Amazing Grace
Titolo: Amazing Grace
Autore: My Pride
Fandom: Batman
Tipologia: One-shot [ 1837 parole fiumidiparole
]
Personaggi: Bruce Wayne, Alfred
Pennyworth (menzionato Jason Todd)
Rating: Giallo
Genere: Generale, Sentimentale,
Angst
Avvertimenti: What if?,
Hurt/Comfort
All souls day challenge: Mi manchi tutti i
santi giorni || My heart will go on || Starò bene… solo non oggi
BATMAN
© 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.
La pioggia cadeva fitta e incessante da quelle
che oramai sembravano svariate ore, ma Bruce aveva avuto l’impressione
che non smettesse da mesi.
Erano passati esattamente duecentosessantadue giorni
dall’orribile giorno in cui era rientrato a Gotham dall’Etiopia
portando con sé il corpo senza vita di Jason, ma la ferita della
perdita bruciava nel cuore di Bruce come se fosse stata appena
inflitta. Non essere riuscito ad arrivare in tempo lo logorava ancora
nel profondo, il senso di colpa gli attorcigliava le viscere e la sua
mente non faceva altro che sussurrare malignamente che Jason non
sarebbe mai morto se lo avesse tenuto d’occhio e avesse cercato di
stargli vicino quando si erano incrociati in Etiopia, ma la parte
razionale del suo cervello cercava in tutti i modi di riportarlo alla
realtà e di ricordargli che l’unico da biasimare avrebbe dovuto essere
Joker stesso. Preso da quel contrabbando d’armi, Bruce aveva perso le
tracce di Jason quel tanto che era bastato al ragazzo per ritrovare sua
madre, ed era morto da eroe nel tentativo di proteggerla
dall’esplosione della bomba che Joker aveva attivato dopo averlo
pestato a sangue.
Arrivare lì, pochi secondi prima dell’esplosione,
aveva ridotto anche il mondo di Bruce in mille pezzi. I frammenti
sparpagliati della baracca erano diventati una proiezione del suo
stesso cuore in frantumi, e Bruce, tremante dalla testa ai piedi e con
gli occhi fuori dalle orbite, aveva sollevato il corpo senza vita di
Jason e lo aveva stretto contro di sé, faticando ancora a credere che
fosse successo davvero, che un giovane fosse stato barbaramente ucciso
da un folle solo per… per cosa? Bruce non lo sapeva. E anche adesso
nonostante il funerale a cui aveva partecipato e i mesi che si erano
accavallati gli uni sugli altri, Bruce ancora non riusciva a credere
che il nome inciso sulla lapide che stava osservando fosse davvero
quello di Jason. Forse era la febbre che aveva preso possesso del suo
corpo, forse il poco sonno che si era concesso in quelle ultime
settimane e il modo in cui non si era minimamente curato di sé stesso
durante le pattuglie, ma si sentiva confuso e stanco e completamente
dissociato dalla realtà, quasi fosse uno spettatore che osservava con
occhi estranei la vita di qualcun altro.
La morte era sempre stata un concetto pesante e
difficilmente digeribile, per Bruce. Non era mai stato in grado di
superare il dolore della perdita o di andare avanti, di lasciare che il
proprio cuore risanasse le ferite e si concentrasse sul futuro, o non
avrebbe mai promesso dinanzi alla tomba dei suoi genitori che avrebbe
cercato di difendere Gotham. E a cosa aveva portato quella crociata?
Alla perdita di un ragazzo che per lui era stato praticamente un
figlio. Non sarebbe mai riuscito a perdonarsi, non avrebbe mai potuto,
una giovane vita si era spenta e lui ne era stato involontariamente il
carnefice quando l’aveva preso sotto la sua ala e gli aveva così
concesso i mezzi per ritrovare sua madre. Quella stessa madre che lo
aveva inconsciamente condotto alla morte.
A quel suo stesso pensiero, Bruce urlò a
squarciagola e il suo grido fece eco al rombo lontano di un tuono,
sentendo la pioggia picchiettare senza sosta la sua testa e inzupparlo
da capo a piedi; con un groppo in gola e un singhiozzo mal soffocato,
si lasciò cadere in ginocchio dinanzi alla tomba e poggiò una delle
mani sulla fredda pietra in cui era inciso il nome di suo figlio,
abbassando le palpebre mentre calde lacrime scivolavano lungo le sue
guance; il pantalone del pigiama affondò nel fango gelido, ma a lui non
importò, il cuore che batteva furioso nel petto e la fronte che
sembrava bruciare nonostante la frescura delle gocce di pioggia. Aveva
i brividi, la febbre si era sicuramente alzata e le vertigini che aveva
non lo aiutavano a concentrarsi, ma tentò di aprire e chiudere le
palpebre mentre le dita seguivano alla cieca quelle incisioni nel
marmo, quasi volesse imprimere a fuoco nella sua testa il nome scritto
sulla lapide. Jason, Jason, Jason. Continuava a ripeterlo come un
mantra ancora e ancora, affondando sempre più nella fanghiglia mentre
la pioggia cadeva più fitta e le mani cominciavano a dolergli per il
costante stringere pugni, ma il suo cuore continuava a rifiutarsi di
dargli pace e andare avanti.
