La Voce che Rintocca al Crepuscolo

di LADY ROSIEL
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Questo racconto nasce dal desiderio di ricreare una one-shot (corposa) che si distaccasse dalle classiche fan-fiction a sfondo romantico di cui è piena la sezione.
Voleva essere un racconto auto-conclusivo in cui alcuni personaggi dell'opera fossero alle prese con un'atmosfera a tratti inquietante e riflessiva, dove poter inserire elementi della cultura popolare giapponese come i colori tradizionali, le leggende metropolitane e gli yokai. (demoni, spettri etc.) Senza però, dimenticarmi che prima di tutto Ranma ½ è una commedia e che come tale porta con sé anche una certa dose di leggerezza. Una sorta di esperimento personale, come se si trattasse di un'avventura in stile "piccoli brividi".

Per coloro i quali possono essere intimoriti dalla lunghezza del testo, trattandosi altresì di una one-shot, ci tengo a sottolineare che tali narrazioni non hanno concreti limiti di lunghezza e generalmente variano dalle 7-8 pagine fino alle 14-17 pagine.
A fine lettura, potrete godere anche di un "glossario"ove ritroverete riassunti i termini stranieri incontrati e già spiegati nel racconto; angolino ovviamente destinato a coloro i quali apprezzano la cultura giapponese.



la voce che rintocca al crepuscolo

bbbbbbabab-RANMA23456-KOGANE2235568lady380p RANMA 2.2 OK STILE SPAZIO 16

      Il crepuscolo aveva fatto capolinea già da qualche ora, ormai era buio e l'aria della sera era diventata più fresca, frizionando contro la pelle delle mani che si stringevano fra loro cercando un tiepido e momentaneo ristoro. I lampioni in lontananza svettavano fra le strade e i caseggiati limitrofi, rischiarando il silente manto di tenebre che avvolgeva ormai ogni cosa.
Osservando quel mondo che si stagliava fuori da quelle grandi finestre, ci si poteva perdere in un dedalo di pensieri fugaci e piccoli timori.
      Nella semi-oscurità di quella stanza, rischiarata solo da qualche candela cerulea, tutto ai loro occhi pareva mostrarsi in modo differente, persino quelle sedie e quei banchi di scuola che avevano poco prima spostato contro il muro. In quel gioco di chiari e scuri, di luci e ombre, anche quei racconti dalle tinte fosche distanti dal tempo presente, avevano un fascino diverso dal solito, nettamente più stregato e variegato.
      Sospirando e sbattendo le palpebre degli occhi, cercando poi, di frenare la rincorsa vorticosa dei propri battiti nel petto, Akane si sentì sollevata nel costatare che quell'ennesimo e agghiacciante racconto sugli spettri fosse finalmente terminato. Scrutò in seguito Yuka avvicinarsi al centro di quel cerchio immaginario in cui si erano disposti, per spegnere la candela a lei più vicina, proprio come quel rito tradizionale che si era reinventato nel tempo, senza smarrirsi con l'incedere dei secoli, richiedeva. Dopotutto, si erano dati appuntamento nella loro aula di scuola, a sera inoltrata, solo per portare a termine quel peculiare rituale che agli occhi intimoriti di Akane, era quasi più una sorta di prova di coraggio collettiva che altro.

      Seduti in cerchio gli uni vicino agli altri, si raccontavano a vicenda terrificanti storie di spettri e fantasmi – i "kaidan", com'erano chiamati in Giappone. E al termine di ognuno di essi, nel sinistro desiderio di richiamare l'attenzione di qualche spirito irrequieto, ciascuno di loro avrebbe dovuto anche spegnere una candela; rendendo sempre più fioca e debole l'illuminazione dell'intera stanza, per poi sprofondare nel buio più assoluto. Consisteva proprio in questo il gioco oscuro "Hyaku-monogatari kaidankai"; e solo allora, forse, qualche presenza si sarebbe manifestata ai loro occhi di adolescenti increduli e avrebbero potuto scrivere la parola "fine" sul caso dello spirito del crepuscolo che infestava il loro istituto.
      Nonostante lo scetticismo di alcuni e la paura mal celata di altri, avevano preso tutti molto seriamente quella forma di rituale che stavano compiendo.
      Erano stati accorti persino sul colore delle candele, scegliendo un bell'indaco giapponese: quella sfumatura a metà fra un azzurro scuro e un blu chiaro che rievocava il colore del cielo, durante il vespro serale e quel sottile e invalicabile confine con il mondo immateriale degli spiriti.

     L'odore di cera di crusca di riso emanato dalle candele, unito a una tenue profumazione floreale si diffondeva sempre più nell'aria che inspiravano. E rimanendo alcuni brevi istanti a osservare la fiamma rilucente che si sprigionava dallo stoppino in carta washi tradizionale e cotone, Akane s'accorse che vi erano rimaste solamente altre due candele ad illuminare l'intera stanza. E fu allora, che la sua attenzione venne catturata da quella vibrante sfumatura d'indaco giapponese, in cui assistere all'abbraccio fra una nota brillante di verde, una lacrima di giallo e un cuore d'indaco nella sua pigmentazione più smagliante.
      L'indaco giapponese "Ai-iro", era così radicato nella vita quotidiana e popolare che ogni buon giapponese, in cuor suo, profondamente lo amava da sempre. E forse, proprio per questo, Akane si sentì rapire lo sguardo, restando ammaliata nello scorgere come quella nuance così sapientemente bilanciata fra brillantezza e pacatezza, diventasse sempre più cupa e opaca sulla superficie di quelle candele, per la scarsa illuminazione.
      Lentamente, quel colore cangiava toccando le corde più profonde dell'indaco, virando al "Katsu-iro"; a quell'indaco scuro dai riflessi nerastri che s'apprestava ad essere divorato dagli abissi più torbidi, e che era anche piuttosto simile al colore dei suoi stessi capelli.
      Ai suoi occhi, era come se l'oscurità, a poco a poco, si stesse fagocitando ogni colore, mentre svettavano centinaia di gradazioni nuove di nero, di blu e di grigio.

      Nel tempo in cui la voce di Daisuke si diffondeva nelle sue orecchie raccontando il suo secondo "kaidan", Akane notò come i capelli dello stesso Daisuke parevano esser diventati scuri come le profondità dell'ebano, e l'ovale del suo volto di solito racchiuso in lineamenti morbidi, pareva mostrarsi più allungato e segnato dal tempo, per via della fioca luce che lo illuminava dal basso. A tratti, forse, poteva persino apparire un filo inquietante – ma fu un pensiero al quale non volle dar seguito, desiderando scacciare quel sentimento di preoccupazione crescente. E così, inspirò profondamente, rilasciando l'aria silenziosamente, mentre allungava verso l'esterno le gambe piegate su stesse alla sua sinistra, nella tipica posizione informale "yokozuwari" che era concessa alle donne.
Il leggero fastidio alle ginocchia e alle articolazioni dovuti a quella seduta, fece riconoscere ad Akane l'esigenza di poggiare – almeno per qualche istante – entrambe le natiche a terra, invece che continuare a reggere parte del suo stesso peso sopra il proprio tallone.
      Sayuri, alla sua sinistra, le fece un tiepido sorriso d'intesa, capendo quanto alle volte assumere certe posizioni per lungo tempo, potesse dar fastidio alla circolazione e provocare formicolii o fastidi, nonostante fossero giapponesi e dunque abituati sin da piccoli a rispettare certi codici di rispetto nei quali sedersi.

