Si
apre il portone in legno e ferro scuro d’una casa.
Scricchiola un poco il meccano arcigno vecchio che vi è
attaccato, si spalanca l’ingresso dal quale emerge e poggia
una mano sullo stipite di fredda pietra. Sorride amaro il ragazzo che
porge lo sguardo sulla buia via, mentre il sole alto in cielo e il
canto dei piccioni sui tetti annunciano il buon giorno. Un raggio del
gran sole illumina la terra fuori dal vicolo, oltre le mura strette e
concise di ‘sta via scura. Si odono le voci della gente che
passeggia in strada e fa folla in Piazza della Signoria, a pochi passi
da questa casa.
-Dama
madre!- chiama il giovane dai neri capelli e azzurri occhioni.
–Venite, forza- sbuffa lui che di begli abiti è
fornito. Trattasi d’una pulita e bianchissima camicia stretta
da un giubbotto verde acceso, legato a dei calzoni larghi fino al
ginocchio, bianchi poi si stringono aderenti e scompaiono nelle belle
scarpe. Indossa anche un cappello che allunga il suo viso dai tratti
marcati e adulti di chi i vent’anni li ha passati felici,
tranquilli, ma forse troppo.
-Arrivo
Marco, arrivo! Il vostro animo ha perduto la calma…-
borbotta una donna dall’interno.
Marco
rientra col corpo nell’atrio della serra abitazione,
s’adocchia attorno. –No, madre! Con voi la mia
anima ha perduto la pazienza. Braccia e gambe l’avete per
passeggiare, ma al mio braccio necessitate tutte le volte poggiare. Mastro Andrea*
m’attende!- strilla. –Farò tardi anche
‘sta volta!- grida ancora.
-Il
tuo Maestro attenderà in eterno, se necessario per portare a
spasso queste vecchie ossa, ragazzo!- scende le scale una vecchia,
scivolando le grinzose dita sul corrimano. I passi son piccoli e
stretti sui gradini, e la ampia veste sfarzosa, bella e colorata di
pregiati tessuti caldi per via d’un inverno ostile ma dalle
belle giornate, s’accompagna ai capelli di oro antico tenuti
alti, stretti in un fermaglio che chiude con un fiore.
-È
bello, caro figlio, sapere del tuo interesse per l’arte che
vien’ prima di quello per tua madre!- arride lei; le rughe in
viso, un po’ gobba è la parente di Marco Massoli*.
-È
bello vedervi così splendente e radiosa. Il vestito
d’oggi vi sta bene- sorride lui più allegro.
-Artista!
Lecca meno i piedi a tua madre, e portale il soprabito dalla cucina!
Scatta!- ordina lei nervosa; s’avvicina
all’ingresso e Marco corre nella stanza accanto. Il suo dei
suoi passi torna svelto accanto alla vecchia. Porge lei il giaccotto
dalle gonfie maniche, che la dama indossa con grazia e suo
d’aiuto.
Marco
poco allegro allunga a lei il gomito, e la donna lo prende a braccetto
tutta soddisfatta in volto. –Attendo impaziente il giorno
della vostra morte- dice il giovane chiudendo la porta a chiave dietro
le loro spalle.
-Son
curiosa, Marco- ridacchia lei mentre s’incamminano a
braccetto verso Piazza. Sbattono le ali dei piccioni che fuggono dalle
grondai e dai tetti. Si avvicina il frastuono dei cavalli e delle voci
dei passanti. –Son curiosa ed impaziente io di quel giorno.
Non dartene pena anche tu- dice divertita.
-State
certa- gonfia il petto lui –che la bara nella quale vi
farò sigillare sarà a prova di fuga!- fa con voce
maligna.
-Non
scomodarti, ragazzo mio!- alza gli occhi azzurri al cielo che appare a
strisce tra il tetto e un altro della stretta via. –Non
tenterò fuga alcuna dalla fogna di bara che coi soldi
guadagnati dei tuoi brutti dipinti mi regalerai…- si beffa.
-La
mia, madre, è un’arte sopraffina- si vanta.
–Mastro Andrea mi loda, m’incoraggia tutte le
volte-.
Camminano
lenti e tranquilli i due. –Certo, il Verrocchio lode e
coraggio ti regala perché quelle che ricevi da chi soldi un
giorno ti darà, son nulla a confronto! Un’idiota
come te dove e da chi ruba la forza per coltivare un talento che non
ha? Comincio a dubitare che quel cane che Mastro chiami con gli occhi
non veda-.
-Se
Mastro Verrocchio v’udisse, madre…- fece
esasperato il giovane. –V’aizzerebbe contro tutta
la bottega! Me compreso, contateci-.
-Sopra
i fragili corpi di fragile gente d’arte, che ossa non si
è fatta per combattere la vita vera, cammino e sputo, figlio
mio, cammino e sputo…- mormora fiera e malvagia la donna.
Monna
Luisa da Anchiano è una donna scorbutica, sadica, di cattive
maniere; ma non sempre stata tale se non dopo la morte del marito.
Marco Massoli è figlio di un padre morto ucciso da una
famiglia rivale. C’è la guerra in strada di notte,
quando le luci del giorno s’abbassano e la gente si nasconde
in locande e taverne a bever’ vino e birra. Ma vino e birra
rosso si sparge sulle mattonelle di piccole vie, che
l’indomani son colme di volti spaventati e gole urlanti.
Così se n’era andato Bruno Massoli, lasciando casa
e unico figlio a badar alla vecchia e bruta madre. Tanti soldi per
buoni vestiti, ma saprà Marco tenerseli stretti se il
mestiere di garzone poco gli regala e tutto, forza, intelligenza e
vigore giovanile, gli ruba?
-‘Sta
mattina Mastro Andrea mi commissionerà un quadro. State
pronta- sorride il giovane pieno di sé.
-Ah!-
ride a crepapelle la donna. –‘Sta mattina te lo
dico io cosa ti commissionerà il Verrocchio nel frattempo
che pennello e tela tua se la dipinge qualcun altro! Latte per i suoi
gatti e formaggio per i suoi topi ti manderà a comprare!-
erompe divertita, ma cattiva come una vipera.
Può
l’animo di una madre essere così velenoso nel
sangue del figlio? Si domanda Marco mentre i passi loro si perdono tra
quelli della gente che anima Piazza della Signoria. Capeggia la dimora
dei Medici, di tante finestre e bruni mattoni che cuociono al sole.
Giocano le ombre del marmo della fontana con quelle
dell’acqua; si canta e si balla per la Via degli Uffizi, dove
si ascolta la musica di un cristallino mandolino suonato da un
fanciullo. Danzano due bimbi e se ne ricorrono venti per la piazza, e
tanti genitori attenti son scrutati con riguardo dalle guardie del
Magnifico.
