Sulle vespe

di Cladzky
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"Forse è il caso che mi segui allora" Riprese a camminare nel buio, scendendo giù in una depressione fra due rocce tanto stretta che appena ci passava, sparendole alla vista. Cinquantasette Quarti non era del tutto sicura di voler condivere uno spazio strett e scuro con lei.

"Perché dovrei?" Calò sul pavimento dell'antro, correggendosi a mezz'aria per tornare dritta, ma non osando muovere un passo verso la frattura. Temeva che dentro ci fosse qualcosa di abbastanza terribile da congelarle il sangue. Forse il nido brulicante di larve carnivore era lì dentro, in fondo era un posto ideale, sicuro per loro ma non per chiunque si avvicinasse.

"Vuoi tornare in bocca al gruccione?" Giunse di rimando la voce di Sappho, invisibile nel suo manto nero nell'ombra. Sembrava che a parlare fu l'antro stesso ed era curiosa la sua scelta di vocaboli, perché con l'immaginazione dettata dall'ansia, sembrava proprio una sorta di ghigno dentato nella pietra.

"Dove mi porti?" Azzardò un passo e tese la testa avanti, col terrore che qualcosa molleggiasse in avanti per strappargliela. Pur sforzandosi non vedeva niente.

"Fuori."

"Ma l'uscita è da quella parte!" Si lagnò in maniera infantile, rigirandosi un attimo indecisa se attraversare la soglia di nuovo. Eppure, quelle spighe verdi là fuori, carezzate lentamente dall'azzura brezza salata che sibilava fra la pietra, non le incutevano meno timore del buio melmoso dentro cui stava per immergersi.

"La tua razza è troppo abituata agli spazi vasti" Sbucò fuori il capo della vasaia, ancora così alieno alieno nelle sue forme allungate. Ne era così poco abituata da farle mancare un battito alla sola vista, sentendola troppo vicina. Rabbrividiva a pensare che quella bocca artigliata fosse stata così vicina al suo collo. Quel pensiero però, nonostante il rigetto iniziale, la mise in dubbio su quella mancata aggressività e ciò bastò a non farla schiodare da terra come prima "Siete tanto claustrofobiche da credere che ogni buco non ha fine. Ma se mi segui ti assicuro che ti porterò dall'altra parte della collina in non più tempo di quanto ci metteresti a sorvolarla."

"Vorrei crederti" Si abbassò col ventre a terra Cinquantasette Quarti.

"Allora fallo" E detto questo ritrasse la testa e sparì nel buio. La vespa attese qualche secondo, aspettandosi che tornasse, ma non lo fece. Dopo una quantità imbarazzante di tempo si fece avanti, verso la spaccatura. Giusto sulla soglia, emise un gridolino.

"Sei lì?" Ma nessuna risposta le tornò indietro. Forse non aveva parlato abbastanza forte e ritentò.

"Vieni, scema!" Colse un vocione lontano. Cinquantasette Quarti trovò quella distanza di sicurezza ragionevole e proseguì. La strada subito s'inclinava oltre il bordo e piantò le zampe alla superficie rocciosa umida. Si abbassò per tenere il baricentro vicino a sè e tentò i prossimi passi, convinta data la tranquillità con cui Sappho era andata avanti. Purtroppo la pietra cadeva con un inclinazione maggiore,  più che verticale, rientrando in sè stessa e si ritrovò a cadere per un attimo, appesa solo per le due zampe posteriori e annaspando a cercare appiglio oltre la lastra da cui pendeva. Con il cuore in gola, tornò la voce sospesa nel vuoto di Sappho "E occhio al gradino."

