Sangue Nero

di Cladzky
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―Kay, esci fuori!― Vincent cercò di sporgersi dall'oblò, ma il suo torso impattò contro una delle sedie accatastate sulla porta chiusa a chiave. Tutto quello che riusciva a vedere era la porta di servizio dall’altro capo dell’isola al centro della cucina. Un’ombra umana, chinata in avanti e dagli sciolti capelli ciondolanti, si proiettava sul muro, deformato dallo spigolo di un angolo che portava alla dispensa. Seguì i suoi movimenti circolari, ingrandendosi e impicciolendosi sulle piastrelle, circolando intorno qualcosa, entrambi troppo a sinistra per poterli scorgere. Mosse le braccia senza guardare, puntando a rimuovere un grosso cestino dei rifiuti in alluminio, ma toccò invece un altro paio meno venoso. Voltò il viso e s’incontrò con quello pallido di Dave. Nei suoi occhi non c’era più l’esitazione con la quale gli minacciava di sparargli e, nel guardarlo, Vincent Dawn non provò alcun senso di minaccia, specie non da parte sua in questo momento. Senza neppure un annuire d’intesa, afferrarono entrambi il bidone da sessantaquattro galloni e lo gettarono al di là del bancone, atterrando con un clangore metallico accanto Cladzky, perdendo parte del proprio organico contenuto. Il ragazzo si gettò di lato più dallo spavento che per evitarlo, finendo con la schiena punta da un ammasso di lamiere. Si voltò a gattoni verso quel rottame di Mark, incapace di muoversi su quei cingoli senza provocare un leggero stridore. Non gli diede il tempo di scusarsi che il braccio articolato mozzato si smosse spasmodicamente nell’aria, molto più meccanico di prima.

―Apri il portellone― Raspò la laringe elettronica, sforzandosi di non farsi sentire, nonostante l’urgenza ―Non hanno il tempo di badare a noi ora.

―E lasciare qui il campione?― Si accucciò, coprendosi la testa con le mani, quando uno sgabello gli volò sopra e rimbalzò sul vetro.

―Premi il pulsante, non hai più modo di guadagnare nulla da quella trappola.

―E loro…?― Non terminò la frase, rimanendo con il labbro a penzolare un destino già chiaro.

―Oh, proprio adesso devi avere una morale?

Vincent Dawn scorse, con la coda dell’occhio, il movimento rapido di un dito, il luccichio di un pannello al LED e una porta pressurizzata scorrere. Non era neppure allarmato che quello straniero stesse vigliaccamente scappando ora che li vedeva distratti, anzi, ne provava quasi gusto di aver avuto ragione. Però a ripensarci, l’idea di lasciarlo andare impunito lo prevalse un po’, ma non abbastanza da fargli mollare il suo lavoro. Colse il suo limone, la bombola semivuota dell’idrogeno, e ci fece una spremuta, proiettandola con le sue braccia stanche, ma non meno laboriose, a rendere il cranio del pilota in bianco tappezzeria. Quell’idiota era tutto istinto e niente cervello, perché aveva combinato un bel casino, ma quando si trattava di schivare oggetti contundenti era bravissimo. Abbassò il capo come la tartaruga che era, lasciando che la bombola si schiantasse sullo stipite della paratia con riverbero, ma gli ricadde addosso, facendo appena in tempo a contrastarle i suoi palmi nel vano tentativo di prenderla al volo, venendo schiacciato a terra. Cladzky strizzò gli occhi e alzò lo sguardo annebbiato per la mancanza d’aria in quei polmoni compressi fra il pavimento e la tanica oblunga. Buttato fuori dal mondo, potè constatare il pannello interno d’apertura in frantumi che ancora faticavano a staccarsi da quanto erano stati incavati nel muro. Forse sarebbe stato meglio se la bombola lo avesse centrato in pieno.

―Occupati del ragazzo, basta uno ad aprire la porta― Ordinò Vincent, scalciando via l’ultimo scatolone e portandosi le mani alla fibbia, mentre il suo vice si ritirava, senza riuscire a staccare del tutto gli occhi dall’oblò. Dove diavolo erano le chiavi, si domandava lo sceriffo, studiando un gancio libero dalla parete.

―In piedi, vuoi peggiorare la tua situazione?― Dave cercò di persuadere il ragazzo, strattonandolo sotto le ascelle a rimettersi in piedi, con meno pazienza di quanto gli era consueta, ma incontrò una certa resistenza nel movimentato puntellamento dell’altro sul pavimento sui contorni della soglia.

―Già, vuoi peggiorare la situazione?― Insistè ai piedi dei due il robot. La paratia andava a chiudersi. L’imbiancato scalciò e scalciò fino a mandarne uno a segno, spingendo la scalcinata unità mobile di Mark dentro la camera di depressurizzazione, prima che le due metà metalliche si ricongiungessero.

―Maledizione― Imprecò appena il vice, mollando il pilota, che ripiombò a terra, nuovamente letargico nei movimenti e saltando a premere un pulsante che ritrovò disintegrato sotto il proprio polpastrello. Era impossibile aprire la porta da questo lato ora. Si voltò verso il contrabbandiere, mentre il sibilo dell’aria risucchiata andava a farsi più forte oltre la superficie impenetrabile dal riflesso opaco della sua stessa prigionia, portando le mani davanti a sé e muovendo dal nervoso le dita ―Che cosa lo hai mandato a fare là fuori?