Se
ne vanno per tante strade i due parenti. Passeggiano tranquilli in
ombra e luce, su mattonelle e mattoni di cunicoli bui e salutano fornai
e sarti, le quali botteghe aperte di buona mattina sono sempre.
Batte
ormai il sole sulla via del ritorno. Monna Luisa e il giovane Marco si
allontanano dal centro di musica e voci, ripercorrendo i loro passi.
-Non
passano nemmeno minuti a camminar con te, giovane!- sbotta la donna.
–Perché tanta fretta?!-.
-Oltre
ad essere stupida, a voi qualcun ha regolato anche l’orecchio
che manca?!- domanda frustato il ragazzo. –Madre, sono in
ritardo dal Verrocchio! Capite che sarò zimbello di bottega
ancora una volta se tardi arrivo! Con una corsa potrei giungere alle
porte in tempo! Per questo necessito io di riaccompagnarvi, subito, in
dimora vostra-.
-E
va bene!- lagna esasperata con voce rauca.
Giunti
quasi dinnanzi al portone in legno e ferro scuro, s’ode un
sussurro nell’ombra di una colonna.
-Marco
Massoli
moriràààà…- fa
questa nuova voce, macabra e sinistra che vien
dall’oscurità.
Si
volta Marco ad occhi sgranati urlando per lo spavento. È la
donna l’unica che resta ferma quando dal buio salta fuori
come un gatto un giovane ben vestito, allegro e che ride come un pazzo
per la scena appena veduta.
-Ser
Ezio- sorride Luisa chinando il capo debolmente. Sulle labbra di lei
è stampato un amaro sorriso di gioia nel veder dolere il
cuore del figlio a quel modo: si diletta nel vederlo soffrire, ma non
in modo malvagio, anzi. È ben conscia che il suo piccolo
Marco è ancora un bambino, e certi atti, spera, che un
giorno possano renderlo più adulto e pronto alle…
sorprese.
Di
fatti Marco, ancora imperterrito e tremante, ha una mano premuta sul
petto e gli occhi gonfi di più. –Santissimo,
perché l’hai fatto?!- domanda furente il giovane
all’altro.
È
in luminosa vista il viso di Ezio Auditore, che mostra i tratti solari
e raggianti della migliore nobiltà. Gli occhi scuri,
profondi, il sorriso sornione e divertito. Va a cingere le spalle
dell’amico artista con un abbraccio. –Il solito,
eh?- ridacchia.
Marco
scuote la testa. –Già- borbotta lanciando
un’occhiataccia alla madre che sembra altrettanto dilettata.
-Signora-
s’inchina voluminoso Auditore di fronte alla dama, che
arrossisce di un pelo sulle bianche guance rugose.
-Il
vostro nome non eccelle nel diritto di chiamarmi in quel modo, suvvia,
Ezio. Piuttosto devo ringraziarvi della scossa che spero abbia smosso
in mio figlio qualcosa di umano!- ridacchia strizzando la guancia al
giovane Marco.
L’artista
si ritrae con uno scatto. –Madre, per favore!-.
Ezio
ride ormai senza sosta. –L’amore che serbate a
codesto giovincello lo vizia troppo. Ora ne è anche geloso-
dice.
Sul
viso di Marco s’allunga un’amara ombra.
–Ora ti ci metti anche tu?- blatera.
-A
cosa dobbiamo la vostra visita, carissimo?- domanda la dama.
–Prego, volete accomodarvi?- chiede indicando
l’interno della casa. La porta è già
aperta.
-Oh,
no, no, ma grazie. Ero di passaggio, ascoltavo le vostre chiacchiere
farsi vicine e ho solo gradito vedere il vostro sorriso, signora- fa
cordiale. La donna arrossisce di nuovo. –E credetemi se dico
che- porge avanti un braccio. –Che gradirei concludere
assieme a voi la vostra passeggiata, godendomi la vostra gradevole
compagnia che Marco, a quanto pare, sembra al mio posto non gradire-.
Monna
Luisa accetta il braccio e stringe il suo a quello del giova Ezio.
–Dicendo ciò viziate me, caro Ezio- mormora soave.
-Ehi,
Ezio- ridacchia Marco. –Mia madre no, capito?!- lo minaccia
ridendo.
-Taci
tu e corri dal Verrocchio che t’attende!- dice lui
incamminandosi con la parente di Marco sottobraccio.
Marco
resta fermo sulla strada alcuni istanti, fin quando ridendo e
scherzando come due comari, Ezio e sua madre non scompaiono dietro
l’angolo.
Ecco
Marco che scappa dentro casa e afferra la sua sacca con i pochi libri
di cui necessita a lezione, ed eccolo che corre per le strade di
Firenze come se avesse appena rubato dei gioielli a Caterina in
persona.
Raggiunta
la bottega, corse di sopra e si sistemò tra gli giovani
artisti che già adoperavano. Andrea di Cione, il gran Mastro
di bottega, si avvicina a lui e ferma la mano di Marco prima che
può posare pennello su tela. –‘Sta
fermo, tu, Massoli- dice.
Egli
ubbidisce. Posa i colori, i pennelli, s’alza dallo sgabello.
–Sì, Maestro-.
-Oggi
sarà Leonardo a concludere la tela. Da te mi aspetto gambe
veloci che vadano a comprare latte e formaggio. Fammi questo favore, o
il progetto mio equestre non sarà mai pronto per il Duca-
pronuncia severo e un po’ accigliato.
Crolla
la rigidezza delle spalle di Marco, che rammenta già le
parole della madre. –Come desiderate, maestro- porge una
mano, e il Verrocchio da lui dieci Fiorini.
Le
vie di Firenze si fanno più silenziose nell’ora di
pranzo, e la strada è calma, i piccioni sono accoccolati sui
tetti.
-Quel
ragazzo merita un po’ più di comprensione- dice
serio Ezio. –Marco getta anima e corpo nella pittura,
dovreste essere fiero dell’impegno che serba in
ciò che crede giusto- aggiunge.
La
dama anziana al suo fianco sospira. –Mio figlio crede male se
pensa che il suo brutto talento possano portarlo lontano solo se
continuerà a seguire lezioni dal Verrocchio. Andrea di Cione
è dotato davvero in pittura, così come molti dei
suoi discepoli, anzi, così come tutti. Ma ha sempre avuto
timore nel dire a mio figlio che tutt’altro serba nello
spirito a parte perseveranza, tecnica, costanza, anche… ma
questi aspetti, caro Ezio…- fa una piccola pausa, si
avvicinano a braccetto all’ingresso di casa.
–Questi sono aspetti che non contano, se a colmare il vuoto
del dono al disegno non v’è null’altro-.
-Lo
so bene- ridacchia il giovane sciogliendo il suo braccio da quello di
lei. –Ma serbate un po’ d’amore e
comprensione, come v’ho detto. Marco da voi non vorrebbe
altro- le sorride mentre lei apre la porta e muove un passo nel buio di
casa.
