Che se ci credi, magari s'avvera

di _sweetnightmare_
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Che se ci credi magari s'avvera
 



A pensacce era ‘m po ‘na cazzata.
Ma grande quanto una casa, proprio. No, non scrivergli.

Andacce ancora dietro.

Scossi la testa. Non poteva andare avanti così. Dov’era il mio orgoglio?
“E’ che sei toro”, diceva Teo. “E si sa che i toro son sottoni”.
Si, ma neanche a scavarsi la fossa da soli. Che poi, se vogliamo dirla tutta, c’avevo pure ragione. Bisognava solo prendere in esame il mio lato della medaglia.
Mi aveva tradita, umiliata, lasciata senza un perché. Cazzo, almeno di una spiegazione per riparare a tutta quella merda ne avevo bisogno, anche solo per mettere un punto a quel casino che era la mia vita sentimentale da quando ne avevo memoria.
Ma stiamo andando troppo avanti, riavvolgiamo il nastro. Avevo fatto un torto a Cupido sin dai tempi dell’asilo.
E solo perché i miei primi ricordi iniziano all’età di tre anni, altrimenti son convinta di aver incontrato dei casi umani quando ero ancora in fasce.

Primo giorno.
Ero una bambina spavalda, lo ammetto.
Ma neanche troppo. Cioè, un po'. Quel tanto che bastava per mandare a quel paese la maestra perché mi faceva mangiare i piselli prima della merendina in mensa.
Se ve lo state chiedendo, cari ascoltatori, sì, l’ho fatto.
Ma non perdiamoci in chiacchiere. Dicevo.
Primo giorno d’asilo. Ero in classe con Davide.
Ariete.
Si, è fondamentale specificarlo, è l’unico modo per farvi capire di chi mi ero follemente innamorata.
Che poi manco lo volevo, questo qua. Mi ero accollata a lui solo perché aveva le merendine fighe, quelle con i mostri disegnati sulla confezione, ma si sa che chi disprezza compra.
Dopo una settimana di amore travolgente, in cui io gli ho fottuto tre merendine al giorno, una bella mattina ‘sto stronzo è venuto a scuola e ha pensato bene di regalare le merendine che spettavano a me di diritto in quanto unica fidanzata a una bambina della classe accanto.
‘Sto stronzo. A regà, scusate.
L’occhiataccia del tecnico radiofonico mi aveva fatto tornare con i piedi per terra.
“Alì… e daje!”
Scusate, gentili ascoltatori… è che a volte mi faccio prendere un po' troppo dai vecchi ricordi. Le emozioni, si sa, se ricordate con la stessa intensità vuol dire che sono autentiche.
Dicevamo. Davide e quella stro…strana bambolina di ceramica che aveva deciso di soffiarmi il ragazzo facendosi comprare da due schifezze.
Da quel giorno il mio rapporto con Davide non fu più lo stesso. Serbavo rancore, certo.
Rancore che mi porto dentro ancora oggi.
Ovviamente Davide non fu l’unico a provocarmi profonde ferite nell’animo, ma da lì cominciai a capire che i maschi non sono una specie raccomandabile e che evidentemente Cupido era incazzato nero con me, o solo un sadico manipolatore che godeva nel far del male alla gente.
Ad oggi, ascoltatori, sono sempre più convinta di quest’ultima ipotesi.

“Alì… te cercano al telefono!”. Il tecnico agitava il mio telefono vibrante attraverso il vetro, a mo’ di vedova che saluta il marito morto con un fazzoletto in una mano e i fogli dell’eredità nell’altra.
Da lontano riuscii a vedere il nome di chi mi chiamava.

Riccardo.
Gemelli.

Segno particolare? L’uomo più stronzo e manipolatore che io abbia mai conosciuto.
“Sto gran fio de na –“
“Ali’, e daje!”



NDA: Scusate per il "romano", ma non sono di Roma e quindi scrivo un pò in base all'accento e ai modi che ho sentito dire. Magari manco Alice è proprio romana de Roma, e quindi ci accontentiamo. Come al solito si tratta di parole prese, buttate e pubblicate senza neanche leggere la bozza. Perchè? Perchè forse, Alice non è un personaggio del tutto inventato.

 




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