―Alamo ha bisogno della sua cavalleria― Si rimise in piedi Cladzky, non riuscendo a ridere come si era promesso di fare dopo aver sollevato lo sguardo al viso tremante del ragazzo, dalla mascella rientrata e le gote a spingere le cornee.

―Perché hai bloccato la porta?― Si trattenne da strangolarlo, ridirezionando all’ultimo le braccia a scuoterlo per le spalle.

―Io non ho bloccato alcuna porta, siete voi che…― Cercò di ricomporsi dopo essersi tolto i capelli dagli occhi, ma Dave era già tornato a premere di nuovo il pulsante senza risultati e sbirciare fuori dalle vetrate. Sotto un sole la cui luminosità era superata dai faretti del parcheggio, in ombre nitidisse ritagliate con la forbice e sdoppiate per le direzioni simultanee dei lampioni, arrancava l’unità mobile, lasciando una scia segmentata sopra le dunette di sabbia rossiccia e un bagliore cromato all’occhio, sotto il cielo nero terso. Sorpassava ora il sarcofago umanoide ch’era la tuta di Cronenberg.

―Al diavolo, non ci serve quel barattolo― Il vicesceriffo lo spinse, con le mani e le parole, verso il suo superiore, facendolo sdrucciolare con le suole sul pavimento già corroso dalla sostanza mefitica ―Oltre a lui e Ken rimani tu che sai come fermare quella roba, no?

―Ancora credi di cavar del buono da lui?― Sputò Vincent senza guardarli, dando un’altra spallata alla porta senza smuoverla. Schiacciò il naso contro il vetro per vederne un’altro, più sottile, premere dal lato opposto, di un viso scavato dal terrore che continuava a lancettare lo sguardo prima allo sceriffo e poi la sua destra ―Kay!

―Vincent, t’imploro― Giunse ovattata la voce rauca della donna al di là, respirando a fatica, accigliata, ancora vestita della tuta cosmonautica, fuor del casco, i capelli biondi scompigliati ―Credo d’averla messa in trappola, ma non fare rumore che si agita.

―Dico, credi di avere a che fare con un’infestazione di ferioni?― Si batté la tempia col dito lo sceriffo ―Quell’affare ha già ucciso una persona, esci fuori!

―È il mio locale, Vincent― Niente da fare, Kay tornò fuori dal suo campo di visione, alzando le mani a scusarsi. Vincent cercò di seguire vanamente la vicenda, ma non volle perdere ulteriore tempo dopo l’ennesimo rumore di scodelle rovesciate. Mise mano al cinturone e sfilò il folgoratore. Si volse ai due appena arrivati gli alle spalle.

―Forse ve lo siete scordati tutti quanti…― Sbuffò, agitando i baffi, prima di solleticare il grilletto con la canna spasimante di pungere in avanti.

―Occhio con quella― Ingoiò il cuore Cladzky, facendosi scudo con il vice.

―Sceriffo, le ho già detto che…― Tentò di gridare in protesta, prima di essere tagliato corto da uno scatto fulmineo dell’arma verso la maniglia, seguito da un secondo scoppio vero e proprio che la scardinò aperta in un boato. Fra il fumo e l’odore di metallo fuso, Dawn fece il primo passo dentro la cucina, pronto col secondo colpo.

―…Ma tutto quello che voglio fare è proteggere e servire.

Kay tossì vistosamente ancora prima che il fumo le potesse salire ai polmoni, quando il cuore le mancò un battito. Si voltò, a malapena senza far cadere la confezione che teneva in mano e si ritrovò Dawn tirarla indietro verso l’uscita.

―Tutto bene?― Chiese, addolcendo il tono e guardandola solo di sfuggita negli occhi, controllando ogni ombra della stanza.

―L’hai fatta saltare!― Replicò lei con uno spintone, ma incapace di staccare quella morsa.

―Dov’è?

―Bella domanda.

Dopo un momento di esitazione, anche Dave entrò cauto, mentre Cladzky rimase sulla soglia impietrito. In ghirigori di movimenti erratici sulle piastrelle impallidite dalla corrosione, gli occhi dei presenti si perdevano a seguire scie di lumaca, sperando di trovare la medesima medusa spiaggiata. Le stoviglie inossidabili erano state ribaltate dai fornelli spenti, mestoli rimossi dai loro ganci, la coltelliera sparpagliata nel lavandino e diversi barattoli di vetro in frantumi, implosi su loro stessi nelle schegge, ma dal contenuto mezzo integro. Il nebulo di bruciato recente si mescolava a uno più chiaro a formare un banco, coprendo il controsoffitto.

―Che cosa avevi intenzione di fare?― Calò il tono Dawn, tentando un passo verso l’uscita, ma Kay rimase impervia al suo posto.

―È cieco, Dawn― Replicò lei ad un volume ancora più basso, decisa a riconoscere in qualche angolo quel tipico rumore di carta moschicida spostarsi da un angolo all’altro.

―Cosa?

―Quando sono entrata dalla porta sul retro…

―Era questa la domanda, Kay, che volevi fare da sola?

―Ho mandato questo locale avanti per decenni, mi sento in dovere morale di intervenire, capisci?― Prese una pausa per respirare, spostandosi un ciuffo dagli occhi.

