CAPITOLO 3
“Le
prime avventure”
Quando i nove tornarono all’edificio
che, fino a qualche minuto prima, era stata la loro prigione, vi
trovarono ad aspettarli una figura ormai conosciuta. La stessa donna
bionda che, tramite gli schermi presenti in ogni cella, gli aveva
comunicato che la loro vita d’ora in avanti era mutata per sempre,
era ora in carne ed ossa di fronte a loro.
“Bentornati”.
“Ma te sei la chica bionda di prima!”
urlò stupito il messicano, indicandola anche a tutto il resto della
compagnia.
“Esatto. Potete chiamarmi Sara
Silvestri, se volete” li informò lei.
“Sei venuta a darci il colpo di
grazia?” le domandò l’italiano allarmato ma, allo stesso tempo,
sorpreso di incontrare una sua connazionale, mentre stava già
trasformando la sua mano destra in un’arma da fuoco.
“Niente affatto. Al contrario, sono
venuta a darvi nuovamente il benvenuto alla Humana. Questa volta
verrete trattati in maniera più civile, dato che avete accettato di
aderire per vostra volontà al nostro progetto. Dunque, niente più
prigionia ma, piuttosto, avrete ognuno una vostra camera da letto
personale, con tutti i relativi comfort”.
Il gruppo, nonostante quanto detto
dalla presunta padrona di casa, rimase comunque titubante.
“Allora…” prese la parola la
francese “Possiamo davvero fidarci di te?”.
“Se volte seguirmi, lo capirete”
concluse Sara, voltandosi per avviarsi verso l’abitazione.
Per il momento, nessuno della compagine
sembrò avere l’intenzione di seguirla. Poi, il più innocente di
loro, iniziò a fare qualche passo in avanti.
“Dove vai Igor?” lo richiamò
preoccupata Frédérique.
Il ragazzino si bloccò un attimo, per
poi voltarsi verso i restanti otto “Io mi fido di lei”.
Bastarono queste semplici parole a
convincere gli adulti a seguire il russo.
Entrati nell’ingresso aprendo una
pesante porta blindata, lasciata per l’occasione socchiusa, poco
più avanti si trovarono davanti un enorme salone, con una decina di
sedie disposte in maniera circolare. Attorno ad esse, vi erano vari
mobili d’arredamento come: una libreria piena di libri dalle più
svariate dimensioni, una vetrata con esposta un’elegante
argenteria, un orologio a pendolo dal classico suono ritmato, una
lunga tavola rettangolare appoggiata ad una parete e, attaccato al
muro, uno grosso schermo, al momento spento.
“Sembra di essere ad una riunione
degli alcolisti anonimi” ironizzò l’americano.
“Prego signori” la bionda
ricomparve da un angolo della stanza, facendo sobbalzare dallo
spavento qualcuno di loro “potete accomodarvi”.
L’africano alzò la mano per chiedere
la parola “Posso sedermi per terra? Non ho mai amato granché le
sedie”.
“Ma per quanto riguarda il nostro
amico energumeno qui” chiese Bernardo indicando l’indiano “Siamo
sicuri che la scranna reggerà?”.
Nonostante queste rimostranze, il volto
della giovane donna rimase impassibile. Alla fine, tutti gli invitati
presero posto.
“Bene. Se avete delle domande da
pormi, sono a vostra completa disposizione” spiegò la bionda.
“Io vorrei sapere, onorevole signora,
il motivo per cui siamo qui?” domandò il cinese.
“Come già vi ho anticipato ore fa,
noi dell’Humana vi abbiamo recuperato per concedervi la possibilità
di vendetta verso Mohammed Al-Shirida, il vero responsabile di ciò
che vi è accaduto”.
“Mi domando” esordì l’inglese
“come mai siamo stai scelti noi? E, soprattutto, costui è davvero
così pericoloso come sembra che lei ci vuole suggerire?”.
“Purtroppo la vostra scelta è stata
pressoché casuale. Una delle manie di questo emiro qatariota è
proprio quella di affidarsi alla casualità, nella programmazione dei
suoi piani criminali. Per quanto riguarda la sua pericolosità vi
svelerò che, in sé e per sé, l’unica forza di quest’uomo è
data dalle sue immense ricchezze. Tale caratteristica ha portato
questa persona a compiere uno degli esperimenti più orribili e
distruttivi che il mondo possa immaginare…”.
I nove, dopo queste ultime parole,
rimasero con il fiato sospeso.
“… Attraverso il mercato nero più
inquietante che questo pianeta possa avere, è riuscito a procurarsi
due dei cervelli più letali che siano mai esistiti. Una volta
avutili in suo possesso, ha dato vita alla più inquietante
operazione chirurgica inimmaginabile…”.
Il pathos tra i presenti era ormai
palpabile.
“Quest’uomo, o sarebbe meglio dire
questo mostro, a fuso parte del suo cervello con altre provenienti
dal cerebro di Napoleone Bonaparte ed Adolf Hitler!”.
La notizia più shoccante che si
potesse dare fu affidata a nove persone provenienti da parti
differenti del globo terrestre. Dopo tale rivelazione, furono ben
pochi e insignificanti i quesiti posti alla signora Silvestri.
Uno dei più colpiti da tali eventi fu
lo statunitense Johnny Wayne che, per tale motivo, ottenne il
permesso di uscire fuori dall’abitazione per prendere letteralmente
un po’ d’aria. Ad ampliare maggiormente le sue preoccupazioni vi
erano anche le parole che Sara gli aveva sussurrato pocanzi.
“Soggetto N. 9, su di te l’Humana
ripone grandi speranze dato che, secondo i nostri calcoli, sei la
persona più adatta dei nove per guidare gli altri alla vittoria”.
“Cazzo!” proruppe infine
l’americano “Io l’unica cosa che so guidare sono le monoposto.
Non certo un gruppo di supereroi, o quel cazzo che dovremo essere!”.
“Johnny…”.
Una voce femminile lo fece voltare di
scatto all’indietro. La francesina gli si portò di fianco,
appoggiandogli una mano delicata sulla spalla.
“Tutto bene?”.
“Sì certo, a parte tutto questo
casino!”.
“Ti capisco Johnny. Anch’io sono la
prima a non credere a cosa ci sta succedendo”.
“Ma la cosa più assurda è tutta
quella storia dei tre cervelli, per quello che ho potuto capire…”.
