Coraline

di Persefone26998
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Pasticcini, un avviso veloce: questa storia, a differenza di Letters in cui c’è una lettura a più strati, è esplicitamente Kaeluc (o Luckae, come la volete chiamare la chiamate); il che non significa che ci siano scene esplicite tra di loro, perché io non scrivo smut e questa è una storia profondamente introspettiva, ma significa che si parlerà di amore tra i due.
Non vi piace la coppia? Chiudete in tranquillità, voi non sprecherete tempo con qualcosa che odiate ma lo rivolgerete a qualcosa che amate, io non passerò il tempo a bloccare gente; è scritto in modo cristallino ovunque sul mio account che io NON tollero le ship wars, possiamo discutere della forma e della struttura dei testi, ma dei gusti personali non si discute, sono tassativa su questa cosa.
Dedichiamo il nostro tempo a stare bene, non a odiare.
 
Se senti campane cantare
Vedrai Coraline che piange
Che prende il dolore degli altri
E poi lo porta dentro lei
 
Kaeya ha nove anni, o almeno questo è ciò che dicono le sorelle della chiesa di Mondstadt, quando festeggia il suo primo compleanno in quella terra straniera; ma Kaeya non ricorda la sua vera età, il tempo sembra scorrere così diversamente da quando suo padre è sparito sotto la pioggia, quasi non fosse reale. Anche il giorno del suo compleanno piove e l’acqua picchietta sulle mattonelle della piazza con forza, ha quasi paura che ad un certo punto si riempirà così tanto che finirà ad inghiottirlo come un grande drago; è un pensiero che ha dell’assurdo, ma per un bambino di nove anni dal sangue maledetto come il suo, quella città non sembra altro che un mostro in attesa, sempre sul punto di sbranarlo.

Forse è che la pioggia al piccolo Kaeya non piacerà neanche quando diventerà adulto, la odierà ferocemente perché tutte le cose brutte nascono dalla pioggia come se Celestia si facesse beffe del suo destino attraverso il cielo in lacrime, ma questo il piccolo Kaeya ancora non lo sa e per ora la pioggia ha l’odore solo del suo papà; forse sono gli occhi di Barbatos che lo guardano dall’alto di quella statua con un sorriso sinistro, tendendo le mani per strapparlo dalle braccia di Diluc che è con lui sotto il portico in quel momento e che è l’unica cosa che lo spera dal congelare, il suo abbraccio ha lo stesso calore dei suoi capelli rossi mentre gli racconta la favola degli uccelli a cui il vento ha insegnato a volare.

Si erano allontanati da Adelinde solo per pochi minuti, scorgendo la chioma di Master Crepus mentre era intento a parlare con la mamma di Jean; era uscito quella mattina in gran segreto e avevano stremato la povera Adelinde per accompagnarla al mercato pur di investigare, come due prodi cavalieri intenti a scoprire i misfatti di un criminale. La pioggia li aveva colti in flagrante mentre lo seguivano fino alla chiesa, ma non avevano fatto in tempo a raggiungere neanche lo scalone prima di ritrovarsi zuppi fin dentro le scarpe ed essere costretti a cercare riparo sotto il porticato.

E il piccolo Kaeya non aveva avuto il coraggio di dire a Diluc che non era il freddo a farlo tremare, ma gli occhi della statua che lo fissavano come se volessero portarlo via di lì, dove uno scherzo di Khaenri’ah non aveva il diritto di esistere; e anche se la voce del suo piccolo amico era incantatoria mentre raccontava quella favola e i suoi abbracci caldi come una coperta profumata davanti al camino, più il tempo scorreva in quel circolo inesorabile che è Mondstadt, più la pioggia odorava del suo papà e più la statua di Barbatos sembrava dirgli che eresia fosse per un essere come lui osservalo dal basso.

- Kaeya, perché piangi? Vedrai che papà ci troverà appena uscirà

- Barbatos non vuole che io stia qui

- Ma che dici?

Gli occhi rossi dell’altro sembrano due rubini quando si spostano ad osservare la figura dell’Archon, le sopracciglia aggrottate dalla preoccupazione, come se non riuscisse a trovare un senso al perché qualcuno potrebbe non volerlo in quella nazione, come se non trovasse una ragione all’odio nei confronti di quel piccolo bruco tremante; il piccolo Kaeya si sente stringere più forte e pensa che la voce di Diluc quando gli parla sembra proprio quella di un adulto mentre le campane cantano il rintocco delle ore.