―No, non capisco né la tua nè la voglia di tutti quanti oggi che hanno deciso di non darmi ascolto.

―Vincent, è una faccenda che ci riguarda tutti…

―No, maledizione, sono io il tutore della legge, io ho il dovere di proteggervi, non siamo più solo amici, c’è una faccenda di responsabilità in gioco― Gli si spezzò la voce sulle ultime note, inclinando la testa per sperare di vedere una distensione nello sguardo contratto di Kay.

―Vincent, sei sempre stato un bravo ragazzo― Sorrise la donna, quasi dimenticando di dove si trovava, lasciando il posto per dei luoghi passati ―Ma tu capirai che mi piange il cuore a veder distrutto il mio paradiso.

―Non verrà distrutto, proprio ora sta arrivando la camionetta di Craven― Indicò un punto imprecisato nel vuoto, dove l’immaginazione lo portava a credere essere la direzione da cui stava venendo la squadra dei vigili.

―E magari faranno lo stesso disastro che avete combinato di là― Affossò le sopraccigglia e voltando il capo ―Lo so che è infantile affezionarsi tanto alle cose materiali, ma non posso farne a meno.

―Ti risarciremo tutti i danni― Le carezzò il volto per farla tornare a guardarlo.

―Non è una questione di soldi ma di ricordi― Gli tolse la mano dalla guancia per stringerla ―Queste cose sono state con me sin dalla fondazione di trent’anni fa. Potrò sostituire tutto, ma non voglio che le cose cambino.

―Neanche a me― Sospirò, senza stringere a sua volta la mano di lei ―Ma ti assicuro che sono professionisti, non ci saranno danni collaterali.

―Non è solo questo― Si guardò intorno con sguardo vuoto, facendo due passi lontana dal gruppo prima di ripensarci ―Per trent’anni ho gestito un locale alla perfezione. Ogni cliente ha avuto ciò che ha chiesto, ogni normativa è stata rispettata, ogni guasto riparato, ogni tassa pagata. Avrei potuto abbandonare l’attività come il signor Hagman ha abbandonato Dryriver, ma non l’ho fatto. Il Linaker’s Diner è la dimostrazione che io valgo qualcosa. La mia missione è assicurarmi che vada avanti nonostante tutto. Questa cosa sta rovinando l’impresa per cui ho lavorato.

―Non puoi occupartene da sola.

―Devo― Gli si fecero rossi gli occhi ―Non ho mai fatto altro in vita mia.

―Stai avendo una crisi di nervi― Scosse la testa Vincent.

―Tu parli― Lo guardò con lo stesso sorriso di trent’anni fa, quando erano entrambi biondi ―Sei sempre stato così serio, e ora sono proprio come te.

―Mi dispiace Kay.

Cladzky aveva difficoltà a capire la scena. Forse il fatto di essere piombato così improvvisamente nella loro vita non gli dava la visione d’insieme per capire perché una coppia di persone che fino a prima se ne urlavano di ogni ora si scambiassero sguardi d’intesa dolci come miele. Volò con l’immaginazione a un’amicizia sbocciata trent’anni fa e quante ne avessero passate, lei, Dawn e il vecchio Cronenberg, chiusi nella loro bella sfera di periferia cosmica. Ma ora era arrivato lui a portare il letterale seme della discordia, rovinando tutto. Era proprio destino distruggere tutto quello che toccava. Forse avrebbe fatto bene a non affezionarsi a loro.

―Certo che è cieco, non ha ancora sviluppato un apparato visivo― Ragionò ad alta voce Cladzky, non resistendo più e fattosi vicino agli altri tre.

―Spiegati meglio― Gli fece eco Dave, mentre giravano tondo, l’uno con le spalle all’altro. Lo sceriffo si ammutolì in un borbottio sommesso.

―Cos’è successo quando è entrata, signora Linaker?― Chiese di rimando il pilota, frugandosi in tasca, ma trovando ben poco per difendersi.

―L’ho trovato a consumare la carne ancora mezza congelata sul tagliere― Spiegò la donna, staccandosi dal gruppo e avanzando lungo l’isola con una mano a sfiorarne il bordo ―Era cresciuto e continuava a farlo. Respirava, credo, si gonfiava e deglutiva, però non si muoveva verso di me. Mi sono messa a fare qualche esperimento prima che arrivaste, per vedere cosa funzionava contro di lui. Così ho prima preso del rodenticida dalla dispensa e gliel'ho dato. Ma quello lo mangiava, come se niente fosse…

Un chiassoso sgocciolare interruppe la spiegazione. Qualcosa cadeva sulla piastra attaccata al muro, facendola sfrigolare pur essendo fredda e spenta. Kay, lì di fronte, vide come una chiazza trasparente e vischiosa che bolliva sollevando una leggera nube dalla superficie in vetroceramica nera. Parlando di fumo, quello dell’esplosione si era ormai diradato e la vide. Lì, piccola, racchiusa nel riflesso di una bolla di quella saliva, stava la cosa. Alzò lo sguardo ed eccola, appesa come un insaccato al basso soffitto, nell’angolino buio offerto fra la credenza delle spezie e dove due muri s’incrociavano, pendevano quei tessuti come stracci bagnati, la visione di un’alga che si dimena sott’acqua ma vista al contrario, in un riflesso bianco sotto il neon della stanza molto più opaco rispetto a come l’avevano vista prima, più solida nella forma, meno acquoso, più molliccio e dall’aspetto di filetto di carne, stirato com’era dal proprio peso verso il basso. Doveva superare il mezzo metro, nella sua posizione attuale da stalattite.