"Molto divertente" La preoccupazione cedette il posto all'indignazione. Reputandosi scema per davvero, scosse le ali che aveva finora trascurato di avere. Dato il decollo da una posizione poco ortodossa, partì, senza pensare, capovolta. Purtroppo, perpendicolarmente al terreno non aveva lo stesso equilibrio e, anzi, l'addome cominciò a cadere in avanti come un vaso pronto a traboccare. Che posizione ridicola, pensò lei a testa in giù, grata di trovarsi nel buio più completo, sforzandosi di tornare dritta con ogni suo nervo, ma tardò solo la caduta del suo segmento inferiore, che agì da contrappeso, facendola girare a mezz'aria fino a riportarla parallela alla terra, sebbene confusa da quel vorticare. Ancora ebete, fu meno grata dell'oscurità quando finì per sbattere  con la fronte addosso una sporgenza del soffitto, anbastanza forte da farle dimenticare di essere in volo e si prese il viso precipitando. Non durò molto, si interruppe subito, l'antro era molto più stretto di quanto credesse e finì in acqua. Acqua sotto la pietraia, ecco da dove veniva tutto quel muschio, considerò in mezzo alle gocce  che sollevava. Piovve di schiena lì in mezzo, trovandola più fredda di quanto potesse tollerare. Quando la sua testa andò sotto, tutto sparve nella sua mente, dal gruccione, alla caverna e la vasaia, rimaneva solo il cieco istinto di togliersi di torno dal gelo in cui era immersa. Si rigirò, raffreddando anche il ventre e gli arti dentro quel ghiaccio liquido e proseguì indietro, verso dove sperava di trovare la riva e la toccò, ci si erse su e tentò di volare di nuovo. Purtroppo tutte quelle gemme d'acqua addosso l'appesantivano al punto da cadere nella ghiaia dopo un balzo. Sentì un ridere innocente, troppo innocente per qualcosa di così penoso.

"Sì, molto divertente" Confermò Sappho, che nella sua scomparsa era diventata il lago che rideva di lei.

"Era una trappola, non è vero?" Si voltò di scatto, aprendo più che potè la mandibola. Avrebbe voluto strapparle quel sorriso a morsi. La cercò e non la trovava. Si mise in piedi e corse fino al limitare della pozza "O volevi solo prenderti gioco di me?"

"Non dire sciocchezze, Cinquatassette Terzi"

"Quarti! Cinquantasette Quarti!" Gridò all'aria fredda, leccandosi un'antenna bagnata.

"D'accordo, scusa" Si fece più vicina "Forse avrei dovuto avvisarti dell'acqua, però…"

"Però cosa?"

"Eri così antipatica che pensavo di farti uno scherzo per scioglierti un po'"

"Antipatica io?" Esclamò, prima di piagnucolare per faccende più importanti "Io voglio solo uscire da qui, non ho tempo per i tuoi scherzi."

"Dì, non ti sarai offesa?"

"Smettila di prendermi in giro" Cercò di ordinarle con tutta l'autorità che poteva "Non c'è mai stata un'uscita, vero?"

"Non ti arrabbiare, ascolta" Fece più piano lei, avvicinandosi abbastanza da tornare visibile. Ma non era possibile, pensò la vespa, perché quel torso si ergeva fantasma sopra il pelo di quello specchio ancora un poco tremolante per l'agitazione precedente "L'uscita c'è, dobbiamo solo andare avanti."

"Sull'acqua?" Chiese, sbigottita dal vederla camminare, con tutte e sei le zampe, increspando appena la superficie come una coperta “Non sarebbe più facile volarci sopra?”

"No, il soffitto è troppo basso" Sorrise, inclinando il volto e chinandosi un poco, come a farsi piccola “Vieni che ti insegno.”

"Ma come fai?" Chiese senza ombra di terrore, sinceramente curiosa, tanto da poggiare una zampa in acqua. Quando ci scivolò col peso sopra, questa affondò. La trasse su dubbiosa.

"Normalmente affonderemmo, ma tu hai sentito quanto è fredda l'acqua, vero?"

"Certo" Sputò lei, scuotendo la zampa coperta di globi ghiacciati e adesivi, lanciandoli in tutte le direzioni. Aveva il tremendo dubbio che le stesse, di nuovo, tirando un brutto tiro. Non aveva più intenzione di cascarci e rendersi ridicola più di quanto le importasse uscire dalla caverna.

