Il mondo del Natale

di ConstanceKonstanz
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Non avevo mai visto così tante persone in una solo luogo. Fu questa la prima cosa che pensai quando sbucammo in quel enorme viale illuminato da milioni di immagini. La seconda fu che una donna mi fissava.
Non avevamo camminato a lungo. Almeno, io no.
Dinah mi aveva improvvisamente svegliata e mi aveva detto che era il momento di andare e che stavo ritardando l’intero piano. Io avevo annuito e con la testa ancora dolorante, mi ero messa in cammino. La verità, immagino, è che quando si vuole bene a qualcuno, riesce impossibile pensare che quel qualcuno proverebbe mai a fare qualcosa che non sia per il nostro bene.
Non faceva freddo. Nevicava, ma ricordo che l’aria era calda. Nico era davanti a noi, camminava spedito, una mano sulla spada pronto a sguainarla in caso di pericolo, le orecchie tese a captare ogni suono, gli occhi fissi sulla strada, per distinguerla nel buio. Non avevo mai visto nessuno affidarsi in modo così totale ai propri sensi. Non avevo mai visto un bravo sodato combattere un nemico che non conosceva.
Risalimmo la riva e sbucammo in una strada ancora più scura. Storsi il naso. L’aria sapeva di pesce. “Di qua” disse Nico, scattando a destra. Lo seguii.
Ci ritrovammo di fronte ad una strada minuscola, stretta da due muri altissimi. Aguzzai lo sguardo, ma il buio sembrava addirittura aumentare lì dentro. Nico esitò.
“Non c’è un’altra strada?” domandai, ascoltando la mia voce rimbalzare su quelle mura fino a diventare simile all’ululato del vento. Rabbrividii.
Lui scosse la testa “Non lo so, ma non c’è tempo per provare. Dobbiamo allontanarci il più possibile da lì. Se il popolo trovasse quella sala, se capisse cosa abbiamo fatto, lo rifarebbe immediatamente e arriverebbe esattamente dove eravamo noi prima” osservai la sua mandibola tendersi “E tutto questo non sarebbe servito a nulla”. Mi guardò e ancora una volta, anche se nell’oscurità più totale, feci fatica a sostenere il suo sguardo.
“E allora muoviamoci” disse Dinah, schioccando la lingua.
Nico distolse lo sguardo . “Sì” approvò ed avanzò per primo.
Dinah gli fu subito dietro ed io ,a malincuore, li seguii. Quando misi un piedi a terra, lo sentii sprofondare. Repressi un conato di vomito e mi augurai che fosse solo fango.
Ad ogni passo che muovevamo, le pareti sembravano restringersi. Nico voltava a destra, poi a sinistra, sembrava conoscere perfettamente la strada fino a che, d’improvviso, si fermò.
“Che c’è ,ora?” domandò Dinah seccamente.
Nico si voltò “Mi sono perso.”
Trattenni un urlo, mentre il mio sguardo iniziava a guardare in ogni direzione, cercando una via d’uscita.
“Come puoi esserti perso?” sibilò Dinah, riducendo gli occhi a una fessura “Sei riuscito ad orientarti fino ad adesso, puoi farcela ancora!”
Lui sbuffò “Non si trattava di orientamento” ribatté, voltandosi verso il muro “Si trattava di logica. La sponda di un fiume la puoi risalire in un solo modo, non trovi?”
Dinah non rispose, ma la vidi serrare i pugni. Non le piaceva perdere.
“Come pensavo” continuò lui, aggrappandosi ad una specie di sporgenza “Adesso, se non ti dispiace, dammi una mano e arrampicati! In cima dovremo riuscire ad orientarci” .
Lei grugnì, ma era pur sempre un soldato e obbedì all’ordine di un superiore. Si diresse verso un muro e iniziò a tastarlo in cerca di un appiglio.