«Mi manchi tutti i santi giorni, Jason», sussurrò a
quella tomba fredda e silenziosa, sollevando in parte le palpebre per
fissare il nome di suo figlio. Rivoli di pioggia scivolavano sulla
pietra e davano l’illusione che il marmo stesso stesse piangendo,
stringendo maggiormente il cuore di Bruce in una morsa; gli sembrava
ancora di sentire la voce di Jason, la testardaggine con cui voleva
fare le cose a modo suo e quell’arroganza tipicamente adolescenziale
con cui a volte gli si rivolgeva e, per quanto ci fossero stati momenti
in cui avevano avuto le loro divergenze, Bruce non aveva mai smesso di
voler bene a quel ragazzo. Avrebbe voluto dirglielo più spesso, tentare
di essere un padre migliore e un esempio da seguire, ma non aveva fatto
nessuna di quelle cose e avrebbe adesso portato il rimpianto di attimi
perduti e parole mai dette per il resto della propria vita.
Jason era stato un giovane che voleva dare tanto e
che aveva perso tutto, e Bruce non riusciva a sopportare che in parte
fosse colpa della crociata in cui Jason era stato inevitabilmente
coinvolto. Sarebbe stato diverso se non l’avesse preso sotto la sua
ala? Sarebbe potuto sopravvivere? O avrebbe potuto trovarlo morto in un
vicolo di Gotham a causa della vita che conduceva? Troppe domande alle
quali non sarebbero state date risposte e che facevano dolere sempre
più il capo di Bruce, che si accasciò con la fronte contro la tomba per
cingerla in un abbraccio, chiedendo perdono allo spirito di Jason e
sussurrando al vento parole incomprensibili.
Avrebbe voluto averlo fra le proprie braccia,
rassicurarlo che non era arrabbiato con lui e che l’avrebbero superata
insieme, ma non avrebbe potuto fare nessuna di quelle cose; niente più
serate passate a guardare un film sul divano con i pop corn
esageratamente al burro preparati da Alfred, niente più cioccolata
calda davanti al bat-computer mentre studiavano un caso particolarmente
ostico, né tantomeno notti fra le strade di Gotham a mostrare a quei
criminali di che pasta erano fatti Batman e Robin. Ma, più di questo,
non ci sarebbe stato più Jason Todd al fianco di Bruce Wayne. E la cosa
faceva così male da attorcigliare le viscere e gettare nel baratro la
poca razionalità rimasta nel guscio vuoto che una volta era stato Bruce.
«Sedici anni… avevi… avevi solo sedici anni, ragazzo
mio», sussurrò ancora Bruce con un groppo in gola, affondando le unghie
sul retro della lapide. «Farei qualsiasi cosa per rimediare… persino
cose che non farei mai», disse sottovoce, carezzando il nome di Jason
come se fosse stato il suo volto.
Se fosse servito… sarebbe stato capace di parlare
persino di nuovo con Talia. Aveva giurato a sé stesso di non
considerare mai il pozzo di Lazzaro, eppure una vocina insistente non
faceva altro che mormorate dolcemente al suo orecchio di lasciarsi
andare, di concedere a quel giovane una seconda possibilità senza dar
peso ai possibili effetti che l’acqua di quel pozzo avrebbe potuto
procurare alla mente. Ma sarebbe stato davvero capace di condannare
Jason in quel modo? Sarebbe davvero riuscito a guardarlo negli occhi e
ad accettare il mostro che sarebbe potuto diventare se la resurrezione
non fosse avvenuta come avrebbe dovuto? No. Non ce l’avrebbe fatta e,
per quanto il suo senso di colpa fosse enorme, quella sarebbe stata una
condizione peggiore della morte. E non sarebbe stato capace di fare una
cosa del genere a suo figlio.