      Akane si voltò leggermente a scorgere dalla parte opposta il profilo composto e attento di Ranma, che sembrava ascoltare con interesse il racconto di Daisuke. E se non fosse stata per la presenza di Shanpū che si era stretta avviluppandosi al braccio destro di Ranma, avrebbe desiderato protrarsi maggiormente vicino a lui, anche solo per far rallentare un poco quei battiti tanto ribelli che diventano persino irritanti, tanto era la forza con cui d'improvviso si manifestavano. Tuttavia, l'amor proprio e quell'inscindibile orgoglio che come un fuoco ardeva in lei, gli impediva di far notare agli altri le sue più profonde paure e le sue eventuali insicurezze.
Dopotutto, aveva un'innata testardaggine cui ottemperare, e farsi vedere per l'ennesima volta sopraffatta dagli eventi – per altro in presenza di Shanpū, – non era fra le sue aspirazioni imminenti. E allora strette i denti e ingoiò l'amara considerazione che Ranma fosse più interessato ad ascoltare quella ridicola, ma innegabilmente spaventosa, storia su un fantasma che infestava una cascina abbandonata, che preoccuparsi di come in quella singolare situazione si sentisse lei – che era la sua fidanzata.
      Ciò nonostante, nell'attimo che seguì, la frustrazione stemperò, consapevole che in fin dei conti si trovava nella medesima situazione quotidiana nella sua relazione con Ranma.
E faticò non poco a trattenere un sospiro di rassegnazione, dato che – a conti fatti, – non erano certo le avances di Shanpū il problema, ma bensì il fatto che Ranma non si sottraesse dalle stesse e dalle sue innumerevoli ammiratrici.
      I pensieri di Akane iniziarono a divampare nella sua mente, formando innumerevoli viuzze nelle quali smarrirsi e ritrovarsi in un circolo continuo, e se non fosse stato per quel molesto rumore di plastica che si accartocciava su sé stessa, forse, avrebbe continuato a rimuginare ancora a lungo, o almeno sino al termine di quel penultimo racconto.

      «Ti sembra il momento più adeguato per trangugiarti un Melonpan?», domandò Ranma fissando la noncuranza di Hiroshi.
      «Ah, perdonatemi! Tutti questi racconti sui fantasmi, mi hanno fatto venir appetito!», si giustificò Hiroshi, porgendo un secondo Melonpan – quel panino dolce e di croccante biscotto aromatizzato al tè matcha – ancora con l'involucro, a Ranma.
      «Come fai a pensare al cibo in un momento come questo? Io ho troppa paura ascoltando questa storia!», ammise Yuka, cingendo l'amica Sayuri.
      «Diniego l'offerta.» rispose Ranma ad Hiroshi, restando seduto a gambe incrociate, con i piedi schiacciati dal peso delle proprie ginocchia, nella tipica posizione ad angura, tanto congeniale ai ragazzi, – mentre Shanpū aveva allentato la presa sul suo braccio.
      «Se non lo vuole nessuno, lo mangerò io!» s'intromise Nabiki agguantando il Melonpan dalle mani di Hiroshi.
      «E se lo spettro dovesse manifestarsi per davvero? Voi… non avreste un po’ di paura?» domandò titubante Yuka, mentre Sayuri le poggiava una mano sulla spalla, supportandola.
      «Non ti devi preoccupare; ci siamo qui noi, assieme a te!» intervenne Akane, nascondendo la preoccupazione che stringeva nel petto dagli sguardi dei presenti e delle sue più care amiche.
      «Lo "plendelemo" a calci nel "sedele!"» esclamò Shanpū, rincarando la dose, cercando di infonderle quel coraggio che lei, essendo un'amazzone, aveva sempre cercato di possedere senza farsi sopraffare dagli avvenimenti che le riservava la vita.
      «Se dovesse comparire, ci penserà Ranma a dargli una sonora lezione!»
      «Ehi, Hiroshi, come sarebbe? Lasceresti fare tutto a me, mentre tu te la svigneresti?» domandò a sua volta Ranma, inarcando le sopracciglia, ponendo l'accento sulla sua più totale disapprovazione a tale scenario.
      «Ma, figurati! Era solo per dire che con te siamo in buone mani, dato che sei bravo nelle arti marziali!»
      «Non so quanto possa esser utile, a dire il vero. Ma se parliamo di menar le mani, Akane in questo non è seconda a nessuno!» ammise con convinzione, suscitando uno sguardo tanto iracondo che avrebbe potuto incenerirlo, se non fosse stato abituato a coglierli quotidianamente sul volto della sua fidanzata.
E subito dopo – prima che la conversazione potesse ampliarsi ancor di più – Daisuke si schiarì la voce, ricordando con quel gesto il perché si trovassero in quella surreale situazione, e nel silenzio che ne seguì, riprese a narrare con voce profonda e particolarmente sentita, il suo racconto.

      Poggiando una mano a sostegno del proprio volto, e con l'altra supportando il gomito opposto, Akane osservò la placidità con la quale sua sorella Nabiki terminava di assaporare quel Melonpan, senza scomporsi minimamente dinanzi a quei racconti del terrore che, invece, su sé stessa avevano ripetutamente fatto venire qualche brivido lungo la schiena.
Quella tranquillità che la sorella le mostrava spesso, era una qualità del tutto invidiabile. E se non fosse stata per l'ossessione al denaro facile, probabilmente, Akane l'avrebbe ammirata ancor di più di quanto già non facesse.
      Già perché, se si erano ritrovati in quella circostanza a narrarsi racconti di paura divorati dal buio sempre più opprimente, all'interno della propria aula scolastica nell'istituto Furinkan, ben oltre l'orario di lezione, era anche per colpa di Nabiki e del suo incredibile fiuto per il denaro.

      Se all'inizio Akane, aveva vagamente creduto che dietro al riunire proprio loro sette ci fosse stato solo uno scherzo del destino, dovuto a una malcapitata estrazione a sorte, in seguito, dovette ricredersi quando nel primo pomeriggio, notò un senpai del secondo anno, per altro membro del comitato studentesco, porgere del denaro alla sorella, ringraziandola per non aver coinvolto gli studenti più grandi dell'istituto, ad eccezione di sé stessa.
      Shanpū in tutto questo, probabilmente, era come una ciliegina su un'ipotetica torta a sorpresa per la stessa Nabiki.
      Di fatto, inutile negarlo, in quell'assurda situazione gli stessi senpai avevano scaricato la responsabilità di prendersi la briga di partecipare a quella sorta d'invocazione spiritica, per tentare di placare quello che ormai si era soliti chiamare "lo spettro del crepuscolo". Quello spettro che nelle ultime settimane aveva dato prova della sua lugubre presenza, facendo insorgere innumerevoli casi ad esso associati, diventando l'indiscrezione più diffusa fra gli studenti del Furinkan.