Fu a quel punto , immagino, che due dei migliori soldati del mio regno non furono in grado di scavalcare un muro. Ci provarono, diverse volte. Cercavano sporgenze, si issavano con tutta la forza di cui erano capaci e riuscivano persino ad avanzare di qualche metro,ma ,poi, puntualmente ,cadevano giù. Li guardai. La situazione era anche divertente. Diverse volte dovetti trattenere una risata, ma dopo un po’, quando la loro frustrazione divenne rabbia, bastò uno sguardo a zittirmi.
Infine, quando Dinah cadde per l’ultimo volta, tirò un calcio al muro che però, stranamente, risuonò. Un suono metallico, ma anche di contenitore vuoto. Non era il suono di un muro.
“E’ una cassa” mormorò incredula, tirando un altro calcio “E’ una stupida e gigantesca cassa di metallo!”
Nico si avvicinò “Lo sono tutte”.
Mi guardai attorno. Nell’oscurità più totale sembravano solo pareti. Appoggiai una mano su quella più vicina a me e la sentii fredda. Fredda come ghiaccio. Ma conoscevo la differenza e quello era davvero metallo. Pensai al mio mondo, il vostro non lo conoscevo ancora e mi chiesi a cosa diavolo sarebbero potute servire casse di metallo di quella dimensione. Alzai lo sguardo e seguii il loro profilo.  Arrivano così in alto che sembravano quasi toccare le nuvole. Nico aveva ragione, da lassù avresti potuto orientarti.
Fu proprio allora che una strana idea si fece largo nella mia mente. Aumentai la presa sulla cassa e strinsi più forte il coltello di mia madre. Sapevo che quella era un’idea assurda. Sapevo che le casse erano di metallo e che il metallo era duro come il ghiaccio. Sapevo che non avrei mai avuto abbastanza forza neppure per scalfire quella superficie, ma una parte di me, una parte piuttosto testarda, evidentemente, non lo sapeva ed io le creddetti. Chiusi gli occhi e poggiai delicatamente il coltello sulla cassa.  Alle mie spalle sentii Dinah e Nico discutere. Le loro voci mi giungevano ovattate e confuse, come se fossi stata avvolta da un telo invisibile. Fui tentata di allontanare il pugnale e mettere più forza nel colpo, ma una parte di me, sempre la stessa, immagino, sapevo che non era necessario. Trassi un profondo respiro, poi, spingendo leggermente, conficcai la lama nella parete di metallo ed iniziai a salire. Il suono che il pugnale emetteva ogni volta che perforava la cassa sembrava quasi innaturale. Era come una specie di melodia. Una melodia dolce che avevo già ascoltato, anche se non sapevo dove. Scossi la testa. Non era il momento di perdere i sensi. Appoggiai la mano libera su una specie di vite mentre con l’altra estrassi il coltello e lo conficcai un po’ più in alto. Dovevo stare attenta, nonostante il pugnale, faticavo a salire. Dovevo guardare dove c’erano degli appigli, dove cercare di appoggiare i piedi. A metà tragitto i muscoli iniziarono a fare così tanto male da bruciare. Urlai, ma qualcuno mi aveva già preceduto. Guardai in basso e mi vennero i brividi. Dinah e Nico stavano gridandomi di tornare giù , agitavano le braccia e si muovevano in tutte le direzione, con lo sguardo allarmato. Non riuscivo a sentirli . Ero troppo in alto. E d’improvviso, mi sentii stanca. Così stanca da non avere nemmeno paura. Sentii le braccia cedere, le mani allentare la presa, il pugnale suonò un’ultima nota. Un mi. E una voce risuonò nella mia testa. Chiusi gli occhi e ricordai mia madre accarezzarmi di notte e intonare quella ninnananna per proteggermi dal temporale. Ricordai anche che ero sempre stata troppo pigra per imparare il testo, eppure, quella notte, la mia voce si unì a quella di mia madre e alle  notte emesse dal pugnale.  Ed io mi sentii rinascere
 
