ma sperò che il tono sicuro della voce e l’entusiasmo di Katjaa per il suo prodotto riuscissero lì dove il suo carisma personale non poteva arrivare. “Ricorda che nessun altro nei Bassifondi è capace di sintetizzare questa roba. Se dovesse succedermi qualcosa…” indicò il sacchetto tra le mani di Katjaa. “… quella sarà la tua prima e ultima dose.”
Katjaa gli regalò un’altra delle sue risate che la facevano somigliare a un mostro gorgogliante degli abissi: “Siamo nervosetti, vedo! Tranquillo, tranquillo, siamo tra amici qui. E a proposito, ho fatto come mi hai chiesto e sparso un po’ la voce. Aspettati presto nuovi clienti!”
Con un ultimo cenno di saluto, Katjaa ingurgitò una generosa manciata della sostanza nel sacchetto e iniziò a masticarla voluttuosamente. I suoi occhi, già grandi e liquidi, persero fuoco in men che non si dica e si dilatarono all’estremo. Fece appena pochi passi, lasciandosi cadere su una sedia qualche metro più in là, ma la sua mente e il suo sguardo erano già ad anni luce di distanza.
Vexen si mise comodo a sua volta sul divanetto di similpelle consumata che aveva scelto come propria roccaforte, in un angolo poco trafficato del locale. L’affare si era concluso in modo più semplice del previsto. Non si era nemmeno dovuto procurare nuove componenti: era bastata qualche modifica a livello molecolare su un piccolo campione della spezia prediletta da Katjaa - semplice alchimia di base -  e la dipendenza della sullustana aveva fatto il resto. Il nuovo prodotto dava effetti più intensi e duraturi, oltre a possedere caratteristiche organolettiche più gradevoli per la maggior parte delle specie umanoidi. Se si fosse giocato bene le sue carte, avrebbe potuto guadagnare un discreto gruzzolo di crediti. E i crediti erano il suo miglior lasciapassare per fuggire da quel maledetto pianeta.
“Mi hanno detto che qui posso trovare un mago dei Bassifondi che produce spezia di qualità.”
Vexen sbuffò ancora prima di alzare gli occhi. La persona che si era accomodata al suo tavolo senza invito non era il cliente che sperava, ma una Freki sorridente, vestita di una tunica morbida piena di drappeggi dall’aria sofisticata e profumata di un mix di essenze floreali che doveva risultare eccitante per gli organi sensoriali dei falleen ma pizzicava come alcool etilico le narici degli umani.
La squadrò, inarcando un sopracciglio. “Vedo che il principe non mentiva riguardo la sua generosità.”
Lei alzò le spalle e poggiò le mani sul tavolo. Aveva le unghie smaltate di viola.
“Bisogna anche saper cogliere i vantaggi del proprio lavoro” commentò, in tono enigmatico. Poi scosse impercettibilmente la testa e fece un cenno fugace con gli occhi, come a dire: “non adesso”.
Ma Vexen non aveva alcuna voglia di indagare. Né di giocare alla spia. Si limitò a prendere un sorso di caffè prima di schiarirsi la voce: “Sto aspettando potenziali clienti. Se non sei qui per comprare mi occupi il tavolo e basta.”
Lei sbatté le palpebre un paio di volte, come se una luce troppo forte l’avesse colpita. “Cosa ho fatto per meritare tutto questo astio?”
“Cosa non hai fatto, più che altro” Vexen fece una risatina vuota. “Com’era? Mantengo sempre la parola data. Se non puoi procurarmi ciò che mi serve, dovrò farlo da solo.”
“Ti avevo detto che sarebbe servito tempo. I database dei Servizi Segreti non sono uno scherzo.”
“Beh, io non ho tempo. Non più.”
Freki incrociò le braccia, ma non accennò a schiodarsi dal tavolo, anzi, sembrò sprofondare ancora di più nella poltroncina girevole. Vexen concentrò tutta la sua attenzione sul suo caffè, ma con la coda dell’occhio la vide mordicchiarsi il labbro per qualche secondo.
“È per via di quel tuo amico ribelle. Quel Camus.”
“Tra le altre cose.” Non gli piaceva il suo tono di sufficienza.
“E pensi di riuscire a salvarlo da solo? Da un centro di detenzione imperiale?”
“Quello che penso o non penso di fare non ti riguarda.”
Lavok poteva averlo convinto a non lasciare i Bassifondi all’istante e senza un piano, ma non lo avrebbe mai persuaso a riporre tutte le sue speranze nelle mani dei ribelli. Dèi ladri, i ribelli erano il motivo per cui Camus si trovava in pericolo di vita. Perciò Vexen aveva formulato una strategia alternativa. Più prudente, più sicura. Ma pur sempre una linea d’azione.
“E come conti di uscire dai Bassifondi? Metti un piede in superficie e la polizia ti impacchetta all’istante. Non dimenticartelo.”
“Posso procurarmi documenti migliori. Katjaa mi ha già indicato un paio di contatti nel Sole Nero. Devo solo mettere insieme la somma richiesta.”