"Lo sai che l'acqua, quando fa freddo, diventa ghiaccio?" Appoggiò la testa sulle zampe anteriori incrociate.

"Certo, per chi mi hai preso?" Alzò la testa, indignata.

"Saprai allora che non è un cambiamento radicale" La guardò con un sorriso insopportabile.

"Spiegati meglio."

"Significa che quest'acqua è molto fredda, non abbastanza da diventare solida, ma sufficiente a camminarci sopra."

"Che idiozia, io ci sono affondata prima."

"Perché non hai distribuito bene il tuo peso" Fu la voce saccente della vasaia, alzandosi in alto e intrecciando le sei gambe con una posa da ballerina.

"Sembra complicato" Sgranò gli occhi Cinquantasette Quarti.

"Ci prendi l'abitudine in fretta. Prova a tenerti bassa quando cammini per iniziare" Si fece vicina, scivolandole addosso, andandole a fianco. Lei si trattenne dal ritrarsi "Metti una gamba sull'acqua, poi l'altra. Quando le senti salde, datti la spinta con quelle inferiori."

"Facile a dirsi" Mormorò, poggiando un tarso in avanti. Tenendo il peso sulla riva, l'acqua rimaneva tesa abbastanza da non riuscire a trapassarla, dunque poggiò la seconda. Rimanendo con le altre quattro attaccate alla ghiaia, se ne stava lì, a muovere i tarsi anteriori in cerchio, carezzando l'acqua così lievemente da cancellarne subito la scia.

"Ti stai divertendo?" Sospirò un po' seccata la vasaia. Puntandola, la vespa dovette riconoscere che era strano starle accanto e ancor più strano giocarle sotto gli occhi.

"Scusa" Ammise, prima di mordersi la lingua "Stavo tastando le acque."

"Era una battuta?" Sappho si coprì le mandibole con un  palmo a due dita per nascondere una risata, ma era difficile nascondere quell'apparato così sporgente con un arto tanto esile.

"Anche noi vespe abbiamo un senso dell'umorismo" Confermò con serietà Cinquantasette Quarti, camminando senza pensare. Nel mezzo di spostare anche il terzo arto sull'acqua, si rese conto di quanto fosse sdrucciolevole il liquido, scivolando in avanti, zampe divaricate, ventre a mollo, bocca sommersa. Virò la testa di lato, implorando nello schock termico l'altra, incapace di muoversi rispetto a prima per paura di peggiorare la situazione. Attualmente galleggiava per miracolo e le sue ali non si erano ancora asciugate del tutto.

"Lo vedo" Osservò Sappho coi suoi occhi sporgenti, scivolandole attorno come un gerride. Lei tentò di risponderle a modo, ma al primo tentativo gorgogliò soltanto, alzò il mento fuori dall’acqua e riprese, ma di nuovo fu costretta a sputare.

"Smettila di scherzare e fa qualcosa" Rabbrividì tutta, dalla bocca, alle ali, arricciando l'addome. Quel freddo sullo stomaco la induceva al vomito.

"Non riesci a metterti dritta?” Le si mise di fronte, abbassando la testa. Lei ci provò, trasse a sé una volta le zampe così distese ma, data la forma tubolare del suo corpo, si ritrovò per rovesciarsi di lato dato il peso della sua schiena, dunque spinse di nuovo con i tarsi sulla superficie, rimettendosi dritta, evitando di capovolgersi e annegare. Provò subito una seconda volta, appena l’acqua si calmò e smise di sobbalzare. Stavolta non sollevò le zampe, ma le ritrasse a sé fin quando i peli recettivi delle tibie non le solleticarono i fianchi, o forse fu il contrario. Provò a spingere verso l’alto, ma non riusciva a fare presa sul terreno, lasciando scviolare gli arti al punto di partenza.

