Questo racconto nasce
dal desiderio di ricreare una one-shot (corposa) che si distaccasse
dalle
classiche fan-fiction a sfondo romantico di cui è piena la
sezione.
Voleva essere un racconto auto-conclusivo in cui alcuni personaggi
dell'opera
fossero alle prese con un'atmosfera a tratti inquietante e riflessiva,
dove
poter inserire elementi della cultura popolare giapponese come i colori
tradizionali, le leggende metropolitane e gli yokai. (demoni, spettri
etc.)
Senza però, dimenticarmi che prima di tutto Ranma
½ è una commedia e che come
tale porta con sé anche una certa dose di leggerezza. Una
sorta di esperimento
personale, come se si trattasse di un'avventura in stile "piccoli
brividi".
Per coloro i quali
possono essere intimoriti dalla lunghezza del testo, trattandosi
altresì di una
one-shot, ci tengo a sottolineare che tali narrazioni non hanno
concreti limiti
di lunghezza e generalmente variano dalle 7-8 pagine fino alle 14-17
pagine.
A fine lettura,
potrete godere anche di un "glossario"ove ritroverete
riassunti i termini stranieri incontrati e già spiegati nel
racconto; angolino
ovviamente destinato a coloro i quali apprezzano la cultura giapponese.
la
voce
che rintocca al crepuscolo
RANMA 2.2 OK STILE SPAZIO 16
Il crepuscolo aveva fatto
capolinea già da qualche ora, ormai era buio e l'aria della
sera era diventata
più fresca, frizionando contro la pelle delle mani che si
stringevano fra loro
cercando un tiepido e momentaneo ristoro. I lampioni in lontananza
svettavano
fra le strade e i caseggiati limitrofi, rischiarando il silente manto
di
tenebre che avvolgeva ormai ogni cosa.
Osservando quel mondo che si stagliava fuori da quelle grandi finestre,
ci si
poteva perdere in un dedalo di pensieri fugaci e piccoli timori.
Nella semi-oscurità di
quella stanza,
rischiarata solo da qualche candela cerulea, tutto ai loro occhi pareva
mostrarsi in modo differente, persino quelle sedie e quei banchi di
scuola che
avevano poco prima spostato contro il muro. In quel gioco di chiari e
scuri, di
luci e ombre, anche quei racconti dalle tinte fosche distanti dal tempo
presente, avevano un fascino diverso dal solito, nettamente
più stregato e
variegato.
Sospirando e sbattendo le palpebre
degli
occhi, cercando poi, di frenare la rincorsa vorticosa dei propri
battiti nel
petto, Akane si sentì sollevata nel costatare che
quell'ennesimo e
agghiacciante racconto sugli spettri fosse finalmente terminato.
Scrutò in
seguito Yuka avvicinarsi al centro di quel cerchio immaginario in cui
si erano
disposti, per spegnere la candela a lei più vicina, proprio
come quel rito
tradizionale che si era reinventato nel tempo, senza smarrirsi con
l'incedere
dei secoli, richiedeva. Dopotutto, si erano dati appuntamento nella
loro aula
di scuola, a sera inoltrata, solo per portare a termine quel peculiare
rituale
che agli occhi intimoriti di Akane, era quasi più una sorta
di prova di
coraggio collettiva che altro.
Seduti in cerchio gli uni vicino agli
altri,
si raccontavano a vicenda terrificanti storie di spettri e fantasmi
– i "kaidan",
com'erano chiamati in Giappone. E al termine di ognuno di essi, nel
sinistro
desiderio di richiamare l'attenzione di qualche spirito irrequieto,
ciascuno di
loro avrebbe dovuto anche spegnere una candela; rendendo sempre
più fioca e
debole l'illuminazione dell'intera stanza, per poi sprofondare nel buio
più
assoluto. Consisteva proprio in questo il gioco oscuro "Hyaku-monogatari
kaidankai"; e solo allora, forse, qualche presenza si sarebbe
manifestata ai loro occhi di adolescenti increduli e avrebbero potuto
scrivere
la parola "fine" sul caso dello spirito del crepuscolo che infestava
il loro istituto.
Nonostante lo scetticismo di alcuni e
la
paura mal celata di altri, avevano preso tutti molto seriamente quella
forma di
rituale che stavano compiendo.
Erano stati accorti persino sul colore
delle
candele, scegliendo un bell'indaco giapponese: quella sfumatura a
metà fra un
azzurro scuro e un blu chiaro che rievocava il colore del cielo,
durante il
vespro serale e quel sottile e invalicabile confine con il mondo
immateriale
degli spiriti.
L'odore di cera di crusca di riso
emanato
dalle candele, unito a una tenue profumazione floreale si diffondeva
sempre più
nell'aria che inspiravano. E rimanendo alcuni brevi istanti a osservare
la
fiamma rilucente che si sprigionava dallo stoppino in carta washi
tradizionale
e cotone, Akane s'accorse che vi erano rimaste solamente altre due
candele ad illuminare
l'intera stanza. E fu allora, che la sua attenzione venne catturata da
quella
vibrante sfumatura d'indaco giapponese, in cui assistere all'abbraccio
fra una
nota brillante di verde, una lacrima di giallo e un cuore d'indaco
nella sua
pigmentazione più smagliante.
L'indaco giapponese "Ai-iro",
era così radicato nella vita quotidiana e popolare che ogni
buon giapponese, in
cuor suo, profondamente lo amava da sempre. E forse, proprio per
questo, Akane
si sentì rapire lo sguardo, restando ammaliata nello
scorgere come quella
nuance così sapientemente bilanciata fra brillantezza e
pacatezza, diventasse
sempre più cupa e opaca sulla superficie di quelle candele,
per la scarsa
illuminazione.
Lentamente, quel colore cangiava
toccando le
corde più profonde dell'indaco, virando al "Katsu-iro";
a
quell'indaco scuro dai riflessi nerastri che s'apprestava ad essere
divorato
dagli abissi più torbidi, e che era anche piuttosto simile
al colore dei suoi
stessi capelli.
Ai suoi occhi, era come se
l'oscurità, a
poco a poco, si stesse fagocitando ogni colore, mentre svettavano
centinaia di
gradazioni nuove di nero, di blu e di grigio.
Nel tempo in cui la voce di Daisuke si
diffondeva nelle sue orecchie raccontando il suo secondo "kaidan",
Akane notò come i capelli dello stesso Daisuke parevano
esser diventati scuri
come le profondità dell'ebano, e l'ovale del suo volto di
solito racchiuso in
lineamenti morbidi, pareva mostrarsi più allungato e segnato
dal tempo, per via
della fioca luce che lo illuminava dal basso. A tratti, forse, poteva
persino
apparire un filo inquietante – ma fu un pensiero al quale non
volle dar
seguito, desiderando scacciare quel sentimento di preoccupazione
crescente. E
così, inspirò profondamente, rilasciando l'aria
silenziosamente, mentre
allungava verso l'esterno le gambe piegate su stesse alla sua sinistra,
nella
tipica posizione informale "yokozuwari" che era
concessa alle
donne.
Il leggero fastidio alle ginocchia e alle articolazioni dovuti a quella
seduta,
fece riconoscere ad Akane l'esigenza di poggiare – almeno per
qualche istante –
entrambe le natiche a terra, invece che continuare a reggere parte del
suo
stesso peso sopra il proprio tallone.
Sayuri, alla sua sinistra, le fece un
tiepido sorriso d'intesa, capendo quanto
alle volte assumere certe posizioni per lungo tempo, potesse dar
fastidio alla
circolazione e provocare formicolii o fastidi, nonostante fossero
giapponesi e
dunque abituati sin da piccoli a rispettare certi codici di rispetto
nei quali
sedersi.