La neve scende
E le luci si spengono,
non temere la pioggia,
non temere il freddo,
il cuore di chi ti ama rimane con te
non temere il buio, perché
i sogni sono colorati
 
Solo quando arrivai in cima, mi resi conto di aver cantato. Solo quando arrivai in cimami resi conto che nessuno mi aveva mia cantato quella ninna nanna. La stessa che il coltello di mia madre intonava.
 
Quando tornai a terra , Nico e Dinah mi sgridarono, mi abbracciarono, mi dissero di non farlo mai più, mi domandarono cosa avessi visto, come avessi fatto, vollero provare il pugnale, vollero sapere perché avessi cantato. Ma quando non riuscirono a incastrare il coltello nelle casse, dopo che ebbi spiegato a Nico per l’ennesima volta cosa avevo visto, sentii la testa iniziare a girare e persi i sensi. Fu allora che smisero di tempestarmi di domande. 
 
Non so per quanto rimasi incosciente. So solo che al mio risveglio, ero sdraiata su una roccia, che aveva smesso di nevicare e che anche se non c’era il sole, finalmente riuscivo a distinguere l’ambiente attorno a me. Ci trovavamo in un enorme giardino, delimitato ai lati da un bosco. Oltre il bosco c’erano le montagne più strane che avessi mai visto. Erano alte e squadrate e risplendevano. Avevano come delle piccole lanterne quadrate sui lati ed io mi chiesi come riuscissero a non prendere fuoco. Provai a muovermi, ma Dinah mi fermò “Stai bene?” fece, apprendo dal nulla e riportandomi a terra “Sei sicura di riuscire a muoverti?”
Non l’avevo mai vista così allarmata. Aveva le pupille dilatate e parlava velocemente come se avesse avuto paura.
“Sto bene” tossicchiai “Ed in ogni caso non voglio passare la notte fuori”
“Beh” intervenne Nico, venendo a sedersi accanto a Dinah “La verità è che io non so dove andare. Dopo che hai perso i sensi, principessa, siamo usciti da quella specie di labirinto a quel punto ci siamo trovati su una strada piena di strane carrozze. Andavano velocissime ed erano piene di luci e andavano in direzioni diverse. Non sapevamo cosa fare, quindi siamo saltati sul retro piatto e scoperto di questa carrozza arancione e rotta e siamo arrivati fino a qui. Poi il cocchiere è sceso e quando ci ha visti a iniziato ha gridare, aveva tanti capelli e sapeva di alcool” al suono di quella parola suo viso di Nico comparve una strana smorfia “Ho preferito andarcene ed ora siamo qui”E con un gesto indicò quel giardino “Per stasera non posso offrirti altro, principessa”.
Annuii sconsolata, mentre Dinah sbadigliava.
“Credo che sia il caso di dormire” disse, sdraiandosi accanto a me.
Nico annuì “Faccio io il primo turno di guardia”
Ma il tono con cui parlò mi allarmò. Alzai lo sguardo. Era stanco, gli occhi erano arrossati e cerchiati da profonde occhiaie e stava rannicchiato su se stesso, come se non avesse più avuto le forze per stare dritto.
“Nico”bisbigliai , cercando di non svegliare Dinah “faccio io il primo turno”
Lui si irrigidì “Principessa, non sono sicuro che tu sappia come …”
“Non era una proposta” lo interruppi “Era un ordine”
Lo vidi corrucciare la fronte, non si fidava, ma era troppo stanco e per stavolta, cedette .
“Va bene” acconsentì “Ma svegliami se senti qualcosa di sospetto”
“Agli ordini”risposi, sorridendo. Ma lui si limitò a guardarmi, poi scosse le spalle.
“A più tardi principessa” mi salutò.
“A più tardi”
Poi, chiuse gli occhi, ma sospettavo che nessuno dei due dormisse completamente.
 
Alla fine feci anche il secondo e il terzo turno di guardia. Non avevo sonno, avevo già perso troppe volte i sensi ed erano accadute molte cose, me ne erano state strappate troppe, perché potessi dormire. Cercai di assimilare quella lunga giornata, cercai di darle un senso. Ma tutto quello che vedevo, tutto quello che sentivo, illuminata dai fuochi di quelle strane montagne , erano i miei fantasmi. Desideravo l’abbraccio di mia madre, la carezza di mio padre, la sicurezza della mia camera, l’amore del mio popolo. In una sola notte, in un solo momento, tutte le mie convinzione, tutto quello in cui avevo sempre creduto, tutto quello in cui mi era stato insegnato a credere, era stato ucciso, devastato, rotto in mille pezzi. Rabbrividii. Non era un addio. Mio padre me lo aveva detto e io gli credevo, ma faceva lo stesso paura. Accarezzai il coltello di mia madre. Cercai di capire che storia volesse raccontarmi, perché avesse suonato, perché Nico e Dinah non fossero riusciti ad usarlo e non capii. Mi vidi riflessa nella lama. Una ragazzina spaventata, con un abito azzurro e sporco, i capelli in disordine e gli occhi pieni di tristezza. Se quello era un incubo, desiderai finisse presto.
 
Quando il sole sorse il giardino si colorò di verde, il bosco divenne meno oscuro e le luci delle montagne dietro di loro si spensero . Fu a quel punto mi resi conto che non erano montagne, ma case. Enormi e larghissime case. Mi alzai in piedi e ruotai su me stessa. Erano ovunque. Incredibili palazzi di dimensioni improbabili. Qualunque città fosse quella, era mozzafiato.
“Sono bellissime” mormorai.
“Sì”  concordò Dinah, facendomi sobbalzare.
Era accanto a me , gli occhi che brillavano di fronte a quello spettacolo.
Sentii le lacrime pungere. Quel momento era così bello da fare male. Dinah si voltò e mi guardò.
“Stai tranquilla” mormorò, toccandomi il braccio “Ce la caveremo anche stavolta”.
Annuii poco convinta, mentre la voce di Nico ci ordinava di muoverci.
 