L’americano si fermò, vedendo la
donna scrutare attentamente un punto imprecisato in direzione
dell’orizzonte.
“Che ti succede? C’è qualcosa che
non va?”.
La ballerina in un primo momento non
rispose. Poi, finalmente si ridestò “No… niente. Mi sembrava che
qualcosa sfrecciasse nella nostra direzione… ma mi devo essere
sbagliata”.
L’altro, allarmato, si mise a fissare
il medesimo punto visivo ma, a parte le cime degli alberi tutti
attorno e qualche vetta montana, non riuscì ad identificare alcuna
presenza minacciosa.
“Comunque, dati i tuoi nuovi poteri,
non è una cosa da sottovalutare. Meglio rientrare alla base ed
informare Sara di tutto ciò”.
Lei accolse positivamente la decisione
presa da Wayne e, entrambi a passo svelto, rientrarono nella villa
che li stava ospitando.
“Sara! Sara! Ma è possibile che non
si faccia viva proprio ora?” imprecò l’uomo.
“Forse allora è meglio chiedere
l’aiuto degli altri” propose dunque lei.
La coppia salì rapidamente l’elegante
scala in legno che li portava al piano superiore, quello adibito alle
varie camera da letto riservate ai membri del gruppo.
Una volta lì, entrarono come una
tempesta dentro la prima stanza incontrata. Spalancata la porta, si
trovarono davanti l’inquietante visione di un messicano in mutande.
“Oddio!” gridò la fanciulla,
coprendosi la faccia rossa con le mani.
“Che c’è? Io, quando sono a casa
mia, giro sempre in mutande” spiegò senza pudori Bernardo.
“Invece di perder tempo” lo canzonò
il biondo “Mettiti i calzoni e vieni con noi che Frédérique pensa
di aver visto qualcosa”.
I due uscirono da quella camera veloci
come se dentro vi fosse la più letale delle pestilenze, tanto da non
accorgersi dell’avvicinarsi di un altro essere umano.
“Che sta succedendo qui?” domandò
allarmato l’italiano.
“Ah, stiamo perdendo anche troppo
tempo!” sbottò Johnny “Meglio che andiamo solo noi quattro che
sennò, avanti che li abbiamo avvisati tutti, potremo già essere
sotto attacco”.
Il quartetto, uscito dalla villa, si
avviò nella direzione che gli indicava la francese. Di colpo, un
fulmine a ciel sereno si abbatté nelle vicinanze. Loro rimasero
bloccati in silenzio, temendo ciò che poteva attenderli se
proseguivano nella ricerca. Ma, a causa di quella morbosa curiosità
verso l’ignoto a cui ogni essere umano è predisposto, i quattro
ripresero il cammino.
Improvvisamente, si trovarono davanti
ad una figura spettrale che lì osservava silenziosamente. Un uomo, o
almeno era ciò che presumevano fosse, dai capelli canuti, la pelle
di un pallido cadaverico, gli occhi freddi e bianchi come il ghiaccio
e una veste del medesimo colore.
Il soldato si fece coraggio e tentò un
approccio verbale “E-Ehi tu! C-Chi diavolo sei?”.
L’interpellato non sembrò dare alcun
segno di risposta. Poi iniziò a muovere le labbra “Io sono il
Soggetto N. 10”.
“C-Cosa?!” esclamò allibito il
Soggetto N. 7.
“E cosa vuoi da noi?” chiese
furioso il Soggetto N. 9.
L’albino si trincerò nuovamente nel
suo silenzio di tomba. Quindi riprese la parola “Mi è stato
soltanto ordinato di eliminare gli altri nove”.
“C-Cosa?! E da chi?” esclamò
sempre più allibito Borghi.
“Che sia la stessa Humana?”
ipotizzò sconvolta Arone.
“E se invece si trattasse dello
Spettro Bianco?” propose contrariato Wayne.
“Non me ne importa una cazzo! Se vuoi
venire a farci il culo, io ti aspetto!” lo provocò Alberti, che
già stava mutando la sua mano destra in una Smith e Wesson.
Alla vista di tale minaccia, il nuovo
arrivato fece un passo e scomparve. Letteralmente. Solo uno dei
quattro intuì cosa fosse appena successo e, per tutta risposta,
parti egli stesso all’inseguimento.
Mentre tutto l’ambiente attorno a lui
sfrecciava sfuggente, l’americano si mise a pensare “Possibile
che abbia anche lui la supervelocità? Che gli abbiano dato il mio
stesso potere? Però, se fosse stata l’Humana, avrebbe dovuto
indossare la nostra stessa uniforme. Invece la sua è anche troppo…
bianca!”.
Nel frattempo, il Soggetto N. 3 si mise
ad urlare “Fermati N. 10! Se anche tu sei stato trasformato in un
mutante come noi, non dovresti attaccarci ma, anzi, potresti
diventare un nostro alleato!”.
L’interessato si fermò di colpo
davanti alla donna.
“No! Ferma, piccola! Non capisci che
è un nostro nemico!” pensò il biondo, oppure parlò tanto veloce
da non essere compreso.
Il Soggetto N. 10 sembrò colpito dalle
parole della donna. I suoi occhi iniziarono a brillare di una luce
sinistra, per poi emettere due raggi laser verso di lei. Il velocista
fece appena in tempo a salvarla.
“Al diavolo! Io me la squaglio!”
sentenziò il baffuto, mentre iniziava a mutare forma in un ghepardo,
per cercare di sfuggire più rapidamente.
Purtroppo, tale procedura, non gli
permise di vedere l’enorme gorilla di montagna che gli piombò
rovinosamente addosso.
“Figlio di puttana perché non te la
vedi con me?” ma, nonostante la quantità infinita di pallottole
sparategli contro da Andrea, la sua pelliccia sembrò non risentirne
affatto.
Accortosi di tale fastidio, il suo
avversario riprese infine la sua forma, questa volta però presentava
stretta fra le dita una minacciosa bomba a mano.
“Oh cazzo!” imprecò l’altro
mentre saltava appena in tempo per evitare danni peggiori dovuti
all’esplosione.
Il biondo tornò nuovamente ad
affrontarlo “Allora sei soltanto un lurido copione!”.
L’albino lo squadrò serafico. Nel
giro di un secondo, entrambi scomparirono dalla vista umana.