―Cristoddio, guarda com’è cresciuta― Giunse la voce flebile di Dawn. Kay fece un salto indietro, spingendo il gruppo dietro le sue spalle. Si sentì il maneggio metallico della pistola d’ordinanza dello sceriffo ―Perché l’hai lasciata mangiare?

―Aspetta, non sparare― Tentò di abbassarle l’arma Kay.

―Perché vuoi lasciarla vivere?

―Io la voglio morta quanto te, ma voglio essere sicura che muoia. Ricordi cosa aveva detto Ken?

―Qualunque cosa Ken abbia detto lo ha fatto per spaventarci, farsi credere indispensabile.

―Eppure molte delle cose che ha detto erano vere― Fece notare Dave.

―Aveva detto che quella cosa continuerà a vivere fintanto che un solo pezzo ne rimane. Cosa succederà se le spari e un solo colpo non bastasse? Salterà dappertutto come ha fatto prima― Si riempirono d’orrore le orbite annerite di Kay.

―Posso regolare la carica come ho fatto per la porta. Non rimarrà niente di quell’affare.

―Ma non c’è il rischio si crei uno squarcio anche nel muro, aprendolo allo spazio esterno?― S’intromise Dave.

―Allora dovremo fermarci a controllare che non si schiodi da lì fino che non arriva Craven e i suoi.

Neppure il tempo di terminare quella frase che l’essere cadde come un sacco di carne, con uno schianto terribile, sgusciando rapidamente verso il muro più vicino sopra il bancone, rotolando uno strato sopra l’altro e lasciando una scia mefitica dietro di sé. Nello sbigottimento generale attecchì all’intonaco, tentando di issarsi spingendo verso il basso e rilasciando un muco colloso che s’intravedeva in mille filamenti salivari ogni volta che alzava un lembo per portarlo avanti. Sbigottite, quattro paia di pupille seguirono la faticosa e surreale scalata di quella cosa che sembrava dovesse colare e invece si arrampicava come una lumaca, fino a raggiungere una credenza e scivolarci sopra, rimanendovi appollaiata, a osservare i presenti ipnotizzati con le sue mille scintille di pelle bagnata che sembravano occhietti. Non era del tutto ferma, i bordi di quel velo nero si alzavano in un moto ondoso, con un suono di strappo nel distacco dalla superficie.

―Che cosa vuole?― Domandò Dave a nessuno in particolare.

―Non ci vuole molta immaginazione― Sbuffò il suo superiore ―Mangiare, dormire, stare lontano dai rumori, come qualunque animale.

―Signora― Chiese Cladzky, tendendo la mano ―Che tipo di rodenticida avete usato?

La donna staccò gli occhi da quella danza, lo guardò, sbattè le palpebre un paio di volte e poi sfilò un barattolo dalla tasca, porgendoglielo nel palmo. Il ragazzo ispezionò l’etichetta bianca.

―Bocconcini al gusto di tallio― Rise ―Distruggerebbe il sistema nervoso di chiunque.

―Chissà se quell’affare ha dei nervi― Borbottò Dave.

―In un modo o nell’altro si deve pur muovere― Passò davanti a tutti Vincent.

―Sicuramente qualcosa deve avergli fatto― Ragionò Kay ―Prima era molto più pigro.

―Avete quasi finito la confezione― Si lanciò il barattolo fra una mano e l’altra il pilota in bianco ―Un essere del suo peso sarebbe già dovuto morire di arresto cardiaco, edema polmonare o disidratazione.

―Continui a ragionare supponendo che abbia degli organi― Si scrocchiò il polso lo sceriffo.

―Quando era trasparente non si vedeva niente dentro― Confermò Kay.

―Può comportarsi come un’ameba, ma non può esserlo davvero― S’impose Cladzky, versandosi gli ultimi bocconcini tossici di metallo insapore sul palmo della tuta ―Prima era un essere più semplice, ora lo vedete voi stesso che è cambiato. Le analisi del signor Hagman hanno dimostrato che si tratta di più cellule, quasi autonome, è vero. In effetti anche dividendola in frammenti microscopici questi continuano a muoversi.

―Come possiamo star certi di ucciderne ogni cellula?― Alzò la voce Dave, regolando la sua arma accanto lo sceriffo.

―Potrebbe essere più semplice di quanto sembri― Li rassicurò Cladzky ―Kay ha avuto la bella idea di avvelenarlo.

―Ha senso― Si estasiò Dave ―Finché è cieco non può sapere che è una trappola!

―Possibile che sia così stupido da mangiare ogni cosa che gli tiriamo contro?― Obiettò lo sceriffo ―Quell’affare è sopravvissuto allo zero assoluto, la candeggina e ha ingoiato quattro etti di tallio e mi sembra in ottima salute. Bisogna trovare un sistema più radicale.

―Fintanto che non salta da tutte le parti conviene non farlo agitare― Gli consigliò Kay ―Se non muore per il tallio proveremo con altro.

―Sì, perché non la naftalina?

―Anche quella. E se non funziona andremo di formaldeide oppure di alcol etilico.