      Si vociferava che lo spettro facesse la sua misteriosa comparsa dopo la fine dell'orario delle lezioni, appena sopraggiungeva il crepuscolo e i colori del cielo si riempivano di brillanti toni d'arancio, ma anche di quello splendido celeste pallido con una pennellata debole di rosso, e di quel viola cenere scuro – quella sfumatura di "Messhi" , che distruggeva a poco a poco, sia il rosso che il porpora, per diventare un nero-violaceo, che faceva spazio alla notte.
      Agli inizi, Ranma aveva ipotizzato potesse trattarsi di Gosunkugi, mentre Akane aveva pensato a Musashi Kogane, ma scartarono entrambe le idee con il diffondersi di altre voci su quello stesso spettro.
      Gli studenti che si erano intrattenuti nell'ultimo periodo, dopo la fine delle lezioni e delle attività dei club scolastici, affermavano di sentire sinistri rumori improvvisi dalle aule poste più vicino all'ala est dell'edificio e dal vecchio magazzino. E vi era anche chi asseriva di aver distintamente percepito qualcuno che rideva alle proprie spalle senza aver visto nessuna persona a loro vicino, oppure di sentire un'armonia lontana e distante di cui non si riuscivano a distinguere alcun tipo di parola. E chi, – spinto da un moto di curiosità crescente, – si era diretto nell'aula di musica, non vi trovò nessuno al suo interno, se non qualche sparito che disordinatamente era caduto a terra.
      Altri ancora, sostenevano che era uno spettro dai lunghi capelli castani, azzardando una gradazione simile al colore del "bambù invecchiato fuligginoso" che si scurisce a poco a poco, con l'abbraccio del tempo e il calore delle fiamme mentre viene bruciato, facendo emergere un ventaglio di tonalità poco più chiare o poco più scure. Diafano era invece il volto, dai tratti somatici inafferrabili e ancora avvolti in una fitta nebbia di mistero.

      In cuor suo Akane, avrebbe voluto affermare di non esser spaventata dagli spettri, giacché, in più di qualche occasione, ne aveva incontrati alcuni. Tuttavia, non poteva nascondere a sé stessa la paura che il concetto stesso di "demone" e di "spirito maledetto" suscitavano in lei, mentre continuavano a vorticarle nella testa. E per quanto, sin dall'inizio, avesse manifestato una certa insoddisfazione nel dover partecipare a una seduta spiritica, praticando quel gioco tradizionale vecchio come il mondo, di racconti dell'orrore; per il proprio quieto vivere, volendo evitare ulteriori discussioni, non infierì sul comportamento di sua sorella Nabiki.

      «Sto per spegnere l'ultima candela.» ammise con una nota d'inquietudine nel cuore Hiroshi, mentre si apprestava a soffiare via l'ultimo barlume di luce, pregando mentalmente che non accadesse nulla di spaventoso. Inutile negare che quei dieci racconti di fantasmi e terrore che avevano appena terminato di narrare, li avessero non poco angosciati.
E, in quel flebile istante perduto nel tempo, ecco che l'oscurità ingoiò definitivamente ogni colore, facendo calare anche un surreale silenzio che durò forse, più di quanto sperato, fino a quando la voce di Nabiki non arrivò chiara alle orecchie dei presenti:
      «Apriamo la finestra!» dichiarò con convinzione, mentre Ranma e Daisuke si affettarono ad eseguire quella richiesta, aprendo totalmente la finestra a loro più vicina.
E così, un'intensa folata d'aria nettamente più fredda sopraggiunse contro i loro volti e le loro mani, facendoli rabbrividire, per poi chiedersi se in quell'alito di vento si celasse anche l'apparizione di uno spettro femminile come l'Aoandon, avvolto da candidi abiti tradizionali e da una fluente chioma che richiamava la profondità della notte che incorniciava un volto raccapricciante e due terrificanti corna; o se fosse, invece, solo una semplice frescura autunnale.
      La tensione regnava in ogni loro arto, tanto da impedir loro ogni movimento repentino e anche le parole, d'improvviso, vacillavano incerte.
Aspettarono ancora qualche altro istante – che mai come in quel momento sembrava loro durare quanto l'eternità stessa. Poi, non vedendo nulla che potesse dar loro vibrazioni nefaste, si sentirono sollevati, anche se stava forse a significare che lo spirito che erano venuti a placare, probabilmente, era solo una chimera senza sostanza.
      A quel punto Nabiki accese la sua torcia, e camminando in direzione della porta chiusa dell'aula in cui si trovavano, accese il contatore della luce elettrica, illuminando la stanza a giorno. Il bagliore era stato così repentino che ebbero una particolare reazione di fastidio agli occhi, ormai abituatesi a un'atmosfera molto più oscura.

      «A quanto pare non è comparso nessun tipo di spettro.» ammise Nabiki, poggiandosi contro lo stipite della porta.
      «Che vi dicevo? Sono solo un mucchio di frottole! – esclamò Ranma mettendosi a braccia conserte. – Magari qualche mano lesta ha iniziato a voler compiere qualche innocuo scherzo che poi, con il diffondersi di queste voci di corridoio sugli spettri, lo hanno spinto a continuare la sua stupida farsa.» aggiunse poi, spostando le braccia e facendole ricadere sul punto vita.
      «Tutto può essere, a questo punto.» intervenne Daisuke.
      «Magari, però, lo spirito esiste per davvero; solo che non ha nessuna intenzione di mostrarsi a noi.»
      «Ed è proprio per questo motivo che ci divideremo e andremo a controllare.» affermò Nabiki, dando una leggera spinta con il piede destro sul muro, per poi riavvicinarsi agli altri.
      «Ci divideremo?» replicò Yuka, piuttosto nervosa.
Ranma dal canto suo, avrebbe voluto asserire che dividersi era il più classico degli scenari da film horror, punzecchiando di riflesso Akane, ma tacque non appena si accorse che i timori di Yuka erano così intensi da farla leggermente tremare. Anche se di solito si mostrava piuttosto sicura di sé, evidentemente quei racconti l'avevano suggestionata più di quanto si attendesse.
      «Tranquilla Yuka. Tu, io e Sayuri formeremo un piccolo gruppo e ci dirigeremo nella sala degli insegnanti per prendere le seconde chiavi della palestra e del vecchio magazzino in disuso.» aggiunse con una lucida sicurezza Nabiki, cercando di prendere in mano la situazione.
      «Del vecchio magazzino?»
A quel punto Ranma optò allora, per scortarle, ma prontamente Nabiki intervenne per sostenere che non ce ne sarebbe stato alcun bisogno.
      «Davvero, vuoi andare a controllare anche quell'edificio?» domando Akane, sorpresasi non poco.
      «Se sono solo stupide dicerie, non ci sarà nulla di cui preoccuparsi.» le rispose la sorella.
      «E se non lo fossero?»
      «Ci andremo tutti assieme, se siete spaventati. – aggiunse Nabiki, cercando di placare ogni possibile dissenso. – Nel frattempo che noi andiamo in la sala professori al secondo piano, voi vi dividerete in gruppetti e ispezionerete le varie aule dell'edificio. Non penso vi sia d'aver paura, poiché le luci dei corridoi principali sono ancora accese. E siamo tutti muniti di torce, all'occorrenza.» rincarò la dose, sfruttando appieno la sua capacità di saper esser persuasiva.