In tutta la foresta, due folate di
vento s’inseguivano, facendo lo slalom fra i tronchi dei vari
alberi presenti. Nel contempo, i due sfidanti non si perdevano
d’occhio, mentre tutta la realtà attorno a loro andava al
rallentatore. Mentre proseguivano, Johnny notò gli occhi del nemico
tornare ad illuminarsi minacciosamente. Si bloccò appena in tempo
per evitare la traiettoria dei due raggi laser.
“Cazzo! Questo bastardo riesce ad
usarne anche due alla volta!” constatò allarmato lo statunitense.
Perso di vista il N. 10, il Soggetto N.
9 si mise a controllare rapidamente tutto l’ambiente circostante.
Mentre proseguiva nella sua ricerca, sentì uno strano sibilo farsi
via via sempre più nitido. Ancora una volta, si scostò appena in
tempo per evitare un enorme masso destinato alla sua testa.
“Fatti vedere, brutto figlio di
puttana!” urlò disperato l’americano.
Per tutta risposta, fu investito da una
pioggia di pallottole che, fortunatamente, o lo mancarono o
s’infransero contro la sua uniforme antiproiettile. Preso dal
panico, Wayne fuggì via trovando rifugio dietro il fusto di un
abete.
“Non ce la faccio ad affrontarlo da
solo!” confessò a sé stesso il velocista “Dove sono finiti
tutti gli altri?”.
Mentre riprendeva fiato, si accorse che
la foresta si era fatta silenziosa in maniera allarmante. Dopo un
tentennamento iniziale, si decise a fare capolino per controllare la
situazione. Tutto sembrava calmo e tranquillo. Troppo calmo e
tranquillo.
Come nel peggior incubo immaginabile,
tutto il bosco circostante iniziò a mutarsi. Gli alberi, i sassi ed
anche qualche foglia in qualcosa dalla forma nettamente più umana.
“Oh merda!” imprecò con un filo di
voce il mutante mentre, davanti a lui, si presentava ora un intero
esercito formato da individui tutti praticamente identici al Soggetto
N. 10.
“Non è possibile…”.
“Sì, lo è”.
Preso com’era nell’ammirare
quell’inquietante spettacolo, Johnny non si era accorto di avere al
suo fianco proprio lo stesso rivale albino.
“M-Ma cosa ti hanno fatto?”.
“Loro sono tutti miei fratelli”.
“Giusto un gruppo di scienziati
nazisti poteva pensare ad una tale follia!”.
“Per te sono folli, per noi sono
geni. Ora, Soggetto N. 9, sai cosa ti aspetta…”.
L’interessato lo sapeva. Chiuse gli
occhi quando cominciò a vedere, tra i vari gemelli, alcuni con gli
occhi già luminosi, altri con le bocche già fiammeggiante, mentre
molti stavano già tramutando parti del loro corpo nelle più
svariate armi da fuoco.
Il corpo del pilota tremava tutto,
aspettando di percepire il più grande dolore possibile che l’avrebbe
di certo portato alla morte. Tale attesa sembrava non avere mai fine.
Non avvertendo ancora alcuna sensazione, il condannato si decise
infine a sollevare appena una palpebra.
“Dove sono?” esclamò, mentre
osservava le onde che si infrangevano contro gli scogli. Tutto ciò
avveniva nel fondo dello strapiombo dove ora si trovava il biondo.
“Johnny mi senti?”.
“C-Chi sei?” domandò nuovamente al
vento.
“Sono Igor, sto parlando direttamente
dentro alla tua mente. Ho fatto appena in tempo a trasferirti lontano
da loro, grazie alla telecinesi”.
“Allora ora dove mi trovo?”.
“Sei a qualche chilometro da loro.
Più in là non ho potuto portarti perché, appena ti hanno visto
scomparire, hanno subito cominciato a cercarti, anche scandagliando
tutto il territorio telepaticamente”.
Come aveva previsto il ragazzino russo,
i mutanti albini, oltre ad utilizzare la telepatia, sfruttavano anche
la super velocità e la capacità del volo.
Nel quartier generale degli Humana,
tutti i restanti Soggetti, compresi i tre che avevano inizialmente
accompagnato Wayne nella loro sfortunata fuoriuscita, circondavano
Wansa che, nel frattempo, proseguiva con l’istruire il compagno in
difficoltà.
“Eppure ci sarà un modo per poterli
sconfiggere, evitando di usare qualsiasi ordigno atomico” chiese
isterico l’americano.
“L’unica tua possibilità, mi sta
dicendo Sara, è quella di usare la tua velocità per metterli gli
uni contro gli altri”.
“Quindi voi non avete intenzione di
muovere il culo per aiutarmi?”.
“Noi dobbiamo rimanere qui alla base,
nel caso decidessero di attaccarci tutti in massa”.
Soggetto N. 9 ci rifletté un attimo.
Poi partì a tutta velocità per mettere in atto, o per lo meno
tentare di farlo, il piano del suo gruppo. Fatto appena qualche
metro, notò l’arrivo di tre nemici. Fu allora che il velocista
iniziò a correre attorno a loro, sperando che questi ultimi lo
seguissero come le pecore fanno con il pastore. I tre, come
auspicato, partirono al suo inseguimento. dopo qualche minuto di
corsa circolare, uno del trio prese la direzione opposta, pensando di
bloccare il fuggitivo. Ma era proprio ciò che voleva l’americano.
Scansandosi all’ultimo microsecondo,
mandò i tre a scontrarsi frontalmente tra loro.
“Bingo!” esultò festante il
vincitore.
Esaltato dal suo primo successo, lo
statunitense mise in atto tutta una serie di disfide, portando in
poco tempo tutti i cloni a darsi battagli fra di essi. Nel pieno
della lotta, come se qualcuno avesse premuto un interruttore
invisibile, tutti i Soggetto N. 10 presenti collassarono al suolo.
Mentre l’unico uomo in piedi era
rimasto a bocca aperte nel vedere tale spettacolo, la voce nella sua
testa tornò a farsi sentire “C-Ci sei Johnny? Com’è andata?”.
“È stato più divertente che guidare
in una monoposto! Poi però è successo qualcosa di strano… tutti i
mutanti sono svenuti, o almeno spero siano soltanto svenuti”.
“Lo sappiamo Johnny” lo informò
Igor “Sara ci ha informato che è intervenuta la stessa Humana per
risolvere la situazione”.
“E non potevano pensarci prima?!