“No” RIspose infine. Sappho mosse un momento il suo clipeo per pensare, poi le diede le spalle. Cinquantasette Quarti si sforzò di guardarla, sebbene costretta a stare con la testa volta di lato per non bere “Non vorrai lasciarmi qui?”

“Afferrati ai miei tergiti e tirati su” Ordinò l’altra, voltando la testa oltre la spalla. Lei rimase un attimo confusa “Che ti prende?”

“Non mi sembra igienico” Arrossì la vespa, osservando il pungiglione della vasaia dondolargli di fronte, appeso ad un vitino tanto sottile.

“Non è il momento di fare la bambina” Alzò la voce Sappho. Annuendo timidamente, provò una volta ad afferrarle l’addome, ma appena alzate le zampe anteriori finì con la testa sotto. Scuotendo il capo riprovò, avvicinandosi le tibie al corpo come prima, ma nel salto si rese conto di poter spingere contro l’acqua nello stesso modo in cui si fa sulla terra. Al terzo tentativo si accontentò di rimanere in equilibrio su quattro arti, mentre i frontali protendevano, con cautela, verso la terminazione della sua compagnia. Quando i suoi aroli riuscirono ad aderire  ai filamenti coronanti il pungiglione, Sappho non potè fare a meno che contrarlo, scattando col torso verso l’alto, facendola cadere in avanti, ancora appesa. La vasaia soffocò una risata “Fai piano.”

Scalando i tergiti, Cinquantasette Quarti riuscì a riposare con i coxa sull’addome di Sappho e la testa poggiata sul peziolo. Fra le gambe poteva sentire battere il cuore di Sappho sotto la cheratina segmentata.

“E ora?” Sussurrò la vespa.

“Ora guarda” La vasaia prese a muoversi. Adoperando le sue zampe in meccanici movimenti, si allontanarono dalla riva ghiaiosa in poco tempo. Cinquantasette Quarti studiò a lungo quel nuoto, dato che la vista le si era finalmente abituata al buio. Sappho non spingeva tanto il suo corpo, come avrebbe fatto sulla terra ferma, ma spostava l’acqua dietro di sé, in moti circolari prima delle prototoraciche, poi mesatoraciche e infine metatoraciche, mai tutte insieme e ognuna con un raggio sempre diminuendo verso l’indietro, tanto che la spinta delle ultime era più una scalciata, ma non dritta, bensì voltata verso l’esterno per fare più attrito con tutto il tarso. Quando imparò a memoria quell’ipnotica danza vide che l’acqua mutava. Non era più lo specchio perfetto, piegato solo dai loro passi, scorreva infatti nella loro stessa direzione. La voce della sua guida tornò a riverberare le pareti umide che scorrevano infinite “Ora prova a lasciarmi, dovrebbe essere più semplice seguire la corrente.”

“La corrente cade sempre da qualche parte” Titubò senza muoversi.

“Non subito, ci vuole ancora un po’.”

Cinquantasette Quarti meditò se ascoltarla o meno. Stava così comoda lì sopra e aveva avuto una così brutta esperienza a navigare, prima. Eppure c’era della stanchezza nella voce di Sappho. Ma in fondo non era stanca anche lei? E poi non riusciva di considerarla simpatica, sgarbata com’era. Ma l’aveva aiutata sin lì, questo significava qualcosa? Un fine doveva esserci, perché le era stato insegnato che ogni azione doveva avere uno scopo.

“Noi andiamo nella stessa direzione, vero?”

“Certo, oltre la collina di senecione, ci siamo quasi.”

“Di già?”

“Te l’avevo detto che era una scorciatoia.”