―Ecco, quello è una bella idea: Forse può digerire il tallio, ma non ho mai sentito parlare di animali a cui fa bene prendere fuoco.

―Credi non ci avessi pensato?― Kay esibì una fila di bottiglie disposte su un bancone alle sue spalle, tutte con un fazzoletto infilato per il collo e ne prese una ―Ma teniamo per ultima quest’idea. Hai visto che è successo appena le abbiamo versato la candeggina addosso.

Cladzky tese il braccio. Lanciò la prima zolletta rosa che rimbalzò vistosamente sulla superficie tesa di quell’unico stomaco in espansione, colpì il muro e le cadde alle sue spalle. Attese, forse temendo di averla disturbata. Kay stava con un piede verso le paratie e un dito sul pulsante per scappare, l’unico dei cinque che non stringeva la molotov. La creatura ebbe un sussulto, come la schiena di un gattaccio nero, s’irruvidì, si fece meno chiara e si contrasse di nuovo, agitandosi sulla base, girando su sè stessa. Temendo che stesse per saltare di nuovo trattennero il fiato e abbassarono il capo, ma non lo fece. Si mosse infine più decisa a recuperare l'esca a due pollici di distanza e prolungò un bordo della sua base nel tremolio di una bocca affamata, aperta nella terminazione di uno pseudopodo. Si adagiò sul pezzo schiacciandolo a terra e non si gonfiò neppure tanto era misero il boccone per assumerlo, inglobandolo nella pelle gelatinosa e trascinandoselo verso il centro del corpo, facendo rientrare l'arto improvvisato. Non vi furono altre novità. Cladzky lanciò i restanti pezzi, ma non rimbalzarono più sul droso dell’animale, ma vi aderivano come carta moschicida prima di sprofondare. Una leggera nuvoletta di vapore salì dalla schiena della massa che pulsava, da uno sfiatatoio multiplo, fischiando una nota grave ed emanando un odore di piombo che appestava la stanza. Il colorito era cambiato. La pelle dell’essere non brillava più tanto intensamente le lampade al neon, quasi fosse coperta di un guscio a specchio, era cupa, prendendo un colorito violaceo, forse rosso al centro.

―È come un interruttore― Mormorò il pilota, poggiando la confezione vuota e lui stesso al bancone dell’isola, sfregandosi le mani ―Prima era come in una posizione di difesa, ora lascia che qualunque cosa entri dentro di lei.

―Il vostro piano non sembra funzionare― Si lisciò i baffi lo sceriffo.

―Forse ha bisogno di un po’ di tempo― Insistè la Linaker, guardando con desiderio che quella cosa si afflosciasse priva di vita.

―Sceriffo― Tossì Dave, avvicinandoglisi all’orecchio ―L’intero motivo per cui siamo entrati qui era per evacuare la signora Linaker dalla cucina. Torniamo fuori e lasciamo la faccenda a Craven.

Dawn lo guardò con la coda dell’occhio, poi si voltò quasi del tutto verso di lui con palpebre mezze calate. Mostrò i denti in un’espressione stanca e rispose.

―Temo di essere d’accordo con questo contrabbandiere. Se ce ne andassimo dovremmo trovare un modo per portare via anche tutto il cibo qui dentro. Se in così poco tempo è diventato tanto grosso pensa a quando arriverà Craven. E poi non credo più che lei e i suoi possano risolvere la questione tanto facilmente. Possiamo anche metterli in guardia, ma non sanno incontro a cosa vanno coi loro estintori.

―Perché, noi sì?

Uno scoppio li fece saltare istintivamente a terra. Senza fiato per lo spavento, in mezzo al grido isterico di Dave, le bestemmie di Dawn e il grugnito della Linaker, Cladzky si buttò dal bancone in tempo per evitare il getto esalato dalla creatura, rotolò e si stese di schiena dietro l’angolo del mobile, puntellando i gomiti per osservare quell’eruzione di polvere d’argento. Il fianco della bestia si era come crepato, non nella maniera impercettibile e lenta di come aveva assorbito il suo cibo, ma in un buco dai bordi spezzati che tentavano di ricucirsi. La pioggia di granelli ricopriva di un leggero strato sabbioso ogni cosa. Il rigurgito si spense a singhiozzi, fino a terminare, riannodando le proprie membra con stridore gommoso e così cessò il gorgoglìo metallico. Sentendosi la roba cadergli addosso, cercò di scrollarsela dalla tuta bianca, per poi riallacciarsi il casco prima che gli andasse in faccia. Respirò a fatica, temendo di averla inalata. Non aveva la conferma, ma intuiva cos’era.

―Che diavolo fa?― Strillò Dave, che era corso dietro lo stipite della porta che dava alla sala.

―Il diavolo mi porti, ci vomita addosso― Sbucò da dietro la porta della dispensa Dawn, facendo spazio per far uscire anche Kay.

―Ora lo sputa anche l’acido?― Strabuzzò gli occhi la donna, infilando anche lei il proprio elmetto integrale.

―Credo sia il tallio di prima― Si rialzò facendo pressione sul ginocchio il pilota in bianco, coperto d’argento.

―Che cosa?― S’indicò l’orecchio Dawn. Cladzky alzò il vetro dell’elmo imbottito.

