Do me good

di federicaMalik
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Capitolo 5


Ho sempre pensato al tempo come una fregatura, qualcosa di cui non ci si può davvero fidare.

Se sei in una stazione, ad aspettare un treno, ed il grande schermo accanto al numero del binario ti informa di un formale ritardo di cinque minuti, quel tempo sembra interminabile.

Se, invece, sei in compagnia di un buon libro, immersa nelle tue più grandi passioni, quel tempo sembra sfuggirti dalle mani.

Ed è per questo che quasi imprecai, quando, chiudendo l’ultima pagina di quel romanzo diedi un occhiata al mio telefono.

Avevo passato in biblioteca più di quattro ore, ma avevo l’impressione di essere appena arrivata.

Avevo, ovviamente, il cellulare silenziato e, dunque, non mi ero affatto accorta delle decine di chiamate e messaggi.

Sbuffai, sistemandomi la borsa sulle spalle , dopo aver gettato al suo interno le mie cose, mentre mi dirigevo fuori dalla biblioteca ormai deserta.

Camminavo lentamente, ancora tra i pensieri le ultime righe di quel racconto così avvincente.

Ottobre stava per finire e l’aria cominciava ad essere sempre più gelida, per questo mi strinsi ancor di più nel mio cappotto, quando un brivido di freddo mi riscosse dai miei pensieri.

Passeggiavo distrattamente guardandomi intorno, il sole stava ormai per scomparire lasciando spazio ad un cielo buio con poche stelle, mentre la gente si muoveva frenetica per le grandi strade della città.

Sembravano sempre tutti troppo presi dal dover fare qualcosa urgentemente, alcuni stanchi, altri terribilmente irritati.

Mi perdevo ad osservare dei perfetti sconosciuti, cercando di percepire le loro sensazioni; avevo questa abitudine ormai da diverso tempo ed era come un gioco,un modo che avevo per non dovermi guardare dentro.

Non che avessi un brutto rapporto con me stessa, tuttavia, nonostante non mi mancasse nulla, spesso, mi sentivo incompleta ed al contempo terribilmente egoista per questo.

Mi riscossi dai miei pensieri, quando passando affianco al grande ponte di Clifton vidi un ragazzo seduto sul grande muretto, rivolto verso il fiume, con indosso soltanto una maglia di cotone a maniche corte.

Sbarrai gli occhi preoccupata riconoscendo la folta chioma di ricci e, senza neppure pensarci, presi a camminare velocemente verso la sua direzione.

“Nick” dissi in un sussurro, poggiandogli una mano sulla spalla cercando di trattenere la preoccupazione ed assumere un atteggiamento pacato: qualsiasi movimento brusco avrebbe potuto farlo cadere sotto.

Lo richiamai diverse volte, stringendo la presa sulla sua spalla congelata ma, come quel giorno nel suo appartamento, era come se lui non riuscisse a sentirmi.

“Ti prego Nick, guardami!” quasi urlai con voce spezzata, per quale ragione quel ragazzo si puniva così?

Cosa aveva che non andava?

Inspirai profondamente, cercando di cacciare via tutti quei pensieri che mi vagavano per la mente e focalizzando la mia attenzione sul ragazzo che avevo difronte.

Avevo sempre avuto una terribile paura per le altezze, mi facevano sentire piccola e in pericolo.

Non mi sporgevo mai da un balcone, da una finestra posta troppo in alto, odiavo le ruote panoramiche, le montagne russe, le scalate e qualsiasi altra cosa potesse in un certo senso minacciare la mia stabilità.

Per questo mi stupì di me stessa quando, dopo essermi arresa al fatto che Nick non si sarebbe girato e non sarebbe sceso da lassù, lasciai cadere la mia borsa sull’asfalto e mi sollevai sulle punte arrampicandomi sul muretto.

Sentivo le mani tremare mentre cercavo di mettermi seduta accanto a lui, deglutendo più volte e impedendomi mentalmente di guardare di fronte a me.

Voltai il viso alla mia sinistra e presi ad osservare il ragazzo al mio fianco: aveva gli occhi fissi sul nulla, le braccia gettate ai lati del busto, le mani strette a pugno a contatto con il muretto ruvido ed respiro pesante come se avesse appena concluso una maratona.

Lo chiamai nuovamente, girandomi totalmente verso sinistra ed incrociando le gambe, averlo visto in quel modo mi aveva totalmente fatto dimenticare delle mie vertigini; cercai di afferrargli entrambe le braccia, in modo che anche lui potesse voltarsi verso di me ed incredibilmente ci riuscii. 