      Le possibilità del caso sarebbero potute essere molte, ma vi era stata una sola ipotesi che Akane non aveva sufficientemente ponderato, prima di estrarre il suo pezzettino di carta colorata: quella di finire a fare squadra con Shanpū.
Non che la cosa la disturbasse, ma in verità, non aveva un rapporto di confidenza tale, da poter esser definibile come amicizia; semmai le due erano per lo più rivali in amore, ma nel tempo, avevano anche iniziato ad apprezzare le doti positive l'una dell'altra. Nonostante, il più delle volte finissero per far notare maggiormente i loro attriti personali, – complice l'inclinazione caratteriale di entrambe, che le spingeva alla competizione, e al voler comunicare più con sottili sguardi e frasi fatte che dimostrando una chiara stima reciproca, che tentavano di celare. Forse, anche per la testardaggine che le univa nel ricercare – in modi opposti – le attenzioni di Ranma. L'unica cosa che si poteva dire facessero in ugual modo era sfogarsi in un approccio fisico piuttosto violento sullo stesso Ranma, quando si sentivano da lui deluse.
      Shanpū si avvicinò ad Akane, ed entrambe si osservarono per qualche istante, consapevoli di dover mettere da parte qualunque tipologia di ruggine passata – tanto più se questa riguardava Ranma, – per poter ispezionare proprio l'ala est del primo piano.
Ma prima che potessero incamminarsi lungo il corridoio alla loro destra, Akane avvertì qualcuno afferrarla all'improvviso per i fianchi, soffiandole sull'orecchio:
      «Buh!»
E per il sussulto repentino provato da quelle mani che le toccarono i fianchi, nonché un punto piuttosto sempre sensibile, Akane strillò cercando altresì di trattenersi.
      «Non ti facevo tanto fifona, Akane!» esclamò di rimando Ranma, con un sorriso compiaciuto nell'esser stato l'artefice di quel piccolo scherzetto e nell'aver colto una buffa reazione piuttosto sperata, ad onor del vero, di Akane.
      «Dovevo immaginarmelo fossi, tu. Razza di stupido deficiente!»
E in men che non si dica la furia di Akane si manifestò repentina e altrettanto velocemente, colpì con braccio teso e pugno chiuso il petto di Ranma, che sbilanciandosi all'indietro venne investito dalla forza bruta di Akane e finì con il rotolare nell'aula di fronte a quella in cui si trovavano, sbattendo poi contro il muro e miracolosamente evitando la prima fila di banchi appena distanti dalla cattedra.
      «Che ti serva da lezione, stupido!» esclamò Akane, con un diavolo per capello.
      «Siamo alle solite…» commentarono quasi in coro Hiroshi e Daisuke, assistendo alla scena.
      «"Lanma", stai bene tesoruccio?» chiese Shanpū, affacciandosi alla stanza di fronte, scorgendo Ranma ancora a terra, che debolmente alzava un braccio con la mano stretta a pugno e il pollice all'insù.
      «Mai… stato meglio.» rispose afono.
      «Forza Shanpū, mettiamoci a perlustrare l'ala est del primo piano; non abbiamo tempo da perdere con questo cretino!»

Forse, l'intervento inatteso di Ranma, era stato d'aiuto nel trovare una chiave di lettura per Akane e Shanpū che ora camminando fianco a fianco, sembravano essere maggiormente in sintonia nel rapportarsi l'una all'altra.
      «Qui non c'è nessuno.» asserì Shanpū, richiudendo l'aula alla sua destra.
      «Nemmeno qui. E' tutto in ordine. – asserì poi Akane, controllando l'aula posta in posizione parallela. – Scommetto che finiremo in un batti baleno. Probabilmente, quello stupido di Ranma aveva ragione nel dire che si trattava solo di una farsa messa in atto da qualcuno; qualcuno di umano intendo.» aggiunse poi, camminando di fianco a Shanpū e sorreggendo nella mano sinistra la torcia.
      «Avresti paura di trovarti di fronte un demone?» domandò a brucia pelo Shanpū, destando in Akane una lieve reazione di irrigidimento involontario.
      «Suvvia, ne ho viste talmente tante!»
      «Sei sincera o lo dici solo per "appalile" più forte agli occhi degli altri?» chiese ancora Shanpū, in quel suo giapponese stentato in cui i suoni e le cadenze fonetiche rispecchiavano ancora l'idioma cinese.
      «Ma veramente…»
Quella domanda lasciò piuttosto perplessa Akane che non si sarebbe attesa di intrattenere quel tipo di conversazione proprio con Shanpū.
      «Mettiamola così: non sono angosciata all'idea di incrociare uno spettro; non sarebbe la prima volta. Con Musashi Kogane, pur essendo lo spettro di una studentessa prematuramente scomparsa, non ebbi alcun timore. Ma non posso nemmeno dire di non aver alcun tipo di paura in merito, dato che di spettri ce ne possono essere molti, e non è detto che non sia vendicativo.» argomentò con sincerità Akane, rimirando poi, il profilo di Shanpū.
      «La paura è un'emozione istintiva, non sottovalutarla.» asserì Shanpū, richiudendo la terzultima stanza dell'ala est.
Una constatazione piuttosto indicativa, pensò Akane, detta da un'abile amazzone cinese che probabilmente nei suoi anni di allenamento – a differenza sua – era riuscita a trovare il suo personale equilibrio con quel tipo di emozione dettata dal mero istinto, e che probabilmente le aveva rafforzato lo spirito. E in quel preciso istante, Akane strinse nel petto una sensazione a metà fra la stima – provata per quel lato indomito di Shanpū – e l'insoddisfazione – generata dalle sue mancanze caratteriali.

      Sospirando intensamente, con la testa nuovamente affollata di pensieri, Akane si apprestò ad aprire la penultima porta per poi – con velocità estrema – richiuderla nuovamente, trattenendo a stento una risatina vagamente isterica.
L'ultima stanza, venne controllata da Shanpū e anch'essa era priva di qualunque tipo di presenza.
      «Non c'è proprio nessuno.»
      «Q-qui, invece, sì!» gracchiò di colpo Akane, riaprendo la porta di fronte a Shanpū e cercando di raccogliere i pezzi smarriti del suo coraggio, nell'aver da poco intravisto un bagliore bluastro come i lapislazzuli, far capolinea sulla sedia della cattedra. Accompagnato per altro, da una vestigia bianca indossata da qualche tipo di spettro e due grandi occhi di una sfumatura opaca di grigio-viola, come le piume del dorso di una tortora. Mentre, il resto del volto le era apparso del tutto indecifrabile, come se fosse scomposto.
      «E perché non lo hai detto subito?» strepitò a sua volta Shanpū, quasi più inviperita di quella confessione inaspettata, che nell'aver notato a sua volta quel fulgore bluastro e un'ombra del tutto enigmatica, nella stanza di fronte a loro.
Senza attendere oltre, Shanpū estrasse – da chissà quale dimensione spazio temporale, – i suoi due chúi dalle estremità tondeggianti come chupa chups e assunse una posa da combattimento.
Eppure, guardando meglio all'interno dell'aula, non vi trovò nessuno spettro e neppure nessuna ombra, ma solamente dei gessetti per la lavagna che si muovevano da soli, come se fossero stregati.
      «Sono solo… dei gessetti?!»

Lo stupore sui volti di entrambe era più che tangibile, considerando l'eventualità che – a muovere quegli stessi gessetti – potesse esserci, in realtà, lo spettro che stavano cercando e che forse, avrebbero voluto non incontrare.
Provò così a scagliarvi contro uno dei suoi chúi, ma questo cadde immediatamente a terra, arrestando anche il movimento stregato dei gessetti che anch'essi ricaddero scompostamente nella stanza.
L'angoscia di quello che sarebbe potuto capitare di lì a poco bussò nella mente delle due giovani ragazze, ma non riuscirono neppure a esprimere alcun tipo di esternazione che sentirono vibrare l'anima – ora tesa come la corda di un violino, – dopo aver udito in lontananza delle urla innegabilmente maschili.
      Si guardarono attentamente; per un istante entrambe tentennanti sul da farsi. Ma poi, con uno sguardo d'intesa, si precipitarono fuori dalla stanza, correndo verso il lato ovest di quello stesso piano, nel luogo in cui avevano sentito provenire quelle fragorose urla.
E mentre correvano a perdi fiato, ravvisarono la figura di Ranma che concitatamente stava domandando cosa avesse visto a Hiroshi.

