Dead man's hand

di Siluvaine
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Non sono solita scrivere storie sul vecchio West, ma è un periodo storico che mi ha sempre affascinata molto. Ecco che dunque mi è venuta in mente questa piccola trama, un po' sotto gli influssi di Sergio Leone, un po' de ‘La ballata di Buster Scruggs’. 

Il titolo di questo racconto, tradotto in italiano in ‘La mano del morto’, è il nome di una mano di poker ben nota nel Far West perché, secondo le voci, era quella che aveva in mano il famoso pistolero Wild Bill Hickok quando fu ucciso.

Buona lettura e vi aspetto nei commenti per sapere la vostra opinione!

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Come sono finito qui? Questo fu il primo pensiero di Abner.

La vasta prateria era arida e piatta nel sole del mezzogiorno, mentre il cielo svettava sul suo capo tra i rami radi dell’albero, in un’illusione di libertà.

La corda che grattava sul suo collo gli stava dando fastidio, ma non quanto quella che gli legava le mani dietro alla schiena, annodata così stretta che Abner riusciva a sentire i tagli che gli procurava sulla pelle.

Non si erano curati di quanto stringevano i nodi quando lo dovevano aver catturato. Dopotutto, non aveva senso perdersi in sottigliezze se, a distanza di poco tempo, sarebbe stato niente più che un corpo morto.

Il pensiero che continuava a infestargli la mente era solo uno: come sono finito qui?

Non aveva dubbi sul perché. Abner aveva donato l’anima al diavolo nel momento stesso in cui aveva messo il piede in quella nuova terra chiamata America. Alcuni di quelli con cui aveva fatto la traversata avevano messo le gambe in spalla e si erano addentrati nei territori più selvaggi e oscuri, in cerca di oro o di ampi pascoli da reclamare in cui vivere in pace.

Lui non era il tipo. Troppo scaltro e troppo poco abile con lavori di forza, era anche poco versato a sopravvivere nella natura selvaggia. Già si vedeva morto in qualche bosco sconosciuto per aver mangiato la bacca sbagliata dopo giorni di fame, oppure in preda alla febbre per una stupida ferita procurata a chilometri dalla civiltà.

Era un gioco a chi sopravviveva meglio, e lui era in grado di sopravvivere nelle città. Aveva sempre avuto dita veloci e aveva molto più senso metterle al lavoro sul tavolo di una bisca che in un campo attorno alla zappa. La città in cui si era trovato meglio era niente più che un ammasso di assi di legno, tirate su da gente che non aveva mai costruito neanche uno stallaggio, ma lo aveva ripagato bene. Alcuni di loro avevano capito subito che era in grado di volgere le sorti delle partite a carte a suo favore, ma Abner li aveva aiutati a costruire le case, a scavare piccoli pozzi d’acqua, a bendare i feriti, e per un periodo si era creata una silenziosa quanto irreale complicità.

Il sogno era stato bruscamente spezzato all’arrivo del nuovo sceriffo, mandato direttamente dalla capitale per supervisionare quella piccola città sorta dal nulla, e Abner era dovuto scappare nella notte, rubando il cavallo di Jack il Vecchio.

Di avventure da allora ne aveva vissute tante, finendo persino vittima di una parata di catrame e piume. Fortunatamente il catrame di pino era abbastanza tiepido da non fargli male, ma era rimasto attaccato alla pelle per giorni e liberarsene era stata una sofferenza. Le risate e le infamie che gli aveva rivolto la gente del posto, invece, non lo avevano toccato molto. Bisognava sopravvivere in quella terra impietosa e lui faceva quello che era necessario per vedere ancora il sorgere del sole.

Al momento presente, invece, si trovava per la prima volta ad avere dei dubbi in proposito. 

Non si vedeva anima viva attorno all’albero, a parte lo sparuto gruppo di edifici in lontananza che doveva essere la città. Forse non erano ancora certi di impiccarlo, pensò. Certo, la corda non prometteva bene.

La sua mente si stava liberando della nebbia in cui era stata avvolta, lasciando solo sporadiche fitte di dolore, e Abner cercò di ricordare cosa lo avesse portato a quel punto. La corda al suo collo parlava chiaro sulla pena che gli era stata comminata, ma non se ne spiegava la ragione. La morte per impiccagione non era una punizione data alla leggera, e di sicuro non a ladruncoli e truffatori di bassa lega come lui. Aveva già messo in conto da tempo di rischiare la perdita delle mani, classico metodo di giustizia riservato ai ladri, ragion per cui si era perfino aperto un conto in una qualche squallida banca, pensando ad un futuro senza mani. Il banchiere aveva creduto che lui fosse un minatore, forse per via del viso smunto e degli abiti sporchi, o forse perché in fondo non importava neanche a lui sapere chi fosse davvero. Il ragazzo si era ben guardato dal correggerlo.

Di fatto, Abner non aveva mai agito in modo da farsi beccare e non capiva come fosse possibile che ora si trovasse, nella calura del giorno, a sperare per la salvezza della propria vita appeso ad un albero.

Cercò con gli occhi qualche via di fuga, provando anche a capire se il ramo a cui era fissata la corda fosse abbastanza fragile da spezzarsi, ma no, a quanto pareva no.

“Ragazzo” disse una voce bassa alle sue spalle. Abner non osò voltare il capo. Il minimo squilibrio avrebbe potuto farlo impiccare da solo.