Si
volta la dama, e arride ad Auditore. –Vi ringrazio. Il
passeggio di oggi regalato dalla vostra compagnia ha alleviato le mie
sofferenze. Credo di aver fatto ingelosire, con la mia presenza al
vostro fianco, tutte le belle fanciulle che stamani sedevano sul bordo
della fontana in piazza- pronuncia vanitosa.
-Ed
io, altrettanto lieto di aver fatto ingelosire i compagni di vostro
marito- inclina la testa in segno di saluto e si allontana sulla strada.
-Ah,
Ezio!- chiama ancora la donna.
-Sì?-
si volta.
-‘Sta
sera son certa che Marco farà tardi! Sareste così
cordiale da assicurarvi che non torni ubriaco come l’ultima
volta?-.
Ezio
scoppia in una fragorosa risata. –Me ne occuperò
personalmente!- dice festoso.
L’ora
di pranzo trascorre spensierata per il giovane Auditore, che si
avventura allungo fuori di casa e lontano dalle sue solite conoscenze,
concedendosi di passeggiare solamente per le strade della sua
città; cullato dalla dolce brezza invernale, accompagnato al
silenzio che anima le vie di Firenze in quei tempi di giornata, quando
gente buona e cattiva si arrende ai bisogni umani e cede alla
tentazione di un buon piatto di pasta. Le botteghe restano aperte, ma
colma di tranquillità e mutismo che rasserena e lascia in
riposo una Capitale di repubblica straziata dalle fatiche di artisti,
poeti, musici, banchieri, notai e molto altro. Tra le mezzogiorno e le
quattro la città tace. Muti stanno gli uccelli, i bambini
che riposano nelle case e le piazze son vuote del loro canto gioioso.
Solo
poca gente “diversa” popola gli angoli dei muri, i
piedi delle colonne e lungo le mattonelle delle strade.
Sono
gli Artisti di Strada, uomini soprattutto gettati incontro alla vita
con nient’altro in mano se non il proprio arnese o strumento
e lì, liberamente, esprimono la loro arte.
Ezio
si avvicina ad un vecchio che strimpella un buffo e piccolo mandolino,
mentre al suo fianco siede un bambino con tre le dita le fragili canne
di un liuto di legno intarsiato e finemente decorato. Soffia con
grazia, sprigiona sottilissime note che si perdono leggiadre nelle
orecchie del giovane Auditore.
Il
vecchio alza gli occhi dallo spartito steso a terra e saluta con
riverenze il membro di nobile famiglia che s’è
fermato ad ascoltare la loro musica. Una musica dolce che accompagna il
silenzio di Firenze nelle poche ore che restano alle cinque, quando le
vie tornano a popolarsi.
Allunga
una mano alla tasca, Auditore, ed estrae da pantalone, sotto la
preziosissima veste, due Fiorini che getta nel buffo capello sistemato
al suolo, vicino ai piedi scalzi del ragazzo che suona.
Scompare
come non fosse mai venuto, si dilegua nell’ombra di un nuovo
vicolo, giunge sulle rive dell’Arno, costeggia il porto,
risale il vecchio ponte e traversa la via che è fatta di
antiche botteghe taciturne. Saluta con sorrisi e sguardi sereni uomini
e giovani che intenti nelle varie mansioni, s’occupano di
portar fede al loro operato. Su quella strada c’è
lui solo, che una volta giunto d’altro fianco del fiume,
cammina allungo sulla riva di questo con le mani strette dietro la
schiena.
Si
guarda attorno curioso come un bambino, ma serio e riverente come un
anziano che passeggia. Beandosi della serenità
d’un giorno vissuto finalmente diverso da tutti gli altri;
l’animo di nobile col naso in su sente sgretolarsi passo dopo
passo sulla via, ma torna a riemergere quando la gente che saluta
sembra riconoscerlo. Si sta beando di quel rispetto e quel timore che
il popolo di Firenze ha di lui, delle sue vesti, della sua famiglia.
Timore ovvio che non può essere paragonato a quello che il
Magnifico e la sua di Casata seminano per vie e tombini. La famiglia
Auditore è una delle tante che abita questa meraviglia di
mondo; un mondo cullato dall’arte e tutti i suoi
più materiali modi d’espressione.
Inspira
a pieni polmoni l’aria della sua casa, l’aria della
sua terra. È lieto, gioioso dinnanzi agli spettacoli di
naturalezza cittadina che sta vivendo, osservando con tanta
spensieratezza.
Si
leva nell’aria uno stormo di piccioni che va a posarsi sul
campanile d’una antica chiesetta. Spiccano le vette delle
maestose basiliche simbolo di una civiltà pittorica e
architettonica che ha fatto popolo da sé. Brillano di mille
colori le guglie, i pennacchi, le croci… ma anche le tegole
di nuove e vecchie case. Splende il sole, cantano gli artisti di strada.
Scoccate
le cinque e passa del pomeriggio, Firenze torna chiassosa, movimentata,
frenetica. Donne che girano con cestini colmi delle ultime spese,
bambini starnazzano come anatre e scappano di qua e di là.
Uno di questi inciampa poco davanti ad Ezio, che stava dirigendosi
sulla via del ritorno. Il piccolo gli cade davanti, ma si rialza subito
e, scoppiando in una fragorosa risata, ricomincia a correre come non
fosse accaduto nulla. Appare uno stormo di ragazzini sbraitanti che lo
inseguono, e quella svista fa sorridere Auditore che scuote la testa
riprendendo il cammino.
Sono
accese le fiaccole delle guardie e quelle per le strade. Brillano le
luci degl’interni bottega mentre adagio cala il sole.
Una
dozzina di passi più avanti, mentre il sole si fa arancio in
cielo e la giornata lavorativa reclama il suo riposo, Ezio sente una
voce alle sue spalle.
-Scusate,
messere- dice una donna.
Si
volta il nobile, che è costretto ad inclinare lo sguardo ben
più in basso rispetto alla linea dei suoi occhi scuri.
C’è
una giovanissima fanciulla, forse quindicenne che stringe per mano lo
stesso monello che poco prima inciampò sullo stivale di lui.
Entrambi i bambini vestono di stracci, un abbigliamento di poco conto e
molto comune, oltre che sobrio. Un nobile fa caso per natura a certi
dettagli.
Inarca
un sopracciglio, ed Ezio così domanda: -Scuse riferite a che
danno, ragazza?-.
La
graziosa piccola dama sgrana gli occhi. –Voi…-
mormora.
Ezio
si fa ancora più dubbioso, curioso più che altro.
–Ebbene?-.