Restai ad osservarlo in silenzio, mantenendo la stretta delle mie mani sulle sue braccia; aveva gli occhi totalmente persi nel vuoto, privi di qualsiasi espressione ed emozione, il petto che si alzava ed abbassava freneticamente.

“Dimmi cosa posso fare per aiutarti” affermai in un sussurro e lo vidi riscuotersi da quel suo stato di trance per rivolgermi un’espressione che non riuscii a decifrare.

Fu in un attimo, esattamente come quel pomeriggio nel suo appartamento, si risvegliò da quell’infinito silenzio solo per urlarmi di andare via.

Scossi la testa, senza mollare la presa sulle sue braccia, non lo avrei fatto di nuovo.

Non lo avrei lasciato da solo a fare i conti con i suoi demoni.

“Va via ti ho detto!” Sputò tra i denti con aria rabbiosa e quasi sobbalzai; tuttavia, non riuscì comunque a persuadermi ed infatti, subito dopo mi avvicinai ancora di più a lui, annullando la distanza tra i nostri corpi e stringendolo in un abbraccio.

Lo sentì muoversi tra le mie braccia, per tentare di fuggire da quel mio gesto inaspettato, ed io in risposta lo strinsi più forte.

“Non me ne andrò, io voglio aiutarti!” Gli dissi decisa, stringendolo ancora di più e inclinando leggermente la testa di lato, per far si che lui incastrasse la sua tra il mio collo e la mia spalla.

Dopo qualche altro istante di incertezza lo sentì cedere a quella mia imposizione e lasciarsi, finalmente, cullare tra le mie braccia.

Non so per quanto tempo restammo in quella posizione, ma sentivo il battito del suo cuore pian piano affievolirsi e la sua pelle ghiacciata iniziare a riscaldarsi.

Presi ad accarezzargli dolcemente i ricci con una mano, infilando le dita tra i suoi capelli e beandomi della loro morbidezza.

Continuai a stringerlo e smisi di pensare al posto in cui eravamo, al pericolo sotto i nostri piedi, a cosa sarebbe potuto succedere se per errore fossimo caduti sotto; smisi anche di pensare a quanto mi sentissi infelice ed incompleta nonostante avessi tutto.

Smisi di pensare a qualsiasi cosa e cercando di calmare lui riuscii a calmare anche me stessa.




“Grazie” lo sentii mormorare sul mio collo, accanto all’orecchio ed io rabbrividii: non eravamo mai stati così vicini, in tutti quegli anni non eravamo mai stati così intimi, non solo mi aveva mostrato il suo dolore, ma ad un certo punto si era persino deciso a condividerlo con me e soltanto poche persone avevano riposto in me così tanta fiducia.

“Non devi ringraziarmi di nulla” risposi sincera, staccandomi da quell’abbraccio per scrutarlo in viso, che  adesso sembrava più rilassato.

Lo vidi rabbrividire probabilmente per il freddo e soltanto in quell’istante ricordai che fosse coperto solo da una maglietta di cotone.

Senza neppure pensarci mi tolsi il cappotto e glielo poggiai sulle spalle; lo vidi sgranare gli occhi e guardarmi stupito per qualche istante.

“Scherzi, ti prenderai un raffreddore!” Affermò serio cercando di togliersi il cappotto dalle spalle, ma gli bloccai una mano scuotendo la testa in modo deciso.

“Senti chi parla, quantomeno io ho un maglione!” Dissi con tono saccente, cercando di persuaderlo, di farlo sorridere ed anche di smorzare quel pò di imbarazzo che avevo iniziato a provare nel momento esatto in cui avevamo cominciato a fissarci, in silenzio, dopo quel lungo abbraccio.

Lo vidi sollevare gli occhi al cielo, mentre tentava di trattenere un piccolo sorriso.

“Allora andiamo oppure mi sentirò terribilmente in colpa per averti fatto prendere l’influenza!” Disse scendendo con un salto dal muretto ed io lo imitai con molta meno grazia ed elasticità.










“Non se ne parla” affermai seria, incrociando le braccia con fare autoritario.

“Asia, quando capirai che questo è il nostro ultimo anno di università? Non puoi startene sempre rinchiusa in casa!”

“Ma io non sto tutt..” 

“A casa o in biblioteca!” 

Non ebbi neppure il tempo di terminare la frase che Scarlett corse in supporto di Edo, detestavo quando complottavano per mettermi alle strette.

Erano i miei più cari amici ed ovviamente sapevano quanto impegnativo fosse convincermi a fare qualcosa fuori dai miei schemi, eppure non demordevano e provavano sempre a persuadermi dalle mie convinzioni.