- Barbatos ama tutti Kaeya... e anche se non ti vuole, ti vogliamo io e papà e Adelinde e tutti, noi siamo una famiglia

Crepus li trova così poco dopo, con Kaeya che piange ancora più forte e si stringe a Diluc e il rosso che spergiura che ci sarà sempre un posto per lui in quella terra, non ha il coraggio di rimproverarli perché hanno fatto preoccupare Adelinde; li abbraccia soltanto e tornano a casa, dove il piccolo Kaeya non sa che c’è una festa a sorpresa tutta per lui.

***
Però lei sa la verità
Non è per tutti andare avanti
Con il cuore che è diviso in due metà
È freddo già
È una bambina però sente
Come un peso e prima o poi si spezzerà
 
Questa volta Kaeya di anni ne hai quattordici, ma il giorno del tuo compleanno piove sempre come se il cielo minacciasse di caderti sopra la testa da un momento all’altro e ti stai preparando per la tua festa di compleanno; non che avessi molta voglia di festeggiarlo ma se c’è una sola cosa al mondo che vuoi ancora di meno è deludere Diluc, vedere la luce dei suoi occhi spegnersi dopo tutto l’impegno che aveva riversato nel preparare quella festa a sorpresa che aveva smesso di essere a sorpresa fin troppo presto, perché delle tante cose in cui Diluc è eccezionale tenere i segreti con te non è una di queste.

Kaeya invece è un’artista nel fabbricare inganni, un maestro della menzogna, il re delle verità taciute e mai come quel giorno il peso di due mondi sembra piantartisi sulle spalle intrecciato nel nodo della cravatta grigiastra che scomponi tra le dita; se c’è una pietà in quel mondo, pensi, non è guardandoti allo specchio che finirai a trovarla con entrambi gli occhi scoperti che nel loro colore sembrano spaccare la tua figura nel modo più concreto possibile. Si dice che nel cedere un occhio l’uomo possa acquisire la sapienza degli dei e tu non sapresti che occhio strapparti pur di trovare una risposta al bilico su cui cammini tentando di non ferirti.

Forse è che a creare legami con il nemico ci si scava la fossa della propria disfatta, ma pretendere di chiudere un cuore spaccato a metà è come chiedere che Celestia ricostruisca Khaenri’ah a mani nude. Ad amare qualcuno si deve sempre cedere un pezzo di se stessi, di questo ne sei sicuro, perché un mostro dannato come te non può uscirne intero nell’amare senza cedere brandelli della sua anima: ma Crepus ha l’odore della mela cotta e delle serate passate davanti al camino, ha il calore degli abbracci di un padre che non ha mai avuto e sa del pizzichio della sua barba ; Adelinde è la cannella e il profumo di una cucina fresca di pasticcini al burro, ha la gentilezza di una mamma nelle dita e nello sguardo; Jean sa del vento profumato di ginestra, della resilienza della menta fresca sulle pendici di Dragonspine, dove la terra è arida di gelo, e ha il colore del grano maturo nei capelli; i suoi compagni d’arme nei cavalieri di Favonious, la gente che popola la tenuta agricola di casa Ragnvindr, ogni abitante di Mondstadt ha un odore e un ricordo che si è silenziosamente preso un pezzo del tuo cuore.

E poi c’è Diluc, Diluc che ha rubato il pezzo più grande e lo tiene gelosamente tra la punta delle dita senza neanche saperlo, Diluc che odora di lampgrass e dell’uva del vigneto sul finire di novembre, Diluc che ha il clangore della sua claymore nei gesti e il rosso del fuoco vivo tra i capelli illuminati dal sole, Diluc che è il calore della vision che porta alla vita e brucia sulla tua pelle come se a stargli accanto finisse a consumarti senza volerlo; Diluc che è vicino al tuo cuore in un modo che le tue bugie ti si attorcigliano come serpenti attorno alla gola.