-Perdonateci
entrambi!- balbetta lei ad un tratto. –Non v’avevo
riconosciuto! Siete Ezio, Ezio Auditore! Figlio di Giovanni!- esulta.
-Ci
conosciamo?- che domanda stupida si ritrova pensare. E’
insignificante il fatto che persino gente povera non conosca la fama di
una nobile famiglia di banchieri.
-No,
ovvio che no- ride lei colorandosi le guance.
–Comunque…- mormora intimorita. –Volevo
che mio fratello si scusasse con voi, per il modo in cui vi
è piombato davanti inciampandovi dinnanzi- dice seria.
–Avanti, Giulio, dillo!- spinge il fratello avanti.
Giulio
serra le ginocchia, china la testa e incurva le spalle.
–Scusatemi…- singhiozza.
Ezio
si abbassa ad osservare il viso tondo e massacrato
dall’imbarazzo del bambino. –Perché
siete così dura con vostro fratello? Perché
costringerlo a fare ciò che non è necessario.
Permettete di dirvi, ragazza, che non siete una buona sorella-
ridacchia.
-Oh,
bhé…- ora anche lei sembra intimorita.
–Nostro padre è molto severo per quanto riguarda
il rispetto che noi dobbiamo a quelli come voi, Ser Ezio…-.
Ezio
accarezza scherzosamente i capelli del bambino, e parecchia gente
attorno sembra confusa e sbigottita alla vista di quel gesto, tanto che
un falegname nelle vicinanze smette di segare uno spesso tronco e si
gira a guardare.
-Sta
facendo buio- dice Ezio. –Tu e tuo fratello dovreste
rientrare prima che vostra madre si metta in pensiero- arride severo,
scontento dell’attenzione stranita che ha attratto su di
sé.
-La
mamma è morta. Nostro padre è
quell’uomo- dice il bambino indicando il falegname.
La
sorella gli batte un colpo in testa. –Adesso basta, Giulio!
L’hai combinata grossa…- borbotta la ragazza
trascinando il fanciullo con sé verso la bottega.
Comparvero
le stelle: finiva il giorno e cominciava la notte, Ezio si diresse alla
bottega del Verrocchio e bussò alla porta. Venne ad aprigli
un giovane garzone con le mani ancora intinte di pittura e con un
pennello dietro l’orecchio. –Mastro Andrea
è impegnato sino a tardi, ‘sta sera. Posso
riferire?- domanda cordiale portando rispetto al nome e alle vesti che
egli porta.
-Veramente-
arride Ezio –son qui per salutare il mio amico Marco Massoli.
È ancora in bottega, il ragazzo? Avrei voluto seguir con lui
la via di casa, se ancor uscito non è- dice sereno.
-Massoli?
Conoscete Massoli?- si stupisce quello.
-Posso?-
chiede Ezio indicando le scale.
-Oh,
ma certo!- esulta. –Venite, Marco sta quasi per finire; tra
poco si sarà liberato- dice il garzone facendogli strada sui
gradini. –Prego, il mio maestro apprezzerà la
vostra visita-.
-Ribadisco
d’esser qui per Marco!- sbotta Ezio un po’
innervosito.
-Sìsì,
certo, certo… MAESTRO!- chiama urlando quello lì,
che non appena arrivano al secondo piano di bottega,
s’appresta a tornare al suo lavoro che dev’essere
concluso prima dell’indomani. C’è luce
di candela il tutto lo studio. Tele incomplete messe a riposo sotto
tessuti di cotone, colori abbandonati a seccarsi su tavolozze e il
silenzio d’una bottega in chiusura.
Dalla
chiocciola che porta al terzo piano vien giù il vecchio
Andrea di Cione. –Ezio, Ezio Auditore! Il vostro viso che si
volta e rivolta verso le mie tele, e le vostre suole che calpestano le
tegole della mai dimora venerano questo luogo!- esulta. –A
cosa devo la visita?-.
-Un
mio amico, Marco Massoli. So che è qui e che studia da voi;
Monna Luisa, sua madre, mi ha chiesto di assicurarmi che non si
trattenga fino all’orario di festeggiamento- arride.
-Venero
quella donna, ed è un bene che abbia insistito
perché qualcuno legasse le mani a suo figlio!- si fa beffe
il Verrocchio. –Ve lo vado a chiamare; attendete pure come
casa vostra questa fosse-.
Mastro
Andrea sparisce nel buio, dove il lume di candele non arriva e dove
comincia uno stretto corridoio.
Ezio
attende lì, in piedi nel centro d’una bella stanza
che ha buoni profumi. Fuori dalle finestre brilla un cielo magnifico e
stellato, pensa osservando la luna.
È
buio in una piccola saletta adiacente, dove Ezio allunga lo sguardo e
coglie un uomo seduto su uno sgabello. C’è un
cavalletto e una tela davanti allo strano giovane, che un viso un
po’ allungato e piccoli occhi attenti e curiosi ha preservato
nonostante l’età. La sua mano danza lenta assieme
al pennello che scivola nel buio con grazia e maestria. D’un
tratto l’attenzione del nobile Auditore cade sul disegno che
tanto sta tenendo allungo impegnato quest’uomo. Si avvicina
un poco, entra nella stanza, s’accomoda al fianco
dell’artista.
C’è
un ghigno malsano stampato sul volto di costui, di questo garzone
concentrato nell’opera che ridefinisce e accenta ogni qual
volta il suo tocco mancino va a posarsi sul foglio.
-Messere,
perché vi ostinate ad adoperarvi senza luce?- domanda
curioso Auditore. –Sarebbe bene che tornaste
all’opera vostra di buon mattino-.
L’uomo,
senza distogliere favori al suo lavoro, risponde infastidito: -E voi,
di grazia, perché date consiglio d’arte ad un
garzone che vien scuoiato vivo se domani di buon mattino non
consegna?-.
-Credetemi-
ridacchia il ragazzo. –Se pensate che l’indomani
mattina qualcuno venga a darvi noia per ricevere quella porcheria, vi
sbagliate!- trattiene il grosso della risata.
Il
mancino solleva il mento dal petto, raddrizza la schiena e la sua
postura un po’ gobba. –Porcheria dite?- ringhia.
-Vediamo-
dice curioso avvicinandosi. –Di che si tratta?-.
-Non
è affar vostro. Ora tornate nella banca dalla quale venite-
erompe.
-Solo
un’occhiatina, ve ne prego!- ride. –Stando qui in
balia della notte che avanza, la vostra opera sembra tanto importante
da attirare l’attenzione d’un banchiere.
Così, se il vostro acquirente rifiuta, potrei sempre farvi
il favore di prendere merito della vostra arte al suo posto-.
-Non
prendete in giro voi stesso- sbotta.
-Secondo
voi perché un banchiere dovrebbe recarsi in una bottega di
sfavillanti artisti se le sue intenzioni non sono di comprare quadri?-
mormora Ezio giocoso.