Emisi un gemito di frustrazione, avevo raggiungo i miei amici nell’appartamento di Edward da poco più di mezz’ora e non avevano fatto altro che insistere su quanto fosse importante che anche io prendessi parte alla festa di Halloween.

Tuttavia, non avevano tenuto conto del fatto che io odiassi sia le feste che Halloween.

Le prime per il semplice fatto che il mio concetto di divertimento si discostava parecchio dallo strusciarsi ubriachi in uno spazio ristretto, la seconda perché avevo terribilmente paura di quei travestimenti.

“La volete smettere di urlare, sto cercando di studiare!” Sentii una voce avvicinarsi dal corridoio, Nick aveva l’aria spazientita di chi non ne poteva più di tutto quel caos.

“Ass è una festa, non ti drogherai, non farai sesso con uno sconosciuto, non rinnegherai la tua famiglia, ne, tanto meno, prenderai parte ad una setta.

Una semplice festa!” Sbottò con aria allibita ed io lo guardai accigliata.

Ci si metteva anche lui adesso?

Udì un “ben detto” di sottofondo da parte di Lucas, mentre sostenevo lo sguardo di Nick, che probabilmente aveva preso parte a quella conversazione solo per poter tornare in camera sua in santa pace.

Sembrava aver superato alla grande la crisi avuta solo due giorni prima e pareva essere tornato il solito Nick di sempre.

“Non è la fine del modo, davvero!” Mi distrasse dai miei pensieri con voce accondiscendente Izi, avvicinandosi alla sottoscritta.

“Proponilo a Riccardo!” Propose Scarlett, come se quello potesse essere l’elemento chiave per farmi cedere e non mi sfuggii la smorfia disgustata della mia coinquilina al sentir il nome del mio ragazzo, non lo aveva ancora perdonato per l’ultima volta in cui mi aveva dato buca.

Sbuffai, mormorando un “non verrebbe mai!” e vidi Nick sollevare gli occhi al cielo.

“Allora risolviamola in perfetto stile Halloween!” Esordì Scarlett, con in viso un espressione che mi fece rabbrividire.

Le sue idee mi avevano sempre messo un certo timore, erano alternative, decisamente folli, talvolta sadiche.

Ebbi la certezza che stesse tramando qualcosa di potenzialmente preoccupante quando la vidi sussurrare qualcosa all’orecchio di Lucas e gli occhi di quest’ultimo illuminarsi.

“Sei un fottuto genio!” Urlò il nostro amico Moro, dedicando a Scar uno sguardo di ammirazione.

“Ti prego non..” non ebbi neppure il tempo di terminare la frase che venni interrotta da Edward, probabilmente incuriosito dall’entusiasmo di Lucas e Scarlett.

“Sentiamo la sua idea!” 

Tutti gli occhi dei presenti si concentrarono sulla rossa, compreso il mio, non poco preoccupato, e quello di Nick, che probabilmente aveva rinunciato a tornare a studiare almeno finché quella questione non fosse stata risolta.

“Hai presente il famoso dolcetto o scherzetto di halloween?” Mi chiese retorica con, fin troppo, entusiasmo.

Sollevai un sopracciglio confusa in risposta, esortandola a proseguire.

“Bene; considera la festa come il “dolcetto” e se non vuoi venire dovrai affrontare una sfida, un vero e proprio “scherzetto”! “ concluse soddisfatta ed io ero più confusa di prima.

“Mi stai ricattando?” Chiesi scettica, sentii mormorare un “più o meno” da Nick, ma il suono della sua voce venne ricoperto dalla risata cristallina di Scarlett.

“A mali estremi, estremi rimedi!” Canzonò soddisfatta, battendo il cinque a Lucas che osservava la scena divertito, così come il resto dei presenti.

“Sentiamo un po’, cosa dovrei fare per non venire a quella festa?” Mi decisi di chiedere.

“Semplice!” Rispose la rossa, schioccando la lingua ed abbozzando un sorriso ed iniziai a percepire un moto di panico invadermi il petto.

“Dovrai sbracciarti per salutarci dal tetto dell’università domani!”

Spalancai gli occhi e la bocca sconvolta e la mia reazione dovette divertire gli altri poiché scoppiarono in una fragorosa risata.

I miei amici sapevano del mio timore per le altezze, non ero mai stata particolarmente brava a celare le mie paure.