―Sta sputando il tallio!― Il ragazzo si strofinò dei rimasugli ghiaiosi fra le dita ―È riuscito a separarlo dal composto e mangiare solo le esche.

―È più furbo di quanto credessi― SI rammaricò la Linaker, prendendosi la fronte.

―L’idea di avvelenarlo è fallita, dunque― Sbattè nervoso il piede a terra lo sceriffo. Anche lui e il sottoposto si calarono il casco, per evitare di respirare le esalazioni inodori. I quattro preferirono non fare ricorso alle bombole d’ossigeno per ora, come ogni buona guida galattica insegnava ad evitare sprechi, sperando che la faccenda non richiedesse più tempo di quanto la loro aria riciclata permettesse.

―Forse si è intossicato ugualmente― Alzò il dito Dave, speranzoso ―Per fargli avere una reazione simile bisogna che gli abbia fatto male davvero.

―Giusto― Rimuginò Cladzky, dandogli una pacca sulla schiena ed esibendo un’espressione contrita dall’allegria. Bisognava essere ottimisti come la testa rossa ―Ma anche se fosse è impossibile che ogni singola cellula sia stata avvelenata, visto quanto poco il metallo è stato in circolo. Bisognerebbe ritentare.

―Rischieremmo nuovamente una reazione simile― DIgrignò i denti Dawn, scalciando la polvere tossica ―Vuoi contaminare tutto il locale?

―Che colore ha il tallio puro?― Chiese Dave, chinato sul pavimento a passare una mano fra le polveri.

―Argento― Rispose il ragazzo in bianco, allargando le braccia sul paesaggio innevato.

―Ossida all’aria?

―Sì, dagli un po’ di tempo.

―E allora cosa sono questi?― Il vice si alzò di scatto, esibendo un paio di perlette color rame dall’aspetto essiccato. Strizzandole si schiacciavano appena come cisti.

―Altra roba che non avrebbe dovuto mangiare, immagino― Replicò veloce la donna, prima di voltarsi contro la bestia che aveva ripreso a pulsare dopo un attimo di pausa. Cladzky si avvicinò e ci pose il suo bulbo bianco abbastanza vicino da riflettere l’immagine nere delle due scorie, esempi di una sostanza che si trovava mischiata dappertutto nella polverina grigia. Quale materiale poteva avere un aspetto simile? Non c’era nulla nella carne della Linaker che non fosse digeribile da un’entità simile. Cercò di tornare indietro, a un’altra situazione simile che sapeva essere avvenuta e ci arrivò.

“Ogni sua componente si era come rinnovata” Rimbombò la voce di Ken nei suoi pensieri “Uccidendo le cellule infette.”

La cosa aveva fatto la stessa identica cosa. Aveva isolato ed espulso ogni cellula intossicata dal metallo prima che la necrosi si ampliasse.

―Kay, dove vai?― Chiese lo sceriffo, vedendo l’amica sparire nella dispensa e tornare di nuovo. Aveva un’identica confezione di rodenticida in mano. Prima che potesse fermarla aveva già lanciato  una manciata di esche all’animale. La strinse forte in un abbraccio disperato ―Ferma, abbiamo già visto che non funziona, non farla arrabbiare.

―Funziona!― Gridò la donna, abbastanza forte da far risentire la creatura e farla attaccare al muro ―Hai visto come soffre, dobbiamo insistere.

I bocconi avvelenati giunsero il bersaglio e rimbalzarono contro la sua pelle lucida, ma stavolta non si scomodò ad aprire il suo guscio e fagocitare le zollette rosa. A malapena trasalì. Kay, vedendo oltre le spalle dell’uomo, si lasciò andare a un moto di sconforto.

―È furbo maledizione― Scosse la testa e si resse al suo coetaneo ―Troppo furbo. Ora ha imparato a distinguere il tallio.

―Forse non ha fame― Fece spallucce il vice oltre lo sceriffo, indicando la bestia con un sorriso beffardo ―Riprenderà dopo e allora vedrai.

Disse questo guardando la bionda, ma non riuscì a smuoverle un senso di fiducia, anzi, le si scavarono gli occhi nelle orbite e alzò le rughe della fronte, aprendo la bocca in un verso strozzato. Dave si girò e cacciò un urlo. L’essere era diventato una sorta di tappezzeria all’intonaco, rimanendo appesso come una pelle di tigre colante e risalendo verso il soffitto, in direzione di una presa dell’aria. Kay si discostò violentemente da Dawn premendogli sul collo e lui quasi la trattenne per paura che potesse mettersi ancora in pericolo. Ma lo spavento di vedere quella roba in moto verso un punto di fuga attraverso la quale sarebbe stata irraggiungibile per tutti lo convinse che erano già in pericolo. La donna corse a un pannello accanto le paratie che davano sull’esterno, all’altro capo della stanza, sullo stesso muro dell’orrenda massa e indugiò un attimo, timorosa che le sarebbe potuta scattare addosso come un serpente, ma quei due secondi di panico le fecero osservare con minuzia quanto alacremente l’essere strisciava verso il bocchettone. Scattò decisa e girò la manopola del pannello. Il bocchettone si chiuse di scatto, ma troppo tardi. Vincent Dawn lanciò un urlo funesto al vedere un bordo nero del mostro rimanere schiacciato sotto le persiane metalliche e restare dall’altra parte. Era finita. Un pezzo microscopico, ma ciononostante vivo era entrato nel condotto dell’aria e si sarebbe perso nei metri e metri di circuito, forse nutrendosi della colonia di ferioni e sarebbe cresciuto di nuovo, separatamente. C’era solo una cosa da fare. Kay poteva trovarlo eccessivo e gli doleva fare del male al suo locale un’altra volta, ma doveva. Alzò il folgoratore, aumentò la carica quasi al massimo e tirò il grilletto, sotto l’urlo negativo del suo vice. Potevano lamentarsi di lui quanto volevano, potevano dirgliene di ogni, ma ottenne quello che voleva. Un terzo della parte superiore dell’animale, insieme a tutto il bocchettone, fu carbonizzato in un’esplosione da fuoco d’artificio che illuminò l’intera stanza di rosso, facendo vibrare le pareti e i timpani dei presenti, facendo perdere un battito e saltare. Il resto della massa nera cadde pesante sulla credenza, sfondandola di netto e cascando con tutto il legno sul bancone di sotto, fumando da una serie di tizzoni accesi sul bordo strappato.