Akane si voltò leggermente
a scorgere dalla parte
opposta il profilo composto e attento di Ranma, che sembrava ascoltare
con
interesse il racconto di Daisuke. E se non fosse stata per la presenza
di
Shanpū che si era stretta avviluppandosi al braccio destro di Ranma,
avrebbe
desiderato protrarsi maggiormente vicino a lui, anche solo per far
rallentare
un poco quei battiti tanto ribelli che diventano persino irritanti,
tanto era
la forza con cui d'improvviso si manifestavano. Tuttavia, l'amor
proprio e
quell'inscindibile orgoglio che come un fuoco ardeva in lei, gli
impediva di
far notare agli altri le sue più profonde paure e le sue
eventuali insicurezze.
Dopotutto, aveva un'innata testardaggine cui ottemperare, e farsi
vedere per l'ennesima
volta sopraffatta dagli eventi – per altro in presenza di
Shanpū, – non era fra
le sue aspirazioni imminenti. E allora strette i denti e
ingoiò l'amara
considerazione che Ranma fosse più interessato ad ascoltare
quella ridicola, ma
innegabilmente spaventosa, storia su un fantasma che infestava una
cascina
abbandonata, che preoccuparsi di come in quella singolare situazione si
sentisse lei – che era la sua fidanzata.
Ciò nonostante, nell'attimo
che seguì, la frustrazione stemperò, consapevole
che in fin dei conti si trovava nella medesima situazione quotidiana
nella sua
relazione con Ranma.
E faticò non poco a trattenere un sospiro di rassegnazione,
dato che – a conti
fatti, – non erano certo le avances di Shanpū il problema, ma
bensì il fatto
che Ranma non si sottraesse dalle stesse e dalle sue innumerevoli
ammiratrici.
I pensieri di Akane iniziarono a
divampare nella sua mente, formando
innumerevoli viuzze nelle quali smarrirsi e ritrovarsi in un circolo
continuo,
e se non fosse stato per quel molesto rumore di plastica che si
accartocciava
su sé stessa, forse, avrebbe continuato a rimuginare ancora
a lungo, o almeno
sino al termine di quel penultimo racconto.
«Ti sembra il momento
più adeguato per trangugiarti un Melonpan?»,
domandò
Ranma fissando la noncuranza di Hiroshi.
«Ah, perdonatemi! Tutti
questi racconti sui fantasmi, mi hanno fatto venir
appetito!», si giustificò Hiroshi, porgendo un
secondo Melonpan
– quel panino
dolce e di croccante biscotto aromatizzato al tè matcha
– ancora con
l'involucro, a Ranma.
«Come fai a pensare al cibo
in un momento come questo? Io ho troppa paura
ascoltando questa storia!», ammise Yuka, cingendo l'amica
Sayuri.
«Diniego
l'offerta.» rispose Ranma ad Hiroshi, restando seduto a gambe
incrociate, con i piedi schiacciati dal peso delle proprie ginocchia,
nella
tipica posizione ad angura, tanto congeniale ai ragazzi, –
mentre Shanpū aveva
allentato la presa sul suo braccio.
«Se non lo vuole nessuno, lo
mangerò io!» s'intromise Nabiki agguantando il
Melonpan
dalle mani di Hiroshi.
«E se lo spettro dovesse
manifestarsi per davvero? Voi… non avreste un po’
di
paura?» domandò titubante Yuka, mentre Sayuri le
poggiava
una mano sulla
spalla, supportandola.
«Non ti devi preoccupare; ci
siamo qui noi, assieme a te!» intervenne Akane,
nascondendo la preoccupazione che stringeva nel petto dagli sguardi dei
presenti e delle sue più care amiche.
«Lo "plendelemo" a calci nel
"sedele!"» esclamò Shanpū,
rincarando la dose, cercando di infonderle quel coraggio che lei,
essendo
un'amazzone, aveva sempre cercato di possedere senza farsi sopraffare
dagli
avvenimenti che le riservava la vita.
«Se dovesse comparire, ci
penserà Ranma a dargli una sonora lezione!»
«Ehi, Hiroshi, come sarebbe?
Lasceresti fare tutto a me, mentre tu te la
svigneresti?» domandò a sua volta Ranma, inarcando
le sopracciglia, ponendo
l'accento sulla sua più totale disapprovazione a tale
scenario.
«Ma, figurati! Era solo per
dire che con te siamo in buone mani, dato che sei
bravo nelle arti marziali!»
«Non so quanto possa esser
utile, a dire il vero. Ma se parliamo di menar le
mani, Akane in questo non è seconda a nessuno!»
ammise con convinzione,
suscitando uno sguardo tanto iracondo che avrebbe potuto incenerirlo,
se non
fosse stato abituato a coglierli quotidianamente sul volto della sua
fidanzata.
E subito dopo – prima che la conversazione potesse ampliarsi
ancor di più –
Daisuke si schiarì la voce, ricordando con quel gesto il
perché si trovassero
in quella surreale situazione, e nel silenzio che ne seguì,
riprese a narrare
con voce profonda e particolarmente sentita, il suo racconto.
Poggiando una mano a sostegno del
proprio volto, e con l'altra supportando il
gomito opposto, Akane osservò la placidità con la
quale sua sorella Nabiki
terminava di assaporare quel Melonpan, senza scomporsi minimamente
dinanzi a
quei racconti del terrore che, invece, su sé stessa avevano
ripetutamente fatto
venire qualche brivido lungo la schiena.
Quella tranquillità che la sorella le mostrava spesso, era
una qualità del
tutto invidiabile. E se non fosse stata per l'ossessione al denaro
facile,
probabilmente, Akane l'avrebbe ammirata ancor di più di
quanto già non facesse.
Già perché, se
si erano ritrovati in quella circostanza a narrarsi racconti di
paura divorati dal buio sempre più opprimente, all'interno
della propria aula
scolastica nell'istituto Furinkan, ben oltre l'orario di lezione, era
anche per
colpa di Nabiki e del suo incredibile fiuto per il denaro.
Se all'inizio Akane, aveva vagamente
creduto che dietro al riunire proprio loro
sette ci fosse stato solo uno scherzo del destino, dovuto a una
malcapitata
estrazione a sorte, in seguito, dovette ricredersi quando nel primo
pomeriggio,
notò un senpai
del secondo anno, per altro membro del comitato studentesco,
porgere del denaro alla sorella, ringraziandola per non aver coinvolto
gli
studenti più grandi dell'istituto, ad eccezione di
sé stessa.
Shanpū in tutto questo, probabilmente,
era come una ciliegina su un'ipotetica
torta a sorpresa per la stessa Nabiki.
Di fatto, inutile negarlo, in
quell'assurda situazione gli stessi senpai
avevano scaricato la responsabilità di prendersi la briga di
partecipare a
quella sorta d'invocazione spiritica, per tentare di placare quello che
ormai
si era soliti chiamare "lo spettro del crepuscolo". Quello spettro
che nelle ultime settimane aveva dato prova della sua lugubre presenza,
facendo
insorgere innumerevoli casi ad esso associati, diventando
l'indiscrezione più
diffusa fra gli studenti del Furinkan.
Si vociferava che lo spettro facesse
la sua misteriosa comparsa dopo la fine
dell'orario delle lezioni, appena sopraggiungeva il crepuscolo e i
colori del
cielo si riempivano di brillanti toni d'arancio, ma anche di quello
splendido
celeste pallido con una pennellata debole di rosso, e di quel viola
cenere
scuro – quella sfumatura di "Messhi" , che
distruggeva a poco a poco,
sia il rosso che il porpora, per diventare un nero-violaceo, che faceva
spazio
alla notte.