Per questo mi sembrava assurdo che mi avesse chiesto una cosa del genere; il tetto dell’università era altissimo ed io non avevo neppure mai avuto il coraggio di salirci, figuriamoci se fossi riuscita a sporgermi per salutare i miei amici mentre mi osservavano dal giardino del grande edificio.

Idea decisamente sadica

Scossi la testa, “sai che soffro di vertigini” le ricordai.

La vidi sorridere soddisfatta, lo ricordava benissimo.

Sbuffai sonoramente, avrei partecipato a quella festa.




“Tu soffri di vertigini?” 

Quasi urlai dalla paura quando sentì qualcuno proferire parola al mio fianco; pertanto, gli rivolsi un occhiataccia che lo fece sorridere.

Ero appena uscita dal grande edificio e stavo camminando verso casa, quel giorno le lezioni erano state più pesanti del solito e la biblioteca era decisamente piena quel pomeriggio per poter leggere in assoluta tranquillità, per questo avevo deciso di rientrare nel mio appartamento in anticipo.

“Quindi?” Chiese nuovamente, riscuotendomi dai miei pensieri.

“Già” mormorai, immaginavo già il perché me lo stesse chiedendo.

Ed infatti, dopo aver passato qualche istante in assoluto silenzio, come se stesse cercando di riorganizzazione il flusso dei suoi pensieri, si voltò verso di me;

“Allora perché sei salita su quel ponte l’altra sera?” Chiese, mentre mi osservava attentamente.

“Era l’unica cosa che potevo fare in quel momento!” Dissi sincera, scrollando le spalle.

“Avresti potuto andar via e lasciarmi li!” Ribatté ovvio, con un sorriso furbo a contornargli le labbra.

“Lo sai che non lo avrei mai fatto!” 

Lo vidi scuotere la testa e subito dopo annuire.

“Grazie Ass!” 

“Smettila di ringraziarmi, non è necessario. Ho fatto quello che ritenevo più giusto e non ho pensato neanche per un secondo alla mia paura delle altezze in quel momento, era più importante capire se tu stessi bene.” Risposi sincera e lo vidi scrutarmi serio, probabilmente stupido delle mie parole.

“Sei una delle persone più altruiste sulla faccia della terra, Ass!” Affermò sbuffando e ridacchiando

“Le paure esistono soltanto nella nostra testa, solo fin quando non decidiamo di affrontarle. Non ho fatto nulla di speciale, ho solo cercato di aiutare un amico!” Gli sorrisi poggiando istintivamente una mano sulla sua spalla, che spostai subito dopo appena mi resi conto di quel mio gesto.

Lo vidi scrutarmi con la coda dell’occhio, mentre continuava a camminare in assoluto silenzio, con le mani in tasca, e perso nei suoi pensieri.

“Pensi di aver capito cosa mi succede?” Mi chiese dopo un po’, con tono tranquillo.

Avevo intuito cosa gli succedeva nonostante non avessi mai sperimentato delle sensazioni simili, tuttavia, non riuscivo a comprendere le cause sottostanti al suo malessere.

Avevo anche compreso quanto difficile fosse per lui ammettere di stare male e doverne parlare, per questo decisi che per quel giorno avrei lasciato perdere la questione, richiudendo da qualche parte nella mia testa tutte le varie domande che avrei voluto porgli.

“Ti va un gelato?”

“Un gelato? Ci saranno cinque gradi qui fuori!” lo vidi strabuzzare gli occhi prima di rispondere con tono sconvolto ed io non riuscii a trattenere un sorriso.

“Magari mi prendo il raffreddore e mi evito la festa di sabato sera!” 

“Non sia mai che tu ti diverta per una volta!” Mi prese in giro

“Dubito che riuscirò davvero a divertirmi” risposi con tono scettico, sbuffando all’idea di dover seriamente prendere parte a quella serata.

Lo sentii ridere di gusto al mio tono imbronciato, subito dopo sembrò essersi illuminato e si fermò di botto, voltandosi verso di me.

“Tu puoi aiutare me a gestire le mie crisi ed io potrei aiutare te!” affermò soddisfatto ed io sollevai un sopracciglio.

“Mi aiuteresti in cosa esattamente?” domandai scettica dando voce ai miei pensieri.

“A lasciarti andare” rispose ovvio, pizzicandomi un braccio e facendomi sobbalzare.

In risposta lo guardai contraria prima di riprendere a camminare, lo sentii ridacchiare mentre riprendeva a passeggiare accanto a me.

“Che ne dici di una cioccolata calda?” Suggerì dopo un po’, indicandomi con la testa una caffetteria ad angolo.

Annuii in risposta, seguendolo verso quel locale.




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