Cinquantasette Quarti smontò lentamente dalla sua compagnia e scoprì che questa aveva ragione: mantenere l'equilibrio in movimento era più facile e senza dargli un nome conobbe il principio di conservazione del moto angolare. Senza pensarci troppo ripetè i movimenti di Sappho, ma di primo acchito, contraendo velocemente le zampe e alzandosi, finì per esagerare e volteggiare su sé stessa. Stirando i muscoli pur di non cadere di lato e con la testa che girava, non le riuscì di sentire la vasaia che le gridava di allargare le zampe e abbassarsi per rallentare. Dovette intervenire personalmente. Sappho aprì le mandibole, attese il momento giusto e scattò in avanti. Quando la vespa smise di colpo il suo circolo, si ritrovò dolorosamente arrestata per il collo dalle fauci della vasaia così strettamente che poteva sentire la proboscide sfiorarle la gola. Paralizzata un momento, si scosse il successivo, per sottrarsi a quegli occhi così grandi e neri, le loro antenne intrecciate e le guance che si sfioravano. La presa di Sappho era soffice, ma rigida.

“Lasciami andare!” Strillò e premette con le zampe anteriori contro le spalle di quella più grande. Sentiva di non riuscire a respirare, il fiato s’ingolfava nella gola al vedersi così stretta per la prima volta a qualcosa di diverso da lei. Non riusciva più a vedere chi l’aveva strappata al muschio o le stava guidando fuori dalla caverna, davanti a lei c’era qualcosa fatto della stessa materia di un gruccione, ma anche dell’ape incontrata sulla zagara e fu quest’ultimo pensiero che la trattenne all’ultimo dal masticarle via il pedicello sinistro. Congelate nel ritratto epico di una lotta mortale, le due aculeate ripresero a respirare incerte.

“Ecco, così, calmati” Sussurrò Sappho. Quando quella le lasciò il flagello dell’antenna, la prima le mollò la gola, assicurandosi prima che si tenesse stabile su quegli arti tremanti.

“Mi dispiace, è stato involontario” Chinò il capo Cinquantasette Quarti.

“Non mi hai fatto male” Si sforzò di starle vicina nonostante fosse controcorrente.

“Ma avrei potuto.”

“E ti senti in colpa. Non sei una cattiva persona.”

Questo complimento giunse alle orecchie dell’operaia per vie che non erano mai state toccate prima da alcuna considerazione rivoltegli dalle sue nutrici. Non era rivolto alla sua efficienza, né spirito di sacrificio o utilità. Cinquantasette Quarti ancora non aveva capito cosa le stava toccando dentro, ma continuò a sentirlo e pensarci a lungo.

Ripresero la strada. Sappho le rimase dietro, a correggerle la postura ogni tanto con qualche spinta, ma presto non ce ne fu bisogno. La vespa rimase zitta. Forse non sentiva di meritare la parola dopo quello che aveva fatto o non aveva nulla da dire. La vasaia seguì il suo esempio per un tratto, almeno fin quanto fu necessario.

“Senti questo rumore?” Riprese la meastra. La vespa tese le orecchie e sentì un ritmico suono di qualcosa che cadeva in sè stesso “Più avanti la sorgente si fa ripida, ma il soffitto è più alto. Dobbiamo riprendere il volo.”

L’altra annuì, con lo sguardo vuoto. Frullarono ambedue le ali e si alzarono dall’acqua collosa, avendo premura di non levarsi troppo, ma la sensazione di sfiorare la volta graffiante con il dorso le accompagnò per tutto il tempo. Il rumore si fece più forte e l’odore di minerali pungente, così aumentavano i vapori nell’aria, le ali si bagnavano, divenivano pesanti ed era dura sbatterle. Il rumore divenne un ruggito, la cascata doveva essere sotto di loro, ma sembrava di non lasciarsela mai alle spalle ed echeggiava dappertutto. Sappho perse quota e lei la seguì senza esitazione. La sorprese virando di scatto a destra, ma recuperò presto con una curva larga e quasi superandola. Poteva tranquillamente sorpassarla ma non poteva lasciarla e le stette ancora più addosso di prima, così vicino che sentiva quasi le loro ali toccarsi. Ali, che osservava, risultava ancora più dura sbattere per qualcuno di poco aerodinamico come la sua compagna vasaio. Decise di rallentare ancora.