      «Non l'ho visto, ma l'ho percepito!» esclamò sopraffatto dalla paura, mentre il volto aveva assunto un colorito piuttosto pallido.
E prima ancora che Ranma potesse chiedergli qualcos'altro, sopraggiunsero correndo anche Nabiki, Sayuri e Yuka, riunendo così tutto l'intero gruppo.
      «Era lì, nel bagno… Sicuramente è il fantasma di Hanako-san!» esclamò quasi preda di un delirio, mentre la voce s'incrinava diventando sempre più stridula, al pensiero di aver incontrato il piccolo spirito irrequieto più popolare del Sol Levante che infestava i bagni scolastici del loro istituto.
      «Hana…» ripeté appena Sayuri, per poi zittirsi d'un tratto, consapevole che era meglio evitare di ripetere il nome di quello spettro dalle fattezze di una bambina.
      «Non dire assurdità. Siamo al primo piano.» aggiunse Ranma, consapevole che quel tipo di spettro era solito mostrarsi alla terza cabina della toilette del terzo piano.
      «Ti ha chiesto se volevi un rotolo di carta igienica rosso o blu?» domandò Nabiki, desiderando approfondire la questione, consapevole che la risposta a quella domanda fosse sufficiente a capire se si trattasse proprio dello spirito di Hanako-san e della sua sete di vendetta.
      «N-no… I-io sono entrato nel bagno, ho controllato le cabine, non vi era nessuno a prima vista, ma poi ho sentito un rumore provenire proprio dalla terza cabina… – ammise debolmente Hiroshi – ho provato a chiamarla, ma non ho ottenuto alcuna risposta.»
      «Allora non sei certo di aver visto davvero uno spettro.» intervenne Daisuke.
      «L'ho sentita ridere, però, subito dopo aver provato a chiamare il suo nome.»
A quella sconcertante dichiarazione, fra i presenti, cadde un gelido silenzio seguito da crescenti perplessità e da una percezione d'angoscia del tutto opprimente.

      «Sei lì, Hanako-san?» Strepitò a gran voce Ranma, conscio che a quella domanda specifica uno spettro come Hanako-san, avrebbe sicuramente risposto.
      «Ma che cosa fai, Ranma! Sei impazzito?» asserì Akane, cercando di tirare la blusa rosso vermiglio del suo fidanzato.
      «Mi sembra più che scontato che voglio vederci chiaro in questa faccenda! E se è il suo spettro ad infestare questa scuola, allora non mi farò problemi a chiamarla!»
      «Hai così tanta voglia di passar a miglior vita?» gli domandò Daisuke, non riuscendo a comprendere appieno il suo comportamento.
Ma in quattro e quattr'otto, Ranma era già svicolato all'interno del bagno delle ragazze e aveva continuato a chiamare Hanako-san altre due volte, con la stessa formula.
      «Hanako-san, vuoi giocare?» ma neppure a quella domanda, scelta con cognizione di causa, ricevette risposta alcuna o vide entità paranormali comprargli accanto.
      «Non c'è proprio nessuno! Probabilmente l'immaginazione ti ha giocato un tiro mancino!» esclamò poi Ranma, uscendo dal bagno, rivolgendosi all'amico.
      «In verità… Anche io e Shanpū abbiamo visto un'entità apparire nella penultima stanza dell'ala est.» accennò Akane, facendo intuire ai presenti che probabilmente di "immaginario" vi fosse ormai ben poco. E quella consapevolezza fece quasi barcollare a terra Yuka, sostenuta con celerità da Daisuke e Sayuri che le erano accanto.

      Nello smarrimento generale venutosi a creare, ecco che si mostrò loro un'ulteriore segno tangibile di quella oscura presenza: l'armonia distante di una voce che pareva intonare note morbide e avvolgenti e parole sconosciute.
      «La sentite anche voi, questa voce?» più che una domanda, in verità, era una sorta di costatazione, giacché tutti, senza esclusioni, non solo sentirono quella voce femminea e candida, ma notaro anche un bagliore luminoso attraversare il corridoio per poi magicamente sparire e riapparire nei pressi del vecchio magazzino adiacente alla palestra.
      Le vetrate del lungo corridoio del primo piano, come silenti spettatrici di quella notte d'autunno, rifletterono negli occhi dei presenti, quel peculiare fulgore dai toni candidi con una soffice nota di blu, che quasi ricordava i colori di una brillante Luna che solcava il cielo.

      «Sembra proprio un invito a farsi inseguire.» ammise Nabiki, facendo roteare l'occhiello delle chiavi del vecchio magazzino sul suo indice. Forse, in quell'occasione era l'unica – oltre a Ranma – che sembrava prendere a situazione come una sorta di sfida personale.
      In verità, per quanto una certa curiosità albergasse in ognuno di loro, al contempo, nessuno dei presenti avrebbe anelato imbattersi in una presenza mefistofelica che avrebbe potuto recidere loro la vita. Eppure, senza conoscerne il motivo, la curiosità sospinta da quella scarica di adrenalina pulsante, era persino più forte della paura che fino a pochi istanti fa li aveva, invece, tutti o quasi, annichiliti.
      La chiave girò nella serratura consumata dal tempo, fino al fatidico doppio scatto con il quale la porta del vecchio magazzino in disuso si aprì ai loro occhi. Nabiki provò ad accendere la corrente, e con sua stessa sorpresa alcune vecchie luci – probabilmente ancora a incandescenza – presero vita, illuminando fiocamente il corridoio principale in cui si diramavano piccole stanze limitrofe. Camminando a piccolissimi passi, mentre la tensione saliva sino alla gola ed esplodeva nel cuore, poterono notare – accendendo anche le proprie torce, – un disordine piuttosto evidente e un edificio a tratti in marcescenza, data l'usura e la corrosione dei lastricati di legno sui quali poggiavano i piedi, in mezzo a orde di documenti vecchi e impolverati.

      «Secondo voi, da quant'è che qui dentro non viene più nessuno?»
      «Chissà… Potrebbe essere da qualche anno a qualche secolo, considerando com'è ridotta questa struttura.» asserì Ranma, osservando pile infinite di vecchi documenti scolastici di studenti che sarebbero potuti esser, passati a miglior vita.
      «Da quanta polvere c'è, mi punge il naso!» si lamentò Sayuri.
      «Sarebbe meglio cercare di respirarne il meno possibile.» aggiunse Nabiki.
Poi, come se vi fosse stata una folata di vento repentina, percepirono distintamente uno scampanellio cristallino e delicato simile a una campanella del vento come il fūrin, vibrare nell'aria.
L'angoscia, se possibile, fu così intensa che perdettero qualche battito e i loro sguardi si corrugarono in espressioni di spavento e d'inquietudine che non lasciavano spazio ad alcun sorriso.