-Non
vi sono donne a lavorare in questa bottega, Ser Auditore- ridacchia il
mancino.
Sulle
labbra del giovane s’allunga un sorriso felice.
–Come sapete il mio nome?-.
-Mastro
Verrocchio annuncia la clientela con troppa voce, a parer mio. Marco
Massoli, credetemi, non farà la sua comparsa di fronte a voi
fin quando non acquisterete qualcosa- pronuncia serio.
-Il
vostro nome, di grazia-.
-Leonardo.
Leonardo da Vinci. Figlio del notaio Accattabriga da Vinci*-
sorride, e il volto della Madonna è ormai quasi completo.
-Un
campagnolo a Firenze?- si stupisce. –Da quanto dipingete in
questa bottega, messere?- chiede curioso.
-Forse
da troppo- borbotta scontroso.
-La
dote l’avete- commenta.
-Non
siate ripetitivo, e ditemi che vi cattura nella mia arte.
Commissionatemi un quadro per la vostra bella reggia, e per domani
potrei già essere a lavoro- si vanta con serierà.
D’un
tratto il nobile Auditore scorge con occhio acutissimo un buffo disegno
che appare su un taccuino posato sul tavolo accanto. È uno
schizzo in penna, si nota bene, ma incuriosisce, così dice:
-M’attrae
il disegno lì- pronuncia Ezio indicando il blocco che sta
sul tavolo. –Quello schizzo lì, di grazia-
sorride.
-Questo?-
domanda scettico il garzone mostrando lo schizzo.
-Esattamente.
È vostro? Che cos’è?-.
-Nulla.
Per ora-.
-Sembra
un uccello-.
-Lo
è-.
Ezio
aggrotta la fronte. -Avete detto che non era nulla- borbotta confuso.
-Non
porta ancora alcun nome, quindi non è nulla. Ma
l’ho rubato ad un uccello, quindi è un uccello-.
-Siete
strano, sapete-.
-Di
solito quelli che dicono ciò non comprano i miei dipinti-.
-Ezio,
Ezio!- chiama Marco Massoli entrando in stanzino.
–Ah…- si stupisce il ragazzo. –Leonardo,
buona sera- saluta.
-‘Sera
anche a te, Marco. Voi due vi conoscete?- chiede il Vinci.
-Son
qui per lui- dice Ezio avvicinandosi al compagno. –Monna
Luisa mi affidò il compito di tenere il suo giovincello
lontano dalle vostre serate tra garzoni- sorride.
-EH?!-
fa Massoli sconcertato.
-Allora
è tempo di salutarci, Marco- ridacchia Leonardo alzandosi.
–A domani- aggiunge.
-È
stato un piacere, Leonardo- Ezio china un poco la testa.
Il
Da Vinci s’inchina con tutto il busto -Il piacere
è mio, Auditore-.
-Leonardo
Da Vinci è il favorito del Verrocchio- borbotta Marco mentre
camminano in strada.
Ezio
tace spensierato, il suo sguardo si perde tra le stelle e la luna in
cielo. Il vento smuove alcuni lembi della sua preziosissima veste.
–Come mai?- domanda in ritardo Auditore.
-Non
venirlo a chiedere a me!- erompe Massoli. –Quel tipo
è così strano, i suoi disegni sono
così strani, quando parla diventa ancora più
strano! Ho sempre provato disinteresse e diffidenza nei suoi riguardi,
perché pare che il suo comportamento e la sua poca coerenza,
siano ben note sia in bottega che fuori. Questo frutta poco al
Verrocchio, Leonardo è più peso di me,
quasi…-.
-Dici
sul serio?- fa curioso.
Sconsolato,
Massoli si stringe nelle spalle. –Sì,
insomma… da quando è arrivato, qualche anno fa,
non ha fatto altro che annebbiare la vista del Verrocchio con la sua
“naturale bravura”. Poi ci si è messo
anche il fattore confidenza che sembrano averci quei due. Botticelli,
poi, non parliamo di come…-.
Si
odono delle voci in lontananza, alle loro spalle, che starnazzano nel
silenzio della notte come anatre. La via che stanno traversando
è desolata, così come tutta Firenze è
vuota del suo popolo e accesa delle sue luci, delle sue fiaccole, ma
viva di troppe poche guardie.
-Perché
ti sei fermato?- chiede Ezio stupito.
-Luigi-
pronuncia Massoli flebile come un sussurro del vento che prende ad
alzarsi.
-Chi?!-
domanda scettico Auditore.
-Luigi Frazzò*!-
pronuncia delirante Marco sgranando gli occhi. –Come puoi non
ricordarti di Luigi Frazzò, Ezio?!- sbotta fermandosi.
Auditore
di volta lentamente, e vede le ombre di quattro baldi della famiglia
Frazzò che si avvicinano alle loro. Sono distratti, non si
accorgono subito dei due fermi come statue in mezzo alla via, ma non
appena Luigi Frazzò, il nobile figlio di notaio si aggiusta
un po’ la vista, tutt’attorno si forma come un
cerchio dei suoi cugini e altri parenti.
-Ezio…-
scandisce bene Frazzò. –Ezio Auditore!- aggiunge.
–Sono estasiato. E guarda un po’ chi
c’è qui- fa malvagio guardando il giovane Marco,
che trema come una foglia. –Massoli, mi ricordo di te! E di
come all’accademia scarabocchiavi quelle brutte facce di
angeli che sai fare solo tu!-.
-Adesso
basta- erompe Auditore parandosi tra l’amico e il nemico.
-Oh,
questa non può essere una coincidenza, non il caso, Ser
Ezio!- esulta Luigi. –Dio ci ha fatti incontrare, per saldare
un nostro vecchio conto… rammentate?-.
-Non
ti conviene farti nemici gli Auditore!- pronuncia fiero Massoli.
–Non ne uscirai vivo!-.
-Zitto!-
Ezio lo spinge indietro, e Marco finisce col sedere a terra e schiena
contro il muro.
-Dimmi
un po’- Luigi gli cammina attorno. –Sei sempre il
solito che sa prendersele facili le donne degli altri, Auditore?-
domanda malvagio e irritante Frazzò.
-Cosa
vuoi?- chiede Ezio di rimando.
-Mi
si presenta l’occasione- ride Frazzò.
–Cosa vorrei fare, secondo te?- gioisce assieme ai suoi
cugini.
C’è
il nobile e giovane Fabio Del Ponte alla sua sinistra. Ghigna selvaggio
e stringe i pugni. Un altro membro dell’onorevole accademia
è Gregorio Sassi, sulla destra, col fratello minore Sergio.
Il più ricco di Fiorini di cui sembra brillare ogni
centimetro del tessuto di cui sono i suoi calzoni è solo
Luigi, assieme all’amico di famiglia Frazzò
Aurelio Rossi.