Comunque adesso cosa faccio io?”.
“Forse era per metterti alla prova.
Dicono che devi rientrare alla base”.
Nonostante fosse ancora perplesso, alla
fine Soggetto N. 9 obbedì agli ordini.
Tutto l’ambiente circostante sembrava
essere tornato sereno. Anche se, e di ciò ne erano coscienti gli
stessi Humana, difficilmente tale situazione sarebbe durata ancora
per molto, in particolar modo ora che lo Spettro Bianco sapeva dove
erano rifugiati i nove mutanti.
Come a presagire una nuova tempesta,
nello stesso suolo in cui il velocista del gruppo aveva affrontato i
molteplici cloni albini, iniziò a crearsi una lieve crepa. Mano a
mano che i secondi passavano, tale incrinatura si allarga sempre più,
fino a raggiungere il livello di una vera e propria voragine.
Raggiunto un diametro di parecchi metri, la furia si placò. A poco a
poco, da quell’apertura cominciò ad emergere un inquietante
obelisco.
“R-Ragazzi! Ci sono altri problemi!”
Igor avvertì il resto del gruppo, che nel frattempo stava dando il
bentornato a Johnny.
“Cosa? Ma se sono appena rientrato!”
protestò rabbioso l’americano.
“A quanto pare” s’intromise Sara
“lo Spettro Bianco non vuole darci tregua. Dato che Soggetto N. 3 è
priva di sensi, Soggetto N. 1 riesci a percepire di cosa si tratta?”.
“Purtroppo non con chiarezza. Ma, da
quando è apparsa questa nuova minaccia, non sento più l’esistenza
dei cloni”.
Senza proferir parola, il più
massiccio della comitiva si avviò verso la porta d’ingresso.
“Dove vai, capo?” tentò di
fermarlo Wayne.
“Fuori” tagliò corto Giunan.
“Qualcuno vada con lui!” ordinò
Silvestri.
“Vado anch’io!” informò gli
altri Juna.
“Eh sia! Almeno morirò da eroe!”
lo seguì Jack.
Vedendo altre tre persone uscire dalla
villa, Johnny sbraitò contro i pochi rimasti presenti “Dove sono
gli altri che erano usciti con me? E come mai Sara ha detto che
Frédérique è priva di sensi?”.
“Cerca di darti una calmata,
onorevole Wayne” lo richiamò Chang “I tre compagni che erano con
te sono stati condotti nell’altra stanza, per fargli recuperare un
minimo le proprie forze”.
Come un lampo, il pilota si proiettò
verso la camera adiacente, dove trovo, sopra a tre brande, il trio
con cui aveva affrontato Soggetto N. 10. Dei convalescenti, solo
Andrea si era già rialzato dalla posizione distesa.
“Johnny, che sta succedendo lì
fuori?” cercava d’informarsi l’italiano.
L’altro non lo ascoltò nemmeno,
preoccupato com’era verso la salute della francesina. Con una nuova
fierezza nel suo sguardo, ripartì ad alta velocità verso l’esterno.
“Soggetto N. 9!” tentò inutilmente
di richiamarlo Sara.
In un attimo, lo statunitense si trovò
a rimirare il torreggiante profilo dell’obelisco, la cui punta
sembrava perforare addirittura il cielo.
“Che cazzo è quello?” esclamò nel
vederlo.
“Johnny? Che ci fai tu qui?” gli
domandò Lincoln, che arrivò planando dall’alto.
Ma prima che lui potesse rispondergli,
una voce potente provenne dal monumento.
“Dunque è presente anche Johnny
Wayne”.
I quattro rimasero immobili
nell’ascoltarlo.
“Vi informo subito che non sono qui
per combattervi, a meno che non me ne diate possibilità. Sono qui
per darvi la grande occasione di unirvi a noi, dato che siamo stati
noi stessi a crearvi. Voi nove avete avuto la grande opportunità di
migliorare le vostre vite, utilizzando le nuove capacità che vi
abbiamo concesso”.
“Grande opportunità un cazzo!” gli
rispose a tono il biondo “Che grande opportunità avremo nel
metterci agli ordini di un idiota che si è impiantato nel cervello
tutta quella merda?!”.
“Se questo è ciò che pensate, non
mi rimane che una soluzione”.
Un rettangolo luminoso iniziò a
brillare sulla parete liscia dell’obelisco.
“Attenti!” avvertì appena in tempo
i compagni Soggetto N.8, poco prima che un raggio calorifero si
abbatté al suolo.
Il nemico immobile sparò nuovamente,
questa volta andando a colpire il terreno al di sotto dell’indiano.
Una nuova piccola voragine si andò a creare, facendo inabissare il
nerboruto uomo fino alla cintola.
“Maledetto!” imprecò il
pellerossa.
Gli altri tre si avvicinarono al loro
amico in difficoltà.
“Scappate voi!” gli urlò contro
Geran.
Nel frattempo, sulla superficie
dell’obelisco comparirono altri due rettangoli luminosi. Senza
alcun preavviso, iniziarono a prendere di mira i mutanti ancora in
grado di muoversi. Il trio scelse allora tre differenti vie di fuga:
Il soggetto N. 2 in aria, il N. 9 sulla terra ed il N. 6 nel mare lì
vicino.
I raggi continuavano a balenare nel
tramonto come fossero stelle impazzite.
L’inglese tentò di comunicare con
l’americano “Ci deve essere pure un modo per distruggerlo!”.
“Io proverò ad attaccarlo
frontalmente. Te invece attaccalo dall’alto” propose un Johnny
Wayne ancora in piena corsa.
Effettuando un inversione ad U, arrivò
alla base del monumento alla massima velocità. Giuntò lì, iniziò
a colpirlo ripetutamente, con l’unico risultato di non averlo
scalfito minimamente.
Contemporaneamente, in cielo, il dandy
lanciava urla belluine ad un raggio evitato.
Ripartito nella sua folle corsa, il
Soggetto N. 9 riuscì appena in tempo ad evitare un altro colpo che
poteva essere fatale. Nel farlo, si sbilanciò e cadde al suolo a
metri distanza. Nel rialzarsi, ebbe un’illuminazione.
“Jack!” urlò al suo compagno
volante “Forse possiamo sconfiggerlo se lo colpiamo in uno dei
punti da cui partono i raggi laser!”.
“E con cosa lo colpiamo?”.