Ti chiedi spesso se tuo padre avesse potuto immaginare che dall’arido della vostra nazione potessero sbocciare dei fiori tanto delicati, perché cos’è l’amore se non un fiore e tu ami con tutto te stesso, con ogni centimetro e sei come un funambulo senza rete di salvataggio; e sai che non si può camminare per sempre sulla corda senza che questa si consumi fino a spezzarsi.

- Kaeya, ma si può sapere che stai facendo? Ti stiamo aspettando tutti! Esci, che con il tempo che ci metti a prepararti sarai impeccabile, su!

La voce di Diluc ti fa trasalire, dentro di te ringrazi di starti rigirando la benda tra le mani da minuti che sembrano ore, perché quando l’altro entra è già fissa sul tuo occhio come se l’abisso dei tuoi pensieri non ti avesse inghiottito fino a quel momento; il rosso dei suoi capelli ti colpisce gli occhi come il colore del sangue, sotto la benda il tuo passato sembra sparire in un attimo quando incroci il suo sguardo. E anche se non sai quando e come accadrà, anche se non sai se sarai tu a recidere la fune o se sarà lei a spezzarsi, sai che la caduta ti farà un male atroce.

- Arrivo

- Forza, non vorrai essere in ritardo per il tuo compleanno?

***
E ho detto a Coraline che può crescere
Prendere le sue cose e poi partire
Ma sente un mostro che la tiene in gabbia
Che le ricopre la strada di mine
 
È il giorno del tuo diciassettesimo compleanno quando Crepus ti chiama nel suo ufficio, un po’ pensi che c’è un’ironia crudele nel sopraggiungere della tua fine il giorno stesso che hai racimolato ogni brandello di coraggio per parlare con Diluc dei tuoi sentimenti; perché il tono in cui ti ha chiesto di raggiungerlo prima di pranzo era così criptico che per poco non hai sentito il vino risalirti lungo la gola. Non c’è nessuna ragione al mondo per cui Master Crepus ti abbia potuto convocare nelle sue stanze, se non il sordido segreto che hai scritto nel sangue, non trovi nessuna azione o nessuna parola che ti sia valsa una convocazione sussurrata a filo di labbra; e in parte lo sapevi che non bisogna mai fidarsi che la pioggia possa stare in silenzio, soprattutto quando picchia con così tanta forza il giorno del tuo compleanno.

Lo studio di Master Crepus è un luogo di quella casa che, a dispetto di quanto l’attuale situazione potrebbe far pensare, ti è sempre piaciuto particolarmente con il calore dei mobili e la geometria stravagante dei mattoncini del camino; da bambino eri convinto che quel camino fosse stato messo appositamente per inghiottirti, come la bocca della brace su cui si purificano i peccatori, ma non avresti saputo dirne esattamente la ragione.
Forse il fatto che fosse stato il primo luogo a scaldarti dopo quella notte di pioggia in cui tuo padre ti aveva abbandonato te l’aveva fatto immaginare più mostruoso di quanto non fosse, lì in quella terra lontana dove tutto il tuo passato sembrava restare a pendere dal soffitto in silenzio; era strano come fossi finito ad amarlo in quella frattura che era diventata la tua esistenza.

Crepus è come immagineresti Diluc da adulto, hanno gli stessi tratti, lo stesso sguardo, la stessa posa nel sedersi; sono così simili che delle volte ti dà sollievo e terrore insieme pensare che almeno potrai dire di aver avuto la possibilità di vedere una versione di Diluc avanti con gli anni quando non ci sarai più. Perché di poche cose sei certo come del fatto che non arriverai mai a vedere Diluc così, che non potrete mai invecchiare insieme, che a un certo punto della tua esistenza arriverà il momento in cui dovrai ritornare nella gabbia del tuo passato in silenzio; e forse che avvenga oggi, prima che tu possa dire all’altro di amarlo non è davvero un male.