Agli inizi, Ranma aveva ipotizzato
potesse trattarsi di Gosunkugi, mentre Akane
aveva pensato a Musashi Kogane, ma scartarono entrambe le idee con il
diffondersi di altre voci su quello stesso spettro.
Gli studenti che si erano intrattenuti
nell'ultimo periodo, dopo la fine delle
lezioni e delle attività dei club scolastici, affermavano di
sentire sinistri
rumori improvvisi dalle aule poste più vicino all'ala est
dell'edificio e dal
vecchio magazzino. E vi era anche chi asseriva di aver distintamente
percepito
qualcuno che rideva alle proprie spalle senza aver visto nessuna
persona a loro
vicino, oppure di sentire un'armonia lontana e distante di cui non si
riuscivano a distinguere alcun tipo di parola. E chi, –
spinto da un moto di
curiosità crescente, – si era diretto nell'aula di
musica, non vi trovò nessuno
al suo interno, se non qualche sparito che disordinatamente era caduto
a terra.
Altri ancora, sostenevano che era uno
spettro dai lunghi capelli castani,
azzardando una gradazione simile al colore del "bambù
invecchiato
fuligginoso" che si scurisce a poco a poco, con l'abbraccio del tempo e
il
calore delle fiamme mentre viene bruciato, facendo emergere un
ventaglio di
tonalità poco più chiare o poco più
scure. Diafano era invece il volto, dai
tratti somatici inafferrabili e ancora avvolti in una fitta nebbia di
mistero.
In cuor suo Akane, avrebbe voluto
affermare di non esser spaventata dagli
spettri, giacché, in più di qualche occasione, ne
aveva
incontrati alcuni. Tuttavia, non poteva nascondere a sé
stessa
la paura che il concetto stesso di
"demone" e
di "spirito maledetto"
suscitavano in lei,
mentre continuavano a vorticarle nella testa. E per quanto, sin
dall'inizio,
avesse manifestato una certa insoddisfazione nel dover partecipare a
una seduta
spiritica, praticando quel gioco tradizionale vecchio come il mondo, di
racconti dell'orrore; per il proprio quieto vivere, volendo evitare
ulteriori
discussioni, non infierì sul comportamento di sua sorella
Nabiki.
«Sto per spegnere l'ultima
candela.» ammise con una nota d'inquietudine nel
cuore Hiroshi, mentre si apprestava a soffiare via l'ultimo barlume di
luce,
pregando mentalmente che non accadesse nulla di spaventoso. Inutile
negare che
quei dieci racconti di fantasmi e terrore che avevano appena terminato
di
narrare, li avessero non poco angosciati.
E, in quel flebile istante perduto nel tempo, ecco che
l'oscurità ingoiò
definitivamente ogni colore, facendo calare anche un surreale silenzio
che durò
forse, più di quanto sperato, fino a quando la voce di
Nabiki non arrivò chiara
alle orecchie dei presenti:
«Apriamo la
finestra!» dichiarò con convinzione, mentre Ranma
e Daisuke si
affettarono ad eseguire quella richiesta, aprendo totalmente la
finestra a loro
più vicina.
E così, un'intensa folata d'aria nettamente più
fredda sopraggiunse contro i
loro volti e le loro mani, facendoli rabbrividire, per poi chiedersi se
in
quell'alito di vento si celasse anche l'apparizione di uno spettro
femminile come
l'Aoandon,
avvolto da candidi abiti tradizionali e da una fluente chioma che
richiamava la profondità della notte che incorniciava un
volto raccapricciante
e due terrificanti corna; o se fosse, invece, solo una semplice
frescura
autunnale.
La tensione regnava in ogni loro arto,
tanto da impedir loro ogni movimento
repentino e anche le parole, d'improvviso, vacillavano incerte.
Aspettarono ancora qualche altro istante – che mai come in
quel momento
sembrava loro durare quanto l'eternità stessa. Poi, non
vedendo nulla che
potesse dar loro vibrazioni nefaste, si sentirono sollevati, anche se
stava
forse a significare che lo spirito che erano venuti a placare,
probabilmente,
era solo una chimera senza sostanza.
A quel punto Nabiki accese la sua
torcia, e camminando in direzione della porta
chiusa dell'aula in cui si trovavano, accese il contatore della luce
elettrica,
illuminando la stanza a giorno. Il bagliore era stato così
repentino che ebbero
una particolare reazione di fastidio agli occhi, ormai abituatesi a
un'atmosfera molto più oscura.
«A quanto pare non
è comparso nessun tipo di spettro.» ammise Nabiki,
poggiandosi contro lo stipite della porta.
«Che vi dicevo? Sono solo un
mucchio di frottole! – esclamò Ranma mettendosi a
braccia conserte. – Magari qualche mano lesta ha iniziato a
voler compiere
qualche innocuo scherzo che poi, con il diffondersi di queste voci di
corridoio
sugli spettri, lo hanno spinto a continuare la sua stupida
farsa.» aggiunse
poi, spostando le braccia e facendole ricadere sul punto vita.
«Tutto può
essere, a questo punto.» intervenne Daisuke.
«Magari, però, lo
spirito esiste per davvero; solo che non ha nessuna
intenzione di mostrarsi a noi.»
«Ed è proprio per
questo motivo che ci divideremo e andremo a controllare.»
affermò Nabiki, dando una leggera spinta con il piede destro
sul muro, per poi
riavvicinarsi agli altri.
«Ci divideremo?»
replicò Yuka, piuttosto nervosa.
Ranma dal canto suo, avrebbe voluto asserire che dividersi era il
più classico
degli scenari da film horror, punzecchiando di riflesso Akane, ma
tacque non
appena si accorse che i timori di Yuka erano così intensi da
farla leggermente
tremare. Anche se di solito si mostrava piuttosto sicura di
sé, evidentemente
quei racconti l'avevano suggestionata più di quanto si
attendesse.
«Tranquilla Yuka. Tu, io e
Sayuri formeremo un piccolo gruppo e ci dirigeremo
nella sala degli insegnanti per prendere le seconde chiavi della
palestra e del
vecchio magazzino in disuso.» aggiunse con una lucida
sicurezza Nabiki, cercando
di prendere in mano la situazione.
«Del vecchio
magazzino?»
A quel punto Ranma optò allora, per scortarle, ma
prontamente Nabiki intervenne
per sostenere che non ce ne sarebbe stato alcun bisogno.
«Davvero, vuoi andare a
controllare anche quell'edificio?» domando Akane,
sorpresasi non poco.
«Se sono solo stupide
dicerie, non ci sarà nulla di cui preoccuparsi.»
le
rispose la sorella.
«E se non lo
fossero?»
«Ci andremo tutti assieme,
se siete spaventati. – aggiunse Nabiki, cercando di
placare ogni possibile dissenso. – Nel frattempo che noi
andiamo in la sala
professori al secondo piano, voi vi dividerete in gruppetti e
ispezionerete le
varie aule dell'edificio. Non penso vi sia d'aver paura,
poiché le luci dei
corridoi principali sono ancora accese. E siamo tutti muniti di torce,
all'occorrenza.» rincarò la dose, sfruttando
appieno la sua capacità di saper
esser persuasiva.
Le possibilità del caso
sarebbero potute essere molte, ma vi era stata una sola
ipotesi che Akane non aveva sufficientemente ponderato, prima di
estrarre il
suo pezzettino di carta colorata: quella di finire a fare squadra con
Shanpū.