“Non lo so! Te hai qualcosa da
usare?”.
Il britannico ci pensò un attimo su.
Poi, cercando in una tasca all’interno della cintura, tirò fuori
un suo personale portafortuna: un piccolo teschio di cristallo.
Intanto, l’obelisco sembrò quasi
attendere il nuovo attacco dei suoi rivali.
Quando Johnny vide il segno di assenso
effettuato dal capo del suo amico in aria, scattò nuovamente verso
il nemico. Come da previsione, un rettangolo riprese ad illuminarsi
e, con una mira inaspettatamente eccezionale, Jack riuscì a
centrarlo in pieno, mandando in frantumi lo stesso soprammobile.
Inizialmente l’obelisco non sembrò
minimamente scalfito poi, a poco a poco, su e di esso cominciarono ad
apparire crepe sempre più rilevanti finché, con un frastuono
infernale, crollò al suolo in mille pezzi.
L’ultima cosa che pronunciò urlando
fu “Siete già morti!”.
Il velocista, per evitare qualsiasi
tipo di danno, si portò a metri di distanza mentre il nativo
americano fu miracolosamente illeso, anche grazie alla sua robusta
costituzione.
Nel sopraggiungere al luogo della
battaglia, Wansa, Yu e Silvestri trovarono i due anglofoni accasciati
uno accanto all’altro.
“State bene ragazzi?” per la prima
volta gli Humana videro una Sara visibilmente preoccupata.
“Tutto ok!” rispose un esausto
Wayne “Cercate piuttosto di liberare Geran da lì dentro”
indicandoglielo.
“E come facciamo?” chiese perplesso
il cinese.
“Potresti pensarci tu” gli suggerì
il russo.
“E come?”.
“Puoi usare il tuo fuoco per rendere
più malleabile la terra attorno al suo corpo, così lui potrà
liberarsi con più facilità”.
L’asiatico ci rifletté un attimo su.
Poi decise di attuare il piano del ragazzino. Tutto ciò riuscì alla
perfezione.
“Ehilà gente!” salutò il resto
della comitiva un Soggetto N. 8 con l’uniforme ancora bagnata.
“Finalmente sono riuscito ad avere un
po’ di pace” fu il pensiero dell’americano mentre, sdraiato al
suolo, escludeva tutto il mondo attorno a lui chiudendo le palpebre.
Le foglie che cadevano dai rami sopra di lui, come per una specie di
riverenza verso il mutante, gli atterravano tutte attorno.
Un leggero scricchiolio lo fece tornare
alla realtà.
“Scusami Johnny” sussurrò appena
Frédérique “Ti ho svegliato?”.
“No, tranquilla tesoro. Sdraiati qui
insieme a me” la invitò il biondo.
La francesina obbedì, continuando a
guardarsi ripetutamente attorno.
“C’è così tanta vita in questa
foresta. Senza questi occhi speciali di certo non me ne sarei mai
accorta”.
Il pilota di Formula 1 sghignazzò
leggermente “Non dirmi che anche a te fa piacere essere stata
cambiata…”.
“Beh non posso certo dire che mi
dispiaccia. Con la mia vista, ora riesco a vedere anche il più
piccolo lineamento su una foglia mentre sta cadendo.”
Nonostante quanto detto in quest’ultima
affermazione, il Soggetto N. 3 non notò la presenza di un estraneo,
proprio nella stessa boscaglia in cui i due membri dell’Humana si
stavano rilassando.
Si trattava nello specifico di un tizio
dalla media statura, vestito con un lungo impermeabile marrone e con
in testa una cappellaccio sgualcito del medesimo colore.
“Ho raggiunto l’obiettivo”
affermò apparentemente soltanto a sé stesso.
All’interno della villa, che fungeva
da quartier generale per il gruppo, il resto dei mutanti si stava via
via abituando a quell’enorme abitazione.
Era ormai da parecchi minuti che Andrea
stava mutando la sua mano destra nelle più svariate armi da fuoco
che aveva in testa. Colpito da ciò, Bernardo gli si fece vicino.
“E’ davvero una figata! Vero,
amico?” esclamò entusiasta.
L’italiano, per tutta risposta, gli
lanciò uno sguardo feroce che non ammetteva repliche. Il messicano,
di conseguenza, capì l’antifona e gli si allontanò rapidamente.
Nel proseguo della sua personale
odissea, notò l’indiano d’America accovacciato al suolo, in uno
stato di profonda meditazione.
“C-Che sta facendo?” domandò
incuriosito.
A dargli una risposta ci pensò Chang
“Penso che stia pregando i suoi dei, o almeno così credo”.
In un altro angolo della sala,
l’africano ed il russo si dilettavano nel giocare con dei soldatini
di legno finemente lavorati.
Improvvisamente, il più giovane dei
due alzò di scatto la testa.
“Che cos’hai Igor?” gli chiese
allarmato Jack.
Wansa non gli diede udienza ma, invece,
si affrettò a contattare telepaticamente i due componenti che si
trovavano all’esterno dell’edificio.
“Johnny… Johnny mi senti? Sono
Igor…”.
Wayne, dopo un iniziale sobbalzo,
rispose al ragazzino come se usasse il più semplice degli apparecchi
telefonici “Ti sento Igor, anche se comunicare in questa maniera mi
sembra ancora alquanto assurdo”.
“Perdonami Johnny ,ma ho rilevato la
presenza di un intruso non lontano da voi”.
“Un intruso? Dove si trova?”.
“A circa 300 metri alla tua
sinistra”.
Appena saputa l’ubicazione del
nemico, il Soggetto N. 9 scattò in piedi e, nel giro di un secondo
scarso, aveva già atterrato lo sconosciuto.
“Chi cazzo sei tu?” gli inveì
contro, mentre lo teneva schiacciato contro il terreno.
L’uomo a terra, inizialmente sorpreso
dal repentino attacco subito, riuscì a colpire l’avversario con un
calcio all’inguine, tornando nuovamente libero.
Il biondo digrignava i denti, più per
il forte dolore provato che per aver abbassato imprudentemente la
guardia, riuscendo a malapena a rimettersi in piedi.
“Figlio di puttana!” urlò mentre
ripartiva alla carica.
Il fuggitivo, questa volta, tirò fuori
dal suo impermeabile una pistola, riuscendo a sparare un colpo.
Per il velocista fu un gioco da ragazzi
evitare il bozzolo che, dalla sua visuale super accelerata, procedeva
con una lentezza assoluta.