- Kaeya vieni, siediti

Master Crepus ti era sembrato come quel camino un tempo, grande e grosso sul tuo corpo rachitico sotto la pioggia, pronto a sbranarti come un gigante corazzato; avevi avuto una paura folle la prima notte che ti aveva trovato sotto i grappoli gonfi, avevi visto il rosso dei suoi capelli come se fossero fiamme che ti avrebbero divorato al primo tocco e l’avevi colpito quando aveva provato ad avvicinarsi. E ti aveva fatto ancora più paura dopo, ti ricordi il dolore del tuo occhio sgranato quanto l’altro si era tenuto il naso e avevi pensato che tuo padre ti avesse lasciato a morire, in barba a qualsiasi speranza tu potessi rappresentare; e ti ricordi anche come Crepus non si fosse scomposto, ti ricordi i suoi occhi gentili mentre si era tolto il mantello per poggiartelo sopra la testa, ti ricordi com’era rimasto sotto l’acqua a prendersi la rabbia degli dei finché non eri stato tu a scivolargli tra le braccia. Ti ricordi che, per la prima volta da che avevi messo piede su Teyvat, ti eri sentito come se potessi permetterti di piangere.

La stoffa della poltrona non ti è mai sembrata così ruvida sotto le dita, punge e pizzica come fosse fatta degli stessi spilli che ti pungolano da nove anni l’anima, quelli che hanno la stessa voce delle tue bugie e il profumo dei capelli di Diluc; e ora davanti a Crepus li senti tanto nitidamente che non sei neanche più sicuro che ti circoli sangue in corpo. Doveva arrivare la tua fine, ma è davvero crudele che picchi alla porta il giorno del tuo compleanno, assieme al suono assordante della pioggia.

- So che tra e Diluc c’è qualcosa, me ne sono accorto sai?

- Io...

Inghiotti a vuoto e nel silenzio che permea la stanza ti sembra quasi possibile di aver fatto un fracasso assordante; come puoi giustificare all’uomo che ti ha accolto in casa che lo sai che tu a quel mondo non appartieni, che non dovresti amare suo figlio perché sei fatto di peccato e di maledizioni tu, che non vedrai mai Diluc crescere quindi perché sperare nella vanità dei tuoi sentimenti, come se potessi credere di meritare la felicità? Lo sai cosa vuole dirti Crepus, lo sai che è sulla punta della sua lingua, lo sai che di degno non hai neanche quel cuore fatto a pezzi; vorresti non avere la vista offuscata, perché quasi sobbalzi quando l’uomo ti abbraccia.

- Kaeya, non pensare neanche per un attimo che io sia deluso da voi, qualunque saranno le vostre scelte, io sarò sempre dalla vostra parte... abbiamo troppo poco tempo per sprecarlo nel rimorso

Vorresti essere pronto al fatto che il giorno del tuo compleanno pioverà e avrà sempre un sapore amaro, anche quando potresti essere felice.

***
E Coraline piange
Coraline ha l’ansia
Coraline vuole il mare ma ha paura dell’acqua
 
La maggiore età era arrivata accompagnata da una pioggia scrosciante e dal bagliore della vision di Diluc sul tuo comodino, che nel brusio della tua testa troppo pesante del troppo alcol ingerito ti guarda come se Celestia volesse farsi beffe di te, più di quanto abbia fatto donandoti il gelo del ghiaccio in quella fredda notte d’aprile; c’è una certa forma di sadismo nel picchiettio delle gocce, nel contrasto tra quello che sarebbe il connubio naturale di quell’elemento e la tua vision con il peso che la pioggia si porta sulle spalle il giorno del tuo compleanno, perché non c’è solo tuo padre a camminarci in mezzo adesso, c’è anche il freddo della tomba di Crepus su cui non puoi fare altro che piangere e il rosso dei capelli di Diluc che ti volta le spalle mentre ghiaccio e sangue ti avvolgono.

A ripensarci adesso, con la garza bianca della benda che prude su di una cicatrice che non vuoi vedere, un po’ capisci che il tempismo non è mai stato davvero il tuo forte ma recidere la corda con le tue stesse mani è stato forse l’atto più stupido della tua intera esistenza; anche se i sensi di colpa ti avrebbero mangiato come cani rabbiosi se non l’avessi fatto, anche se non ti aspettavi comprensione dopo una bomba sganciata con così tanta forza nel momento più fragile dell’altro, anche se in fondo sai che a tornare indietro rifaresti tutto alla stessa maniera, perché tu di vivere in quel modo non ne hai più la forza e allora che male c’è nel lasciarsi andare all’oblio.