“Davanti a noi!” Esclamò Sappho e lei guardò. La luce del sole traspirava in fondo l’antro, in una fenditura ancora più stretta dalla quale era entrata e la cascata si faceva lontana. La raggiunsero presto, rimanendo accecate, posarono le zampe sulla terra, terra umida che avvertì familiare al tatto e proseguirono verso quell’imbuto che si restringeva, in un groviglio di radici sopra e acqua fluttuosa sotto. Alla fine furono costrette a uscire una alla volta e la vespa si mise in testa, impaziente. Camminando a testa in giù corse verso il buco e si fermò di colpo, smorzando l’entusiasmo. E se ci fosse stato il gruccione fuori? Ma perché preoccuparsi? I gruccioni ci sarebbero sempre stati. Saltò fuori alla rovescia e vide il cielo violetto sopra la cresta della collina, non coperta di senecione, ma di variegata macchia mediterranea. L’alba era ancora in corso. Sentì spingere contro il suo addome e si fece da parte, issandosi su uno stelo d’erba che pendeva sopra lo sgorgante rivolo e la sua guida sbucò a sua volta, salendo al suo stesso livello da una foglia differente. Si scrutarono un po’.

“Dobbiamo lasciarci, Sappho?” Fremette realizzando di essere alla fine.

“Non sei contenta di essere a casa?” Si adagiò sullo stelo esausta dal volo, ancora con le ai gemmate.

“Amo il mio nido” Si difese e cominciò a pensare a quanto tutte sarebbero state contente laggiù quando avrebbe comunicato di aver trovato, nella sua escursione, un ottimo posto, oltre la collina, dove trovare nettare, polline, acqua e anche un bel posto in cui far nidificare la regina dopo l’inverno, una volta che fossero tutte morte. Scosse la testa con un sorriso sognante “Ma ora so che sono in grado di amare molte altre cose, Sappho”

Rimasero a guardarsi a vicenda per un po’, poi la vallata, che si estendeva fin dove gli arbusti si arrampicavano lungo i muri bianchi degli uomini. In mezzo, un campo di papaveri non ancora sbocciati e graminacee veniva decorato dallo sbattere di farfalle, i salti dei grilli e il ronzare infinito di un nugolo di vespe cartonaie affacendate.

Persa com’era a scrutare il quadro, mancò inizialmente di notare Sessantanove Terzi chiamarla dalla riva del fiume. Se ne stava lì, a rigirarsi il fango nella bocca per salivarlo e renderlo argilla, come faceva da quando era diventata adulta, poco prima di lei. Strano, pensò Cinquantasette Quarti, che non avesse nulla da ridire sulla sua compagnia. Guardò alla sua destra, ma lo stelo era vuoto.

“Salute, Cinquantasette Quarti” Squillò lieta Sessantanove Terzi, piegando appena la testa e voltandosi, proseguendo a masticare “Ci hai messo un po’ a tornare, ci stavamo preoccupando.”

“Grazie a tutte per essere state in pensiero. Ho avuto un incontro con un’ape, un gruccione e una vasaia.”

“Spiace sentirlo” Trattenne un moto di emozione “Non mi sorprende che sei viva. Eri sempre così brava a seguire le maestre.”

“Sì, ho una predisposizione ad ascoltarle” Ed ebbe un singhiozzo alla memoria che ancora non poteva credere essere tanto distante.

“Vorrano sentire tutte che hai trovato e io ho un carico per le nuove celle. Vieni, ti accompagno a casa.”

“Vengo.”

Ripresero il volo all’unisono in perfetta armonia, fianco a fianco, allontandosi dalla riva e superando la ginestra. Sessantanove Terzi non potè non notare le gocce fredde che brillavano dietro la sua compagna.

"Cinquantasette Quarti, le tue ali sono bagnate.”

“Ho imparato a piangere, Sessantanove Terzi.”





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