Non che la cosa la disturbasse, ma in verità, non aveva un
rapporto di
confidenza tale, da poter esser definibile come amicizia; semmai le due
erano
per lo più rivali in amore, ma nel tempo, avevano anche
iniziato ad apprezzare
le doti positive l'una dell'altra. Nonostante, il più delle
volte finissero per
far notare maggiormente i loro attriti personali, – complice
l'inclinazione
caratteriale di entrambe, che le spingeva alla competizione, e al voler
comunicare più con sottili sguardi e frasi fatte che
dimostrando una chiara
stima reciproca, che tentavano di celare. Forse, anche per la
testardaggine che
le univa nel ricercare – in modi opposti – le
attenzioni di Ranma. L'unica cosa
che si poteva dire facessero in ugual modo era sfogarsi in un approccio
fisico
piuttosto violento sullo stesso Ranma, quando si sentivano da lui
deluse.
Shanpū si avvicinò ad
Akane, ed entrambe si osservarono per qualche istante,
consapevoli di dover mettere da parte qualunque tipologia di ruggine
passata –
tanto più se questa riguardava Ranma, – per poter
ispezionare proprio l'ala est
del primo piano.
Ma prima che potessero incamminarsi lungo il corridoio alla loro
destra, Akane
avvertì qualcuno afferrarla all'improvviso per i fianchi,
soffiandole
sull'orecchio:
«Buh!»
E per il sussulto repentino provato da quelle mani che le toccarono i
fianchi,
nonché un punto piuttosto sempre sensibile, Akane
strillò cercando altresì di
trattenersi.
«Non ti facevo tanto fifona,
Akane!» esclamò di rimando Ranma, con un sorriso
compiaciuto nell'esser stato l'artefice di quel piccolo scherzetto e
nell'aver
colto una buffa reazione piuttosto sperata, ad onor del vero, di Akane.
«Dovevo immaginarmelo fossi,
tu. Razza di stupido deficiente!»
E in men che non si dica la furia di Akane si manifestò
repentina e altrettanto
velocemente, colpì con braccio teso e pugno chiuso il petto
di Ranma, che
sbilanciandosi all'indietro venne investito dalla forza bruta di Akane
e finì
con il rotolare nell'aula di fronte a quella in cui si trovavano,
sbattendo poi
contro il muro e miracolosamente evitando la prima fila di banchi
appena
distanti dalla cattedra.
«Che ti serva da lezione,
stupido!» esclamò Akane, con un diavolo per
capello.
«Siamo alle
solite…» commentarono quasi in coro Hiroshi e
Daisuke,
assistendo
alla scena.
«"Lanma", stai bene
tesoruccio?» chiese Shanpū, affacciandosi alla
stanza di fronte, scorgendo Ranma ancora a terra, che debolmente alzava
un braccio
con la mano stretta a pugno e il pollice all'insù.
«Mai… stato
meglio.» rispose afono.
«Forza Shanpū, mettiamoci a
perlustrare l'ala est del primo piano; non abbiamo
tempo da perdere con questo cretino!»
Forse, l'intervento inatteso di Ranma, era stato d'aiuto nel trovare
una chiave
di lettura per Akane e Shanpū che ora camminando fianco a fianco,
sembravano
essere maggiormente in sintonia nel rapportarsi l'una all'altra.
«Qui non c'è
nessuno.» asserì Shanpū, richiudendo l'aula alla
sua
destra.
«Nemmeno qui. E' tutto in
ordine. – asserì poi Akane, controllando l'aula
posta
in posizione parallela. – Scommetto che finiremo in un batti
baleno.
Probabilmente, quello stupido di Ranma aveva ragione nel dire che si
trattava
solo di una farsa messa in atto da qualcuno; qualcuno di umano
intendo.»
aggiunse poi, camminando di fianco a Shanpū e sorreggendo nella mano
sinistra
la torcia.
«Avresti paura di trovarti
di
fronte un demone?» domandò a brucia pelo Shanpū,
destando in Akane una lieve reazione di irrigidimento involontario.
«Suvvia, ne ho viste
talmente tante!»
«Sei sincera o lo dici solo
per "appalile" più forte agli occhi degli
altri?» chiese ancora Shanpū, in quel suo giapponese stentato
in cui i suoni e
le cadenze fonetiche rispecchiavano ancora l'idioma cinese.
«Ma
veramente…»
Quella domanda lasciò piuttosto perplessa Akane che non si
sarebbe attesa di
intrattenere quel tipo di conversazione proprio con Shanpū.
«Mettiamola così:
non sono angosciata all'idea di incrociare uno spettro; non
sarebbe la prima volta. Con Musashi Kogane, pur essendo lo spettro di
una
studentessa prematuramente scomparsa, non ebbi alcun timore. Ma non
posso
nemmeno dire di non aver alcun tipo di paura in merito, dato che di
spettri ce
ne possono essere molti, e non è detto che non sia
vendicativo.» argomentò con
sincerità Akane, rimirando poi, il profilo di Shanpū.
«La paura è
un'emozione
istintiva, non sottovalutarla.» asserì Shanpū,
richiudendo la terzultima stanza dell'ala est.
Una constatazione piuttosto indicativa, pensò Akane, detta
da un'abile amazzone
cinese che probabilmente nei suoi anni di allenamento – a
differenza sua – era
riuscita a trovare il suo personale equilibrio con quel tipo di
emozione
dettata dal mero istinto, e che probabilmente le aveva rafforzato lo
spirito. E
in quel preciso istante, Akane strinse nel petto una sensazione a
metà fra la
stima – provata per quel lato indomito di Shanpū –
e l'insoddisfazione –
generata dalle sue mancanze caratteriali.
Sospirando intensamente, con la testa
nuovamente affollata di pensieri, Akane si
apprestò ad aprire la penultima porta per poi –
con velocità estrema –
richiuderla nuovamente, trattenendo a stento una risatina vagamente
isterica.
L'ultima stanza, venne controllata da Shanpū e anch'essa era priva di
qualunque
tipo di presenza.
«Non c'è proprio
nessuno.»
«Q-qui, invece,
sì!» gracchiò di colpo Akane, riaprendo
la porta di
fronte a
Shanpū e cercando di raccogliere i pezzi smarriti del suo coraggio,
nell'aver
da poco intravisto un bagliore bluastro come i lapislazzuli, far
capolinea
sulla sedia della cattedra. Accompagnato per altro, da una vestigia
bianca
indossata da qualche tipo di spettro e due grandi occhi di una
sfumatura opaca
di grigio-viola, come le piume del dorso di una tortora. Mentre, il
resto del
volto le era apparso del tutto indecifrabile, come se fosse scomposto.
«E perché non lo
hai
detto subito?» strepitò a sua volta Shanpū, quasi
più
inviperita di quella confessione inaspettata, che nell'aver notato a
sua volta
quel fulgore bluastro e un'ombra del tutto enigmatica, nella stanza di
fronte a
loro.
Senza attendere oltre, Shanpū estrasse – da chissà
quale dimensione spazio
temporale, – i suoi due chúi
dalle estremità tondeggianti come chupa chups e assunse
una posa da combattimento.
Eppure, guardando meglio all'interno dell'aula, non vi trovò
nessuno spettro e
neppure nessuna ombra, ma solamente dei gessetti per la lavagna che si
muovevano da soli, come se fossero stregati.
«Sono solo… dei
gessetti?!»
Lo stupore sui volti di entrambe
era più che tangibile, considerando
l'eventualità che – a muovere quegli stessi
gessetti – potesse esserci, in
realtà, lo spettro che stavano cercando e che forse,
avrebbero voluto non
incontrare.
Provò così a scagliarvi contro uno dei suoi
chúi, ma questo cadde
immediatamente a terra, arrestando anche il movimento stregato dei
gessetti che
anch'essi ricaddero scompostamente nella stanza.
L'angoscia di quello che sarebbe potuto capitare di lì a
poco bussò nella mente
delle due giovani ragazze, ma non riuscirono neppure a esprimere alcun
tipo di
esternazione che sentirono vibrare l'anima – ora tesa come la
corda di un
violino, – dopo aver udito in lontananza delle urla
innegabilmente maschili.