Che male c’è nel cibo che Adelinde ti ha accuratamente preparato quella mattina, nei suoi occhi sempre gentili che diventavano scuri di preoccupazione sulle bottiglie di vino sparse in quella stanzetta sopra il Good Hunter, che male c’è nel cibo che non riusciresti mai a consumare con lo stomaco così contratto? Che male c’è nell’alcol che ti sale alla testa e fa vorticare il mondo come le pale di un mulino, rendendo tutto una macchia gigante in cui puoi finalmente perdere i contorni di te stesso? Che peccato commetti nella lettera che hai affidato quella mattina a un uomo di cui non sapevi niente, ma che eri sicuro che si sarebbe recato dov’è Diluc, perché tu di lui non riesci a fare a meno neanche nella disfatta e nella distanza delle fredde terre dell’inverno che vi separano? Non è la tua stessa esistenza qualcosa di così turpe e peccaminoso da non poter sperare in altro che un’illusione?

Le gambe paiono non reggerti quando di ti alzi, il mondo traballa sulla punta di uno spillo mentre ti afflosci sul tavolo e il vino scorre nel tuo bicchiere e nel silenzio del pasto freddo di Adelinde che non provi neanche ad addentare; c’è una candelina sul dolce che ti ha preparato e la tua mente folle, annebbiata, trova un gran divertimento nell’accenderla con le dita instabili e ridere di quella fragile fiammella.

- Tanti auguri, Kaeya!

Quasi ti strozzi a tracannare e cantare quella stupida canzoncina di compleanno allo stesso tempo, non credi che potrà mai esserci niente di più patetico di te stesso in nessun tempo passato o futuro di Teyvat; ma in fondo è questo di cui tu sei meritevole, del rumore della pioggia sotto cui il passato si mescola e diventa un tutt’uno e della solitudine di cui è fatta la tua anima, di un cuore a brandelli talmente frastagliati a furia di strapparlo che il tempo non potrà mai sperare di ricomporlo, della solitudine autoimposta perché per te stesso Kaeya non è degno neanche dell’abbraccio che ti aveva dato Jean quella mattina.

Il tuo compleanno ha perso d’importanza nel momento stesso in cui avevi deciso che tenerti la bocca chiusa non era abbastanza, che macinare nel proprio dolore e nel senso di colpa fosse sbagliato, che se amavi veramente Diluc allora quella cortina di segreti doveva sbrindellarsi a terra come le ceneri di un falò; e solo adesso, con tutto quell’alcol in corpo e le lacrime che ballano sul bordo delle ciglia, avresti voluto stare zitto e mangiarti a morsi il tuo stesso passato, anche se alla fine la corda si sarebbe comunque spezzata e la caduta t’avrebbe ucciso.

C’è uno sfarfallio all’angolo della stanza e per un folle attimo ti sembra quasi di essertelo immaginato; c’è uno sfarfallio all’angolo della stanza, uno sfarfallio che ha il rubino degli occhi di Diluc nella coltre di ombre che avvolge la sua casa, tagliata solo sul tuo letto dalla luce che entra dalla finestra semi-aperta, uno sfarfallio che diventa sempre più lieve mentre le lancette dell’orologio si rincorrono al ritmo della pioggia auspice di un altro pezzo di cuore strappato.

Le ginocchia picchiano con forza il legno del parquet, ma l’adrenalina scorre con tanta velocità nel tuo corpo e non ti fa sentire niente, non senti niente di niente mentre ti trascini al tuo comodino e la vision di Diluc pare una lucciola troppo stanca per brillare; ed è davvero terribile il modo in cui ti si frantuma il petto, come se mani invisibili ti tirassero i polmoni per strapparteli e il cuore si sgretolasse tra le loro dita, è l’apice della crudeltà che quel mondo potrà mai infliggerti vedere quanto fioca sia la luce dell’altra metà del tuo cuore in quel momento.

Si dice che quando si sta per perdere l’unica cosa che conta, tutto il mondo sembra sparire in un istante, condensarsi per poi distruggersi come solo se nell’annientamento si potesse trovare il senso di ciò che gli Dei ci mandano; si dice che l’uomo disperato si aggrappa all’ultimo centimetro di se stesso con ogni forza, che se potesse cederebbe tutto per quel centimetro, per conservarlo dalle mani del tempo e del nero mietitore.
E Kaeya pensa mentre il vento spalanca la finestra mal chiusa e la pioggia lo bagna, mescolandosi alle lacrime e ai singhiozzi, e anche gli ultimi
rintocchi del suo compleanno svaniscono, che non gli importerebbe di morire pur di vedere quei capelli rossi come rose di primavera danzare nel vento di Mondstadt.