Ancora prima che finisse la frase Freki stava già aprendo la bocca per ribattere, ma Vexen non la lasciò finire: alzò la voce e le parlò sopra a sua volta.
“E prima che tu mi dica che l’Impero conosce la mia faccia sì, ho pensato anche a questo. Ci sono tecnologie in grado di alterare i connotati in modo convincente ma non invasivo: protesi temporanee, maschere di nanochip… ancora una volta, tutto sta a procurarsi i soldi necessari. Cosa che stavo cercando di fare prima che tu mi interrompessi.”
Un paio di teste si erano girate a guardarli, incuriosite dal battibecco, ma presto l’attenzione generale tornò a concentrarsi sul gioco strategico: un nuovo sfidante si era seduto al tavolo del precedente vincitore, incoraggiato da applausi e schiamazzi. Vexen non si preoccupava che qualcuno potesse sentirlo: era pronto a scommettere che una buona maggioranza degli astanti fosse ricercata dall’Impero e avesse problemi simili ai suoi. Non aveva detto nulla di straordinario in un covo di criminali.
Freki non rispose subito ma affondò nuovamente le spalle nello schienale, scrutandolo dal basso verso l’alto. La mandibola contratta e le braccia strette contro il petto erano un segnale inequivocabile: era contrariata, sulla difensiva. Nessuno scintillio divertito negli occhi ambra, stavolta. Il suo sguardo era un muro di cemento, grigio e insondabile.
“E comunque non capisco a cosa ti serva io a questo punto. Hai i Corthala, hai tutte le risorse del Sole Nero, hai il favore del principe Xizor. Che cosa vuoi ancora da me?”
Dall’area di gioco esplose un tripudio di acclamazioni. Qualcuno doveva aver messo a segno una mossa decisiva.
“Forse… forse è soltanto che ti invidio.”
Con tutto quel clamore Vexen credette di aver afferrato male la risposta, ma Freki la ripeté, e a quel punto fu lui a rimanere senza parole.
“Perché hai qualcuno per cui lottare” adesso Freki parlava con gli occhi rivolti al tavolo da gioco festante. Anche la sua voce era monocorde, lontana. “Qualcuno per cui sei disposto a mettere in gioco tutto te stesso. È una sensazione che avevo dimenticato.”
“Non è una sensazione particolarmente piacevole quando entrambe le persone sono prigioniere dell’Impero e una rischia la vita nell’immediato futuro” sbuffò Vexen. “La tua invidia è decisamente mal riposta.”
Lo sguardo di Freki tornò a fissarsi nel suo: “Pensi che lavorare per cause in cui non credi solo per i soldi e la sopravvivenza sia meglio?”
Vexen aveva finito le risposte, perciò sbuffò di nuovo e afferrò la tazzina di caffè. La trovò tristemente vuota. Freki fece un cenno a un droide cameriere e un minuto dopo due tazze nuove, più tonde e capienti, fumavano quiete davanti a entrambi.
“Questo lo offro io. E…” Vexen la vide sfilarsi un bracciale, un cerchio argentato decorato di gemme viola grandi come capocchie di spillo che brillavano vivaci ad ogni movimento del polso. Non glielo aveva mai visto prima, perciò immaginò che fosse l’ennesimo regalo di Xizor. Lei lo poggiò sul tavolo e lo spinse nella sua direzione.
“… anche questo. Tanto il principe non se ne accorgerà nemmeno.”
Vexen fissò il gioiello senza toccarlo. “Perché?”
“Hai idea di quanto costi una maschera di nanochip?” Lo scintillio negli occhi di Freki era tornato. “Più di quanto uno spacciatore bravo riesca a fare in un mese di lavoro, te lo assicuro.”
Vexen scosse la testa. “Intendevo dire perché mi aiuti.”
Lei fece spallucce, soffocando una risatina. “Che dire? Non mi imbatto spesso in persone brillanti e determinate come te. Sei pieno di risorse, ma meriti anche un piccolo aiuto da parte della sorte.”
Solo allora Vexen si decise a raccogliere il bracciale. Lo sollevò sotto le luci soffuse del locale, osservandolo attraverso le spire di fumo di spezia e tabacco che aleggiavano nell’aria. Non si intendeva di gioielli, ma dubitava che il capo del Sole Nero regalasse oggetti di bigiotteria alle sue conquiste amorose.
“Grazie” fece con voce asciutta.
Freki sorrise.
“Raccontami di loro.”
“Loro?”
“I fantomatici Zexion e Camus per cui stai sfidando la galassia da solo. Zexion è tuo figlio, questo l’ho capito. Sua madre dov’è?”
“Non c’è nessuna madre.”
Freki fece una faccia talmente buffa da far passare in secondo piano la sua raffica di domande inopportune. Per un istante sembrò una bambina, protesa in avanti sul tavolo con gli occhi sgranati e le guance gonfie come un pesce palla.