Bruce dubitava che il suo cuore sarebbe riuscito a
superare tutto quello che stava vivendo in quel momento. Si diceva che
il tempo guariva le ferite e che la Grazia del Signore avrebbe portato
pace all’anima, ma Bruce aveva smesso da tempo di credere a quel tipo
di miracoli e a qualcuno che dall’alto si prendeva cura di tutti loro.
Quale Dio avrebbe privato un bambino dei propri genitori? Quale Dio,
anni fa dopo, avrebbe privato quello stesso bambino, ormai divenuto
uomo, del proprio figlio? Non avrebbe voluto pensare quelle cose,
avrebbe davvero voluto sperare che c’era qualcosa oltre la morte che li
avrebbe accolti nel suo abbraccio, ma non riusciva a pensare
razionalmente e aveva solo voglia di urlare, urlare a squarciagola fino
a farsi male la gola e bruciare il fiato nei polmoni, ma riuscì solo a
piangere contro quella fredda pietra sotto la pioggia che lo soffocava
nel suo ruggito. E, come se non bastasse, sussurri avevano cominciato a
farsi largo nella sua testa e a pronunciare strane parole, ma fu
proprio neo sentir chiamare il proprio nome che Bruce sollevò il capo,
gli occhi spiritati e il cuore che batteva frenetico nel petto.
Imputò quella voce ai deliri della febbre, ma non
riuscì comunque a trattenersi dall’allungare una mano in quella
direzione e scrutare tra la pioggia e le lacrime che rendevano il
paesaggio intorno a lui offuscato, deglutendo. «Jason…?» mormorò con un
groppo doloroso in gola, sussultando quando qualcosa di caldo, fermo e
rugoso afferrò la sua mano e intrecciò le dita intorno ad essa.
«Devo purtroppo darle un dispiacere, signorino
Bruce. Sono io», mormorò la voce di Alfred e, per quanto Bruce avrebbe
dovuto aspettarselo, non poté fare a meno di sentirsi deluso. Cosa
aveva pensato? Che Jason sarebbe uscito dalla sua tomba e tutto sarebbe
scomparso come un brutto sogno che si dileguava nelle prime ore del
mattino?
«Alfred?»
«Sì… l’ho cercata dappertutto, non può uscire nelle
sue condizioni».
«Volevo… volevo…»
Bruce non terminò la frase, ma essa aleggiò intorno
a loro come un fantasma a ricordo di quanto fosse accaduto finora,
gettando Bruce nella cruda realtà delle cose quando fu Alfred stesso ad
aiutarlo ad alzarsi da lì, completamente zuppo da capo a piedi, con
mezzo busto ricoperto di fanghiglia, le unghie rotte e sanguinanti e i
capelli incollati alla fronte per la troppa pioggia presa; si sorresse
contro il buon vecchio maggiordomo quando le gambe non riuscirono a
tenerlo in piedi abbastanza a lungo, e Bruce avvertì il suo sguardo
accorato su di sé.
«Sta bene, signorino Bruce?»
Bruce non rispose, almeno non subito, annuendo poi
debolmente. «Starò bene, Alfred, solo…» il magone tornò, gli bloccò la
saliva e in gola e fu costretto a deglutire, lanciando un’ultima
occhiata a quella tomba di cui si rifiutava di leggere ancora il nome.
«…solo non oggi».
Alfred non parve insistere, limitandosi ad annuire
per passargli un braccio dietro al busto massiccio e tenerlo a sé,
incamminandosi insieme a passi malfermi nuovamente verso l’enorme villa.
Ci sarebbe voluto tempo per guarire e tentare di
superare il trauma, ma Alfred non avrebbe abbandonato il suo fianco.
_Note inconcludenti dell'autrice
Scritta per l'iniziativa #allsoulsdaychallenge indette sul
gruppo facebook Hurt/comfort
Italia
Giuro che
io voglio tanto bene a Jason, eh, ma tra i prompt e complice Gotham
Knights... ciaone. Alla fine è uscita questa cosa che è abbastanza
triste (forse anche troppo) e doveva girare proprio sulla morte di
Jason e sui sentimenti che provava Bruce a riguardo. Quindi cosa fa
Bruce? Scappa malato, corre nel giardino e si accascia davanti alla
tomba di Jason, il suo potero e dolce figlio che è morto così
prematuramente
Ho cercato di far trasparire non solo i sentimenti di Bruce come uomo e
come mentore, ma soprattutto come padre che si ritrova ad affrontare
l'ennesima perdita nella sua vita; non è un uomo che riesce a passare
avanti, ma cerca di farsi forza a modo suo... soprattutto anche grazie
alla presenza di Alfred
Commenti
e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
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