      «Guardate lì!» gridò Daisuke, indicando il riflesso che scorgeva dalla finestra davanti a lui e che significava che la presenza dovesse essere alle sue spalle. Nell'attimo che seguì, un leggero calo di tensione elettrica fece sussultare quelle lampadine stanche; il suono del fūrin rintoccò ancora nell'aria e inaspettatamente alcune vetrate schioccarono, come se fossero state colpite da una furia crescente, e si frantumarono. I giovani ragazzi si coprirono il volto come poterono e cercarono di allontanarsi dal corridoio centrale.
      Fu allora – in quel momento di calma apparente – che Shanpū udì distintamente un canto desolato librarsi nell'aria.

      «Qualcuno sta cantando!» esclamò, poggiandosi le mani vicino alle orecchie, per cercare di ascoltare quei suoni a cui non riusciva ancora a dare un significato.
      «Hai… ragione. Ora lo sento pure io!» ammise a sua volta Akane e con lei tutti gli altri, mentre quel canto diventava sempre più vivido e limpido, riecheggiando come se fossero all'interno di una cattedrale.
Cercando di rilassare i nervi e facendo prevalere un'innata capacità di ascolto ai suoni che percepiva intorno a sé, Shanpū riuscì finalmente a comprendere le parole nascoste di quel canto stregato, ripetendole, imitando la medesima cadenza ritmica:

      «Itsuka kimi to futari
いつか 君 と 二 人»
      (Un giorno, io e te …)

Ma appena terminò di ripetere quel verso, la vista le parve annebbiarsi di colpo e i suoni le parvero di nuovo confusi.
      «Shanpū, va tutto bene?» le domandò Ranma andandole in contro, notando che il fastidio alle tempie era tanto vigoroso da poggiarsi le mani fra i capelli, cercando un qualche tipo di sollievo. E senza che nessuno se ne rendesse conto, Akane – che a sua volta aveva cercato di mettere a fuoco quelle parole sconosciute – cadette in uno stato ipnotico che le fece ripetere le parole che ascoltava nella sua testa:

      «Yoru wo, hoshi wo, yume wo… 夜を, 星を, ゆめ を»
      (La notte, le stelle, il sogno…)

Appena udì quella voce, Ranma guardò alla sua destra, scorgendo la figura di Akane immobile e intenta a ripetere quella stessa strofa una seconda volta, mentre i suoi occhi scuri stingevano vitrei, come se la sua anima fosse stata risucchiata lontano dal suo corpo.
      «Akane!» urlò Ranma, nel tentativo invano di destarla da quello stato di trance.
      «Akane, torna in te!» sopraggiunse poi la voce di Nabiki, provando a scuoterla, ma non vi fu alcun cambiamento tangibile.

      «Watashi ga sunde iru sekai wa shinkirōdesu. 私が住んでいる世界は蜃気楼です。»
      (Il mondo in cui vivo è un miraggio.)

La voce di Akane, appariva quasi affranta, e le sillabe che enunciava scorrevano lente, scandendo ogni suono. E a poco serviva cercare di svegliarla, continuando a scuoterla o a prenderle mano. Neppure toccarle il volto sortiva alcun effetto.
      «Akane, svegliati… Per favore!»
L'incertezza aleggiava sui presenti che cercarono di destare ancora una volta Akane. Sayuri e Yuka erano in procinto di piangere e Nabiki, rimasta lucida, cercò in ogni modo di far sentire la sua presenza alla sorella, mentre le mani calde di Ranma strinsero quelle fredde di Akane nelle proprie. E nel ripetere nuovamente tutte le strofe di quella canzone vaneggiante, il volto di Akane venne solcato da profonde lacrime. Era come se ella fosse distante anni luce da loro, e al contempo, la sua anima rannicchiata in qualche meandro sperduto di sé stessa, si stesse struggendo per qualcuno.

      L'unica che forse appariva meno scossa dall'accaduto fu Shanpū, ma in verità, ancora una volta, continuava a fingere che non le importasse quando in cuor suo, percepiva una gamma di sentimenti ed emozioni difficili da manifestare – complice non solo il differente idioma con il quale si ritrovava a parlare, ma anche e soprattutto per il suo orgoglio, che spesso la faceva apparire come un'egoista, anche quando cercava di aiutare gli altri.
Shanpū, come una spettatrice in una platea a teatro, guardava impotente la scena dipingersi di fronte a lei, mentre a poco a poco, percepiva una tiepida frustrazione agitarsi in lei.
Akane schiuse le labbra quasi a voler parlare con una voce che non diventava voce, e che la lasciò del tutto inerme nell'abbraccio di Nabiki, di Sayuri e di Yuka.

      La voce senza nome, di quello spettro senza volto che dimorava in quel nefasto magazzino marcescente, d'improvviso cessò il suo canto soave e ricco di malinconia. Dinanzi a loro si materializzò lo spettro, lasciandoli tutti senza fiato.
      Una vestigia bianco latte, dei morbidi capelli del colore del bambù invecchiato fuligginoso, un incarnato rosa pallido-grigiastro su cui facevano capolinea delle labbra tinteggiate di un rosa confetto appena pronunciato, e due occhi di un sottile grigio come le piume di una tortora.

      «Non ci posso credere, ma quella è…»
      «Musashi Kogane!» esclamò Nabiki, completando la frase lasciata in sospeso di Ranma.

Lo spettro di quella giovane ragazza, fluttuava nell'aria stretto in una espressione malinconica e perduta, piuttosto simile a quella che aveva poco prima Akane.
Anche lei, appariva tremendamente distante, come se stesse oscillando nel vuoto della propria anima adocchiando sentimenti del passato.
      «Kogane, che stai facendo, non ti ricordi più chi siamo? – domandò Ranma, piuttosto spazientito del silenzio in cui Kogane era avvolta. – Non sopporto di vedere Akane in questo stato, e fatico a pensare che dietro a tutto questo ci sia proprio tu.» aggiunse poi, stringendo i pugni per la frustrazione crescente. Nessuna delle parole espresse, però, riuscì a varcare le porte dell'anima di Kogane, che rimaneva avvolta nel suo totale silenzio, continuando a fluttuare nell'aria, generando quel moto di mestizia.
      Poi, d'un tratto, avanzò velocemente verso i presenti, come se volesse attaccarli con il forte spostamento d'aria che la sua presenza generava.

Akane avvertì la testa dolerle a tal punto da stringerla a sé, con le proprie mani, mentre ascoltava un'insolita melodia maledetta che le proiettava istantanee di un passato che non conosceva: ricco di dolcezza e di lacrime rosse come il sangue.

      «Non c'è nulla da fare… Le nostre voci non riescono a raggiungere né Akane né Kogane…» ammise debolmente Nabiki, sotto gli sguardi mesti dei presenti che non riuscivano neppure più a trovare le giuste parole da allineare, per esprimere la loro costernazione.
Poi, come d'incanto, udirono una voce gentile librarsi nell'aria assecondando una melodia che non avevano mai ascoltato, ma che riusciva a scaldare il cuore.
      «Shanpū…» proferì Ranma, scorgendo proprio la figura della bella ragazza dai morbidi e vibranti capelli dalla nuance han purple, che ricordavano il colore di una pietra preziosa, intonare quella melodia.