Si guardarono attentamente; per un
istante entrambe tentennanti sul da farsi.
Ma poi, con uno sguardo d'intesa, si precipitarono fuori dalla stanza,
correndo
verso il lato ovest di quello stesso piano, nel luogo in cui avevano
sentito
provenire quelle fragorose urla.
E mentre correvano a perdi fiato, ravvisarono la figura di Ranma che
concitatamente stava domandando cosa avesse visto a Hiroshi.
«Non l'ho visto, ma l'ho
percepito!» esclamò sopraffatto dalla paura,
mentre il volto aveva assunto un colorito piuttosto pallido.
E prima ancora che Ranma potesse chiedergli qualcos'altro,
sopraggiunsero
correndo anche Nabiki, Sayuri e Yuka, riunendo così tutto
l'intero gruppo.
«Era lì, nel
bagno… Sicuramente è il fantasma di Hanako-san!»
esclamò quasi
preda di un delirio, mentre la voce s'incrinava diventando sempre
più stridula,
al pensiero di aver incontrato il piccolo spirito irrequieto
più popolare del
Sol Levante che infestava i bagni scolastici del loro istituto.
«Hana…»
ripeté appena Sayuri, per poi zittirsi d'un tratto,
consapevole
che era
meglio evitare di ripetere il nome di quello spettro dalle fattezze di
una
bambina.
«Non dire
assurdità. Siamo al primo piano.» aggiunse Ranma,
consapevole che
quel tipo di spettro era solito mostrarsi alla terza cabina della
toilette del
terzo piano.
«Ti ha chiesto se volevi un
rotolo di carta igienica rosso o blu?» domandò
Nabiki, desiderando approfondire la questione, consapevole che la
risposta a
quella domanda fosse sufficiente a capire se si trattasse proprio dello
spirito
di Hanako-san
e della sua sete di vendetta.
«N-no… I-io sono
entrato nel bagno, ho controllato le cabine, non vi era
nessuno a prima vista, ma poi ho sentito un rumore provenire proprio
dalla
terza cabina… – ammise debolmente Hiroshi
– ho provato a chiamarla, ma non ho
ottenuto alcuna risposta.»
«Allora non sei certo di
aver visto davvero uno spettro.» intervenne Daisuke.
«L'ho sentita ridere,
però, subito dopo aver provato a chiamare il suo
nome.»
A quella sconcertante dichiarazione, fra i presenti, cadde un gelido
silenzio seguito
da crescenti perplessità e da una percezione d'angoscia del
tutto opprimente.
«Sei lì, Hanako-san?»
Strepitò a gran voce Ranma, conscio che a quella domanda
specifica uno spettro come Hanako-san,
avrebbe sicuramente risposto.
«Ma che cosa fai, Ranma! Sei
impazzito?» asserì Akane, cercando di tirare la
blusa rosso vermiglio del suo fidanzato.
«Mi sembra più
che scontato che voglio vederci chiaro in questa faccenda! E se
è il suo spettro ad infestare questa scuola, allora non mi
farò problemi a
chiamarla!»
«Hai così tanta
voglia
di passar a miglior vita?» gli domandò Daisuke,
non
riuscendo a comprendere appieno il suo comportamento.
Ma in quattro e quattr'otto, Ranma era già svicolato
all'interno del bagno
delle ragazze e aveva continuato a chiamare Hanako-san altre
due volte, con la
stessa formula.
«Hanako-san, vuoi
giocare?» ma neppure a quella domanda, scelta con cognizione
di causa, ricevette risposta alcuna o vide entità
paranormali comprargli
accanto.
«Non c'è proprio
nessuno! Probabilmente l'immaginazione ti ha giocato un tiro
mancino!» esclamò poi Ranma, uscendo dal bagno,
rivolgendosi all'amico.
«In
verità… Anche
io e Shanpū abbiamo visto un'entità apparire nella penultima
stanza dell'ala est.» accennò Akane, facendo
intuire ai
presenti che probabilmente
di "immaginario" vi fosse ormai ben poco. E quella consapevolezza
fece quasi barcollare a terra Yuka, sostenuta con celerità
da
Daisuke e Sayuri
che le erano accanto.
Nello smarrimento generale venutosi a
creare, ecco che si mostrò loro un'ulteriore
segno tangibile di quella oscura presenza: l'armonia distante di una
voce che
pareva intonare note morbide e avvolgenti e parole sconosciute.
«La sentite anche voi,
questa
voce?» più che una domanda, in verità,
era una
sorta di costatazione, giacché tutti, senza esclusioni, non
solo
sentirono
quella voce femminea e candida, ma notaro anche un bagliore luminoso
attraversare il corridoio per poi magicamente sparire e riapparire nei
pressi
del vecchio magazzino adiacente alla palestra.
Le vetrate del lungo corridoio del
primo piano, come silenti spettatrici di
quella notte d'autunno, rifletterono negli occhi dei presenti, quel
peculiare
fulgore dai toni candidi con una soffice nota di blu, che quasi
ricordava i
colori di una brillante Luna che solcava il cielo.
«Sembra proprio un invito a
farsi inseguire.» ammise Nabiki, facendo roteare
l'occhiello delle chiavi del vecchio magazzino sul suo indice. Forse,
in
quell'occasione era l'unica – oltre a Ranma – che
sembrava prendere a
situazione come una sorta di sfida personale.
In verità, per quanto una
certa curiosità albergasse in ognuno di loro, al
contempo, nessuno dei presenti avrebbe anelato imbattersi in una
presenza
mefistofelica che avrebbe potuto recidere loro la vita. Eppure, senza
conoscerne il motivo, la curiosità sospinta da quella
scarica di adrenalina
pulsante, era persino più forte della paura che fino a pochi
istanti fa li
aveva, invece, tutti o quasi, annichiliti.
La chiave girò nella
serratura consumata dal tempo, fino al fatidico doppio scatto
con il quale la porta del vecchio magazzino in disuso si
aprì ai loro occhi. Nabiki provò ad accendere la
corrente, e con sua stessa sorpresa alcune vecchie
luci – probabilmente ancora a incandescenza –
presero vita, illuminando
fiocamente il corridoio principale in cui si diramavano piccole stanze
limitrofe. Camminando a piccolissimi passi, mentre la tensione saliva
sino alla
gola ed esplodeva nel cuore, poterono notare – accendendo
anche le proprie
torce, – un disordine piuttosto evidente e un edificio a
tratti in marcescenza,
data l'usura e la corrosione dei lastricati di legno sui quali
poggiavano i
piedi, in mezzo a orde di documenti vecchi e impolverati.
«Secondo voi, da
quant'è che qui dentro non viene più
nessuno?»
«Chissà… Potrebbe
essere da qualche anno a qualche secolo, considerando com'è
ridotta questa struttura.» asserì Ranma,
osservando pile
infinite di vecchi
documenti scolastici di studenti che sarebbero potuti esser, passati a
miglior
vita.
«Da quanta polvere
c'è, mi punge il naso!» si lamentò
Sayuri.
«Sarebbe meglio cercare di
respirarne il meno possibile.» aggiunse Nabiki.
Poi, come se vi fosse stata una folata di vento repentina, percepirono
distintamente uno scampanellio cristallino e delicato simile a una
campanella
del vento come il fūrin,
vibrare nell'aria.
L'angoscia, se possibile, fu così intensa che perdettero
qualche battito e i
loro sguardi si corrugarono in espressioni di spavento e d'inquietudine
che non
lasciavano spazio ad alcun sorriso.