Raggiunto il nemico, lo statunitense lo
mise definitivamente al tappeto con un gancio destro.
“… Ciò dimostra ancora di più che
lo Spettro Bianco conosce la nostra posizione” concluse il suo
ragionamento Sara Silvestri, mentre osservava il prigioniero.
L’uomo, momentaneamente legato con
una corda attorno al corpo, presentava in testa, senza più il suo
copricapo, dei capelli scuri pettinati all’indietro in maniera
impeccabile, grazie al presunto uso di gel.
“Non vedo l’ora che si svegli così
ci penserò io a farlo cantare a dovere!” esclamò esaltato il
Soggetto N. 7.
Come a dare ascolto alle sue richieste,
l’intruso si ridestò di colpo.
“Ok gangster…” partì all’attacco
il baffuto “Dicci subito chi ti manda o altrimenti ti pentirai di
essere nato!”.
Lo sconosciuto non fece una piega.
“Ora che hai finito di fare il
buffone, lascia fare ai professionisti” lo spintonò via in malo
modo Alberti.
Inginocchiatosi di fronte a lui,
tramutò la sua mano destra in una glock, puntandogliela poi dritta
in fronte.
“O spari o muori, a te la scelta”.
Il prigioniero dimostrò ancora una
volta grande freddezza “Sono pronto a morire per i miei ideali”.
“Fermati Andrea!” lo richiamò
l’americano.
“La sua è una volontà di ferro. Non
parlerà” informò il gruppo il Soggetto N. 1, dopo aver provato
inutilmente a penetrargli in testa.
“Humana! Usciamo un attimo di qui e
decidiamo come agire!” ordinò perentoria Sara al resto del gruppo.
Dopo che il Soggetto N. 5 ebbe chiuso
vigorosamente la porta della cella, tutti i presenti si riunirono in
cerchio.
“Pensate che sia saggio lasciarlo da
solo?” chiese preoccupato l’inglese.
“Legato così dove vuoi che vada?”
sentenziò il Soggetto N. 9.
“Ma farà davvero parte anche lui
dello Spettro Bianco?” espose il suo dubbio il cinese.
D’un tratto, si udì una forte
esplosione proveniente da dentro la camera.
“Cos’è stato?” gridò lo
zairese.
Il gruppo si precipitò dentro la
stanza, trovandola con una nuova aperta sul muro che dava verso
l’esterno.
“L’avevo detto io che non bisognava
lasciarlo da solo!” fece presente Lincoln.
“Questi muri vengono giù anche
troppo facilmente” osservò ironico Borghi.
“Col cazzo che lo faccio scappare
quel bastardo!” esclamò il velocista prima di scomparire
apparentemente nel nulla.
Arone si avvicinò alla breccia ed urlò
al vento “Non puoi andare sempre da solo Johnny!”.
Un saetta rossa e gialla sfrecciava
quasi impercettibile tra il verde della foresta. Con uno sguardo
altrettanto rapido, il cacciatore dava la caccia alla sua preda.
Appena un attimo, ma lo vide. Rallentò
drasticamente la sua andatura, tanto da cadere nella trappola. Come
si vedeva fare per catturare i conigli, ora Johnny Wayne penzolava a
testa in giù inerme, con la propria caviglia destra stretta ad una
liana di un albero.
“Cazzo!” imprecò, mentre cercava
inutilmente di tirarsi su per liberarsi.
Dopo ripetuti tentativi, tornò
nuovamente a lasciarsi pendolare nel vuoto. Giusto in tempo per
sentire lo sparo. Certo della sua morte, aspettò in silenzio la
fine.
Ma il bersaglio a cui mirava il
cecchino non era il giovane ma bensì l’appendice vegetale. Con un
tonfo sordo, il biondo ricadde di schiena al suolo.
“Ti stavi divertendo, Johnny?” lo
canzonò il Soggetto N. 4.
“Finalmente siete utili anche voi!”
sbuffò seccato lo statunitense, mentre si ripuliva l’uniforme dal
terriccio.
La coppia non ebbe tempo di dare
seguito ai propri battibecchi perché, proprio di fronte a loro, si
presentò lo stesso uomo misterioso fuggito pochi istanti prima.
“Fermò lì e non muoverti!” lo
mise subito sotto tiro Andrea.
“Prediamolo ora che è disarmato!”
esclamò Johnny pronto a partire.
Improvvisamente però, qualcosa nel
volto del nemico sembrò cambiare. Dei piccoli puntini neri si
avvicinavano sempre più ai due. Fortunatamente, questi ultimi ebbero
grande prontezza di riflessi e si buttarono di lato. Furono
altrettanto rapidi nel rimettersi in piedi e controllare la corteccia
del fusto dietro di loro. Conficcata in essa vi erano, di fatti,
tanti piccoli e rigidi aghi scuri.
“Ma che diavolo?” l’americano
ancora non comprendeva cosa essi erano.
“Non posso crederci…” gli diede
la sconvolgente risposta l’italiano “quelle sono le sue ciglia”.
“Che cazzo stai dicendo?” gli
sbraitò contro il compagno, il quale si rifiutava nella maniera più
assoluta di credere a quell’assurdità.
“Il tuo collega ha ragione,
biondino”.
Il duo tornò a squadrare l’avversario,
tornato nuovamente loquace.
“Io sono in grado di sparare contro i
miei rivali le mie ciglia. Inoltre, riesco anche a farle ricrescere
in meno di un secondo. Ovviamente, ora crederete che non sia poi
un’arma così terribile. Perciò ci tengo ad informarvi che esse
sono, oltre che più dure del diamante, velenose come il più letale
dei serpenti”.
I due membri dell’Humana rimasero
immobili nell’attendere la prossima mossa del nemico.
Alla fine, Wayne ruppe il silenzio
“Quindi fai parte anche te dello Spettro Bianco?”.
“Esattamente” rispose secco
l’interessato.
“Qual è il tuo nome?” riprese
questa volta l’ex-militare.
“Immagino che posso concedervi di
saperlo, come vostro ultimo desiderio. Io mi chiamo Nicolas Simon
e…”.
L’uomo dovette improvvisamente
interrompere la sua presentazione a causa di una stretta mortale che
gli serrava la gola. Il dialogo fra i tre si rivelò infatti un
efficace modo di guadagnar tempo, attuato dai mutanti, nell’attesa
che entrasse in azione un loro alleato. Un serpente, di notevoli
dimensioni, si era lentamente calato da un ramo al di sopra del trio.
