A
passo lento, Autolico entrò nella sua camera e, con un gemito, si
lasciò cadere sulla branda. La stanchezza, in quel momento, era
precipitata sul suo corpo.
No,
non avrebbe sopportato una lunga serata di festeggiamenti.
Un
leggero, amaro sorriso sollevò le sue labbra, mentre sottili lacrime
strisciarono sulle sue guance. No, in quel momento, sarebbe stato un
terribile compagno di libagioni.
In
quella compagnia di briganti, aveva riconosciuto gli assassini dei
suoi genitori.
D'istinto,
strinse i pugni e le sue labbra tremarono. Gli anni erano passati, ma
li aveva riconosciuti.
Non
aveva dimenticato i loro volti duri, distorti da una crudele avidità.
Deboli
singhiozzi sollevarono la schiena di Autolico. I ricordi, nonostante
il tempo trascorso, dilaniavano la sua mente.
Quando
pensava a quella tragedia, si spogliava della sua spietatezza di
mercenario e ritornava il fanciullo impotente, incapace di
controllare gli eventi.
Gli
pareva di vedere i corpi straziati dei suoi genitori e le sue narici
avvertivano l'odore ferrigno del sangue.
Sono
un idiota. Un completo cretino.
In
quel combattimento, era riuscito a uccidere quei due bastardi.
Dopo
tanti, troppi anni era riuscito a soddisfare il suo desiderio di
vendetta.
Ma
il suo cuore non era felice.
Un
conato di vomito, come un violento pugno, lo colpì allo stomaco e,
d'istinto, Autolico serrò le mani sul suo ventre. Un sapore acido
era salito alla sua bocca.
Forse,
il disgusto mentale si era concretizzato in una orribile sensazione
fisica.
Diverso
tempo dopo, una sgradevole stanchezza si diffuse lungo tutto il suo
corpo e una cupa tenebra velò il suo sguardo.
Il
fruscio di una porta che si apriva, sostituito da dei passi pesanti,
interruppe il suo sonno.
Di
scatto, Autolico aprì gli occhi e, seduto sulla branda, scorse
Hercules.
L'imponente
eroe, per alcuni istanti, tacque, poi allungò la mano e sfiorò i
capelli dell'amico. Si era accorto della serietà di Autolico.
Aveva
deciso di ritirarsi nella sua stanza, adducendo il pretesto della
stanchezza.
Dapprima,
aveva creduto alle sue parole, poi si era fatta strada nella sua
anima la perplessità.
Autolico
era un guerriero forte e un combattimento simile non lo distruggeva.
La
sfida, per lui, era un nettare dolcissimo, di cui non poteva e non
voleva privarsi.
Che
cosa lo spingeva a un comportamento insolito?
L'altro
tacque. Gli occhi di Hercules luccicavano di preoccupazione e
premura, ma non poteva rivelargli la ragione delle sue pene.
Il
suo compagno e amico aveva conosciuto sofferenze ben peggiori delle
sue e non poteva farsi carico dei problemi altrui.
No,
non era giusto soffocare il suo cuore già provato.
– Autolico...
Che cosa ti succede? –
chiese
il gigante. Quel silenzio fiero, ostinato era per lui angoscioso.
Lui
e Autolico si conoscevano da anni, eppure erano divisi da tanti,
troppi misteri.
Il
suo commilitone conosceva la storia della sua vita, ma non gli aveva
mai svelato nulla di se stesso.
Si
chiudeva dietro una cortina di pudore e fierezza.
– Non
ne
avevo
voglia. Anche io ho bisogno di silenzio, a volte. –
fu
la risposta.
Hercules
tacque e scosse la testa. No, non lo convinceva l'affermazione
dell'amico.
Vedeva
il pallore del suo volto e gli occhi velati d'amarezza.
–
Non
dire stupidaggini. Il tuo viso è quello di chi ha ucciso uno
spettro. –
dichiarò.
D'istinto,
il suo corpo si irrigidì, come una sbarra di metallo, poi si
rilassò. Quelle parole gli avevano ricordato la strage della sua
famiglia.
Forse,
Autolico aveva conosciuto un simile, dilaniante trauma.
–
Non
uno. Forse, erano due. –
dichiarò
il mercenario.
Il
gigante aggrottò le sopracciglia e fissò lo sguardo sulla figura
distesa dell'amico.
–
Ma
non è servito a niente. La vendetta non cancella i ricordi... Non
allontana i rimorsi. –
replicò
l'altro.
–
Io
non credo che tu abbia nulla da farti perdonare. Tu sei un uomo
leale. Tante volte hai salvato la vita a me e ai nostri
compagni. –
obiettò
Hercules, pacato.
Un
sorriso amaro sollevò le labbra di Autolico. Il suo compagno,
nonostante la tragedia, manteneva un cuore puro.
Come
avrebbe potuto capire la sua colpa?
–
Un
uomo leale non abbandona i suoi genitori. E non li vendica vent'anni
dopo, per un caso fortuito. –
L'eroe
ateniese sbarrò gli occhi, sorpreso. Quando era bambino, Autolico
aveva assistito alla morte dei suoi genitori.
E
si caricava il cuore d'un assurdo senso di colpa.
Tutto,
in quel momento, nella sua mente, si rischiarava.
Siamo
più simili di quanto non sembri. Entrambi
avevano conosciuto sulla pelle la crudeltà dell'essere umano.
Ma
questa somiglianza poteva creare un ponte tra di loro.
–
Puoi
farmi spazio? –
chiese.
Autolico,
stupito, alzò la testa e fissò lo sguardo sul compagno.
Un
sorriso leggero sollevò le labbra dell'altro. La confusione, che ben
si vedeva negli occhi dell'amico, riscaldava il suo cuore.
Oltre
quella maschera ironica e cinica, lui celava un animo palpitante, che
non dimenticava nulla.
–
Sei
sordo? Voglio distendermi accanto a te. Non mi va di festeggiare la
nostra vittoria. –
spiegò, tranquillo. La voglia di divertirsi, prima prepotente, era
svanita.
Desiderava
offrire al suo compagno il calore di un appoggio.
Tutto,
davanti a questa priorità, svaniva.
Un
moto di commozione invase il cuore di Autolico. Per lui, Hercules
rinunciava ad una gioia legittima.
Voleva
condividere con lui la sua pena.
Hercules
si tolse i calzari e si stese accanto al compagno. Non aveva detto
nulla, ma vedeva in quelle iridi nere una richiesta di conforto.
Poi,
allungò il braccio e lo costrinse ad appoggiare la testa sul suo
petto.
Autolico,
d'istinto, allungò la mano e la appoggiò sulla spalla dell'altro.
La sua resa, in quel momento, era completa.
E
non gli importava nulla.
Tra
le braccia del suo amico, nulla gli pareva impossibile.
–
Grazie...
Grazie, Hercules. –
mormorò. Per lui, rinunciava al suo diritto ai festeggiamenti.
E
non poteva non essergliene grato.
L'eroe
sorrise e la sua mano indugiò ora sulla sua schiena, ora sui suoi
capelli.
–
Niente
di così difficile. Stai tranquillo, mio. –
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