“Sai perché sei qui?” disse ancora la voce. Gli zoccoli del cavallo batterono sul terreno polveroso, mentre la figura si spostava nel suo campo visivo. Si rivelò essere un uomo con ampi baffi candidi macchiati dal tabacco e piccoli occhi azzurri, seri come la morte.

“Dunque?”

Abner scosse il capo.

“Sei stato accusato di furto di mandria. Cos’hai da dire in tua difesa?”

Era un processo?, pensò rapidamente. Abner sapeva che di solito erano presenti più persone ai processi, ma era anche vero che ogni città dettava le sue regole, soprattutto in quei territori dimenticati da Dio.

Abner aprì bocca, rendendosi conto di avere la gola arida. Parlare risultò più difficile del previsto.

“Sono andato a cercare rifugio, ieri sera” la sua voce raspava, ma si sforzò di continuare. “C’era vento. Sono entrato in un posto che sembrava un magazzino… non ricordo altro. “ 

Dovette deglutire e passare la lingua sulle labbra per continuare. “Non ho visto nessuna mandria”. Sperò che l’uomo gli credesse. La testa gli pulsava dannatamente forte.

L’uomo lo fissava con quei piccoli occhi, e il loro colore intenso riusciva solo a far pensare Abner a quanta sete avesse.

“Sei stato trovato privo di sensi in mezzo agli animali, a due miglia da qui. Purtroppo per te, le vacche erano tutte marchiate. Sei stato anche riconosciuto come Abner Manosporca, il baro dell’ovest.” Il tipo tirò fuori dal taschino una piccola busta, da cui trasse del tabacco da masticare. Lo infilò in bocca, tornando a fissarlo. “Non pensavo ti fossi messo a rubare capi di bestiame”.

“Non l’ho fatto, infatti” raspò la sua voce. Una certa ansia gli stava afferrando il petto, mentre si rendeva conto brutalmente di essere stato ingannato.

Un attimo, si disse, la mente che cercava di ragionare con lucidità. Il mal di testa, il vuoto nei ricordi…

“Signore” disse, fissando il suo giudice negli occhi con tutta la parte più buona del suo animo. “Sono stato incastrato. Non sono stato io. Glielo posso provare”.

L’uomo sembrò incuriosito, ma non si mosse affatto.

“Mi hanno fatto perdere coscienza, prima di incastrarmi. Sono sicuro che potrà trovare un segno, una ferita, un bernoccolo sulla mia testa”.

“Potresti essertelo procurato da solo.”

“E perché?” Vortici di terra secca sembravano impregnare l’aria e ad Abner sembrava di sentire la lingua impastata di polvere. “Per poi ritrovarmi appeso ad un albero, in procinto di andare al creatore?” 

Nel silenzio della pianura, il masticare dell’uomo rimase l’unico suono per diversi secondi.

Poi, emise uno sbuffo e si avvicinò alla corda sull’albero, gli zoccoli del cavallo che sollevavano altra polvere.

Abner osservò la schiena del suo giudice, mentre le mani armeggiavano con la corda. Gli aveva creduto. Il sollievo gli fece tremare le gambe. Era stato ad un passo così dal perdere la vita, ma aveva ancora molte cose che desiderava vedere in questo strambo mondo.

“Sai come si fanno i nodi, ragazzo?”

Abner fece un verso di assenso.

“Le corde devono fare i giusti giri e poi stringersi bene, fino a chiudersi completamente nella presa del nodo. Non bisogna lasciare estremità lasse.”

L’uomo voltò il cavallo e Abner poté vedere che non aveva sciolto la corda.

“E tu, Manosporca, sei un’estremità lassa.”

Lo sguardo di Abner fece in tempo a cogliere un solo dettaglio prima che lo sgabello fosse calciato via. Sotto la giacca, l’uomo aveva nascosta una frusta da mandriano.

Ladro e truffatore, pensò con rabbia, mentre il respiro gli veniva sottratto dal corpo e tutto si trasformò in niente.

 

 

“Deve essersi mosso troppo” dedusse lo sceriffo, osservando il corpo oscillare dolcemente al vento. Era l’unico dei tre uomini presenti ad avere uno sguardo contrito, come se la giustizia gli fosse scivolata tra le dita. 

Il suo vice si avvicinò all’impiccato, girando lentamente attorno all’albero. Quando ebbe completato il giro, emise un uhm di approvazione.

La figura in nero del becchino, con il cappello in feltro che svettava come una torre sghemba, sembrava una statua immobile e fuori posto.

“Che la sua coscienza cristiana abbia avuto la meglio?”, chiese, senza ricevere risposta. 

Il vicesceriffo alzò le spalle, dando un’ultima occhiata al cadavere, e voltò il cavallo in direzione della città. “Almeno abbiamo chiuso questa maledetta questione del ladro di bestiame”.

Lo sceriffo annuì, gli occhi stretti nella luce accecante del giorno. Avevano recuperato la mandria, calmato il proprietario e sistemato il colpevole. Tutto si era risolto per il meglio.

Malgrado avesse compiuto il suo dovere di fronte alla legge e a Dio, lanciò un ultimo sguardo al corpo del ragazzo con un senso di incompletezza. 

Non poté fare a meno di pensare a quanto fosse giovane.





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