Cara Tu, ti scrivo

di Questx sono Io
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Cara Tu,
“Luna che guidavi i morti dal palmo di Anubi,
metti anche i pavidi a testa in su come un branco di lupi”

Ho molto tentennato dall’istante in cui decisi che ti avrei voluta ricontattare, ho procrastinato il momento in cui sarei tornato: cosa scrivere, cosa dire? Avresti mai accettato un mio ritorno? Avresti mai nuovamente accettato me, soprattutto dopo quella così amara conclusione di capitolo che due anni prima ci aveva spinti verso due direzioni opposte? Ma più di tutto, sarei Io stato in grado di non mandare nuovamente Tutto all’aria?

“Per sentirla vicina, occorre averne un poco dentro”
Ho così tentennato e dubitato per mesi, riflettuto (forse anche troppo, se già due anni fa ero il re delle seghe mentali, in questo periodo sto facendo faville), ho passato serate insonni a studiare i dettagli delle ombre che venivano proiettate sul soffitto di camera mia dalle sporadiche macchine che attraversavano rapide i campi in mezzo a cui la mia casupola è stata piazzata. Ed effettivamente qualcosa l’ho capito, osservando quel teatrino buio in cui mi immergevo ogni notte: ogni cosa è accompagnata da un’ombra. Ogni essere, ogni oggetto, Tutto getta un’ombra in direzione opposta alla luce che lo illumina, e da questa legge nulla sfugge.
Da qui due possibilità: vivere nelle tenebre, e mescolarvi la propria ombra per non vederla, o accettarne la presenza, e riscaldati dalla luce, imparare a conoscerla ed amarla.

“Luna che inchioda le nubi e ingoia il blu scuro di luglio”
Era la fine del 2020, e questi pensieri furono il tizzone ardente che diede nuova fiamma alla persona che oggi digita queste parole sulla tastiera. In quel 2020 così travagliato ho conosciuto un Io diverso, buio e spaventato, una persona con cui tutt’oggi ancora fatico a relazionarmi, che ha preso decisioni sbagliate e ha causato la sofferenza di molte delle persone a sé più care. La mia ombra, un’ombra che rimarrà per sempre legata a me, ma con la quale, un po’ alla volta, sto trovando il modo di venire a patti.
Forse questa sarà l’ultima lettera che ti scriverò. Me lo auguro, in un certo senso, perché da ora in avanti spero ci siano metodi più rapidi (e meno scenografici, però scusa, lo sai che ho un debole per queste cose, ups) per poterti parlare.

“Non fai differenza tra i tuoi protetti, infatti
con il tuo lume orienti i poeti e i briganti”
Ho paura, non te lo nego, di scostare la tenda; per due anni ho scritto alla Tu di due anni fa, che sicuramente oggi avrà lasciato spazio ad una persona diversa. Ho paura un po’ come gli astronauti dell’Apollo 8, che nel 1968 per primi osservarono il lato oscuro della Luna orbitando attorno ad essa a bordo del loro Saturn V: non sapevano esattamente cosa aspettarsi, certo avevano i loro calcoli e le loro stime da rigorosi scienziati, ma cosa nascondeva ancora la misteriosa Luna? Come avrebbe saputo stupirli ulteriormente lei, che da millenni regolava il passo delle notti e dei mesi, incantando popoli che, pur osservandola dallo stesso pianeta, mai sono venuti a conoscenza gli uni degli altri?
Non successe loro nulla, la sonda danzò qualche tempo con la Luna e poi fece ritorno a casa, riportando a terra gli astronauti sani e salvi; eppure non fu la fine, perché da quel momento in poi quel piccolo e pallido satellite fu raggiunto da nazioni ed astronauti di tutto il mondo.

“Il tuo profilo chiaro è un ricamo a filo di lago
Ogni conflitto umano un fiato su un filo di grano”
La Luna ci incanta da quando abbiamo occhi per guardarla. Ha incantato anche me da quando, una fredda sera di dicembre di tre anni fa, mi strappò un bacio in un bar di una piccola città del nord Italia. Da quando l’ho persa la osservo ogni notte, accoccolata in un drappo blu assieme a stelle, nebulose e galassie, consapevole che anche Tu, da qualche parte, la stai guardando con me, sotto lo stesso cielo.

Nella speranza di non dover più scrivere altre lettere, a presto.
Con tutto il mio cuore,
Io, Pietro




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