Mentre il viso del presunto francese
stava già pericolosamente divenendo paonazzo, quest’ultimo tentò
nuovamente un altro attacco con le sue piccole e letali armi ma, dato
che aveva già il capo sollevato dalle spire del rettile, anche
questa volta non colpirono alcuno dei suoi obiettivi.
“Forza Bernard,o uccidilo!” lo
spronava Alberti.
“No, aspetta! Potrebbe sempre esserci
utile come ostaggio!” gli ricordò invece Wayne.
Nel frattempo, ritrovandosi nuovamente
prigioniero, Simon tentò un ultimo disperato stratagemma, cercando
disperatamente qualcosa nella tasca del suo impermeabile con l’unica
mano libera, mentre l’altra lottava inutilmente contro l’animale.
Fortunatamente, gli occhi del pilota di
Formula 1 erano allenati ad individuare anche il più piccolo dei
dettagli “Attento Berny! Ha una bomba!”.
Il mutaforma strabuzzò un attimo gli
occhi e, seguendo l’istinto, morse il nemico alla clavicola.
Il sicario gemette appena e, una volta
lasciato cadere l’ordigno, con ancora la spoletta inserita, si
allontanò in una fuga sempre più zoppicante. Fatto ancora qualche
passo, scivolò da un breve dirupo dentro un ruscello quasi del tutto
secco.
L’ultima voce che sentì in vita sua
fu caratterizzata dall’accento americano.
“Nicolas, mi senti? Chi ti ha mandato
qui da noi? Dove sono? Ti prego, rispondimi!”.
L’uomo morente sillabò appena “Torna
alle origini, Johnny”.
Fin da piccolo gli erano sempre
piaciute le sfide di velocità. Cominciando dalle biciclette con gli
altri ragazzini del vicinato, arrivando poi ai gran premi tra le
vetture della Formula 1. La nuova frontiera di questo suo particolare
hobby, divenuto poi vera e propria professione, lo vedeva ora, a
piedi, confrontarsi con un treno merci nello stato dell’Indiana.
“In effetti non ci sono altre
possibili spiegazioni…” rimuginava per l’ennesima volta il
velocista.
Qualche ora prima
“… “Torna alle origini”. Ecco
tutto ciò che mi ha rivelato prima di morire” terminò il suo
resoconto al resto della squadra.
“Probabilmente si riferisce al tuo
paese di origine” ipotizzava una comunque dubbiosa Sara “Oppure,
se si riferisce alle tue origini come mutante e non come essere
umano, può voler dire che devi tornare ad Indianapolis, dove ti
abbiamo raccolto noi dell’Humana”.
Alla fine il biondo sbottò “È
inutile stare qui a perdere ulteriore tempo, io mi metto subito in
viaggio! Se ci sono novità avvisatemi tramite Igor”.
Dopo altri secondi, era finalmente
davanti all’Indianapolis Motor Speedway, il circuito
automobilistico più famoso d’America.
“Perfetto!” disse soddisfatto Wayne
“Ed ora che sono qui, cosa faccio?”.
Mentre il nostro era impegnato dai suoi
mille quesiti, a pochi metri da lui si stava svolgendo una delle più
classiche scene tra studenti, per la precisione tre di essi avevano
fregato il sacchetto della merenda ad un quarto. Quest’ultimo si
presentava come un ragazzone di quasi 2 metri, capelli castani quasi
rasati ed un segno inequivocabile di obesità.
“Forza ciccione! Riprenditi il tuo
cibo!” lo sbeffeggiava uno dei tre bulli, mentre gli altri due
sghignazzavano sguaiati.
Il Soggetto N. 9, nonostante si
ricordasse bene che anche lui, in passato, era stato l’artefice di
tale comportamento scorretto, sapeva che ora non poteva lasciar
perdere. Ora era un eroe.
“Ehi, coglione! Ridagli subito il suo
pranzo!”.
Il trio si voltò all’unisono verso
il tizio vestito in rosso e giallo.
“E te chi cazzo sei? E come cazzo sei
vestito?”.
“Ma quello non è Wayne?”.
“Già! Oppure è uno che gli somiglia
molto! Magari sta girando un spot pubblicitario…”.
“Allora! Non mi hai sentito?”
insistette il mutante.
“Perché? Se non glielo restituisco,
che fai?” lo provocò quello che sembrava il capo.
Sul viso del pilota tornò a disegnarsi
un sorrisetto furbo.
In un attimo, il sacchetto unto si
trasferì magicamente dalle mani del bullo a quelle del suo legittimo
proprietario.
“Ma che cazzo?! Come hai fatto?”
imprecò il giovane verso quell’uomo che, secondo la sua vista
umana, non si era mosso di un millimetro.
“Ora levatevi dalle palle sennò,
fidatevi, potrei fare molto peggio” li minacciò senza possibilità
di repliche.
Come dei fulmini, i tre si dileguarono
nei meandri urbani.
Soddisfatto del suo operato, il biondo
si avvicinò alla vittima “Stai bene? Ricordati che non devi mai
farti mettere sotto da quella gente!”.
“G-Grazie” rispose a malapena lui.
“Inoltre uno come te, grande e
grosso, non può farsi mettere sotto da certi idioti!”.
Il ragazzone, apparentemente ritardato,
continuava a fissare il suo salvatore con un aria inebetita in volto.
Johnny tentò nuovamente con il dialogo
“Come ti chiami?”.
“Otto”.
“Otto? Ma sei di queste parti?”.
“Sì. Mia madre Germania”.
“Ok…” disse, comprendendo
approssimativamente che sua madre era di origini tedesche “Si sta
facendo tardi, faresti meglio a rientrare a casa ora”.
Otto, dopo aver salutato il suo nuovo
conoscente, decise di seguirne il consiglio.
Il Soggetto N. 9 seguì con lo sguardo
il tragitto dello studente. Di colpo, vide una macchina bianca che,
arrivata a tutta velocità, gli si fermò vicino sgommando. Subito da
essa uscirono due persone che, con gran rapidità, obbligarono il
ragazzo ad entrare con loro nel veicolo, che ripartì subito dopo.