Son
tutti vecchi volti che a vederli, Ezio ricorda quanti dei suoi
più naturali giorni trascorsi sui libri di una prestigiosa
accademia di Firenze. La giovane gente che ora lo ricirconda gronda di
rabbia, e il fatto risale a pochi anni addietro, Ezio lo sa. Gli sfugge
un sorriso al ricordo della bella Giulia
Monti*.
-M’era
stata promessa in sposa, Ezio. S’annunciava il matrimonio in
aprile!- ringhia Luigi. –Mio padre lo voleva, mia madre lo
voleva, mio fratello, i miei cugini, i miei amici lo volevano! Ma tu,
l’unica cosa che volevi, era portartela a letto prima che il
Sacro vincolo la legasse a me!- serra la mascella, è
furente.
-Penso
ancora che non ti meriti, Luigi- ridacchia Ezio.
-Fate
meno lo spiritoso- erompe Aurelio.
Ezio
lo ignora. –Che cosa, dunque, intendete risolvere in mia
presenza ‘sta magnifica sera?- allargò le braccia
tranquillo.
-Me
l’hai portata via, cane! Quel giorno, quando tornò
da me e mi disse d’essersi concessa ad un altro, capii subito
di chi stesse vaneggiando!- ruggisce Frazzò.
–Poteva essere felice con me, voleva esserlo! Ma tu, e il
vano amoreggiare che le hai regalato per solo una notte, ha distrutto
il suo animo e annientato la sua dolcezza!- è quasi in
lacrime. –Ora puoi ben immaginare che lavoro per le buie
strade di questa città stia facendo…-.
-Hmm…
di grazia, dove con precisione?- chiede interessato il nobile Auditore.
Si
gonfiano di rabbia gli zigomi di Luigi al suo di tali parole.
-Facciamola
finita!- strilla ad un tratto Gregorio. –Abbiamo
dell’altro di cui occuparci. Frazzò, caro Luigi,
avete buone o cattive intenzioni per ‘sta sera?- domanda
nervoso.
Luigi
ghigna malvagio. –Cattive- pronuncia estraendo lo spadino dal
fodero regale che trascina sul fianco. –Dopo ‘sta
notte, nessuno saprà chi è venuto di
qua…- ridacchia e la sua ombra s’avvicina
minacciosa a quella d’Ezio, che sta curvo ed indietreggia.
S’affianca
a lui Marco: il Massoli è terrorizzato. –Cristo,
c’ammazzano ‘sti pazzi, Ezio!- balbetta.
Anche
cugini e amici di Frazzò estraggono armi di piccolo taglio.
S’avvicinano come cani che sbavano sulla preda.
-E
ora?!- Massoli trema tutto.
-‘Sta
calmo, sto a pensare…- mormora Auditore.
-Pensa,
pensa! Intanto questi ci scuoiano vivi!- indietreggiano ancora, ma
c’è una parete e si stringono le spalle di Marco
contro di essa, mentre Ezio sta avanti e fronteggia il nemico a mani
nude.
-Vostro
padre non v’ha dato un’arma per difendervi, Ser
Ezio? Perché non sono sorpreso?- si prende gioco
Frazzò, e con lui ride anche il fedelissimo Rossi.
Il
primo che vuol dolore ad Ezio col suo spadino è Sergio il
giovane de’Sassi. Porta l’arma a nord, tenta un
colpo, Ezio fugge dalla lama e serra la sua sopra la mano del ragazzo.
Stringe la presa, gli torce il braccio dietro la schiena e mentre Sassi
geme di dolore, la sua arma cozza a terra scivolando dalle sue dita. In
fine uditore lo spinge via, e il giovane Sergio si schianta alla parete
opposta del vicolo.
Ora
lo spadino l’ha stretto Auditore, che si stupisce lui stesso
di tanta agilità e prontezza dinnanzi al pericolo. Avanza un
nuovo nemici, ‘sta volta è Luigi Frazzò
che tenta di pungerlo con la lama, che fa scintille con quella
d’Ezio. Si odono pochi schianti e si fanno pochi gesti, che
Luigi scivola a terra ed Auditore così dicendo, lo minaccia
alla gola dall’alto.
-Continuo
a pensare che Giulia non vi meritasse affatto- dice serio.
-Ezio,
attento!- grida Massoli.
Lo
attaccano alle spalle: sono Gregorio ed Aurelio. Il secondo apre un
taglio sulla manica della sua camicia, che si macchia in quel punto di
sangue. L’affondo del primo va a vuoto, e Auditore alza un
pugno sul muso di quello, che indietreggia e finisce per terra.
Luigi
s’alza in piedi e scappa via coi suoi cugini. –Un
giorno la pagherai, Auditore! La pagherai cara! E anche se non
sarà mia la mano che colpirà la tua faccia,
sarò io ad aver pregato perché qualcun altro lo
facesse!- grida correndo. –Rimpiangerai di non essere morto
‘sta sera!- aggiunge ormai lontanissimo.
Ezio
getta l’arma a terra, si volta e aiuta Massoli a rialzarsi.
–Andiamo- pronuncia composto mentre s’incammina, e
l’amico lo segue come la sua orma.
-V’ha
ferito, quel bastardo!- digrigna Marco.
Ezio
si guarda il taglio sul braccio, dove il tessuto della bianca camicia
ha ceduto per largo. –Non è nulla- fa una smorfia,
mentre preme la mano sulla ferita e le dita si bagnano nel suo sangue.
-Marco!-.
Una
ragazza si getta ad abbracciare il giovane Massoli. L’uscio
di casa non è manco del tutto aperto che Lucia, la sorella
minore di Marco, è in lacrime di gioia sulla spalla del
fratello.
-Eravamo
in pensiero la mamma ed io! Dove sei stato? E’ tardissimo!-
piange e piange.
-Eh…-
sospira lui. –Adesso ti racconto, ma facci entrare in casa,
per piacere- dice.
La
ragazza si fa da parte e indica loro la strada. Massoli ed Auditore si
avviano nel soggiorno e trovano Monna Luisa a fare
d’uncinetto su una vecchia sedia a dondolo. Il lume
d’una candela rischiara il salotto e l’atrio di
casa.
-Che
monelli tutti e due- ridacchia la vecchia senza degnargli di uno
sguardo. –Dov’eravate, sentiamo- domanda allegra ma
pungente.
-Abbiamo
incontrato Frazzò sulla via, madre- dice ansante Massoli.
–Vi ricordate di Luigi e Aurelio Rossi?- chiede avvicinandosi
alla donna.
-Il
ragazzo che menava tutti all’accademia e si faceva tanto il
gradasso?- ridacchia la Luisa. –Certo che mi ricordo. Cosa ci
fa a Firenze? Ero sicura che suo padre si fosse andato a Milano da
anni!- sbotta.