«Guardate
lì!»
gridò Daisuke, indicando il riflesso che scorgeva dalla
finestra davanti a lui e che significava che la presenza dovesse essere
alle
sue spalle. Nell'attimo che seguì, un leggero calo di
tensione
elettrica fece
sussultare quelle lampadine stanche; il suono del fūrin
rintoccò
ancora
nell'aria e inaspettatamente alcune vetrate schioccarono, come se
fossero state
colpite da una furia crescente, e si frantumarono. I giovani ragazzi si
coprirono il volto come poterono e cercarono di allontanarsi dal
corridoio
centrale.
Fu allora – in quel momento
di
calma apparente – che Shanpū udì distintamente
un canto desolato librarsi nell'aria.
«Qualcuno sta
cantando!»
esclamò, poggiandosi le mani vicino alle orecchie, per
cercare di ascoltare quei suoni a cui non riusciva ancora a dare un
significato.
«Hai… ragione.
Ora lo
sento pure io!» ammise a sua volta Akane e con lei tutti
gli altri, mentre quel canto diventava sempre più vivido e
limpido,
riecheggiando come se fossero all'interno di una cattedrale.
Cercando di rilassare i nervi e facendo prevalere un'innata
capacità di ascolto
ai suoni che percepiva intorno a sé, Shanpū
riuscì finalmente a comprendere le
parole nascoste di quel canto stregato, ripetendole, imitando la
medesima
cadenza ritmica:
«Itsuka kimi to futari…
いつか 君 と 二
人»
(Un giorno, io e te …)
Ma appena terminò di ripetere quel verso, la vista le parve
annebbiarsi di
colpo e i suoni le parvero di nuovo confusi.
«Shanpū, va tutto
bene?» le domandò Ranma andandole in contro,
notando che
il
fastidio alle tempie era tanto vigoroso da poggiarsi le mani fra i
capelli,
cercando un qualche tipo di sollievo. E senza che nessuno se ne
rendesse conto,
Akane – che a sua volta aveva cercato di mettere a fuoco
quelle
parole
sconosciute – cadette in uno stato ipnotico che le fece
ripetere
le parole che
ascoltava nella sua testa:
«Yoru wo, hoshi wo, yume wo…
夜を, 星を, ゆめ を»
(La notte, le stelle, il
sogno…)
Appena udì quella voce, Ranma guardò alla sua
destra, scorgendo la figura di
Akane immobile e intenta a ripetere quella stessa strofa una seconda
volta,
mentre i suoi occhi scuri stingevano vitrei, come se la sua anima fosse
stata
risucchiata lontano dal suo corpo.
«Akane!»
urlò Ranma, nel tentativo invano di destarla da quello stato
di
trance.
«Akane, torna in
te!» sopraggiunse poi la voce di Nabiki, provando a
scuoterla,
ma non vi fu alcun cambiamento tangibile.
«Watashi ga sunde iru sekai wa
shinkirōdesu. 私が住んでいる世界は蜃気楼です。»
(Il mondo in cui vivo è un
miraggio.)
La voce di Akane, appariva quasi affranta, e le sillabe che enunciava
scorrevano lente, scandendo ogni suono. E a poco serviva cercare di
svegliarla,
continuando a scuoterla o a prenderle mano. Neppure toccarle il volto
sortiva
alcun effetto.
«Akane,
svegliati… Per favore!»
L'incertezza aleggiava sui presenti che cercarono di destare ancora una
volta
Akane. Sayuri e Yuka erano in procinto di piangere e Nabiki, rimasta
lucida, cercò in
ogni modo di far sentire la sua presenza alla sorella, mentre le mani
calde di
Ranma strinsero quelle fredde di Akane nelle proprie. E nel ripetere
nuovamente
tutte le strofe di quella canzone vaneggiante, il volto di Akane venne
solcato
da profonde lacrime. Era come se ella fosse distante anni luce da loro,
e al
contempo, la sua anima rannicchiata in qualche meandro sperduto di
sé stessa,
si stesse struggendo per qualcuno.
L'unica che forse appariva meno scossa
dall'accaduto fu Shanpū, ma in verità,
ancora una volta, continuava a fingere che non le importasse quando in
cuor
suo, percepiva una gamma di sentimenti ed emozioni difficili da
manifestare –
complice non solo il differente idioma con il quale si ritrovava a
parlare, ma
anche e soprattutto per il suo orgoglio, che spesso la faceva apparire
come
un'egoista, anche quando cercava di aiutare gli altri.
Shanpū, come una spettatrice in una platea a teatro, guardava impotente
la
scena dipingersi di fronte a lei, mentre a poco a poco, percepiva una
tiepida
frustrazione agitarsi in lei.
Akane schiuse le labbra quasi a voler parlare con una voce che non
diventava
voce, e che la lasciò del tutto inerme nell'abbraccio di
Nabiki, di Sayuri e di
Yuka.
La voce senza nome, di quello spettro senza volto che
dimorava in quel nefasto
magazzino marcescente, d'improvviso cessò il suo canto soave
e ricco di
malinconia. Dinanzi a loro si materializzò lo spettro,
lasciandoli tutti senza fiato.
Una vestigia bianco latte, dei morbidi capelli del colore
del bambù invecchiato
fuligginoso, un incarnato rosa pallido-grigiastro su cui facevano
capolinea
delle labbra tinteggiate di un rosa confetto appena pronunciato, e due
occhi di
un sottile grigio come le piume di una tortora.
«Non ci posso credere, ma
quella è…»
«Musashi Kogane!» esclamò
Nabiki, completando
la frase lasciata in sospeso di
Ranma.
Lo spettro di quella giovane ragazza, fluttuava nell'aria stretto in
una
espressione malinconica e perduta, piuttosto simile a quella che aveva
poco
prima Akane.
Anche lei, appariva tremendamente distante, come se stesse oscillando
nel vuoto
della propria anima adocchiando sentimenti del passato.
«Kogane, che stai facendo, non ti ricordi
più chi
siamo? – domandò Ranma,
piuttosto spazientito del silenzio in cui Kogane era avvolta.
–
Non sopporto di
vedere Akane in questo stato, e fatico a pensare che dietro a tutto
questo ci
sia proprio tu.» aggiunse poi, stringendo i pugni per la
frustrazione
crescente. Nessuna delle parole espresse, però,
riuscì a
varcare le porte dell'anima di
Kogane, che rimaneva avvolta nel suo totale silenzio, continuando a
fluttuare
nell'aria, generando quel moto di mestizia.
Poi, d'un tratto, avanzò velocemente verso i
presenti, come se volesse
attaccarli con il forte spostamento d'aria che la sua presenza
generava.
Akane avvertì la
testa dolerle a tal punto da stringerla a sé, con le proprie
mani, mentre ascoltava un'insolita melodia maledetta che le proiettava
istantanee di un passato che non conosceva: ricco di dolcezza e di
lacrime
rosse come il sangue.
«Non c'è nulla da fare… Le
nostre voci non
riescono a raggiungere né Akane né
Kogane…» ammise debolmente Nabiki, sotto gli
sguardi mesti
dei presenti che non
riuscivano neppure più a trovare le giuste parole da
allineare,
per esprimere
la loro costernazione.
Poi, come d'incanto, udirono una voce gentile librarsi nell'aria
assecondando
una melodia che non avevano mai ascoltato, ma che riusciva a scaldare
il cuore.
«Shanpū…» proferì
Ranma, scorgendo
proprio la figura della bella ragazza dai
morbidi e vibranti capelli dalla nuance han purple, che ricordavano il colore
di una pietra preziosa, intonare quella melodia.