―Preso!― Esclamò di tripudio, inquadrandolo subito nel mirino una seconda volta, ma la pigrizia era passata del tutto al suo avversario e forse, merito del suo peso ridotto, saltò, formando un pistone fibroso con il suo ventre molle. Il suo volo piombò contro il corpo del povero Dave, che ne fu abbattuto dal peso. Sentendosi cadere, con le luci del neon appena visibile oltre il vetro a causa dell’artiglio carnoso che gli ghermiva il volto, il giovane dai capelli rossi si credette già morto, vedendosi come Cronenberg in meno di un minuto. Schienato, si rimise in piedi immediatamente grazie all’inerzia del colpo, con quel polipo d’inchiostro che si era avvinghiato al busto e collo. Con le mani provavava a staccarlo ma le sentiva scivolare su quella schiena lucida. Tentava di affondare le dita, ma lo strato esterno si era solidificato in una membrana elastica, opposta al ventre liquido, poggiato sul suo torso. Fu fortunato ad avere indosso la sua tuta, perché offriva una discreta resistenza contro l’acido rilasciato subito da quell’affare, ma la presa si faceva via via più stretta, come se avesse delle unghie per davvero.

―Oddio!― Si mise a gridare inconsistentemente, scalciando e dimenandosi da ogni lato. Il primo moto di scansarlo per paura di essere divorati a loro volta dalla massa nera trattenne Kay e Cladzky dall’intervenire. Dawn abbassò la pistola contro il proprio vice ma non poté far nulla. Infilò l’arma nel cinturone e si precipitò ad aiutarlo. Afferrò quella sostanza così  fra le sue dita tozze e tentò con tutte le sue forze di staccarla. Nei suoi palmi stringeva un gozzo gommosso pieno di liquido al tatto. Strattonò, stendendo quella ventosa come una corda di violino. piantò i talloni sulle piastrelle e sul corpo stesso di Dave. Quest’ultimo, si voltò nella sua ennesima preghiera, inavvertitamente dando una gomitata al superiore all’altezza della tempia, ma Dawn non mollò la presa un secondo pur cadendo di lato. Quando si ritrovò a terra aveva una piccola massa pulsante che gli ricopriva le dita, perdente un liquido verdognolo alla base recisa che gli scendeva lungo le braccia, un liquido caldo. Era questo il sangue del mostro? O il suo acido? Forse non c’era differenza. Lo strappo sul fondo si agitava di piccoli tentacoli agitati che andavano a intrecciarsi fra loro, cercando di ricucire la ferita grossa quanto l’intero diametro che esponeva l’anatomia interna, che osservò brevemente. Le pareti della membrana erano coperte di tendini intrecciati in sequenze geometriche frattali, una sorta di muscolatura senza dubbio, che lasciavano cavo un interno citoplasmatico trasparente tinto di violetto. Lì in mezzo galleggiavano organuli simili a mitocondri e ribosomi, connessi fra loro da un reticolo di arterie, se così si potevano chiamare, tutti affianco un nucleo che colava in poltiglia marroncina ai suoi piedi, prima di ricomporsi in una forma sferica al centro. Fu una visione che gli fece dubitare delle sue reali dimensioni. Stava vedendo faccia a faccia processi che dovrebbero essere microscopici. Il buco si chiuse e l'emorragia verde dell’animale cessò, ritrovandosi con una copia in miniatura della cosa orrenda. Provò a dividere le sue mani ma era impossibile