-Adesso
non c’è tempo- aggiunge però Massoli il
figlio, e con una mano indica l’amico nobile rimasto
sull’ingresso del soggiorno.
-Ezio-
chiama la donna alzandosi. –V’hanno ferito?- chiede
preoccupata andandogli incontro.
-Non
è nulla di grave, davvero- insiste lui.
-Lucia!-
strilla la donna.
La
figlia minore della famiglia Massoli compare dalle spalle di Ezio, che
si volta stupito della sua improvvisa presenza.
Lei
muove due passi avanti. –Sì, madre?- fa
disponibile chinando il capo.
-Porta
Ser Auditore di sopra e medicagli la ferita. Si sa poco degli stiletti
avvelenati di ‘sti tempi! Marco!- grida ancora.
Il
ragazzo sbuffa. –Cosa volete da me?- erompe.
-Guai
a te se vengo a sapere che ti trattieni così allungo a
bottega! Se quel Luigi Frazzò selvaggia per le strade,
non…- e la ramanzina proseguì oltre, ma Ezio e
Lucia si allontanarono dal salotto.
Auditore
seguì la ragazza su per le scale sino ad una delle stanze
del piano superiore. Lei, tutta un colore in viso rosato e con indosso
un vestitino di tessuto grigio e porpora, gli fa gesto di accomodarsi
su una poltroncina accanto al camino tenuto basso che
c’è in camera.
Il
giovane Auditore si spoglia della parte superiore di vesti, lasciando
tutto ordinato sullo schienale della poltrona. Il taglio non
è molto profondo, e percorre per largo il muscolo del
braccio. Qualche goccia di sangue scivola sulla sua pelle arriva sino
all’interno gomito. Siede sulla poltrona e stende
l’arto in attesa della medicazione.
Nel
frattempo la ragazza si appresta a prendere dai cassetti di un mobile
il necessario: garza, delle forbici, alcuni impasti disinfettanti, ago
e filo.
-Non
penso…- si schiarisce la gola lui. –Non penso che
quello sia necessario- dice alludendo all’ago.
-Oh,
come volete…- mormora lei richiudendo il cassetto. Quando si
volta lentamente, lo sguardo timido e sfuggente va a posarsi quasi per
sbaglio sul corpo mezzo nudo del giovane, e le sue guance si colorano
d’una tonalità più pastosa di rosa.
-Allora?-
la esorta lui.
La
ragazza scatta subito a lavoro, afferra uno sgabello e siede al fianco
della poltrona, così da avere il braccio e il taglio del
ragazzo proprio davanti agli occhi. Sono lenti e strazianti i minuti
che trascorre nel medicare quel piccolo taglio di poco conto. Quando ha
terminato di ripulire la ferita, Lucia si appresta a passare la garza
tutt’attorno al braccio, tagliando e stringendo in un nodo
delicato ma resistente le ultime estremità di questa.
-Ecco
fatto- mormora senza neppure il coraggio di guardare negli occhi il suo
paziente, che invece non ha fatto altro che ammirarla durante tutto
quel tempo.
Ezio
allunga la mano del braccio ferito sino al mento di lei, e glielo
solleva con dolcezza, così che i loro nasi potessero quasi
sfiorarsi, mentre sente il respiro silenzioso della ragazza infrangersi
sulle sue labbra.
D’un
tratto dei passi frettolosi si odono sul corridoio.
-Va’
a dormire, avanti!- grida Monna Luisa spronando il figlio con un
bastone.
-Madre,
per piacere! Posate quel… coso!- strilla Marco sfuggendo
alla donna che lo insegue per tutta casa. In fine Marco andò
a rifugiarsi nella sua stanza e si sentì una porta sbattere.
Dopodiché Monna Luisa entrò nella stanza di Lucia
ed Ezio, sorprendendoli vicini.
La
donna non cambiò atteggiamento, continuando a tenere
ferramente il bastone in pugno col quale si accompagnava spesso sulle
scale.
A
differenza, la figlia Massoli si alzò in piedi di colpo e
chinò subito la testa. Ezio stette allungo seduto sulla
poltrona, almeno fin quando la donna non disse:
-Per
la vostra incolumità, Ser Ezio, sarei lieta di ospitarvi
nella mia dimora sino all’alba. Siete libero di accettare o
rifiutare come meglio credete, ovviamente- arride la dama.
-Accetto-
si appresta a dire Auditore, e il suo sguardo cade su di Lucia, che in
disparte nel centro de pavimento, si stringe nelle spalle.
-Perfetto.
Domani verrò personalmente a testimoniare a vostro padre le
gesta del Frazzò di questa sera- china la testa in cenno di
saluto. –Buona notte.- Se ne va nel corridoio tutta sorrisi
con chissà quali intenzioni, e sparisce nella sua stanza
così come ha fatto Marco.
Lucia
si appresta a raccogliere le fiale coi medicinali, il rotolo di garza e
le forbici da terra. Ripone tutto nel cassetto del mobile e sta per
lasciare la camera, ma Auditore la precede e, parandosi di fronte a
lei, richiude lentamente la porta.
Lucia
sgrana gli occhi sorpresa e indietreggia trovandosi troppo vicina al
suo ospite. –Cosa…- mormora flebile, e nella sua
voce si nota un accento di timore.
-Perché
tanta fretta?- sussurra Ezio soave stanziandosi dall’ingresso
e andandole incontro. –Avete forse un altro uomo ferito di
cui occuparvi?- ride malizioso.
Lucia
muove altri due passi indietro, ma ora le sue gambe toccano il
materasso del letto e rischia quasi di sbilanciarsi
all’indietro. –No, almeno spero…-
sorride per niente convinta.
Un
braccio dell’ospite le circonda la vita, e la ragazza si
ritrova del tutto addossata al suo petto, e, senza sapere dove mettere
le mani e cosa farne, resta immobile.
-Quanti
anni avete detto di avere?- mormora Ezio avvicinando le labbra al suo
collo, tenendole di poco distanti dalla sua bianchissima pelle. Inspira
il suo profumo e le accarezza la schiena con lentezza, ma
già due delle sue dita armeggiano con i lacci del corpetto.
Lucia
solleva il mento e schiude le labbra; un brivido la percorre
la spina dorsale e all’orecchio di lui sussurra:
-21…-.
Gli
occhi del giovane Ezio mandano un bagliore anomalo, e il suo viso si
distende in una smorfia di apprezzamento. –Perfetto- sibila
con estrema malizia, e con un solo rapido gesto, la parte superiore
dell’indumento di lei scivola lungo i suoi fianchi e cade a
terra, sul pavimento, seguita dal resto della gonna che si affloscia
pesante attorno alle caviglie della ragazza. Lucia resta immobile
allungo, in balia delle carezze bollenti che il nobile lascia su di lei
e con indosso della leggera e candida biancheria che sa ancora di
pulito e appena lavato.
