Help to Get Dressed

di HergePearl
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Una luce aranciata carezza le onde calme del mare che circonda Venezia. L’acqua pare essere di seta prestigiata, adagia sotto un’aria color seppia e un cielo che non si lascia intravedere. L’immagine pare essere intrappolata tra una fotografia d’epoca e la realtà di una serata che sta appena per cominciare, lenta, come la nebbia che avvolge il respiro e lo trattiene, come se lo acchiappasse. Il mare è talmente calmo da assordare il rumore delle onde che toccano e fuggono da qualsiasi superficie possano trovare.

“Mi stavi aspettando da molto?”

Una voce melodica risveglia il tutto. In lontananza un cane abbaia e la macchina fotografica di qualche turista scatta meccanicamente. E un accendino cade per terra, sfuggito dalla tasca scucita del capotto.

Pedro si volta lentamente, accenna un sorriso come se per scusarsi, si abbassa e raccoglie la BIC nera. La posa nella mano di Sofia, che la tende, e tocca appena la sua pelle, gelida e bluastra. Il suo viso è illuminato a metà, un’iride luccica e riflette la luce di un lampione sfumato di rosa. L’altra è spenta, come lo sono le sue labbra socchiuse, screpolate e dagli solchi più scuri rispetto al resto dell’incarnato roseo. Sono piegate in un sorriso timido, un angolo della bocca un poco più tirato rispetto all’altro. La sua figura pare quasi essere anonima, la pelle del viso si confonde con le fitte di fumo che lascia uscire energeticamente dalla sua bocca, che cerca disperatamente la sigaretta che stringe ora tra le dita, ora tra le sue labbra. È nervosa, e il suo rossetto è talmente secco da non lasciare nemmeno più un segno sul filtro.

“No, figurati”

Il sorriso di Pedro si distende – lui si volta e s’incammina, lasciando affondare le sue scarpe dentro le foglie umide e ossidate dal passare del tempo, ormai l’autunno è inoltrato. Sofia lo segue, la decisione dei suoi passi sembra smentire la pesantezza del suo corpo di quando si era ritrovata di fronte a lui, di nuovo, dopo tanto tempo. Fa fatica a tenere il passo, allontanandosi da quell’incavo verso il mare, di fronte a una panchina isolata vicina ai Giardini. Mentre cammina sembra cercare di nascondere le guance nel collo del cappotto, le mani strette in un pugno dentro le tasche logore. Sente le unghie graffiare la pelle, e stringe ancora di più. Un pizzico si espande dal polso fino a raggiungere le clavicole, il basso ventre, i polpacci. Il freddo le tagliuzza le guance, e si morde un labbro, chiedendosi se ha fatto bene a incontrare di nuovo Pedro, dopo tanto tempo passato.

In una stanza illuminata da una candela impolverata dentro una bottiglia di vino bianco vuota, il cellulare capovolto, Sofia sospira mentre Pedro passa le sue dita dalle unghie curate sotto i suoi occhi, tirando verso le tue tempie, affondandole dentro le ciocche nere di lei. A malapena li raggiungono voci assordate, grida di euforia, musica house. È come se fossero soltanto ancora loro due, per una volta. Forse l’ultima volta.

Un materasso ingiallito per terra, una pila di libri come portachiavi, un canovaccio inzuppato di puro alcool accanto ai teli cominciati e mai terminati, coperti da una pasta densa di pigmenti, una tavolozza dai colori seccati e dei pennelli sfibrati. Pedro non esordisce con il solito “Non fare caso al caos” che si sente dire da sconosciuti e conoscenti ancora troppo sconosciuti, quando si fa visita a casa loro per la prima volta. Pedro è Pedro, e il suo spazio è il suo diritto, così come il caos che vi regna. E Sofia d’altronde non è una sconosciuta, una conoscente fin troppo sconosciuta – quello sì.

E dopo un “Ti va?” e un “Sì” sospirato, l’aria si fa densa di gemiti strozzati, baci umidi, gambe tremanti e dita intrecciate. La schiena di Sofia si inarca, le labbra di Pedro si muovono simmetricamente lungo la sua spina dorsale, creando mosaici sotto la luce soffusa, le sue dita si aggrappano alla pelle pallida dei fianchi di lei, unendo finalmente i loro bacini. Una mano si sposta, muovendosi abilmente lungo le sue costole laterali, tirandola finalmente su da sotto l’ascella. Lei si lascia andare, appoggiando il capo nell’incavo tra il suo petto e la sua spalla, coperti da soffici peli. Alza gli occhi, lo vuole guardare mentre la prende. Le sue labbra vibrano, il respiro affannoso segue un ritmo tutto suo dilagando dalle narici, perle di sudore scivolano giù dal viso segnato dalla stanchezza e da una barba di tre giorni.

Non ricordava lui essere così magro. Ma forse è passato troppo tempo, e una notte insieme di sicuro non può rimediare. I movimenti di lui si fanno più lenti, più concentrati, e lei sente un groppo in gola. Sarà la posizione, ma non osa muoversi, desidera così ardentemente il contatto fisico, anche se è doloroso. È una necessità, più che un desiderio. Gli occhi si fanno umidi, offuscandole la vista. Stringe le palpebre e sente una lacrima calda scappare dall’angolo dell’occhio, rigandole la guancia. Lui continua, si abbassa, portando il capo a quello di lei, appoggiando il mento sull’attaccatura dei suoi capelli. Le bacia la fronte, non le chiede se le piace, perché sa leggere il suo corpo, sempre così freddo ma che stasera lo accoglie come se fosse davvero casa sua, e soltanto casa sua, nonostante la distanza e il passare del tempo. La mano che prima aggrappava i suoi fianchi ora scivola dal basso ventre verso il monte di Venere, carezzandola come piace di più a lei, seguendo il ritmo dei suoi gemiti, fino a lasciare che lei si abbandoni, sì, fino a che lei si abbandona completamente in quello che pare essere un maremoto che sconvolge tutto il suo corpo.

Pedro si china per raccogliere una scatoletta di metallo che una volta dovrebbe aver contenuto la liquirizia. L’apre e si accende la canna dopo averla appoggiata tra le sue labbra. Si allunga verso il cappotto di Sofia, per terra come un corpo morto, senza forma. Fruga nelle sue tasche, lei lo guarda e lo lascia fare. Lui corruga la sua fronte, i muscoli intorno alla bocca tirati in piccole rughe, mentre osserva la fiamma accendersi sotto la pressione del suo pollice, dando vita alla combustione e al suo, seppur momentaneo, rilassamento. Ormai provocato quasi solo esclusivamente dall’erba.

“Andiamo?”

Fa cenno col capo verso la porta della sua stanza. Un poster dei Joy Division, uno strappo in alto a destra. Le voci dei coinquilini si fanno più alti, le risate più pronunciate e la musica più movimentata.

“Non possiamo essere noi, solo ancora per un attimo?”

Sofia lo guarda, i suoi occhi grandi e la delusione che si distende dal gomitolo di speranza ed illusione nel basso ventre. Una fitta, conoscendo già la risposta di Pedro. Abbassa lo sguardo sulla sua canottiera di seta, stropicciata dalla passione di un momento non durato abbastanza. Lo prende e lentamente si veste. È ironico come si viene aiutati per spogliarsi – ma mai per rivestirsi.






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