Rimasto letteralmente sbigottito da
quel sequestro fulmineo, lo statunitense partì subito
all’inseguimento. notò subito che il guidatore dell’auto era
davvero abile, riusciva ad evitare le vetture che gli si presentavano
davanti con grande maestria. Chi trovò invece difficoltà fu proprio
lo stesso Johnny Wayne che, a causa della sua mente concentrata
esclusivamente sulla macchina, inciampò su un dosso antivelocità
presente sulla strada cittadina. Dopo un violento ruzzolone, andò a
schiantarsi contro un distributore di giornali lì vicino. Rimessosi
faticosamente in piedi, con subito un nugolo di curiosi accorso
attorno a lui, ripartì alla caccia senza dare alcune spiegazioni.
“Quei bastardi me la pagheranno!”
inveiva furioso il mutante in corsa.
Sempre più spericolata, l’automobile
passò a pochi centimetri dal muso di un’autocisterna. Questa,
rallentando appena in tempo per evitare l’urto, presentava ora di
fronte al velocista il proprio rimorchio. L’inseguitore, non
rallentando minimamente, la superò correndoci sopra, appoggiando
appena le punte dei piedi sulla superficie rotonda.
“Perché poi avranno rapito proprio
Otto e non me? Se ovviamente anch’essi sono dello Spettro Bianco…”
proseguiva nei suoi pensieri durante la corsa disperata.
A questo punto, fu un gioco da ragazzi
evitare ogni singolo operai presente in un cantieri per lavori in
corso. Nel mentre, il lunotto della macchina era sempre più vicino.
La mano del mutante riuscì quasi a sfiorarlo, poco prima che essa
svoltasse improvvisamente a destra.
Giunti nei pressi di un parco giochi
l’auto scavalcò, sobbalzando violentemente, un paio di aiuole, per
dirigersi nello spiazzo sterrato al centro di esso. Su un altalena lì
presente, vi era una bambina dai capelli corvini acconciati in due
codini laterali. Il veicolo ci stava andando a sbattere contro.
Notato ciò, il Soggetto N. 9 aumentò ancora di più la frequenza
dei suoi passi e, appena in tempo, riuscì a salvare la vita della
bimba.
“Stai bene, piccola?” le domandò
preoccupato l’uomo.
“S-Sì” riuscì malapena a
rispondere la ragazzina.
Nel frattempo, dall’automobile erano
usciti in tre, più l’ostaggio, tutti di bianco vestiti.
“Immagino siate dello Spettro
Bianco…” urlò al gruppetto, lontano da lui di almeno una ventina
di metri “Lasciate in pace quel ragazzo e vedetevela con me!”.
“Davvero mutante pensi di essere
nella posizione giusta per darci degli ordini?” gli replicò uno di
loro.
“A me non interessa far parte di
questa guerra fra bambini! Ma ben che meno voglio che sia coinvolta
gente come Otto! Quindi, lasciatelo andare!”.
“Guerra fra bambini? Come osi tu,
razza inferiore?” s’infuriò l’altro interlocutore “Comunque,
se davvero tieni a questo idiota, sappi che noi non lo stiamo
costringendo affatto!”.
Wayne rimase spiazzato da queste ultime
parole. A riprova di esse, però, Otto iniziò ad incamminarsi verso
la figura in rosso e giallo, con i suoi presunti sequestratori
immobili dietro di lui.
Il biondo, con pochi rapidi passi, gli
fu accanto.
“Che ti succede, Otto? Scappa ora che
puoi!”.
“Tu… Humana…” biascicò appena
il ritardato.
“Cosa? Aspetta, cosa ti ha detto
quella gente?” cercò di comprendere meglio la situazione.
L’energumeno riprese a muoversi.
Effettuati pochi passi, si posizionò dietro l’americano. Con
un’impensata rapidità, cinse le sue muscolose braccia attorno alla
sua vita e, con un perfetto supplex, lo mandò a schiantarsi al
suolo.
Dopo lo shock iniziale, l’uomo a
terra iniziò a percepire ben chiaro il dolore al collo. Con gran
fatica, riuscì a mettersi gattoni, dando così una nuova opportunità
al suo avversario per atterrarlo una seconda volta.
“Otto…” riuscì appena a
sospirare, a corto di fiato “Puoi anche far parte di quelli dello
Spettro Bianco, ma io non ti attaccherò”.
Il lottatore provetto sembrò esitare
un attimo. Poi partì con una chiave articolare al collo dello
sfortunato avversario. Ora il fiato era del tutto assente per il
mutante.
“Ri… Ricordati una sola cosa Otto…
quelli che ti hanno portato qui, hanno quasi investito una bambina…
io l’ho salvata”.
Inizialmente, le parole dello
statunitense sembrarono non scalfire minimamente il gigante
ritardato. Con il passare dei secondi, però, la sua stretta si fece
sempre più larga, fino allo sciogliersi del tutto.
Con l’aria nuova che gli entrava nei
polmoni, Johnny non smetteva di tossire, mentre Otto si rimetteva
lentamente in piedi.
“Cosa fai idiota? Finiscilo!” urlò
alle sue spalle uno dei terroristi.
Il nerboruto rimase immobile. Fu allora
che gli altri iniziarono ad inveirgli contro. Fino allo sparo.
Il Soggetto N. 9, ancora a terra, alzò
di scatto il capo, notando una macchia rossa nel gilet beige del
giovane farsi, via via, sempre più ampia.
Come una sequoia abbattuta, Otto cadde
esanime al suolo.
L’americano, con gli occhi sbarrati
dal terrore, gridò disperato il nome della vittima, cercando
inutilmente di risvegliarlo scuotendogli le spalle enormi.
Con le lacrime che gli scendevano
copiose dagli occhi, sussurrò “Figli di puttana!”.
Stretti i pugni, si rialzò per partire
all’attacco. Per poi fermarsi immediatamente. Tutti i nemici erano
stati resi inoffensivi. Gli altri otto erano entrati in azione.
Troppo tardi.
“J-Johnny…”.
Un filo di voce, appena udibile,
catturò l’attenzione di Wayne.
“Otto! Come ti senti? Non muoverti
che vado a chiamare i soccorsi”.
“T-Tu… mio… a-amico?”.
“Certo che lo sono!”.
Il giovane Otto spirò.
Lo statunitense riprese a piangere
disperato.
“Perdonaci
Johnny” a parlare era il Soggetto N. 3 “Non abbiamo fatto in
tempo”.
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