Auditore
l’accompagna dolcemente stesa sul letto baciandole il collo e
le spalle, godendosi la morbidezza della sua carne tra i denti che le
lasciano piccoli segni sulla candida pelle. Lei inarca la schiena e
preme il bacino contro quello di lui, potendo sentire tutte le sue
parti divenute desiderose d’altro, di più. Con
lentezza accarezza i muscoli del suo petto e scende verso il basso; gli
slaccia i pantaloni nel mentre lui le solleva i lembi della canottiera
e lambisce la pelle del ventre. Le carezza il fianco con una mano,
riscende sino alla coscia e l’afferra sotto il ginocchio,
sollevandole la gamba. Arriva a baciarle il viso, le guance, gli occhi
socchiusi dal piacere e finalmente le labbra, sulle quali il giovane
nobile s’avventa con foga.
Al
mattino si ode il canto degli uccellini sul balcone. La luce filtra a
righe dalle serrande e opaca dalle tende, arrivando poca nella stanza.
Ezio è sotto le coperte attorcigliate attorno al suo corpo
nudo steso in obliquo sul materasso; il volto premuto sul cuscino, una
mano va ad accarezzare il vuoto al suo fianco e sente ancora calde le
lenzuola. Col solito sorriso pieno di sottintesi sulle labbra, anche
quando è già sveglio, non si accorge della porta
che s’apre con silenzio e della donna che entra.
È
Lucia: zitta zitta cammina verso le finestre, spalanca le tende e le
persiane. Lui la fissa in silenzio, di nascosto ammira il corpo che di
quella sera è stato suo. Entra tanta di quella luce che Ezio
è costretto a socchiudere gli occhi, ma molto probabile che
la ragazza non si è accorta che è sveglio,
perché esce dalla stanza così come è
entrata.
Sta
fermo ancora per poco Auditore, il tempo di udire i passi della donna
allontanarsi nel corridoio e poi giù dalle scale. Poi
solleva la testa e si guarda attorno. Si accorge che i suoi vestiti
sono ripiegati e ben ordinati sulla poltrona accanto al camino ormai
spento; si alza e arriva nudo ad indossare i suoi abiti.
Si
avvia fuori dalla stanza e scende in soggiorno, trova ad attenderlo
solo Monna Luisa con la figlia, ed entrambe sono molto indaffarate in
cucina. Preparano già il pranzo, nota Ezio salutando la
padrona di casa con un gesto del capo.
Quando
Lucia lo vede, le scappa di mano un piatto che sta lavando, e questo va
in frantumi a terra in tanti pezzi di bianca porcellana.
-Lucia,
che cos’hai stamani?- domanda seria la madre occupandosi
delle verdure da tagliare.
La
ragazza si china a raccogliere i frammenti più grossi e li
getta in un cesto. –Perdonatemi madre- mormora solamente con
un filo di voce. Afferra una scopa e comincia a spazzare
-Dunque-
interviene la donna posando il coltello accanto al tagliere abbondante
di verdure. –Attendevo il vostro risveglio, Ser.
Perciò ora possiamo avviarci- dice allegra.
–Lucia, prepara il pranzo a tuo fratello che di poco fa
ritorno!- annuncia prendendo il suo soprabito e avviandosi fuori di
casa.
Ezio
saluto la giovane fanciulla con un ultimo luminoso sorriso, poi segue
l’anziana dama camminandole affianco lungo la strada.
-Suppongo
che Marco sia in bottega- fa lui ad un tratto.
-Ovviamente.
Ma gli ho esplicitamente lasciato detto di far ritorno per
l’una. I guai che passa quel moccioso non sono mai
abbastanza. Fa quasi ventisette anni di qui a ‘sta parte e
ancora giocherella come un bimbo co’ pennelli colori! Ma
dico, non si vergogna?-.
-A
quanto pare no- ridacchia Auditore.
-Ma
suvvia, ridete proprio voi che avete ben altri modi di divertirvi- fa
pensosa e arcigna.
Spiazzato
da quelle parole, Auditore resta indietro rallentando il passo. La
donna ha tanto l’aria di chi la sa lunga.
Glossario
*Mastro
Andrea: Andrea
di Francesco di Cione, detto “Il Verrocchio”.
(Firenze 1437 – Venezia 1488) Scultore, pittore ed orafo
italiano. Fu Maestro di Leonardo da Vinci ed altri
all’interno della sua bottega a Firenze. Ho letto e ripreso
questo personaggio da una biografia sul Da Vinci che sto leggendo.
È realmente esistito e in quegl’anni di cui narro
si stava occupando di una statua equestre in bronzo.
*Marco
Massoli: Questo
è un personaggio di mia invenzione. Un caro amico di Ezio
Auditore creato da me e cooprotagonista delle sventure che capitano ad
Ezio in questa vicenda. Sua sorella e sua madre, così come
suo padre, sono cari amici della famiglia Auditore. Amici inventati da
moi!
*Accattabriga
da Vinci:
Ser Piero da Vinci. (1427 - 1504) Notaio, padre di Leonardo.
*Luigi
Frazzò: Altro
personaggio nato dalla mia mente malata, così come i suoi
cugini e amici compagni di scorribande. Lui ed Ezio si sono conosciuti
in “accademia” in quegl’anni giovani.
L’idea che Auditore avesse frequentato un circolo di studiosi
mi è sembrata possibile, perciò sembra che questo
nobile abbia anche il diploma!
*Giulia
Monti: Medesimo
personaggio scaturito dalla mia fantasia. Mi spiace solo che si sia
ridotta a fare la prostituta. Vi è la battuta di Ezio che
domanda esattamente dove trovarla durante i suoi giri notturni.
Chissà per quali subdoli scopi di corruzione
userà la giovincella che sembra essere stata un tempo una
sua vecchia fiamma!
Chiariti
nomi e cognomi, veniamo all’annuncio della mia prima ff su AC
II! Non ho saputo resistere, mi dispiace! Le idee erano troppe, e ne ho
ancora a valanghe per altre one-shot! Certo l’attenzione del
lettore cade su due fattori in questa micro storia:
l’ipotetico primo incontro con Leonardo Da Vinci, e la serata
hot con la sorella di Marco Massoli! XD Eh vabbé, dovevo
tenere in qualche modo alto il numero d’ascoltatori, no? Il
risultato di queste due complesse vicende, escluse a tutti questi
dannatissimi spoiler che spoiler non sono perché nasce tutto
dalla mia fantasia, spero sia stato di vostro gradimento! ^-^
A
prestissimo, che ora mi metto all’opera per completare alcuni
vecchi lavoretti!
Grazie
a tutti in anticipo!
Elik.
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