Shanpū era in piedi, poco più lontana rispetto al
resto del gruppo, con
le mani giunte fra loro all'altezza del petto, con gli occhi semi
chiusi,
sussurrando quella melodia dai toni delicati in un idioma che rievocava
le
sillabe dei dialetti cinesi, ma che in verità, erano solo
suoni senza alcun
tipo di significato specifico. Eppure, nonostante fossero solo un
susseguirsi
di sillabe sconnesse fra loro, un po’ come farebbero i
bambini piccoli –
scarabocchiando suoni, uno sopra all'altro, – quella toccante
melodia, pareva
allentare sia quel senso di impotenza e frustrazione, sia i timori
più
reconditi, cullandoli in un caldo abbraccio brillante come il sole.
«Questa melodia…»
«E' così calda…»
E continuando ancora a intessere sillabe e suoni in quel ritmo delicato
e
avvolgente, i loro cuori si fecero più leggeri, mentre, a
poco a poco, anche lo
spirito irrequieto di Musashi Kogane pareva placarsi. Suoni aggraziati
e liberi
che ruppero l'ipnosi in cui Akane era stata soggiogata, facendola
trasalire,
mentre i suoi occhi si tingevano di vita.
Shanpū concluse la sua perfetta esecuzione nel momento in
cui anche lo spirito
di Musashi Kogane parve risvegliarsi da un lungo sonno. E fu allora che
lo
spettro di Kogane venne avvolto da un bagliore turchese, liberando
un'energia
misteriosa che si innalzò fino a raggiungere il cielo.
«Devo chiedervi scusa. – ammise Kogane,
scorgendo la sorpresa nei volti
dei presenti, – Il mio comportamento è stato causa
di
grandi inconvenienti
per
voi.» aggiunse poi, ritrovando un flebile sorriso.
«Q-quindi non ci ucciderai?» chiese
titubante Sayuri.
«Certo che no. Non è mai stata mia
sincera
volontà. – Kogane voltò leggermente
lo sguardo per incontrare quegli occhi color palissandro, di quella
bella
sfumatura di viola-rossastro scuro, che erano stati in grado di
salvarla dal
precipizio nel quale era caduta, grazie al suo canto colmo di
leggiadria. – Ti
devo molto. Sei riuscita a liberarmi dalla possessione di quel demone
vendicativo.» aggiunse poi. E subito dopo, arrivarono i
ringraziamenti sentiti
di ognuno di loro verso Shanpū che la incitarono a cantare
più
spesso quel tipo
di melodia, tanto da farla sentire quasi in imbarazzo, mentre l'altro
lato di
sé stessa, gongolava soddisfatta per esser riuscita nel
momento
di necessità,
ad aiutare qualcuno. Ed era piuttosto raro che Shanpū manifestasse quel
lato di
sé agli altri.
«Dunque, se non sbaglio, hai dichiarato di esser
stata a tua volta posseduta. –
asserì Ranma scorgendo il profilo rilassato di Kogane
–
Questa cosa è un filo
inquietante a dire il vero…» aggiunse poi.
«Purtroppo sì. Ero ritornata in questi
luoghi per una piccola vacanza, ma poi,
quel giorno mi imbattei nello spirito errante di una donna ancora molto
attaccata alla vita. – dichiarò Kogane,
rimembrando quanto
accaduto – Quello
spettro, quando ancora era in vita, aveva perduto l'affetto del suo
compagno,
prematuramente morto in un incidente sul lavoro. Non era riuscita a
superare
quella perdita né a perdonare chi non era stato in grado di
salvarlo. Si tolse
la vita poco dopo, ma da allora non riuscì più a
ricongiungersi con il suo
amato, per il suo forte desiderio di vendicarlo.» aggiunse
poi,
spiegando la
dinamica dei fatti.
«Uno spettro vendicativo…»
«Il troppo amore può tramutarsi in
un'arma
mal indirizzata alle volte…» furono
solo alcune delle considerazioni che Sayuri e Hiroshi fecero fra loro.
«La sua è una storia colma di
malinconia e
desolazione; e forse, per questo ho
peccato troppo d'ingenuità, quando l'incontrai. Spero che
adesso, possa
riposare in pace.»concluse poi Kogane.
Ora che l'adrenalina era scemata assieme alle più
fervide paure, si
sentirono tutti un po’ stremati mentre gli arti ancora un
po’ tesi, cercavano
di riequilibrare le proprie energie per non farli cadere a terra.
«Meno male che nella nostra scuola non vi
è
nessuna Hanako-san ad infestare i
bagni, allora.» sospirò con soddisfazione Hiroshi,
che
quella sera un bello
spavento di era preso.
«Già, meno male!»
«Hanako-san… Parlate dello
spirito che infesta i bagni nelle scuole?» domandò
con una ritrovata leggerezza Kogane.
«Sì, proprio lui. Prima di venire in
questo vecchio magazzino
"qualcuno" si è preso un bello spavento controllando i bagni
del
primo piano.» dichiarò Ranma, indirizzando una
frecciatina ben precisa.
«Scusami tanto, se non sono temerario come te,
eh!» rispose lo stesso Hiroshi,
cercando di sviare sul fatto che avesse pensato agli scenari
più
drammatici e
sanguinolenti in cui la sua vita sarebbe potuta sfuggirgli via.
«Beh, fintanto che posso sostare ancora qui con
voi, potrei diventare una sorta
di "Hanako-san" che protegge l'istituto
Furinkan da altri temibili
spettri; non trovate?»
A quell'esternazione del tutto inaspettata le reazioni di sorpresa
furono
molteplici, tuttavia, nessuno vi trovò qualcosa di
contrario; considerando che
Musashi Koganae pareva uno spettro decisamente più gioviale,
dei tanti altri
che avevano nominato quella stessa sera nei loro racconti di paura.
«Sarà meglio se ce ne andiamo da questo
magazzino marcescente, prima che
ci crolli addosso.» costatò Ranma, percependo
tutta una
serie di scricchiolii
non particolarmente allettanti, provenire dalle tavole di legno sotto i
loro
piedi.
E così, si diressero verso l'uscita, mentre in
seguito Nabiki chiuse nuovamente
a chiave la porta, anche se ebbe la consapevolezza che a poco sarebbe
ormai
servito, dato che alcune delle vetrate erano cadute in mille pezzi. Ma
fece
spallucce, consapevole che avrebbe dovuto scrivere un appunto su quanto
accaduto, oltre che riportarlo alla prossima assembla del consiglio
studentesco.
In seguito, ripose i due mazzi di chiavi nuovamente in sala
professori, assieme
ad Akane, stavolta. E una volta riposte nuovamente le scarpe nel
proprio
armadietto scolastico per rimettersi quelle da uscire, salutarono lo
spirito di
Kogane che rimase davanti all'entrata della scuola, che con un sorriso
si
congedava da loro, augurandogli una buona nottata, nella speranza che
si
sarebbero potuti rivedere nei giorni futuri, perché "la
fanciulla del
crepuscolo" avrebbe vegliato sull'istituto Furinkan.
«Non sarebbe stato male se
Kogane fosse tornata a casa con noi.» ammise
Akane, poggiando il pollice e l'indice sul mento.
«Già. Forse la prossima volta
rincaserà con
noi.» dichiarò Nabiki camminando
con le braccia incrociate allacciate dietro il collo.
«Non voglio perdermi la reazione di vostro padre
appena incontra di nuovo
Kogane!» aggiunse Ranma, trattenendo a stento una risata,
immaginandosi Souh
irrigidirsi e sbiancare.
«Avremmo fatto davvero bene a lasciarla
sola?»
«Di cosa ti preoccupi, Akane? Kogane è
uno spettro, dopotutto.»
«Lo so, ma non vorrei si sentisse sempre sola. E
poi le strofe di quella
canzone…» ma non fece in tempo a finire di
elucubrare quel suo pensiero che la
voce di Ranma la sovrastò.