Quando arrivammo in quella enorme via, avevamo tutti molta fame.
“Cosa c’è scritto, principessa?” mi chiese Nico indicando un cartello.
Come la maggior parte dei miei sudditi, Nico non sapeva leggere. Era figlio di contadini e solo gli starti più alti della società aveva i mezzi per far istruire i figli. I contadini, gli artigiani avevano bisogno di braccia, non di libri. Credo che Nico sapesse che se non fosse stato per gli eccessi e le ingiustizie di mio padre lui non sarebbe mai riuscito a diventare capo delle guardie reali. Era intelligente ed era coraggioso, mi aveva salvato la vita una volta ed ero certa che l’avrebbe rifatto, ma mia mamma diceva che le idee di un popolo, specie se antiche, sono più forti di qualunque qualità e io sapevo che aveva ragione. Per quanto ingiusto potesse essere.
Aguzzai lo sguardo, ma quell’ era un alfabeto diverso dal nostro.
“Non lo …” iniziai, ma poi, un ricordo mi colpì. Un nome. Come era successo nel mio palazzo. E senza sapere perché, conoscevo la risposta“Times Square” .
Nico annuii. Non sembrava particolarmente colpito. Non conosceva il nostro alfabeto, del resto.
Dinah, invece, mi guardò in modo strano ,ma prima che potessi chiederle qualunque cosa, una luce  catturò la mia attenzione ed io mi ritrovai ad osservare la più bella serie di dipinti che avessi mai visto.
Erano giganteschi, brillanti, si muovevano, cambiavano colore: blu, rosso, verde. Le persone erano dipinte così bene da sembrare vere. Bevevano, chiacchieravano, cantavano. Uomini che baciavano donne, donne che baciavano altre donne. Vidi una ragazza bere una bibita scura, sembrava quasi birra, ma una parte di me sapeva che non era così. Cercai di guardare meglio, ma fu proprio allora che ,in mezzo alla folla di persone che si muoveva attorno a me, notai una donna anziana fissarmi. Era piccola e magra, portava i capelli bianchi raccolti in una crocchia ed indossava un paio di pantaloni chiari ed un giubbotto nero. Quando incrociai il suo sguardo, notai che gli occhi grigi risplendevano anche da quella distanza. Mi sorrise ed io esitai.
“La conosci ,principessa?” chiese Nico, avvicinandosi a me e portando una mano alla spada.
Scossi la testa “Come potrei?”
“Si avvicina” annunciò Dinah ,mettendosi davanti a me “Che facciamo, Nico? Attacchiamo?”
 
Lo vidi far saettare gli occhi da me, a Dinah a quella donna. Pensavo fosse nervosismo, ma per la prima volta capii che stava pensando alla svelta.
“Restiamo” rispose infine “Se si rivelerà pericolosa scapperemo. Ma non la attaccheremo, okay? Non voglio attirare l’attenzione”.
Dinah annuii e allentò la presa sul guio. Fu a quel punto che la donna arrivò.
“Cosa ci fai qui, principessa?” esordì osservandomi. La sua voce era dolce, mi faczeva sentire al sicuro. Una sensazione che avevo creduto di non potere più provare.
“Mi conosci?” mormorai, muovendomi verso di lei.
“No, Siena” intimò Dinah, afferrandomi per un polso.
La donna la guardò. Si mise a fissarla con una tale forza da costringerla a girarsi. Dinah sollevò lo sguardo. I suoi occhi scuri non tradivano nessuna emozione, ma sapevo che era sulla difensiva. Non distolse lo sguardo, ma la stretta al mio polso aumentò fino a diventare una morsa.
“Capisco …” fece la donna,infine distogliendo lo sguardo e tornando a me. Mi sorrideva. Nel suo viso leggevo una tenerezza tale da spingermi a fidarmi di lei “Principessa, lei non mi conosce, ma io stavo aspettando il vostro arrivo.  Mi chiamo Bianca e se mi seguirete vi darò da magiare e potrete chiedermi ogni cosa. “
Sapevo che era sbagliato, peggio era stupido. Sapevo che dopo quello che era successo non avrei dovuto fidarmi così facilmente di una sconosciuta. E sapevo anche che stavolta, se mi fossi sbagliata, non ci sarebbero altre vie d’uscita, altri mondi in cui scappare. Ma la guardai in viso e una parte si illuse di rivedere lo sguardo di mio padre, uno sguardo d’amore che forse avevo perso per sempre e decisi di seguirla.
Lei sorrise. “Non abito lontana da qui” fece prendendomi per mano “Venite”.
Alle mie spalle Dinah e Nico sbuffarono, poi allungarono il passo e mi furono accanto. Strinsi forte il pugnale di mia madre. Avevo paura. Con loro accanto un po’ meno, ma la mano della donna era fredda al tatto.




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