 Shanpū era in piedi, poco più lontana rispetto al resto del gruppo, con le mani giunte fra loro all'altezza del petto, con gli occhi semi chiusi, sussurrando quella melodia dai toni delicati in un idioma che rievocava le sillabe dei dialetti cinesi, ma che in verità, erano solo suoni senza alcun tipo di significato specifico. Eppure, nonostante fossero solo un susseguirsi di sillabe sconnesse fra loro, un po’ come farebbero i bambini piccoli – scarabocchiando suoni, uno sopra all'altro, – quella toccante melodia, pareva allentare sia quel senso di impotenza e frustrazione, sia i timori più reconditi, cullandoli in un caldo abbraccio brillante come il sole.

      «Questa melodia…»
      «E' così calda…»

E continuando ancora a intessere sillabe e suoni in quel ritmo delicato e avvolgente, i loro cuori si fecero più leggeri, mentre, a poco a poco, anche lo spirito irrequieto di Musashi Kogane pareva placarsi. Suoni aggraziati e liberi che ruppero l'ipnosi in cui Akane era stata soggiogata, facendola trasalire, mentre i suoi occhi si tingevano di vita.
      Shanpū concluse la sua perfetta esecuzione nel momento in cui anche lo spirito di Musashi Kogane parve risvegliarsi da un lungo sonno. E fu allora che lo spettro di Kogane venne avvolto da un bagliore turchese, liberando un'energia misteriosa che si innalzò fino a raggiungere il cielo.

      «Devo chiedervi scusa. – ammise Kogane, scorgendo la sorpresa nei volti dei presenti, – Il mio comportamento è stato causa di grandi inconvenienti 
per voi.» aggiunse poi, ritrovando un flebile sorriso.

      «Q-quindi non ci ucciderai?» chiese titubante Sayuri.
      «Certo che no. Non è mai stata mia sincera volontà. – Kogane voltò leggermente lo sguardo per incontrare quegli occhi color palissandro, di quella bella sfumatura di viola-rossastro scuro, che erano stati in grado di salvarla dal precipizio nel quale era caduta, grazie al suo canto colmo di leggiadria. – Ti devo molto. Sei riuscita a liberarmi dalla possessione di quel demone vendicativo.» aggiunse poi. E subito dopo, arrivarono i ringraziamenti sentiti di ognuno di loro verso Shanpū che la incitarono a cantare più spesso quel tipo di melodia, tanto da farla sentire quasi in imbarazzo, mentre l'altro lato di sé stessa, gongolava soddisfatta per esser riuscita nel momento di necessità, ad aiutare qualcuno. Ed era piuttosto raro che Shanpū manifestasse quel lato di sé agli altri.

      «Dunque, se non sbaglio, hai dichiarato di esser stata a tua volta posseduta. – asserì Ranma scorgendo il profilo rilassato di Kogane – Questa cosa è un filo inquietante a dire il vero…» aggiunse poi.
      «Purtroppo sì. Ero ritornata in questi luoghi per una piccola vacanza, ma poi, quel giorno mi imbattei nello spirito errante di una donna ancora molto attaccata alla vita. – dichiarò Kogane, rimembrando quanto accaduto – Quello spettro, quando ancora era in vita, aveva perduto l'affetto del suo compagno, prematuramente morto in un incidente sul lavoro. Non era riuscita a superare quella perdita né a perdonare chi non era stato in grado di salvarlo. Si tolse la vita poco dopo, ma da allora non riuscì più a ricongiungersi con il suo amato, per il suo forte desiderio di vendicarlo.» aggiunse poi, spiegando la dinamica dei fatti.
      «Uno spettro vendicativo…»
      «Il troppo amore può tramutarsi in un'arma mal indirizzata alle volte…» furono solo alcune delle considerazioni che Sayuri e Hiroshi fecero fra loro.
      «La sua è una storia colma di malinconia e desolazione; e forse, per questo ho peccato troppo d'ingenuità, quando l'incontrai. Spero che adesso, possa riposare in pace.»concluse poi Kogane.

 Ora che l'adrenalina era scemata assieme alle più fervide paure, si sentirono tutti un po’ stremati mentre gli arti ancora un po’ tesi, cercavano di riequilibrare le proprie energie per non farli cadere a terra.
      «Meno male che nella nostra scuola non vi è nessuna Hanako-san ad infestare i bagni, allora.» sospirò con soddisfazione Hiroshi, che quella sera un bello spavento di era preso.
      «Già, meno male!»
      «Hanako-san… Parlate dello spirito che infesta i bagni nelle scuole?» domandò con una ritrovata leggerezza Kogane.
      «Sì, proprio lui. Prima di venire in questo vecchio magazzino "qualcuno" si è preso un bello spavento controllando i bagni del primo piano.» dichiarò Ranma, indirizzando una frecciatina ben precisa.
      «Scusami tanto, se non sono temerario come te, eh!» rispose lo stesso Hiroshi, cercando di sviare sul fatto che avesse pensato agli scenari più drammatici e sanguinolenti in cui la sua vita sarebbe potuta sfuggirgli via.
      «Beh, fintanto che posso sostare ancora qui con voi, potrei diventare una sorta di "Hanako-san" che protegge l'istituto Furinkan da altri temibili spettri; non trovate?»
A quell'esternazione del tutto inaspettata le reazioni di sorpresa furono molteplici, tuttavia, nessuno vi trovò qualcosa di contrario; considerando che Musashi Koganae pareva uno spettro decisamente più gioviale, dei tanti altri che avevano nominato quella stessa sera nei loro racconti di paura.
      «Sarà meglio se ce ne andiamo da questo magazzino marcescente, prima che ci crolli addosso.» costatò Ranma, percependo tutta una serie di scricchiolii non particolarmente allettanti, provenire dalle tavole di legno sotto i loro piedi.
      E così, si diressero verso l'uscita, mentre in seguito Nabiki chiuse nuovamente a chiave la porta, anche se ebbe la consapevolezza che a poco sarebbe ormai servito, dato che alcune delle vetrate erano cadute in mille pezzi. Ma fece spallucce, consapevole che avrebbe dovuto scrivere un appunto su quanto accaduto, oltre che riportarlo alla prossima assembla del consiglio studentesco.
      In seguito, ripose i due mazzi di chiavi nuovamente in sala professori, assieme ad Akane, stavolta. E una volta riposte nuovamente le scarpe nel proprio armadietto scolastico per rimettersi quelle da uscire, salutarono lo spirito di Kogane che rimase davanti all'entrata della scuola, che con un sorriso si congedava da loro, augurandogli una buona nottata, nella speranza che si sarebbero potuti rivedere nei giorni futuri, perché "la fanciulla del crepuscolo" avrebbe vegliato sull'istituto Furinkan.

      «Non sarebbe stato male se Kogane fosse tornata a casa con noi.» ammise Akane, poggiando il pollice e l'indice sul mento.
      «Già. Forse la prossima volta rincaserà con noi.» dichiarò Nabiki camminando con le braccia incrociate allacciate dietro il collo.
      «Non voglio perdermi la reazione di vostro padre appena incontra di nuovo Kogane!» aggiunse Ranma, trattenendo a stento una risata, immaginandosi Souh irrigidirsi e sbiancare.
      «Avremmo fatto davvero bene a lasciarla sola?»
      «Di cosa ti preoccupi, Akane? Kogane è uno spettro, dopotutto.»
      «Lo so, ma non vorrei si sentisse sempre sola. E poi le strofe di quella canzone…» ma non fece in tempo a finire di elucubrare quel suo pensiero che la voce di Ranma la sovrastò.
      «A proposito di quella canzone! Shanpū, dovresti cantare quella canzone molto più spesso, era davvero incredibile! – esclamò il ragazzo con il codino, scorgendo lo sguardo di Shanpū – era così cristallina e rilassante che è mi sono sentito come avvolgere dai solfeggi che intonavi…» aggiunse poi, scuotendo involontariamente l'animo innamorato di Shanpū.
      «Ah, siamo alle solite…» appurò Akane a bassa voce, affiancandosi alla sinistra di Ranma, per poi dargli un sonoro pestone sul piede.
      «Ahia! Ma sei impazzita Akane? Cosa ti avrei fatto per meritarmi un trattamento simile?» inveii Ranma.
      «Sei il solito stupido di sempre!» concluse Akane con aria infastidita, sorpassando Ranma e camminando con più foga di prima, per arrivare a casa quanto prima.
      «Ed io che mi preoccupavo per te…» aggiunse Ranma con voce più cauta.
      «Ah… questi tre mi danno sempre una marea di grattacapi.» rifletté Nabiki, guardando davanti a se Ranma che camminava al fianco di Shanpū e sua sorella Akane, più avanti a loro di qualche passo.