“Wow! Lo hai clonato? O… creato con l’alchimia?”
Suo malgrado Vexen scoppiò a ridere: “La tua considerazione mi onora, ma temo che la creazione della vita dal nulla sia un traguardo mai raggiunto nemmeno da Hohenheim della Luce in persona. Il padre e fondatore dell’alchimia” aggiunse poi, notando lo sguardo interrogativo di lei.
“Adottato, quindi?”
“Esatto. Spiacente di deluderti.”
Si chiese se il nuovo caffè non fosse corretto con qualcosa di alcolico, perché sentiva la testa leggera e la lingua sciolta, la rabbia di poco prima un lontano ricordo. O forse era solo che parlare con Freki era incredibilmente… semplice? Non aveva bisogno di controllare le emozioni come con Zexion. Non doveva temere i giudizi e i sermoni religiosi di Camus.
Non c’erano sensi di colpa ingombranti come macigni con cui dover fare i conti.
“Camus invece è il mio assistente” proseguì, nella speranza di prevenire ulteriori speculazioni bizzarre.
“Con tutti i bravi ricercatori che ci sono nella galassia sei andato a cercarti proprio un ribelle come assistente?”
“È stato prima che entrasse nell’Alleanza. Diciamo che non condivido il suo spirito di sacrificio in nome dell’umanità.”
“Avendo visto come ragionano i Corthala posso dire che ti capisco. Come lo hai conosciuto, allora?” Agitò una mano nell’aria, protendendo il palmo davanti a lui. “Aspetta, aspetta, fammi indovinare…”
Mai come in quel momento Vexen fu grato al caffè alcolico o presunto tale. Prese un altro lungo, lunghissimo sorso.
“Era il tuo studente più promettente all’università?”
Non c’erano risposte semplici a quella domanda. Poteva optare per il silenzio, naturalmente. Non aveva nessun obbligo morale di dire la verità.
Poteva fuggire da quella conversazione in qualsiasi momento volesse.
Freki doveva aver notato la sua tensione. Sollevò i palmi davanti a sé, in segno di scusa.
“Forse sono stata troppo indiscreta.”
Vexen scosse la testa. “Magari il mio pianeta fosse così avanzato da avere università” commentò in tono amaro.
Le parole di Freki avevano aperto uno squarcio su una realtà alternativa, un mondo per cui Vexen provò un’inspiegabile nostalgia pur non avendolo mai vissuto al di fuori della propria immaginazione. Sarebbe stata una bella vita. Una carriera universitaria promettente, il rispetto dei suoi pari e della comunità scientifica. Laboratori immacolati pronti a sfornare scoperte rivoluzionarie al suo più minuscolo cenno. Qualche premio prestigioso anche, perché no. Viaggi per ricerca e conferenze, in prima classe con Zexion. Un Camus seduto al primo banco a ogni lezione, sempre pronto ad alzare la mano per porre le sue insopportabili domande sull’etica nella scienza.
In un altro universo, forse.
Un universo in cui, gli piaceva pensare, non avrebbe commesso gli stessi errori.
Nascosto dietro la tazza di caffè fumante, Vexen sorrise con malinconia.
“Diciamo che il mio incontro con Camus… non è avvenuto in circostanze di cui io vada particolarmente fiero” disse infine.
Un eufemismo bello e buono. Ma era la prima volta che si lasciava sfuggire una considerazione del genere ad alta voce.
“Valygar aveva accennato qualcosa, in effetti” Freki percorse con il dito la traccia circolare lasciata dalla sua tazza sul tavolo. “Pensavo che esagerasse.”
“Spiacente di deluderti ancora una volta.”
“Però… puoi andare fiero del modo in cui sono andate a finire le cose, penso. Voglio dire, avrai pur fatto qualcosa di buono se lui ti bombarda di messaggi apprensivi.”
“Forse è il suo modo di vendicarsi” sogghignò, maledicendo allo stesso tempo dentro di sé il caffè che era finito una seconda volta.
Era grato a Freki per il tentativo di vedere le cose da una prospettiva più ottimistica. Non cancellava il passato, ma il peso in qualche modo diventava più leggero. Non si era reso conto di quanto ne avesse bisogno.
“Se fossi in lui impazzirei di gioia nel vedere quello che stai facendo per aiutarlo. Non è una cosa comune, te lo assicuro. Non lo è affatto.”
Sul tavolo, le dita di Freki sfiorarono delicatamente le sue.
“Ti auguro davvero di ritrovare entrambi.”
L’ennesimo scoppio di acclamazioni dal tavolo da gioco annegò il lungo sospiro di Vexen.
“Lo spero tanto anche io” mormorò, abbandonandosi più comodamente sullo schienale. Reclinò il collo all’indietro e strizzò gli occhi contro il fumo che aleggiava placidamente contro il soffitto. La sua mano, sul tavolo, non si era spostata.
“Per il momento però mi accontenterei di qualcos’altro da bere.”
Freki alzò una mano per richiamare il cameriere, e sorrise.




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