- Barbatos, so che non ne ho diritto, ma ti supplico... non condannarmi a vivere in un mondo in cui lui non esiste

Non è neanche un desiderio per cui hai spento la candelina, che folle masochista.

***
Sarò il fuoco ed il freddo
Riparo d’inverno
Sarò ciò che respiri
Capirò cos’hai dentro
[...]
E in cambio non chiedo niente
Soltanto un sorriso
Ogni tua piccola lacrima è oceano sopra al mio viso
 
Oggi compi ventitre anni e stranamente quel trenta novembre il cielo è puntellato di stelle e non sai se questa cosa ti dia conforto o sia il segno definitivo della fine; non credi alla benevolenza di Celestia, soprattutto il giorno del tuo compleanno, e non credi neanche possa esistere un trenta novembre senza pioggia perché sarebbe come pensare che per una volta la tua giornata possa essere felice. Neppure ora che i coriandoli ti scivolano tra i capelli mentre ti muovi, Amber davanti a te tiene alta la tua torta con un sorriso che le taglia a metà il viso e non hai il coraggio di dire a Klee che di coriandoli ne hai già troppi che si infilano al di sotto della giacca.

Non avevi programmato di ritrovarti all’Angel Share quella sera, non avevi programmato proprio di uscire di casa come in ogni tuo compleanno da che la tua vita era andata in frantumi; ma Lumine aveva bussato alla tua porta con il più subdolo degli stratagemmi possibile, ci eri cascato come un novellino proprio tu che ti sei sempre vantato della tua mente acuta, ma l’altra era stata chirurgica nel colpire proprio il punto debole della tua anima, lo stesso punto debole che ti guarda da dietro il bancone con i capelli che sfuggono dalla coda alta e gli accarezzano il collo. Quanto eri stato stupido e ingenuo a credere che Diluc fosse in pericolo lì tra le mura di Mondstadt, quanto eri stato stupido ingenuo a credere che avesse bisogno di te.

Ma in fondo lo sai che un cuore innamorato, anche se a pezzi, non smette mai di agognare anche le briciole dell’oggetto del proprio desiderio e adesso, con tutti i tuoi amici che ti circondano e le loro voci che intonano quella canzoncina di auguri mentre Lumine ti incoraggia a spegnere le candeline ed esprimere un desiderio, ti senti ancora più stupido a sperare che il tuo desiderio si avveri ora che l’età dei sogni l’hai ampiamente passata. E anche quando vi sedete a quella tavolata improvvisata e il tempo scorre come se ne avessi a sufficienza per una vita intera, non riesci a staccargli gli occhi di dosso e sentire tutto tremare quando anche il rosso ti guarda.

Quando tutto diventa semplicemente troppo, quando l’aria comincia a mancarti e la stanza sembra sul punto di schiacciarti nella sua morsa, sgattaioli semplicemente fuori, appoggiandoti alla ringhiere della scala al piano superiore e il vento di Mondstadt ti scompiglia i capelli portando con sé il profumo di Dragonspine nei tuoi polmoni; non ti eri accorto si stesse facendo così tardi, perso com’eri nel godere della tua festa di compleanno come se fossi degno dei sorrisi attorno alla tavolata, il cielo si addensa sopra di te e sorridi al pensiero che davvero non può esistere il trenta novembre senza le nuvole che coprono le stelle minacciando pioggia.

 C’è un che di consolatorio in quella semplice verità.

- Se il festeggiato scappa dalla propria festa, non credi che sia quanto meno crudele per chi si è impegnato tanto a prepararla?

La voce di Diluc è l’unica cosa che non ti aspetti e che è capace di portarti dalle profondità del Chasm a Celestia in un battito di ciglia, per ributtarti giù pochi istanti dopo, in un altalena emotiva che è come un pugno nello stomaco; non ti giri mentre si avvicina poggiandosi accanto a te, perché sai che quei pochi passi che vi separano sono necessari a non farti tremare il petto come una foglia, perché hai troppo alcol in corpo e Diluc è solo più bello sotto la luce della luna che ogni tanto fa capolino dietro le nuvole, sembra così etereo e nobile che per un istante pensi quasi che non possa essere reale che sia lì a parlarti.