I restanti due presenti intervennero. Da una parte Kay Linaker non perse un secondo a fare con più fretta quello che avrebbe salvato la vita a Cronenberg. In una questione di secondi, aveva afferrato la candeggina, già precedentemente attaccata con un moschettone alla sua tuta e rimosse il tappo. Vincent Dawn la guardò con fare spaventanto ma chiuse gli occhi e offrì i polsi, sperando che finisse in fretta. Kay annuì, versando una secchiata azzurrina sopra le mani dell’uomo, generando subito un deterioramento della membrana che si accartocciò bruciata. Quando entrò a contatto con l’interno della spora, una reazione schiumosa, un brillamento verde del nucleo e un’ondata di cloro gassoso si liberarono dallo scontro con il suo acido digestivo.  Aperta la falla, il globo stava corrodendo dall’interno. Per difendersi perse consistenza e scivolò dalle dita del paonazzo sceriffo, cadendo a terra in più frammenti, abbandonando la sua forma solida unitaria per un attimo, tentando di allontanarsi come un trio di piccole lumache nere, lasciandosi dietro ciò che rimaneva di sè in un mucchio bianchi e i guanti della tuta di Vincent Dawn sbiancati ma ancora integri. Libero, subito estrasse l’arma dalla fondina, regolò al minimo e disintegrò senza esitazione una delle unità fuggite, che si disperse come una mina di cristalli bianchi fra le scintille. Ringraziò il cielo che fra tutti i possibili obiettivi, il sangue nero avesse scelto di puntare contro loro: fra tutti erano gli unici a indossare tute progettate per resistere a vari tipi di assalto, dai folgoratori a sostanze caustiche. Non indistruttibili chiaramente, quello era impossibile, ma sapeva di poter lasciar mordere a quella cosa il povero Dave, mentre rincorreva le altre due unità scampate. In tutto il disastro notò che il contrabbandiere era sparito. Figurarsi.

Cladzky, tornò in cucina un attimo dopo con lo stesso estintore adoperato in sala. Scansò un paio di macchie nere che gli corsero sotto i piedi e fuori dalla stanza, per poi essere spintonato via dalla grossa figura di Dawn, che riconobbe a malapena da quanto correva. Raggiunto Dave, che calmato un poco restava in piedi in un angolo davanti le paratie, con le ginocchia che tremavano, cercando di afferrare quella massa e strapparla via come aveva fatto il suo capo.

―Dave!― Gridò il ragazzo. L’altro alzò lo sguardo e si strinse in sé stesso, sudando per il calore che l’animale gli stava generando addosso. Il pilota in bianco puntò la manichetta, strinse il grilletto e un getto di anidride carbonica sotto lo zero investì parassita e corpo ospite. La schermata termica della tuta servì fino a un certo punto, facendo annaspare il vice non per il terrore ma lo sbalzo termico. Si sentiva schiacciare i polmoni e la gola gli si chiudeva. La massa nera si era aggrappata troppo forte nel tentativo di sciogliere il tessuto dell’armatura e quando saltò non fu in grado di alzarsi in aria ma cadde al suolo, cambiando colorito. Presto perse la colorazione nera, in favore di una più violacea, quasi turchese. Se poteva soffrire di ipotermia erano sicuramente i sintomi. Provò a sganciare una parte del proprio corpo, ma fu troppo lento e subito il getto investì l’emanazione prima che si staccasse. Cladzky continuò il lavoro fin quanto non si assicurò di avere irrorato sufficiente quantità di diossido di carbonio a rendere immobile l’intera creatura in un ammasso indaco, scintillante, solido e informe per terra, come ghiaccio. Poggiò a terra lo strumento alleggerito e tirò un sospiro di sollievo. Davanti a lui, il pel di carota se ne stava con un’espressione inorridita, gambe allargate e mani aperte a osservare il mostro caduto ai suoi piedi e la macchia di corrosione lasciata sull’intera parte frontale della propria uniforme. Cladzky gli si fece vicino, tendendogli la mano ―Tutto a posto?

―Attento!― Dave lo placcò, buttandolo a terra ma facendogli scudo con la propria schiena. Sopra le loro teste, un sibilo metallico passò per l’aria, schiantando con riverbero contro le paratie dell’uscita esterna in un piccolo ammasso nero. Dawn li raggiunse subito dopo, torreggiandoli, pistola in pugno, ma non sparava. Non poteva permettersi di danneggiare le porte che davano sul retro del locale, ora che erano rimaste le uniche funzionanti. Dave lesse le sue intenzioni nel volto corrugato e si rialzò nonostante tutto, prese l’estintore e finì il lavoro. Una folata dopo, un piccolo solido indaco rimbalzava sul pavimento.

―E il terzo…?― Chiese Kay, sporgendosi in tutte le direzioni.

―L’ho colpito― Abbassò l’arma lo sceriffo, alzando un palmo per tranquillizzare i presenti. Poi osservò il buco che aveva fatto nella parete poco fa ―Per scalfirlo ho dovuto usare quasi un’intera carica. Se avessi voluto eliminarlo per intero dovrei sventrareil locale, ma grazie a dio l’abbiamo bloccato.

―È una soluzione temporanea― Avvertì il pilota, osservando la carcassa congelata, abbassandosi e specchiandosi nella sua lucentezza, mani sui fianchi e imbronciato ―Temo non durerà prima che arrivino Craven e i suoi.

―Quanto manca ancora?― Chiese Kay, col fiatone, stringendo il braccio dell’amico.

―Avevano detto che ci avrebbero mezz’ora precisa. Lo sai che il tuo locale è in completa periferia di sistema.

―Dalla chiamata ne sono passati appena dieci di minuti― Strabuzzò gli occhi il vice, studiando l’orologio.

―Abbiamo poco tempo per pensare a una soluzione― Cladzky si studiò la cucina, in tutti i suoi fornelli, lavabi, credenze, frullatori, bombole, frigoriferi e forni ―Ma abbastanza materiale con cui lavorare.

―Ehi― Dave lo prese per la mano, concludendo quella stretta interrotta poco fa ―Grazie.

―Grazie a te― Chiuse gli occhi il pilota in bianco, sorridendo appena.





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