      Era stata una serata indubbiamente particolare, forse più di tante altre. Sicuramente, a tratti più inquietante; una bella serata ricca di tormentati racconti e di atmosfera, concluse il proprio pensiero Nabiki, scorgendo il paesaggio notturno rischiarato dagli alti lampioni, mentre continuava a sentir battibeccare Ranma e Akane.

      Musashi Kogane era uno spettro piuttosto simpatico con il quale intrattenersi – rifletté Akane,  – una volta infilatasi nel proprio letto, facendo ricadere il proprio corpo a peso morto, abbracciando poi il cuscino. Eppure, per chissà quale motivo, a tratti le parve intravvedere una velata solitudine che desiderava esser riempita di calore, ripensando ai gesti e agli sguardi di Kogane.
Forse, anche lei, aveva più di qualche rimpianto a cui non dava voce. Dopotutto, era pur sempre lo spettro di una ragazza che era stata annientata dalla vita sin troppo presto. E con quel pensiero in testa, Akane si lasciò placidamente accoccolare dal tepore di Morfeo.



      Nel frattempo, nell'istituto Furikan, Kogane vagabondava nel cuore della notte, accoccolata nel regno delle ombre e da un tiepido spicchio di Luna che era timidamente comparso, facendosi spazio in quella coltre di foschia leggera che avviluppava l'astro.

      «Come il vento non conosce l'estensione del cielo, nessuno conosce la profondità di un cuore che ama e della solitudine.» ammise a sé stessa, osservando il cielo che si innalzava verso l'infinito, dalle vetrate del corridoio che dava verso l'esterno.
      «Il mondo in cui vivo è un miraggio… Ma continuerò a sognare in queste notti preziose.»
Concluse poi, continuando a percorrere i corridoi bui e vuoti dell'istituto Furinkan.

 
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GLOSSARIO
(Mi sono soffermata solo alle terminologie chiave del racconto, tralasciando altri termini spiegati nel racconto, per non annoiare quei lettori poco avvezzi a glossari più corposi.)

Ai-iro: Indaco giapponese; ribattezzato "Japan Blue" per la sua unicità del pigmento, che si differenzia dall'Indaco occidentale. Ed è uno dei coloranti più antichi e popolari tutt'ora in Giappone. Pur essendo una tintura scura, poté essere indossato sin dall'antichità da chiunque, senza distinzioni di rango sociale.

Aoandon
青 行燈 (lett. lanterna blu) è uno spettro femminile che appare quando l'ultima candela dello Hyakumonogatari Kaidankai è spenta. Possiede lunghi capelli neri e due corna sulle tempie.

Carta rossa o blu: In una popolare variante urbana, lo spirito di "Hanako-san" compare quando si finisce la carta igienica, domandandoti "vuoi la carta igienica rossa o quella blu?"
Se si sceglie la prima si va incontro ad una morte violenta, se si sceglie la seconda si andrà incontro ad una morte per strangolamento o dissanguamento.

chúi 槌: Sono le due "clave" rotondeggianti che usa Shanpū come armi. Sono oggetti facenti parti delle armi corte tradizionali cinesi da battaglia; definibili come "martelli".

Fūrin 風鈴; ふうりん: campanelle del vento giapponesi; producono uno scampanellio cristallino e dolce, nonché caratteristico. Il suono di queste campanelle è presente in svariate opere del Sol Levante. Secondo tradizione, rendono il caldo afoso dell'estate meno opprimente e svolgano un'azione di purificazione verso gli spiriti maligni.

Hanako-san 花 子さん: Popolare leggenda metropolitana giapponese, la cui storia varia in prefetture diverse ed Istituti scolasti differenti.
Il fantasma di una bambina di nome Hanako infesterebbe le toilette delle scuole giapponesi; spesso la terza cabina della toilette situata al terzo piano delle scuole elementari.
Una volta evocata, attraverso la pronuncia del proprio nome, tenterà di portare la propria vittima con sé all'inferno.
In alcune versioni urbane, Hanako-san proteggerebbe gli studenti da altri fantasmi infestatori.

Han purple: E' il "viola cinese", una tonalità blu oltremare tendente più al violetto/blu. Una colorazione fredda, rispetto al viola-porpora. Nato dalla lavorazione del pigmento di silicato di rame bario. (I capelli di Shanpū nel mezzo animato, sono un chiaro esempio delle tonalità d'indaco tradizione cinese.)

Hyaku-monogatari kaidankai 百物語怪談会: (lett. insieme di cento racconti fantastici) è un gioco del periodo Edo molto popolare in Giappone.
In una stanza buia, di notte, si accendono cento candele. Ad ogni storia di fantasmi si spegne una candela. Quando si spegne l'ultima candela, secondo la leggenda, dovrebbe apparire un essere soprannaturale come l'Aoandon. Esistono diverse variazioni del gioco dall'antichità ad oggi: in passato si usava anche far cambiare stanza ai giocatori; in tempi moderni esiste la variante con soli dieci racconti e dieci candele che può esser fatta in gruppo o da soli.

Melonpan メロンパン: dolce da forno giapponese che notiamo anche in molti anime. Simile ad un panino o ad una brioche: aromatizzato o farcito e ricoperto da uno strato croccante di biscotto. Prende il nome dalla somiglianza con i meloni di Cantalupo.

Messhi:  viola opaco, sobrio e scuro. Una gradazione di colore che è simile al viola-nerastro, dove il rosso e il porpora perdono brillantezza.

Senpai 先輩: compagno di scuola, di lavoro o in ambito sportivo più grande di età che si rispetta in quanto di grado più alto del proprio e dal quale si impara, attraverso l'esperienza che questi mette in campo verso coloro che sono più piccoli di lui. Equiparabile in parte, alla figura del "mentore". Terminologia strettamente legata alla filosofia giapponese che difficilmente, fuori dal Giappone, può esser tradotta nelle sue complesse sfumature di legami fra persone. (Non a caso, in alcuni anime moderni, anche nel relativo doppiaggio, si tende a lasciare il termine in lingua giapponese; non trovando parole che ne possano incarnare il senso all'interno di una certa opera.)

Susu-take-iro: il colore tradizionale del bambù invecchiato e fuligginoso.
Una tonalità marrone scuro rossastro in cui emerge anche un tono grigrio giallastro.
(Il colore dei capelli di Kogane è una tonalità simile.)

 



© LADY ROSIEL/Luna Azzurra Blueviolet





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