- Dovresti smetterla di bere tanto vino, barcolli come una vecchia mula zoppa

- Master Diluc... potresti essere meno rigido il giorno del mio compleanno, sai?

- E tu dovresti riguardarti meglio

Fuoco e ghiaccio che ti nutrono e ti consumano, ti scaldano e ti tormentano, una contraddizione vivente che si infila come oro fuso tra le crepe di cui sei fatto; ma tu non sei un vaso di vetro o un piatto di fine ceramica, non diventi più bello con l’oro a decorarti, non rinasci in una fenice dalle ceneri di cui sei fatto. Sei solo più rotto con qualcosa a tenerti malamente unito, sei in pezzi tenuti insieme dall’affetto di amici che non meriti e dall’amore dannato che provi e finirai a spaccarti alla prima caduta; ché anche se la corda spezzata l’annodi e provi a camminarci in punta di piedi, finirai ugualmente a cadere, quindi perché sperare nel desiderio infantile della felicità accanto all’altro quando tutto finirà ugualmente a sgretolarsi tra le tue dita quando giungerà il momento? Perché credere che Diluc possa serbare ancora la metà del tuo cuore come il bene più prezioso quando non ti guarda nemmeno nell’unico occhio visibile?

- Mi odi tanto da non riuscire a guardarmi in viso?

- Vorrei odiarti, sarebbe tutto più facile

Quelle parole ti colpiscono e ti tolgono il fiato, hanno talmente tante implicazioni che non vuoi sperare; perché con la testa annebbiata dal vino e il respiro che ti si affanna mentre poggi la tua fronte su quella dell’altro, alzandoti la dannata benda che copre il tuo occhio maledetto e martoriato, pensi che non vuoi sperare nella felicità perché la felicità è un istante bastardo che si spegne come una fiammella tremolante sotto la sferza del vento.

Pensi – quasi preghi ferventemente come l’eretico che sei – che non vorresti mai essere nato, che vorresti tornare indietro e cancellare il passato in cui sei stato felice con Diluc o cancellare tutto ciò che sei per Khaenri’ah, pensi che di tanti destini il mondo potesse scegliere per te quello è stato il peggiore possibile e che forse senza il peso dell’amore che provi non staresti andando in frantumi davanti ai suoi occhi; perché da quella distanza le pupille di Diluc paiono contenere tutta la volta stellata sopra le vostre teste e le sue labbra umide ti tentano come il più infimo dei peccatori.

E vorresti odiarlo anche tu, sarebbe tutto così dannatamente facile, sarebbe come passeggiare su un campo fiorito e non sulle spine che ti feriscono la carne nuda; sarebbe così semplice convincerti che tu Mondstadt e i suoi abitanti non li ami dal primo all’ultimo, sarebbe così semplice convincerti che voltargli le spalle quando la tua terra natia ti chiamerà sarà la scelta giusta, sarebbe così semplice convincerti che dell’amore tu non conosci niente perché sei solo un mostro condannato alla sofferenza eterna.

- Cosa vuoi Diluc?

- Il compleanno è il tuo, dovresti essere tu a chiedere

- Ha forse importanza?

L’altro ti guarda soppesando i suoi pensieri, puoi quasi sentire il tumulto nella sua testa, le mille risposte che si rincorrono l’una dietro l’altra mentre guarda la tua cicatrice come se volesse poterla prendere su di sé; e forse va bene illudersi di poter essere felice, forse va bene guardarsi dalla distanza di un respiro e perdersi nel calore della sua mano che ti accarezza quell’occhio, forse va bene camminare sulla corda tenuto insieme da quell’oro sottile che presto o tardi finirà a spaccarsi.

Forse va bene, perché la felicità va tenuta stretta tra le dita anche se è un solo istante, anche se finirà a rimanerne solo il ricordo e Diluc sarà sempre il ricordo più bello della tua vita e quello che meriti di meno al contempo; va bene anche se è il tuo compleanno e la pioggia sta cominciando a picchiettare sopra le vostre teste.