«A proposito di quella canzone! Shanpū, dovresti
cantare quella canzone molto
più spesso, era davvero incredibile! –
esclamò il ragazzo con il codino,
scorgendo lo sguardo di Shanpū – era così
cristallina e rilassante che è mi
sono sentito come avvolgere dai solfeggi che
intonavi…» aggiunse poi, scuotendo
involontariamente l'animo innamorato di Shanpū.
«Ah, siamo alle solite…»
appurò Akane
a bassa voce, affiancandosi alla sinistra
di Ranma, per poi dargli un sonoro pestone sul piede.
«Ahia! Ma sei impazzita Akane? Cosa ti avrei fatto
per meritarmi un trattamento
simile?» inveii Ranma.
«Sei il solito stupido di sempre!»
concluse Akane con aria infastidita,
sorpassando Ranma e camminando con più foga di prima, per
arrivare a casa
quanto prima.
«Ed io che mi preoccupavo per
te…» aggiunse
Ranma con voce più cauta.
«Ah… questi tre mi danno sempre una
marea di
grattacapi.» rifletté Nabiki,
guardando davanti a se Ranma che camminava al fianco di Shanpū e sua
sorella
Akane, più avanti a loro di qualche passo.
Era stata una serata indubbiamente particolare, forse
più di tante altre.
Sicuramente, a tratti più inquietante; una bella serata
ricca di tormentati
racconti e di atmosfera, concluse il proprio pensiero Nabiki, scorgendo
il
paesaggio notturno rischiarato dagli alti lampioni, mentre continuava a
sentir
battibeccare Ranma e Akane.
Musashi Kogane era uno spettro piuttosto simpatico con il
quale intrattenersi –
rifletté Akane, – una volta infilatasi
nel proprio letto, facendo
ricadere il proprio corpo a peso morto, abbracciando poi il cuscino.
Eppure,
per chissà quale motivo, a tratti le parve intravvedere una
velata solitudine
che desiderava esser riempita di calore, ripensando ai gesti e agli
sguardi di
Kogane.
Forse, anche lei, aveva più di qualche rimpianto a cui non
dava voce.
Dopotutto, era pur sempre lo spettro di una ragazza che era stata
annientata
dalla vita sin troppo presto. E con quel pensiero in testa, Akane si
lasciò
placidamente accoccolare dal tepore di Morfeo.
Nel frattempo, nell'istituto Furikan, Kogane vagabondava nel
cuore della notte,
accoccolata nel regno delle ombre e da un tiepido spicchio di Luna che
era
timidamente comparso, facendosi spazio in quella coltre di foschia
leggera che
avviluppava l'astro.
«Come il vento non conosce l'estensione del cielo,
nessuno
conosce la profondità
di un cuore che ama e della solitudine.» ammise a
sé
stessa, osservando il
cielo che si innalzava verso l'infinito, dalle vetrate del corridoio
che dava
verso l'esterno.
«Il mondo in cui vivo è un
miraggio… Ma
continuerò a sognare in queste notti
preziose.»
Concluse poi, continuando a percorrere i corridoi bui e vuoti
dell'istituto
Furinkan.
________________________________________
GLOSSARIO
(Mi sono soffermata solo alle terminologie chiave del racconto,
tralasciando
altri termini spiegati nel racconto, per non annoiare quei lettori poco
avvezzi
a glossari più corposi.)
Ai-iro:
Indaco giapponese; ribattezzato "Japan Blue" per la sua
unicità del pigmento, che si differenzia dall'Indaco
occidentale. Ed è uno dei
coloranti più antichi e popolari tutt'ora in Giappone. Pur
essendo una tintura
scura, poté essere indossato sin dall'antichità
da chiunque, senza distinzioni
di rango sociale.
Aoandon
青 行燈 (lett. lanterna blu) è uno spettro femminile
che appare quando l'ultima candela dello Hyakumonogatari Kaidankai
è spenta. Possiede lunghi capelli neri e due corna sulle
tempie.
Carta rossa o blu:
In una popolare variante urbana, lo spirito di
"Hanako-san" compare quando si finisce la carta igienica,
domandandoti "vuoi la carta igienica rossa o quella blu?"
Se si sceglie la prima si va incontro ad una morte violenta, se si
sceglie la
seconda si andrà incontro ad una morte per strangolamento o
dissanguamento.
chúi
槌: Sono
le due "clave" rotondeggianti che usa Shanpū come armi. Sono oggetti
facenti parti delle armi corte tradizionali cinesi da
battaglia; definibili come "martelli".
Fūrin 風鈴;
ふうりん:
campanelle del vento giapponesi; producono uno scampanellio cristallino
e
dolce, nonché caratteristico. Il suono di queste campanelle
è presente in
svariate opere del Sol Levante. Secondo tradizione, rendono
il caldo afoso dell'estate meno opprimente e svolgano un'azione di
purificazione verso gli spiriti maligni.
Hanako-san
花 子さん: Popolare leggenda metropolitana giapponese,
la cui storia varia in prefetture diverse ed
Istituti scolasti differenti.
Il fantasma di una bambina di nome Hanako infesterebbe le toilette
delle scuole
giapponesi; spesso la terza cabina della toilette situata al terzo
piano delle
scuole elementari.
Una volta evocata, attraverso la pronuncia del proprio nome,
tenterà di portare
la propria vittima con sé all'inferno.
In alcune versioni urbane, Hanako-san proteggerebbe gli studenti da
altri
fantasmi infestatori.
Han purple:
E' il "viola cinese", una tonalità blu oltremare tendente
più al violetto/blu. Una colorazione fredda, rispetto al
viola-porpora. Nato
dalla lavorazione del pigmento di silicato di rame bario. (I capelli di
Shanpū
nel mezzo animato, sono un chiaro esempio delle tonalità
d'indaco tradizione
cinese.)
Hyaku-monogatari kaidankai 百物語怪談会: (lett. insieme di
cento racconti fantastici)
è un gioco del periodo Edo molto popolare in Giappone.
In una stanza buia, di notte, si accendono cento candele. Ad ogni
storia di
fantasmi si spegne una candela. Quando si spegne l'ultima candela,
secondo la
leggenda, dovrebbe apparire un essere soprannaturale come l'Aoandon.
Esistono
diverse variazioni del gioco dall'antichità ad oggi: in
passato si usava anche
far cambiare stanza ai giocatori; in tempi moderni esiste la variante
con soli dieci
racconti e dieci candele che può esser fatta in gruppo o da
soli.
Melonpan
メロンパン: dolce da forno giapponese che notiamo anche in molti
anime. Simile ad un panino o ad una brioche: aromatizzato o farcito e
ricoperto
da uno strato croccante di biscotto. Prende il nome
dalla somiglianza con i meloni di Cantalupo.
Messhi:
viola opaco, sobrio e scuro. Una gradazione di colore che è
simile al viola-nerastro, dove il rosso e il porpora perdono
brillantezza.
Senpai
先輩:
compagno di scuola, di lavoro o in ambito sportivo
più grande di età che si rispetta in quanto di
grado più alto del proprio e dal
quale si impara, attraverso l'esperienza che questi mette in campo
verso coloro
che sono più piccoli di lui. Equiparabile in parte, alla
figura del "mentore".
Terminologia strettamente legata alla filosofia giapponese che
difficilmente,
fuori dal Giappone, può esser tradotta nelle sue complesse
sfumature di legami
fra persone. (Non a caso, in alcuni anime moderni, anche nel relativo
doppiaggio, si tende a lasciare il termine in lingua giapponese; non
trovando
parole che ne possano incarnare il senso all'interno di una certa
opera.)
Susu-take-iro:
il colore tradizionale del bambù invecchiato e fuligginoso.
Una tonalità marrone scuro rossastro in cui emerge anche un
tono grigrio
giallastro.
(Il colore dei capelli di Kogane è una tonalità
simile.)
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