- Sorridi per davvero oggi, è il tuo compleanno

Va bene, anche se la caduta farà solo più male.

***
Coraline, bella come il sole
[...]
Non ha conosciuto l'amore
Ma un padre che di padre è niente
Le ha detto in città c'è un castello
Con mura talmente potenti
Che se ci vai a vivere dentro
Non potrà colpirti più niente
 
Sono gli ultimi minuti del tuo ventitreesimo compleanno e, come avevi previsto, il cielo pare essersi aperto in un pianto singhiozzante sopra di te e alla fine non può esistere un trenta novembre senza la pioggia; dovresti essere a letto in quel momento a mantenere la promessa che hai fatto a Diluc di prenderti cura di te stesso, ma sei sempre stato un bugiardo e non vedi perché non tenere fede alla tua natura quando tutto il mondo sembra ovattato dal dolore. Non che non ci avessi provato davvero a metterti a letto e sbollire il vino che ti circola nelle vene, ma hai un tale fracasso nella testa che il sonno pare sfuggirti dalle dita; e non era stata una scelta senziente ritrovarti sul tetto del quartiere generale dei Cavalieri di Favonious con il tuo tesoretto nascosto nella fine intarsiatura del tuo cofanetto, o almeno non la consideri una scelta perché le implicazioni della coscienza non sono qualcosa che vuoi affrontare in quel momento.

Sai che la statua di Barbatos ti sta guardando da dietro le colonne del porticato, senti i suoi occhi addosso anche se non riesci a vederlo e nel fondo del tuo cuore maciullato vorresti che ci fosse odio nel suo sguardo; perché l’odio è un sentimento così semplice che peserebbe meno sulle spalle, riesci a comprenderlo e accettarlo in un modo in cui non riesci con l’amore. Perché ad essere onesto con te stesso, in fondo ti odi visceralmente, ti odi così tanto da aver chiesto la morte quella notte sotto forma di confessione del tuo passato, ti odi e vorresti farti a pezzi materialmente perché dei brandelli di anima dannata di cui sei composto non riesci più a vivere.

L’amore non lo vuoi comprendere, non lo vuoi conoscere se non in quella forma congenita fatta di promesse infrante e di scelte che non sei in grado di prendere; è egoista l’essere umano, è egoista nel volere tutto anche quando non è abbastanza neanche per il minimo, è egoista nel mettere il proprio cuore davanti alle aspettative di chi dipende da lui per un futuro sereno, è egoista perché nella scelta vorrebbe poter non perdere neanche un pezzo di se stesso. E tu ti consideri forse il più egoista di tutti mentre stringi il cofanetto tra le braccia e il cognome degli Alberich ti pesa come un masso attaccato alla gola, ti trascina sul fondo del lago e forse non c’è nessun male nel lasciarsi affogare, anche se vorresti poter guardare i capelli di Diluc imbiancarsi.

È un sogno stupido ed egoista, ma forse per una sera puoi permetterti di lasciarti andare all’illusione, perché non sai quando e come accadrà ma sai che arriverà il momento in cui sarai costretto a lasciar andare anche gli ultimi frammenti di te stesso; perché per gli esseri maledetti di Khaenri’ah non c’è un destino felice in fondo alla strada tortuosa che stai percorrendo.

La pioggia sfoca sul finire degli ultimi istanti del tuo compleanno, scivola via come se si fosse presentata solo per ribadire che la felicità è un istante di illusioni e che il tuo compleanno è fatto dell’odore di tuo padre e dei capelli rossi di Diluc che scompaiono all’orizzonte mentre il ghiaccio ti circonda; mentre resti a guardare il cielo sopra di te e il vento ti accarezza il viso come si fa con un figlio, pensi che le mura che hai costruito non sono abbastanza spesse da trattenere il tuo ultimo desiderio.

Vorrei morire guardando gli occhi di Diluc.
 
Angolino del disagio
Non penso serva dirlo, ma: BUON COMPLEANNO KAEYA!
Il cambio di persona dalla prima scena alle altre è voluto, serve a enfatizzare la discesa nella testa di Kaeya, prima lo guardiamo da fuori come bambino e poi scaviamo nell’adulto.
P. S. è da quando ho sentito Coraline che penso che questa canzone parli di lui
 




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